venerdì 10 dicembre 2004

dalle
NUOVE EDIZIONI ROMANE

presentazione della rivista
"Il sogno della farfalla"
alla Fiera della piccola e media editoria

Le Nuove Edizioni Romane
comunicano che saranno presenti alla Fiera nazionale della piccola e media editoria "Più libri più liberi":
Eur, Palazzo dei Congressi 8-12 dicembre, stand n. 134.

Nell'ambito delle manifestazioni in Fiera
venerdì 10 dicembre alle ore 18,30
nella sala Dante del Palazzo dei Congressi
la Casa Editrice in collaborazione con l'Istituzione Biblioteche di Roma

presenterà il 52° numero della rivista
"Il sogno della farfalla"


All'incontro, dal titolo

Un sogno ad occhi aperti

interverranno

David Armando
Annelore Homberg
Daniela Colamedici
Andrea Masini
Raffaella Nicolai

Per informazioni sugli altri incontri organizzati dalla Casa Editrice:
www.nuoveedizioniromane.it/news.html#appuntamenti
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Roma, La Sapienza:
domani, sabato, un incontro sui così detti "disturbi alimentari"

greenplanet.net
DISTURBI ALIMENTARI, INCONTRO ALLA SAPIENZA L'11 DICEMBRE
Un seminario aperto alle famiglie per parlare di prevenzione e terapie integrate con psichiatri, psicologi, endocrinologi, nutrizionisti e dietisti

11 dicembre ore 8.30 – 18.30
“La Sapienza” - Policlinico Umberto I
Clinica Medica - Aula II
viale del Policlinico, 155 - Roma


A un anno della nascita del Centro Pilota Interdipartimentale dei Disturbi della Condotta Alimentare (composto da un equipe di psichiatri, psicologi, nutrizionisti, dietisti, internisti e coordinato dalla prof. Emilia Costa), la cattedra di Psichiatria de “La Sapienza” organizza un seminario di alta formazione per parlare di questi disturbi che sono in aumento e rappresentano un costo socio-sanitario elevato.
Durante l’incontro si affronterà la necessità di formare operatori di settore e razionalizzare gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi di queste malattie complesse, a carattere multifattoriale, che si manifestano con condotte alimentari errate: anoressia mentale e bulimia nervosa, disturbi da alimentazione incontrollata.
Nel corso dell’incontro, rivolto soprattutto ad operatori del settore, genitori che hanno figli affetti da tali disturbi, insegnanti di scuole medie e superiori, si parlerà di:
  • diffusione e gravità delle patologie;
  • disturbi della condotta alimentare nell’infanzia, in età adolescenziale ed adulta;
  • percorsi di terapia integrata che vanno dalla psicoterapia individuale, di gruppo a quella di famiglia, al trattamento farmacologico, fino alla riabilitazione neuromotoria, nutrizionale e cognitiva;
  • gruppi di psicoeducazione per le famiglie;
  • prevenzione nella scuola.
Il significato del seminario “Disturbi della condotta alimentare: un percorso pubblico di terapia integrata tra degenza, day hospital ed ambulatorio” sarà approfondito da testimonianze di pazienti e familiari.
I disturbi delle condotte alimentari (anoressia e bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificato)
Il disturbo della condotta alimentare (DCA) è spesso un grave problema di origine emotiva. Le persone con questo disturbo hanno una paura morbosa di ingrassare e sono ossessionate dal peso e dalla forma del loro corpo. L’anoressia mentale e la bulimia nervosa sono i disturbi più conosciuti.
In Italia risultano a maggior rischio le donne nella fascia di età compresa tra 12 e 25 anni, che soffrono per lo 0,5 -1% di anoressia nervosa, 1-3% di bulimia nervosa, il 6% disturbi parziali della condotta alimentare.
Il disturbo da alimentazione incontrollata interessa una più larga fascia di popolazione (10 - 30% a seconda del grado di obesità e di altri fattori) e colpisce in prevalenza il sesso femminile, in rapporto di 10 a 1.
I DCA sono spesso malattie gravi, ad elevata mortalità, difficili da curare e con un’elevata incidenza (in aumento a partire dagli anni 70). Sono in crescita i casi precoci prepuberali e fenomeni di cronicizzazione in età adulta.
Il disturbo della condotta alimentare è la combinazione di fattori diversi: biologici, cambiamenti ormonali negli adolescenti, problemi di identità, problemi di comunicazione e conflitto con la propria famiglia, stress e pressioni sociali (es.stereotipi diffusi nell’immaginario collettivo secondo cui magro é ideale di bellezza), etc.

Repubblica informa ma non commenta:
cattolici 2004: satanismo ed esorcismo!

Repubblica 10.12.04
All'ateneo Regina Apostolorum
Corsi di satanismo per sacerdoti e teologi

ROMA - Sacerdoti a "scuola" per conoscere e contrastare il satanismo, per imparare esorcismi e preghiere di liberazione. Le lezioni, «teoriche e pratiche», inizieranno il 17 febbraio 2005 presso il Pontificio ateneo Regina Apostolorum e - spiega Carlo Climati, giornalista e uno dei docenti del corso - saranno riservate ai sacerdoti e agli studenti di licenza in teologia.
Tra i docenti, la sociologa Cecilia Gatto Trocchi, lo psichiatra Tonino Catelmi, e padre Giancarlo Gramolazzo, presidente dell´associazione italiana esorcisti, e padre Francesco Bamonte, esorcista.

un libro sul rapporto Hegel Marx

Il manifesto.it 9 dicembre 2004
Un legame sul filo del pensiero
«Un parricidio mancato». Un libro sul rapporto tra Hegel e il giovane Marx
Materiali viventi Il filosofo Roberto Finelli imbastisce una scena psicoanalitica per sottolineare il rapporto intellettualmente contradditorio e mai risolto tra Hegel e Marx
di ROBERTO CICCARELLI

C'è stato un uomo che ha passato un intero secolo sotto la leva. Fu arruolato a sua insaputa come sentinella nella lunga notte del socialismo reale e della sua filosofia di stato, il «materialismo dialettico». Durante il servizio militare ha svolto molti lavori - filosofo, economista, organizzatore politico - in cui era particolarmente eccelso quando veniva ritratto nel suo studio londinese o nelle biblioteche in cui amava studiare, ma che sono diventati momenti di una liturgia in cui i numerosi funzionari zelanti del suo culto ne celebravano le virtù sul campo di battaglia. Oggi il suo doppio confino, quello orientale dietro la cortina di ferro, e quello occidentale della «guerre civile fredda» che si è svolta nelle strade dell'Occidente, è ormai solo un ricordo. Karl Marx è finalmente libero di lasciarsi alle spalle il sole dell'avvenire e di raccontare la sua vita a partire dai libri che ha scritto. Questo è d'altronde il filo rosso del volume di Roberto Finelli Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx (Bollati Boringhieri, pp. 320, € 28). Giovane filosofo schierato nelle file dell'intellighenzia tedesca più radicale, quella degli Hegelinge, gli hegeliani di sinistra, Marx era uno dei più acuti intellettuali critici della società prussiana pre-1848. La sua parola d'ordine era: «la filosofia è morta con Hegel, ora generalizziamola alla società». Una rivolta generazionale, prima ancora che politica, che criticava la religione (cristiana) e lo stato (feudale) perché privavano il popolo tedesco della sua facoltà di autodeterminazione.

Il volto giovanile di Marx ripreso sulla copertina del volume sembra rivolgersi verso una singolare scena edipica: la lotta contro il padre teorico e spirituale, Hegel, e la successiva conciliazione con la sua figura che per Finelli avviene solo dopo il 1848 quando, reduce dal fallimento europeo della rivoluzione, Marx maturava il suo lutto, tornava a studiare Hegel e lo superava con la critica dell'economia politica del capitale. Come nella psicoanalisi freudiana, qui Edipo è vittima del suo complesso. Il giovane Marx non è affatto autonomo da Hegel e progetterà il parricidio. Fallendolo. Un vero e proprio atto mancato che, secondo Finelli, condizionerà in senso aporetico e paradossalmente spiritualistico la concezione materialistica della storia.

E lui, Marx, studente prodigio di filosofia laureatosi il 15 aprile 1841 nell'Università di Jena con una tesi su Eraclito, con la carriera accademica ormai sfumata ma pronto ad una giornalistica brillante e polemica, tanto da meritarsi le ire della censura prussiana, cosa ne pensava? Mai avrebbe ammesso quel debito anzi, come tutti i figli ribelli, tendeva a liberarsi all'opprimente eredità. «Al giovane Marx - racconta Finelli nello studio della sua casa romana - l'ansia eroica di commettere il parricidio, e di farsi valere come colui che aveva superato il più grande spirito della filosofia contemporanea, aveva chiuso gli occhi davanti alla complessità del pensiero del padre, pur dopo essersene alimentato nella raffinatezza categoriale della sua dissertazione di laurea».

La critica antihegeliana

Questa vicenda non rimane tuttavia imprigionata nei confini del triangolo edipico. Quella psicoanalitica è una narrazione che viene utilizzata da Finelli per restituire gli aspetti concettuali della vicenda teorica del giovane Marx, non ultimi quelli storici che lo hanno legato ad una certa immagine del marxismo in Italia, e non solo. La tesi di Finelli sul piano della storia del marxismo contemporaneo è infatti radicale. Siamo nell'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, a Messina, e a Roma. La scena è quella universitaria. Galvano Della Volpe e Lucio Colletti, i principali teorici del marxismo filosofico italiano, teorizzavano un Marx che aveva superato Hegel già nei suoi primi scritti. Ma così facendo, pur allontanandosi dal marxismo storicistico italiano, Della Volpe elaborava un marxismo che si voleva empirico e scientifico, ma che in effetti sottaceva un umanesimo metafisico e fusionale. Quello di Feuerbach che Marx usò per liberarsi di Hegel. Senza riuscirci.

Il punto dello scandalo rimane dunque sempre lui, Hegel, colui che aveva impostato per primo, pur mantenendo un piede nel pre-moderno con la sua teoria dei ceti, della polizey e delle corporazioni, il rapporto moderno tra l'individuo e la comunità che è sempre mediato da astrazioni che si fanno istituzioni e realtà. La critica anti-hegeliana condotta da Della Volpe e Colletti in Italia, o da Löwith in Germania con il suo affresco storico Da Hegel a Nietzsche, spinge invece a leggere Hegel come l'autore di un pensiero teologico-cristiano dissimulato sotto una veste razionale. E di conseguenza Marx come il dissolutore della cortina teologica calata sulla storia della filosofia da Hegel.

Per Finelli la teoria del genere umano di matrice feuerbachiana che rimanda nel giovane Marx ad un'idea di comunità di natura spiritualistica e fusionale in cui il «tu» è, senza differenze e conflitti, la continuazione e l'integrazione dell'«io», è invece arretrata rispetto alla teoria del riconoscimento descritta nella Fenomenologia di Hegel. L'umanesimo del giovane Marx non trascurava soltanto la fondamentale istanza della differenziazione e quella del concetto del «negativo», ma l'intera concezione hegeliana del soggetto basata sul riconoscimento, quella doppia azione del «diventare se stessi attraverso il rapporto con l'alterità» che permette al soggetto di non cancellare l'alterità e di riconoscerla come parte fondamentale della propria identità, permettendole di universalizzarsi senza rimanere prigioniera del proprio sé.

L'incomprensione della complessità del rapporto Hegel-Marx spinse tanto il marxismo storicistico «a rimanere legato - ribadisce Finelli - ad un populismo di fondo, all'esaltazione di un soggetto che trovava nel lavoro la sua identità positiva e collettiva e che si faceva principio di un possibile sviluppo civile unitario, nazionale e popolare», quanto il «galileismo morale» di Della Volpe e Colletti a compiere un'analoga rimozione. «Non analizzavano il processo del lavoro - osserva Finelli - alla luce di quello di valorizzazione del capitale», secondo quel concetto chiave per Marx di «determinazione formale» distinto da quello di «determinazione materiale». Era il destino generale del marxismo filosofico italiano, quello «di rimanere un marxismo senza Capitale».

Le ragioni di questo equivoco erano, oltre che filosofiche, anche politiche, naturalmente. Il marxismo italiano, infatti, pur con le eccezioni rappresentate da figure come Raniero Panzieri o, sul versante filosofico, da Cesare Luporini, rimaneva chiuso in un orizzonte nazionale, refrattario alle esperienze più innovative della cultura europea degli anni `50 e `60, quelle dell'esistenzialismo di Sartre, della Scuola di Francoforte, senza parlare di Nietzsche e della psicoanalisi. Almeno fino al 1968. «Quella cultura - ricorda Finelli - era fondamentalmente impermeabile e forse ostile alla tematica dell'antiautoritarismo come affermazione di una nuova teoria della soggettività. Lo storicismo era una teoria dell'omogeneità del soggetto di classe come soggetto politico che non faceva i conti con quanto, soprattutto in Francia e in Germania, si andava innovando sul piano della teoria del soggetto».

Quello di Finelli è dunque un libro che ha un'ambizione: riaprire il dibattito sul marxismo filosofico italiano, e non solo italiano, ripartendo proprio là dove Lucio Colletti lo ha interrotto pretendendo di chiuderlo. E poi segue una precisa drammaturgia che non corrisponde a quella preparata negli anni Sessanta da Louis Althusser che vedeva in Marx la presenza di due periodi, uno prima e l'altro dopo Hegel, separati da una «rottura epistemologica». Anche Althusser, ricorda Finelli, era tentato, ma in direzione opposta rispetto a Della Volpe e Colletti, di mettere in sordina l'influenza di Hegel su Marx.

La maturità filosofica

Siamo sulla scena del parricidio compiuto, quella dove il Marx maturo nel suo esilio londinese analizza il capitale come ciò che permette agli uomini di stare insieme a costo però della loro spersonalizzazione in quanto funzioni della produzione e non come individui. Sono passati vent'anni, e Marx ha abbandonato il «paradigma della contraddizione» per quello dell'astrazione per cui il capitale sussume progressivamente nella sua logica totalizzante l'intero mondo del concreto, dei valori d'uso e della forza lavoro, colonizza il mondo delle cose e dei corpi asservendoli alla sua logica di accumulazione dell'astratto, lasciando loro soltanto la possibilità di vivere in una dimensione di superficie, neutralizzati dalla catastrofe degli affetti, privi di un linguaggio che non sia quello logico-matematico o digitale. «Per studiarne la logica oggettiva e impersonale - precisa Finelli - Marx pone il capitale come il soggetto dell'intera modernità che riduce i soggetti e le classi a maschere portatrici di funzioni economiche. Mi sembra che questa teoria dell'astrazione in processo lo abbia obbligato ad una sociologia economica delle classi sociali, lasciando in sospeso la questione della loro organizzazione politica».

Il dramma del Marx della maturità è che sul piano politico continua ad argomentare secondo il paradigma della giovinezza, quello del «genere umano» e della sua organicità, nonostante la conquistata teoria del capitale. Quella sua teoria della rivoluzione soffriva della mancanza di un'elaborazione politica della contraddizione economica. Un dramma in cui si rifletterà tutta la concezione successiva della costituzione della classe la quale ribadiva la sua natura comunitaria: «Il problema del passaggio dalla classe in sé alla classe per sé - conclude Finelli - è infatti inficiato da una concezione troppo facile ed immediata della partecipazione politica del singolo al collettivo».

E' l'immagine di un Marx complesso e contraddittorio, quella di un uomo in libertà e di un filosofo che fa coesistere una doppia teoria della soggettività e consegna al marxismo successivo l'empasse terribile di una teoria della modernità avanzata e di una della soggettività arretrata che lo spinge a soggiornare ancora nel pre-moderno. Un Marx uno e bino.

l'«immacolata concezione»!?

Repubblica 10.12.04
Il mistero dell'Immacolata Concezione
CORRADO AUGIAS

Gentile dott. Augias, confesso che la festività dell'8 dicembre mi coglie sempre di sorpresa, l'Italia, ma anche mezza Germania, si fermano inspiegabilmente per via di qualcosa chiamata "Immacolata Concezione", che la maggior parte dei cittadini, credenti o non, non sa cosa sia oppure interpreta in modo errato. Molti pensano che si tratti del fatto che la Madonna ha concepito suo figlio Gesù per opera dello Spirito Santo mentre si tratta del fatto che lei, Maria, è stata concepita senza peccato originale.
Sono convinto che un personaggio chiamato Maria di Nazareth sia stato concepito senza la macchia del peccato originale. Ciò che mi irrita è che la cosa venga celebrata come qualcosa capitata solo a lei e che quindi questo la distingua da tutti gli altri esseri umani. Facendo festa l'8 dicembre festeggiamo non tanto un'esenzione quanto il riconoscimento che la nostra personale origine è stata viziata da qualcosa chiamata peccato. Insomma, l'8 dicembre si ammette collettivamente il peccato originale. Questo mi sembra inaccettabile. Che senso ha un peccato compiuto prima di nascere, cioè non dall'individuo stesso, ma che ricade su di lui per la concezione barbarica del diritto, secondo la quale le colpe (come i meriti) del padre ricadono sui figli?

Giulio Cengia, Milano.
gcengia@libero. it

Gentile signor Cengia, lei tocca un argomento delicatissimo. Per i non religiosi, ciò che i cristiani chiamano "peccato originale" potrebbe essere quella componente ferina della natura umana rappresentata in molti miti con un iniziale gesto delittuoso; nella Bibbia un fratricidio. L'Immacolata Concezione è dogma recente proclamato nel 1854, da Pio IX. Dopo un inizio di pontificato caratterizzato da un certo liberalismo che entusiasmò perfino Mazzini, papa Mastai cominciò a inclinare sempre di più verso posizioni conservatrici culminate (1864) nel famigerato "Sillabo", repertorio di tutti gli errori dell'epoca che si risolve in un sostanziale rifiuto della modernità. Tra i primi cristiani l'immacolatezza di Maria fu a lungo tema controverso. Da una parte i Padri della Chiesa d'Oriente che, nell'esaltare la madre di Dio, la collocavano al di sopra del peccato originale. In Occidente, invece, la teoria trovò forti resistenze. Si trattava non di mettere in dubbio quella sublime creatura ma di conservare integra la dottrina della Redenzione, operata soltanto in virtù del sacrificio di Gesù. Fu Giovanni Duns Scoto, chiamato il «Dottor Sottile», che superò lo scoglio dottrinale argomentando che anche la Madonna era stata redenta da Gesù, ma con una Redenzione preventiva, prima e fuori del tempo. Era stata preservata dal peccato originale in previsione dei meriti del suo figlio divino.
La dottrina non proviene dalla Bibbia e anche per questo fu rifiutata da alcuni illustri padri della chiesa: Tommaso d'Aquino, Eusebio, Ambrogio, Bonaventura, Bernardo, nonché alcuni papi tra i quali Gregorio e Leone Magno. Pochi mesi dopo la proclamazione papale, ci furono le 'apparizioni' di Lourdes che parvero a molti fedeli una miracolosa conferma del dogma. Questa, in estrema sintesi, la vicenda storica. Il signor Cengia, e così ognuno di noi, è libero di aderire o di non aderire al dogma che è, in quanto tale, indiscutibile. In materia di fede o si crede o non si crede.

storia dei crimini del cristianesimo
i cavalieri templari

Gazzetta di Parma 10.12.04
I soldati di Dio
di
Antonio Battei

1314: Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dei Templari, brucia sul rogo sacrificando la vita, perchè accusato di eresia. E' questa data storica che introduce ad un breve viaggio alla scoperta dei Templari. Mentre uno strombazzato quanto scadente film americano con Nicholas Cage, in questi gioni sugli schermi di mezzo mondo, ripropone il tema. Tema che apre le porte di un mondo di misteri e segreti, di preghiera e spiritualità, di castelli e magioni, di Graal e rituali. L' origine dei templari risale al lontano 1118, anno in cui Hugues di Payns, feudatario della Champagne, costituisce una milizia assolutamente inedita per quei tempi: l'Ordine dei poveri cavalieri del Cristo, ove si conciliano i principi base del monachesimo ( povertà, castità, obbedienza), all'uso delle armi a protezione dei pellegrini che si recano nei luoghi sacri della Terrasanta, verso il Santo Sepolcro. Quando il re di Gerusalemme, Baldovino II, accoglie i primi cavalieri nel suo palazzo, presso la moschea di Al- Aqsa, dove in passato sorgeva il Tempio di Salomone, si comincia a parlare pi ù precisamente di Ordine del Tempio. Bisogna ammettere che la creazione della nuova milizia non ha precedenti nella storia cristiana, e il papa Onorio II mostra evidenti segni d'imbarazzo. E' quindi necessario trovare una posizione chiara e precisa, ricercando anche una regola che si adatti perfettamente alla situazione. Non è un caso se, in questo momento, entra nelle vicende dei Templari, uno dei personaggi più carismatici ed autorevoli del tempo: Bernardo di Chiaravalle. E' proprio grazie a lui che, nel Concilio di Troyes ( 1129), la nuova milizia viene ufficialmente riconosciuta grazie al «De laude novae militiae» (elogio della nuova milizia), vero e proprio proclama di esaltazione dell'Ordine Templare. In seguito viene redatta la prima regola di base denominata «latina», importante punto di partenza per lo sviluppo dell'Ordine. A partire dal 1128 i cavalieri Templari conoscono un sorprendente e rapido sviluppo in tutta Europa e sempre più uomini decidono di arruolarsi, distinguendosi per l'addestramento e la disciplina: i Templari divengono la colonna portante di un esercito crociato altrimenti approssimativo e disorganizzato. Ciò che li rende particolarmente solidali è anche il prezioso insieme di ritualismi e pratiche ripetitive e abitudinarie. Alzarsi alle due di notte era disagevole, ma la Regola, tranne in casi particolari, parla chiaro: il ritardo non viene ammesso e sono previste severe punizioni. Coperti dagli abiti notturni, dal mantello e dalle scarpe, i cavalieri si avviano verso la Cappella, rischiarati solo dal bagliore di poche candele. Tranquilli e seduti recitano il primo ufficio divino e le preghiere alla Vergine. Ma si è sentito parlare anche di riti che ricordano certi casi di «nonnismo» e che sarebbero stati poi alla base delle accuse di eresia: pare che ai nuovi cavalieri si chieda di sputare sulla croce, di rinnegare Cristo e di scambiarsi baci sulle labbra. Con estrema probabilità si tratta di gesti necessari per mettere alla prova l'ubbidienza assoluta e per preparare i novizi a quanto avrebbero potuto subire dai saraceni. E infatti anche il papa Clemente V, come tutti i suoi predecessori, non sente mai la necessità di condannarli. Fino al 1307, infatti, i Templari rappresentano per tutti l'eccellenza in campo religioso, tanto, per esempio, da essere riconosciuti come la massima autorità nell'individuare le reliquie autentiche. Non dimentichiamoci, a tal proposito, che secondo quanto testimoniato da Von Eschenbach all'interno del suo «Parzival» (del 1200 circa), i Templari erano i custodi del sacro Graal. Tutti i pontefici li guardano con favore, da Innocenzo II a Bonifacio VIII e a loro si devono ingenti donazioni e lasciti testamentari. Gli «sconci rituali» a cui i consiglieri del re di Francia Filippo il Bello si appellano, sono la causa della rovina dell'Ordine, insieme al timore che i suoi carismatici personaggi potessero avere scoperto verità assolute. «I frati dell'ordine della milizia del Tempio, lupi nascosti sotto un aspetto da agnello e sotto l'abito dell'ordine, insultando in modo sciagurato la religione della nostra fede, sono accusati di rinnegare il Cristo, di sputare sulla croce, di lasciarsi andare ad atti osceni al momento dell'ammissione all'ordine: essi s'impegnano con il voto che proferiscono, e senza timore di contravvenire alla legge umana, a darsi l'uno all'altro, senza rifiutarsi, se vengono richiesti... ». Con queste parole il re Filippo IV giustifica l'arresto in massa, all'insaputa del papa, dei Templari nelle commende francesi, avvenuto all'alba di un terribile venerdí del 13 ottobre 1307. Quasi tutti i monaci sono imprigionati, compreso il maestro Jacques de Molay, tutti i beni dell'ordine saccheggiati insieme al tesoro e ai documenti. Incatenati, isolati dalla vita conventuale, torturati, sottoposti a inaudite violenze fisiche e morali, i monaci- cavalieri sono rinchiusi nel castello di Chinon, insieme ai dignitari dell'ordine, tra cui, appunto, de Molay. Le loro condizioni fisiche precarie impediscono il trasferimento al fine di essere interrogati direttamente da papa Clemente V, anch'egli gravemente malato e sempre pi ù sottomesso alle strategie politiche del re di Francia. «Le eresie e i peccati che ci vengono attribuiti non sono veri. La regola del tempio è santa, giusta e cattolica. Sono degno della morte e mi offro di sopportarla, perchè prima ho confessato, per la paura delle torture, per le moine del papa e del re di Francia... ». Dopo queste parole di ribellione e di grande coraggio, Jacques de Molay, insieme a Geoffroy de Charny, precettore di Normandia, viene bruciato sul rogo come eretico il 18 marzo del 1314, a Parigi, sull'isola della Senna, davanti ai Giardini reali: il re si raccomanda di usare fascine di legno verde al fine di prolungare il martirio. Quell'anno muoiono anche Filippo il Bello e Clemente V, possiamo quasi dire per contrappasso. Prima di andarsene, il papa fa in tempo a sciogliere l'Ordine dei Templari, al Concilio di Vienne, attraverso la bolla «vox in excelso» e i cavalieri dal bianco mantello abbandonano ufficialmente la scena. Tutti i beni sono confiscati e fatti confluire nell'Ordine degli Ospitalieri. La storia ci ha trasmesso che i Templari sono istituiti per la difesa del pellegrino, ma qualche studioso ipotizza che il vero obiettivo sia la ricerca di materiale esoterico: il santo Graal, la sindone, l'arca dell'alleanza o magari manoscritti che minacciavano le basi fondamentali della religione cristiana. Ci si domanda ancora se sia esistito un ramo occulto del Tempio, un gruppo di iniziati che detenesse il Sapere Supremo. E qualcuno sostiene che il vero tesoro templare esista ancora e che possa trovarsi in Scozia, in Italia, o a Rennes le Chateaux. E il Santo Calice è realmente esistito o è sempre stato solo il simbolo di un prezioso tesoro interiore? I misteri nella storia Templare sono tanti e in parte davvero irrisolti, è proprio per questo che affascinano ancora molti di noi. E' lecito chiedersi perchè tutti i cavalieri siano stati annientati. La risposta forse è molto semplice: i loro tesori terreni e il loro carisma.

un'indagine
casi di schizofrenia in Piemonte

Repubblica, ed. di Torino 10.12.04
In Piemonte 43mila schizofrenici. "Ma è un male che si può curare"
"Non bisogna nascondere i primi sintomi"
di ALBERTO CUSTODERO

In Piemonte troppe persone ancora pensano che un malato di schizofrenia sia un soggetto pericoloso che possa provocare guai a sé e agli altri e rovinare la famiglia in cui vive. È quanto è emerso da un´indagine conoscitiva commissionata da un'industria farmaceutica, la Bristol-Myers Squibb e realizzata dalla Burson-Marsteller. Il grave pregiudizio che esiste ancora nella società nei confronti delle persone colpite da malattia mentale, ha osservato il presidente della Società italiana di psichiatria, Carmine Munizza, «crea problemi di re-integrazione ai pazienti e, quel che è più grave, spesso ritarda i tempi della diagnosi». «Da quando su un soggetto si manifestano i primi sintomi - ha aggiunto Munizza - alla prima diagnosi di patologia passano talvolta anche 4 o 5 anni. E questo perché le famiglie, temendo lo "stigma" o il pregiudizio che grava sulla malattia, evitano fino all'ultimo di ricorrere ai servizi psichiatrici. Ma quando lo fanno, è sovente troppo tardi». L'indagine conoscitiva ha confermato che in Piemonte 43 mila persone soffrono di disturbi psichiatrici e sono seguite dai dipartimenti di salute mentale. Il 25-30% ha i sintomi della schizofrenia grave: allucinazioni, deliri ossessioni, voci che arrivano da una realtà parallela. L'indagine ha fotografato gli aspetti socio-culturali della malattia mentale, intervistando i diversi «attori» che a vario titolo ne sono coinvolti: i pazienti, gli psichiatri, i familiari, il grande pubblico, autentico termometro», quest'ultimo, per misurare l'impatto sociale della malattia. Dall'indagine è emerso anche che una delle esigenze più sentite dai pazienti è quella di disporre di terapie che consentano una buona qualità della vita. Il Piemonte può contare su 25 Dipartimenti di salute Mentale strutturati in Servizi Ospedalieri di diagnosi e cura (23), centri di salute mentale (64), day-hospital (19), centri diurni (24) e strutture residenziali (5), mentre il personale dedicato ammonta a 2.411 figure sanitarie tra psichiatri, assistenti sociali, infermieri professionali ed amministrativi. L'indagine conferma che le maggiori difficoltà per un paziente affetto da schizofrenia riguardano ancora il recupero della vita sociale.

la così detta sindrome di iperattività
Ernesto Caffo dice la sua

Repubblica Salute 9.12.04
Iperattività, servono diagnosi precoci
di Ernesto Caffo *

IL DISTURBO da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD, dall'inglese Attention - Deficit - Hyperactivity Disorder) è una sindrome che colpisce il bambino soprattutto nel periodo della scuola elementare, quindi tra i 6 e gli 11 anni, caratterizzata dalla triade: iperattività, impulsività, e deficit di attenzione - concentrazione. Questi bambini di solito vengono descritti come irrequieti e turbolenti: non riescono a stare seduti nel banco, disturbano e aggrediscono senza alcun motivo i propri compagni di scuola, i genitori o i fratelli; presentano spesso comportamenti inappropriati sia a scuola che a casa: non ascoltano genitori ed insegnanti, non rispettano alcuna regola e fanno fatica a portare a termine qualsiasi compito richieda un'applicazione prolungata. L'incidenza comunemente accettata del disturbo, si calcola oggi sull'1 - 2% dei bambini in età scolare, più frequentemente nei maschi che nelle femmine ( rapporto 5 - 9 a 1). Per quanto riguarda la diagnosi non esistono indagini strumentali e/o di laboratorio specifiche. La semplice osservazione del comportamento del bambino permette di rilevare facilmente gli elementi caratterizzanti il disturbo. Nello specifico, l'attenzione viene in genere valutata facendo riferimento al comportamento generale del bambino durante la somministrazione dei vari test reattivi.
Nonostante i dati riportati dal recente "International Consensus Statement on ADHD" (2002), sostengano che il 32 - 40% dei soggetti che soffrono di ADHD non completino la scuola dell'obbligo, e soltanto il 5 - 10% arrivi all'università e che da adulti abbiano più incidenti stradali, diventino alcoolisti e antisociali, depressi nel 20 - 30% e con disturbi di personalità nel 18 - 25% dei casi, nella quasi totalità dei disturbi la sintomatologia tende ad attenuarsi nell'adolescenza per scomparire nell'età adulta. Occorre quindi intervenire precocemente secondo modalità di cura proprie: una comportamentale con vari interventi psico-educativo-sociali, l'altra farmacologica basata sugli psicostimolanti e soprattutto sul dibattutto metilfenidato (sul quale in Italia cominceranno finalmente dai prossimi mesi ricerche e monitoraggi programmati).

* Ordinario Neuropsichiatria Infantile Univ. Modena
e Reggio Emilia


l'Istituto superiore di sanità:
i dati sui disturbi mentali
e un congresso a Roma

ANSA
SALUTE: ISS, PER DONNE RISCHIO TRIPLO DISTURBI MENTALI
Data: 09.12.2004 - 15:22 - ROMA

(ANSA) - ROMA, 9 DIC - Una persona su cinque ha sofferto di un disturbo mentale durante la sua vita e donne, separati, disoccupati, casalinghe e portatori di disabilità sono le categorie con il rischio maggiore di svilupparne uno. Sono alcuni dei dati emersi dallo studio realizzato dall'Istituto superiore di sanità (Iss) tra il 2000 e il 2003, che fa parte del progetto europeo Esemed nell'ambito dell'indagine promossa dall'Oms e dall'università di Harward in 30 Paesi. Su un campione di cinque mila persone, di età uguale o superiore a 18 anni e di età media di 48, spiega Giovanni De Girolamo, psichiatra del Dipartimento di salute mentale dell' Ausl di Bologna e coordinatore per la parte italiana dell' indagine insieme a Pierluigi Morosini dell'Iss, ''uno su tredici ha dichiarato di aver sofferto di un disturbo mentale nell'anno precedente l'intervista, mentre uno si cinque, pari a circa otto milioni e mezzo di persone, ne è stato colpito durante la sua vita. Un dato questo che ci pone, insieme alla Cina e alla Nigeria, agli ultimi posti tra i quindici Paesi di cui finora sono disponibili le valutazioni, per quanto riguarda ansia e depressione. Anche nell'abuso di alcool e di droghe, pur avendo dati probabilmente sottostimati per la tendenza a negare tali abitudini, possiamo dire che l'Italia è agli ultimi posti, visto che è stato il primo dei 51 Paesi della Regione europea dell'Oms ad aver diminuito del 25% il consumo pro capite di alcool tra il 1981 e il 2000''. Circa le categorie piu' colpite, lo studio dell' Iss ha messo in luce come le donne, che hanno un rischio tre volte maggiore rispetto agli uomini, sono più soggette ad ansia e depressione, mentre le persone di sesso maschile ad abuso di alcool e altre sostanze e a disturbi della socialità. ''In particolare - continua De Girolamo - le donne cadono in depressione il doppio degli uomini e sono ansiose il triplo, peggio ancora se casalinghe. Ma anche chi è disoccupato o è tornato ad essere single dopo la fine del matrimonio, ha una probabilità doppia di essere colto da questi disturbi, mentre le persone disabili hanno una prevalenza otto volte superiore alla media''. Nel corso dell'anno precedente l'intervista, tre milioni e mezzo di persone hanno dichiarato di aver sofferto di disturbi mentali, di cui il 5% di disturbi d'ansia e il 3,5% di carattere affettivo. Tra le patologie piu' comuni, in cima alla lista troviamo la depressione (10% della popolazione nel corso della vita e 3% nell' anno prima dell'intervista), seguita da dischimia (3,4% e 1%) e fobia sociale, disturbi d'ansia generalizzata e disturbo post-traumatico da stress (2%). ''Le cause alla base di questi disturbi e della loro distribuzione - prosegue De Girolamo - sono sia biologiche che psico-sociali. Si può ipotizzare che gli stili di vita e le variabili socio-culturali dei Paesi latini, visto che anche la Spagna ha dei valori simili ai nostri, favoriscano un basso rischio di malattie mentali. Certo è che l'accesso ai servizi di salute mentale, in Italia come in Europa, avviene ancora troppo tardi e non nella misura adeguata''. In Europa, infatti, due persone su tre con disturbi mentali, di cui il 54% gravi, non si sono rivolte a strutture sanitarie nell'anno precedente l'intervista. ''Nel nostro Paese - conclude - c'è la probabilità due volte maggiore della Spagna che una persona malata non si rivolga mai alle strutture di salute mentale. Un dato su cui bisogna lavorare, soprattutto se si considera che tutti questi disturbi, in particolare ansia e depressione, insorgono entro i 20 anni e che quindi molti disturbi gravi sono la cronicizzazione di patologie lievi non trattate e che molto spesso l'abuso di alcool e sostanze psicotrope è il tentativo di automedicazione di chi non ha ricevuto cure adeguate''.(ANSA).

APCOM 10.12.2004
SALUTE/ SABATO A ROMA IL CONGRESSO DI PSICHIATRIA DEMOCRATICA

Roma, 10 dic. (Apcom) - Si aprirà domani a Roma, alle ore 10, presso il palazzo della provincia in via IV Novembre, il congresso Nazionale di Psichiatria Democratica, [...] L'appuntamento, informa un comunicato, "servirà per organizzare forme di riflessione critica contro la proposta di legge Burani-Procaccini, all'insegna dello slogan: vogliono riaprire i manicomi".
[...]

giovedì 9 dicembre 2004

vi piace la bandiera della Ue? bene, anche alla madonna...

Il Gazzettino 9.12.04
Le dodici stelle della corona di Maria diventate la bandiera della Ue
Ar.Pa.

La proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione - l'8 dicembre del 1854 - si situa tra due apparizioni della Vergine: quella del 1836, alla francese suor Caterina Labouré e quella del 1858, a Bernadette Soubirou a Lourdes. Qui, quattro anni dopo la proclamazione del dogma, la Vergine, richiesta da Bernadette di rivelare il suo nome, disse in francese dialettale: «Io sono l'Immacolata Concezione». Per la prima volta si ebbe un avallo celeste ad un pronunciamento papale. La statua in cima alla colonna di Piazza di Spagna riproduce l'immagine di Maria quale fu descritta dalla veggente suor Caterina Labouré: la Vergine apre le braccia quasi all'abbraccio dei fedeli, poggia i piedi sulla luna, ed ha intorno al capo una corona di dodici stelle. A titolo di curiosità diremo che a questo si ispirò l'artista francese, Arsenne Hertz, quando vinse il concorso per la bandiera dell'Europa unita: dodici stelle su sfondo azzurro. E si dice che l'artista, cattolico praticante, aveva proprio pensato a quel versetto. Il dogma si celebra ogni 50 anni: celebrò il cinquantennio Pio X nel 1904, il centenario Pio XII nel 1954 e, ora, il centocinquantesimo anniversario Papa Wojtyla. Pio X incoronò con dodici stelle l'immagine della Madonna nel grande quadro della cappella del Coro in San Pietro. Per l'occasione aveva chiesto al giovane maestro della Cappella Sistina, don Lorenzo Perosi, di scrivere un «Tota pulchra». Il musicista gli riservò una sorpresa: trascrisse per il coro la partitura ad una voce che i ragazzi cantori cantavano ad una voce a Venezia, dove Pio X era stato patriarca. Il Papa nell'ascoltare il brano si commosse e, al termine, si inginocchiò in preghiera. Ci fu imbarazzo tra cardinali e vescovi, fino a quando don Lorenzo fece ripetere dai suoi cantori il brano. Poi il Papa si alzò, benedisse le dodici stelle e, prima di rientrare nel suo appartamento, fece chiamare il maestro e gli disse: «Mi è tanto piaciuto che l'ho voluto ascoltare una seconda volta».

embrioni

Repubblica 9.12.04
GLI EMBRIONI E L'USO DELLA SCIENZA
di Vittorio Sgaramella*

Quando nasciamo? La domanda è semplice; la risposta meno e varia da cultura a cultura. In Cina si nasce al concepimento; da noi al parto; gli inglesi (almeno come embrioni) nascono 14 giorni dopo il concepimento. In discussione non è il compleanno, ma l'evento chiave di un processo che inizia quando ovulo e spermatozoo (i gameti) si fondono, originano prima una nuova cellula (zigote), la prima d'un nuovo essere umano, poi un embrione e quindi una persona pienamente sviluppata e fisicamente e giuridicamente. Se tutto va bene. Ma in media 4 fecondazioni su 5 non procedono e finiscono in aborti spesso inavvertiti. Tre embrioni su mille si dividono in gemelli identici. Può avvenire anche il fenomeno opposto: due embrioni fraterni possono fondersi e originarne uno solo (se i due embrioni sono di sesso diverso si forma una chimera, un ermafrodito; se sono dello stesso sesso, il fenomeno può non essere neppure notato). Ai fini della comparsa di una persona, la fecondazione è necessaria, ma non basta. Il problema è come correlare lo sviluppo fisico con quello giuridico-legale: in breve quando diventiamo titolari di tutti i diritti dell'uomo, tra cui quello alla sopravvivenza, e dei corrispondenti doveri, tra cui quello della solidarietà.
Oggetto specifico del contendere è sino a quando è lecito usare embrioni per la sperimentazione biomedica, quasi sempre distruttiva, senza che questo sia perseguibile come un delitto. Sono secoli che filosofie, codici, arti s'occupano dell'inizio della vita e così miti e religioni. Anche la scienza vuol dire la sua: non cambierà millenarie credenze, ma nuove conoscenze dovrebbero aiutarci a capire meglio il fenomeno fisico, a meno che non lo si veda come interamente metafisico. Moltissimo dobbiamo alla fecondazione in vitro (Fiv), sviluppata in Inghilterra nel '70 e ai milioni di figli della provetta: nei soli Usa furono oltre 100mila nel 2001, il doppio del '96. Forse dieci volte tanto quelli persi nel processo.
La Chiesa insiste sulla coincidenza tra fecondazione e "animazione". La scienza è più possibilista e sottolinea la gradualità dello sviluppo delle caratteristiche umanizzanti, astenendosi dal resto. Le leggi dei paesi dove l'aborto terapeutico è ammesso subordinano lo statuto del feto di non piu di 3 mesi rispetto a quello della madre.
B. Knowles e colleghi suggeriscono che nel topo, ma probabilmente anche nell'uomo, durante il passaggio ovocita embrione il genoma subirebbe una massiccia riorganizzazione che continuerebbe sino a blastocisti (nell'uomo durerebbe 5 giorni). Questa riorganizazzione concorrerebbe a regolare le fasi cruciali della riproduzione, dalla fecondazione all'impianto dell'embrione. Ne uscirebbe un genoma personale che è unico e irripetibile, diverso da individuo a individuo, gemelli monozigotici compresi. Il genoma embrionale varierebbe quindi nel tempo, nel passaggio ovocita embrione, e non è escluso che vari anche nello spazio, nelle diverse cellule dell'embrione e poi nei diversi tessuti dell'adulto.
Dunque, come esseri nasciamo alla fecondazione; come persone potremmo nascere quando 5 giorni dopo il concepimento, il nostro genoma pare diventi distintamente nostro. Gli inglesi avevano scelto il termine di 14 giorni perché allora compare un abbozzo di sistema nervoso e quindi di sensibilità: prima questi "pre-embrioni" non sono ritenuti persone, ma esseri umani usabili nella sperimentazione biomedica, ovviamente previa autorizzazione delle autorità e consenso informato dei genitori. I 5 giorni di grazia suggeriti da quelle riorganizzazioni genomiche, se confermate nell'uomo, potrebbero fornire copertura legale almeno per l'individuazione degli embrioni Fiv comunque a rischio, da non impiantare ma da donare ai fini solidali della ricerca.
A questa logica risponde la proposta, saggia e condivisibile, che Amato ha illustrato su Repubblica il 13 novembre. Solo che ancorare l'inizio dello statuto protetto dell'embrione alla formazione del cosiddetto "ootide" non convince. A parte che il termine "ootide" è improprio, visto che l'omologo "spermatide" è usato per indicare un precursore dello spermatozoo. Ma più rilevante è il fatto che lo stadio in cui i due pro-nuclei materno e paterno si ritrovano nello zigote ma non si sono ancora fusi non è, né prelude alla fusio duorum gametum: quella era precedente. Non è neppure la fusio duorum nucleorum che pure sarebbe più appropriata come inizio d'un nuovo essere. I due nuclei nello zigote non si fondono, ma vengono prima replicati e poi assortiti in due coppie. Ciascuna coppia contiene un genoma materno e uno paterno, e costituirà il nucleo delle prime due cellule dell'embrione, pronte a formarsi al dimezzamento dello zigote che avverrà non appena i due pro-nuclei parentali si sono replicati.
La riproduzione parte con l'ingresso dello spermatozoo nell'ovocita: ma il nostro big bang ontologico non deve per forza coincidere con l'acquisizione dei nostri diritti/doveri di persona umana, che andrebbe invece vista come un processo graduale, dal concepimento alla morte. L'argomento che siamo stati tutti embrioni è suggestivo, ma poco più: appena prima eravamo tutti spermatozoi e ovociti. Tutto questo vale sia per gli embrioni Fiv non impiantati, sia per quelli donati appositamente a fini"terapeutici". Ora pare che questi ultimi, prodotti non da fecondazione sessuale, ma da trapianto di nucleo somatico in ovocita, proprio non ce la facciano a svilupparsi normalmente. E ciò forse anche per via delle riorganizzazioni di cui sopra, che nel caso della donazione per trapianto di nucleo sono ancora più complicate: nella donazione infatti si parla di "pseudo-embrioni". In alcuni paesi come Inghilterra o Corea, queste donazioni sono legali. Negli Usa la Harvard University ha chiesto autorizzazione a tentarle, ma solo con fondi privati e contro l'intransigente opposizione dei movimenti provita e di Bush.

* l'autore è professore di biologia molecolare

sinistra
Liberazione aderisce alla proposta del manifesto di un'assemblea per il 15 gennaio

Liberazione 9.12.04
ADERIAMO ALL'INIZIATIVA DEL MANIFESTO
Di Salvatore Cannavò

Aderiamo all'appuntamento nazionale promosso da il Manifesto per il 15 gennaio. Non si tratta di una formalità ma di una scelta consapevole. Certo, siamo il giornale di un partito che ha un ruolo molto importante in questo progetto - come attestano le dichiarazioni rilasciate - ma comunque un giornale che ha cercato di contribuire direttamente al dibattito della sinistra alternativa", alla costruzione dei movimenti, alla relazione tra forze ed esperienze diverse. Vi aderiamo, inoltre, con la volontà di costruire una relazione più avanzata tra i giornali dì questa stessa sinistra alternativa - noi, il Manifesto e Carta, ma pensiamo anche all'Unità - relazione fino a oggi piuttosto rarefatta, se si fa eccezione per alcune importanti iniziative editoriali comuni, ma che potrebbe costituire un elemento di novità che spesso la "nostra gente", quella che si schiera "senza se e senza ma" contro la guerra e il liberismo, ci richiede. Quindi un impegno convinto, una partecipazione non rituale,un contributo che speriamo sia interessante.
Del resto, l'avvio di un percorso unitario della sinistra radicale rappresenta una sorta di atto dovuto alla stagione dei movimenti apertasi a Genova nel 2001. Quell'evento fondativo, che ha consentito di costruire una novità assoluta nel panorama dei movimenti sociali, ripristinando contatti e relazioni che apparivano impensabili ed "evocando" una massa critica, soprattutto di giovani, che è andata ben al dì là della forza specifica delle realtà organizzate, da allora non ha mai avuto un corrispettivo sul piano più strettamente politico. Un deficit, questo, motivato da fattori diversi, e che non vogliamo in questa sede analizzare, ma che è stato avvertito come unl imite e un'opportunìtà mancata anche da quei movimenti che allora sembravanointeressati a partecipare a un rimescolamento delle carte della sinistra. Questa opportunità sembra oggi poter essere colta. Per le forme complesse e sofferte con cui ha visto la luce può essere utile, tuttavia, segnalare alcuni nodi da "curare" con attenzione affinché il percorso possa svilupparsi pienamente.
Il primo riguarda il rapporto con il movimento altermondialista. A noi sembra che questo debba avere un ruolo di primo piano ed essere coinvolto sia dal punto di vista dei contenuti che esprime che da quello delle realtà che rappresenta. Non ci si può limitare a un'iniziativa che faccia parlare solo i rappresentanti dei partiti o delle componenti di partito. Allo stesso tempo, è importante che l'esperienza di questi anni sia gelosamente salvaguardata e che del movimento si rispetti l'autonomia (così come del sindacato). E' un passaggio delicato in cuisi gioca il rapporto tra la "politica" partitica e quella sociale - due facceche la "crisi della politica" ha disunito e spesso messo in contrapposizione.
Il secondo nodo attiene alle difficoltà obiettive, che non dovrebbero essere esaltate ma nemmeno banalizzate. La notizia della chiusura della Rivista del manifesto è di ieri, i due principali partiti della sinistra si avviano a un congresso con inedite divisioni interne (4 mozioni nel congresso Ds, 5 in quello del Prc), e poi ci sono altre fratture consumatesi in questi ultimi mesi, gelosie mai sopite, e altro ancora. Tutto questo può essere relativizzato o, al contrario, drammatizzato da una discussione che non sia correttamente impostata e che non tracci chiaramente gli obiettivi possibili. Il terzo passaggio riguarda gli assi della discussione. Crediamo che abbia ragione Lisa Clark quando avverte dell'importanza che si discuta dei contenuti, magari tematizzandoli. Perché il rischio che ci si riduca a un progetto, a un percorso il cui fine sia solo quello di pesare sugli equilibri della futura alleanza di governo è concreto. Il fatto è che se si vogliono spostare in avantigli equilibri, l'accordo sui contenuti essenziali di una sinistra alternativa deve essere forte e sostanzialmente svincolato dal quadro politico. I punti non sono difficili da indicare, eppure vanno indicati guerra, liberismo, democrazia del/nel lavoro e democrazia tout court, migranti, cittadinanza e diritti sociali, ambiente e società sostenibile, neo integralismo e diritti delle donne sono forse quelli più importanti e più comuni. Altri ce ne possono essere e forse va realizzato un censimento.
Infine, si tratta di capire gli obiettivi. Possono essere molteplici ma vogliamo mdicarneuno immediato: potenziar el'opposizione al governo Berlusconi. Su questo versante c'è bisogno di uno scatto anche per collocare questa opposizione fuori dal mero "antiberlusconismo" - quello dei "mercenari", per intenderci - per parlare del berlusconismo come "autobiografia del paese" per utilizzare l'espressione del direttore del Manifesto,Gabriele Polo. Quindi si tratta di spostarla sul piano sociale e dell'opposizione alla guerra.
Nel corso dell'anno, nonostante una crisi verticale, il governo è riuscito a rafforzarsi e a rilanciarsi anche per un deficit di opposizione concreta sulle cose concrete. L'efficacia di un progetto di sinistra alternativa potrà essere misurata anche da come saprà incrinare questo processo.

sinistra
Zincone sulle opposizioni a Bertinotti interne al Prc

Corriere della Sera 9.12.04
CORRENTINE RIFONDAROLE, ATTENTE A NON AFFOSSARE BERTINOTTI
Cinque mozioni al prossimo congresso. La svolta «governista» del Comandante Fausto ha scatenato le minoranze trotzkiste, «sovietiche» e gauchiste. Ne abbiamo parlato con due «padri del Partito», Rina Gagliardi e Sandro Curzi. Sono preoccupati. Sentono puzza di anni '30.
di Vittorio Zincone

Una spiaggia calabrese. Il sole agostano che batte forte. Su un tavolo il Corriere dello Sera aperto a pagina 11. Claudio Grassi. leader dell'area dell'Ernesto (la destra di Rifondazione comunista «nostalgica dei soviet»), legge a bocca spalancata l'intervista con cui il segretario Fausto Bertinotti annuncia che il partito entrerà in un eventuale governo Prodi e che se tutto il popolo delle opposizioni si pronunciasse in favore di una guerra voluta dall'Onu lui si adeguerebbe. L'articolo tramortisce Grassi. E non solo lui. Tra i compagni di Rifondazione inizia un tam-tam disordinato di telefonate. Richieste di spiegazioni, lamentele, lettere di protesta. Marco Ferrando, zar dei trotzkisti dell'opposizione interna, chiede la testa del capo. Salvatore Cannavò, vicedirettore di Liberazione e portavoce dell'area Erre (i trotzkisti più vicini alla maggioranza bertinottiana) auspica una rapida retromarcia. Invece, no.
I contenuti di quell'intervista svolta diventano la base della mozione di maggioranza che Bertinotti porterà al prossimo congresso (marzo 2005): Rifondazione entra nella Gad-Alleanza ed è pronta a governare. Una posizione talmente forte da provocare un'esplosione nelle correnti del partito e la conseguente, inusuale, presentazione di almeno cinque mozioni congressuali: oltre a quella del segretario («Per una alternativa di società»), ci saranno quella dell'Ernesto («Essere comunisti») che ipotizza tutt'al più un accordo con l'Ulivo sul programma, quella di Erre (che prevede al massimo qualcosa di simile alla desistenza elettorale del '96), quella di Ferrando («I comunisti non si adeguano a Prodi») e quella di Claudio Bellotti, trotzkista dell'area Falce e Martello («Rompere con Prodi»). «In teoria ce ne sarebbe anche una sesta», spiega Rina Gagliardi, ex vicedirettrice di Liberazione ora nella direzione del partito.«Quella di Luigi Izzo, un simpatico capopopolo napoletano. Ma non credo che riuscirà a presentarla». Fatto sta che cinque mozioni sono incredibilmente tante per un piccolo partito come ilPrc. Ma soprattutto, per la prima volta, Bertinotti avrà un'opposizione di destra e una di sinistra. Lui, che di solito viene accusato dalla base ulivista di aver rovinato il governo Prodi e di aver fatto perdere alla sinistra le elezioni del 2001, per una sorta di narcisismo ideologico, ora subisce il contrappasso: apre pragmaticamente alla possibilità di entrare con dei ministri nell'esecutivo del Professore e per questo viene contestato dall'ala gauchista del suo partito.
«Un po' sono preoccupato», dice Sandro Curzi, che ha firmato il documento bertinottiano. Perché pensa che trotzkisti e stalinisti potrebbero danneggiare la leadership del Comandante Fausto? «No. Ma da ex direttore dell'organo del partito so quanto pesano le divisioni. In un movimento come Rifondazione le spaccature possono diventare aspre». Lo dice per esperienza personale? «Anche. Mi è capitato di sentire il gelo intorno a me per aver preso determinate posizioni. E poi il mio vice al giornale era il trotzkista Cannavò. A lui ho sempre detto che avrebbe dovuto scegliere tra la carriera politica e quella giornalistica. Ogni tanto mi metteva in imbarazzo firmando comunicati antibertinottiani con l'intestazione "vicedirettore di Liberazione". Il problema comunque è un altro...». Quale? «L'Ernesto, Erre, Progetto comunista (l'area di Ferrando, ndr) e gli altri. Non c'entrano un tubo con Stalin eTrotzky. Dovrebbero saperlo anche loro che i ragazzi d'oggi sono lontanissimi da quelle storie.
Il giovane tifoso del Livorno che si mette la maglietta con la faccia del "piccolo padre" lo fa solo perché sa che così fa incazzare sia la destra che la sinistra». Però sembra che Ferrando e i suoi al trotzkismo ci credano davvero. «Sì. E infatti l'ultima volta che li ho sentiti parlare, a Savona, mi sembrava di essere sintonizzato con una radio degli anni 40».
Lo stesso effetto alcuni trotzkisti ce l'hanno su Gagliardi. «Ferrando è brillante e dottrinario», dice. «Lo stimo molto. Ma quando lo ascolto mi pare di tornare agli anni '30». Salti nel passato a parte, però, tanto l'Ernesto (ex cossuttiani che non amano questa definizione e preferiscono essere chiamati neocomunisti) quanto le aree trotzkiste hanno punte acutissime di dissenso programmatico con il segretario.«Grassi», spiega Gagliardi, «oltre a richiamare la cultura politica comunista del '900, è contro la scelta non violenta di Bertinotti e poi ritiene che si debbano mettere molti paletti preventivi all'accordo con il centrosinistra. I trotzkisti, invece, con Prodi non ci prenderebbero nemmeno un caffè. Alla politica dei risultati raggiungibili preferiscono la semplice testimonianza ideologica».
Come finirà il congresso? È previsto che la mozione di maggioranza ottenga circa il 55%dei voti, quella dell'Ernesto il 25 e le tre fazioni trotzkiste il restante 20. Ma c'è anche chi sostiene che il «congresso a mozioni» alla fine accontenti tutti. Perche staccandosi nettamente (con tanto di voti ostili) dalla scelta «governista» di Bertinotti, soprattutto quelli di Erre e i seguaci di Ferrando potranno continuare a mantenere il loro ruolo comodo di oppositori a oltranza. Un ruolo che Bertinotti ha voluto abbandonare.

sinistra
un'intervista del manifesto a Fausto Bertinotti

Il Manifesto 9.12.04
BERTINOTTI: NESSUNO SI SENTA ESCLUSO
Incontro a sinistra. Il segretario del Prc dice sì: «Serve una discussione ampia e aperta, perché la sinistra di alternativa non inizia dove finiscono i riformisti»
Intervista a cura di Matteo Bartocci

«Non è che la sinistra di alternativa inizia dove finiscono i riformisti, per me dipende da dove sei collocato nella società». Fausto Bertinotti, per qualche giorno in vacanza lontano dall'italia, sostiene la proposta di assemblea avanzata dal Manifesto: «Tutto ciò che favorisce una discussione ampia tra le diverse forze che animano la sinistra alternativa secondo me è una buona idea. Per quanto ci riguarda - spiega Bertinotti - è un progetto che sosteniamo da tempo e il fatto che il confronto venga convocato dal Manifesto non può che essere d'aiuto, nel senso che nessuno può sentirsi escluso».
Chi dovrebbe partecipare?
Se pensassimo di parlare a un'area pari al 13 per cento dei voti che si collocano a sinistra dei Ds non avrebbe senso nemmeno iniziare a discutere. Sono convinto che la proposta del manifesto sia tanto più utile quanto più sarà aperta alla partecipazione composita diforze e soggettività politiche che si collocano nei partiti e nei movimenti, coinvolgendo associazioni, giornali, riviste, luoghi di ricerca.
Ma cosa può unificare soggetti così diversi tra loro? Perché si dovrebbe aderire?
Il primo punto, secondo me più importante anche dei contenuti, è il rapporto con i movimenti. È persino più importante del confronto programmatico in senso stretto. Perché quel rapporto definisce una determinata relazione con la società, anche se per sua natura «in progress» e a volte in forma incompiuta. Credo che a un confronto sulla sinistra alternativa debbano partecipare tutte le forze che in questi anni, a partire dal movimento dei movimenti, quello per la pace e del conflitto del lavoro, hanno scelto una collocazione interna e/o di confronto positivo con queste realtà.
Confrontarsi su quali contenuti?
Credo che il no alla guerra, la critica radicale alle politiche neoliberiste e l'opzione per una democrazia partecipata siano gli elementi programmatici da approfondire. Per inciso sono proprio gli argomenti che si devono alle esperienze di movimento.
Proprio i movimenti però sembrano ben poco convinti. Luca Casarini, per esempio, ha risposto al Manifesto che in questa fase «i movimenti devono difendersi dai partiti»
In un'area determinata dei movimenti è diffusa un'idea di società civile sostanzialmente priva del peccato originale, che curiosamente inizierebbe a manifestarsi proprio sulla soglia dei partiti. Io penso invece che quei partiti che si pongono, riuscendovi o meno, l'obiettivo di trasformare la società criticando l'ordinamento esistente costituiscono un elemento di organizzazione della società civile simile ai sindacati o ai movimenti stessi quando si organizzano in forme definite.
Tuttavia esiste davvero un problema di autonomia dei movimenti...
Esiste ed è fondamentale. Ma non vedo proprio che cosa ci sia da temere dal confronto. E poi non c'è nessuno che possa parlare a nome dei movimenti, se li intendiamo come quello per la pace o del conflitto del lavoro. Anche tra partiti e sindacati c'è sempre stato un rapporto complesso, con fasi alterne di dipendenza e autonomia. Come si fa a paragonare il sindacato degli anni '90 con quello dei consigli? Lo stesso vale per i partiti e per le componenti più organizzate dei movimenti. Io proporrei di indagare i movimenti secondo la categoria «luxemberghiana»: una necessità storica, in cui a ognuno tocca fare la propria parte. Poi chi ha più filo tesse più tela. Per questo inviterei tutte e tutti a partecipare all'incontro del 15. Del resto sono molte le esperienze che criticano la democrazia rappresentativa, basti pensare al pensiero femminista. Per quale ragione esperienze che si rifanno al femminismo non devono essere presenti? E se possono essere presenti loro perché non altri?
Tornando all'assemblea, in passato molti tentativi di questo genere sono falliti. Perché? E cosa si dovrebbe fare per evitare che accada anche stavolta?
Il rischio di fallire c'è sempre. «Provare e riprovare» diceva Gramsci. Ma nel rattrappirsi delle esperienze precedenti vedo limiti che penso possano essere evitati in questa assemblea: il primo è stato la partecipazione con riserva, nel senso che ognuno è intervenuto avendo già in mente un esito definito del percorso. Così è venuto meno il valore del processo e del percorso largo da parte di tutti e sono subito aumentate le resistenze. In questo modo si è deviato dall'obiettivo immediato, che è un'iniziativa politica: la ricerca di un agire in comune. A questo tentativo «pratico» si accompagna stavolta il tentativo di una «ricerca» politica. Se non fosse impegnativo il termine, direi perfino una ricerca neo-identitaria di cosa dovrebbe essere oggi una sinistra. Per questo dobbiamo discutere al primo punto di «che cosa facciamo insieme qui e ora», a prescindere da dove siamo collocati. Su questo non devono esserci impedimenti: non è che la sinistra alternativa inizia dove finiscono i riformisti. Non è così: penso alla sinistra Ds, che costituisce una componente indispensabile di questo processo.Tutti, senza pregiudizi per la loro collocazione, devono partecipare.
Da cosa può iniziare questa «ricerca politica comune»?
Come dicevo, la sinistra di alternativa dipende da dove sei collocato nella società. Io indicherei nel precariato la cifra o il codice riassuntivo della condizione dei soggetti sociali a cui dobbiamo guardare prioritariamente. Se non fosse troppo, direi il «nuovo» e il «vecchio» proletariato: non penso a soggetti definiti come l'operaio o l'operatore di «call center» ma a una coalizione lavorativa socialmente ampia. Questa è la base e il fondamento che costituisce il problema irrisolto per noi e per tutte le diverse forze politiche, di movimento e sindacali. Come dare forza di azione collettiva e proiezione politica programmatica a questa realtà sociale.
Di questi giorni analisi terribili: due terzi dell'umanità guadagna, se va bene, 2 dollari al giorno. E la fame è una realtà per 850 milioni di persone. Che rapporto tra questo «collasso»mondiale e il «declino» italiano?
Non esiste una reale possibilità di fuoriuscire dalla crisi della politica senza una soluzione delle crisi mondiali. I problemi a livello nazionale ti si ripropongono sempre su scala europea e su scala mondiale. Puoi anche avere i piedi piantati a Scanzano e Melfi, ma devi anche essere in grado di stare in un sistema di reti che ti portano a Bombay e Porto Alegre. E poi, se uno volesse essere ambizioso, direi anche in Cina.
L'Italia va in Cina cercando più commercio, anche quello di armi. Ma il centrosinistra non sembra sconfessare questa impostazione...
In questa dimensione globale mi sembra siano in campo due partiti «borghesi». Uno è barbarico, lo chiamerei «della fortezza» perché propone dazi, barriere, più protezionismo. L'altro sembra più «dolce» ma è assai strampalato: confida nella bontà della globalizzazione e del liberismo senza accettare le sue conseguenze orrende, che arrivano a provocare una crisi della civiltà. La sinistra alternativa europea deve uscire da questa polarizzazione e tornare a riflettere sul controllo sociale dei processi economici.

capitalismo globalizzato:
ogni 5 secondi un bambino muore di fame

Reuters.it
un bambino muore di fame ogni 5 secondi...

di Robin Pomeroy

ROMA (Reuters) - Il mondo sta facendo lenti passi in avanti verso l'obiettivo di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015, ma può ancora farcela se raddoppierà gli sforzi, hanno detto oggi le Nazioni Unite.
In media ogni cinque secondi un bambino muore di fame, ha detto la Food and Agriculture Organisation (Fao) nel suo rapporto annuale.
Otto anni dopo la promessa fatta ad un vertice nel 1996 e con ancora 11 anni davanti, poche persone sono state liberate dalla morsa della fame e il numero delle persone malnutrite, dopo essere calato ai primi degli anni 90, sta salendo di nuovo.
La Fao stima che circa 815 milioni di persone nel mondo in via di sviluppo e 28 milioni nei cosiddetti paesi ex comunisti hanno troppo poco cibo per condurre vite attive e produttive.
Si tratta di appena nove milioni in meno del 1990-2, gli anni considerati la soglia di riferimento per misurare i progressi.
"Il numero di affamati resta troppo alto, i progressi inspiegabilmente bassi e il prezzo delle vite rovinate e delle risorse sprecate incalcolabilmante alto", ha detto Lynn Brown della Banca mondiale in una prefazione alla ricerca.
Tuttavia, il rapporto annuale della Fao, dal titolo "Insicurezza dell'alimentazione nel mondo", presenta segnali di speranza. Il numero di persone affamate nell'Africa subsahariana continua a salire, ma più lentamente di alcuni anni fa e, con una popolazione in crescita, la percentuale degli affamati è calata dal 36 al 33%.
Più di 30 paesi, inclusa la popolosa Cina, hanno ridotto la diffusione della fame di almeno un quarto.

DISTANTE MA RAGGIUNGIBILE
La Fao ritiene che l'obiettivo di riduzione della fame, sebbene ancora lontano, è "sia raggiungibile che affrontabile" e anche piccoli sforzi, se ben indirizzati, potrebbero fare la differenza.
La fame deve essere affrontata sotto due aspetti, scrive il rapporto: aumentando la produzione agricola nei paesi poveri e incanalando gli aiuti verso i più deboli e le mamme con i bambini.
L'assistente al direttore generale della Fao Hartwig de Haan ha posto speciale enfasi sui più giovani.
"Oggi i bambini di due anni sottopeso rappresentano un fardello per i futuri decenni a meno che non siano meglio nutriti. Resteranno menomati mentalmente e fisicamente per il resto della loro vita", ha detto a Reuters.
La Fao stima che i potenziali proventi perduti da queste persone nell'arco della loro vita, anche se sono agricoltori in grado di provvedere alla loro sussistenza, è compreso tra 500 e 1000 miliardi di dollari.
"Investire nella riduzione della fame è uno dei migliori investimenti da valutare", ha dichiarato de Haan.

mercoledì 8 dicembre 2004

un convegno a Napoli delle donne del Prc
Rosa Luxemburg

Liberazione 8.12.04
L'attualità della teorica rivoluzionaria al centro
di un seminario internazionale a Napoli
Rosa Luxemburg
pensiero in divenire

Ebrea, polacca, migrante, comunista eretica, pacifista radicale. Quando cammina zoppica leggermente ma non indugia, non smette di andare, di interrogare. Rosa Luxemburg, fin dalla sua biografia, è il simbolo di un pensiero e di una pratica politica in movimento, in divenire. Aperti. E' il simbolo di quello che Gramsci chiama la connessione sentimentale col popolo, con quella "massa" che Luxemburg pone al centro della sua riflessione, della sua idea di rivoluzione.
Nata il 5 marzo 1871 a Zamosc, nella Polonia russa, muore a Berlino nel 1919. Con lei viene ucciso, per volere dei socialdemocratici, anche Karl Liebknecht. La loro morte segna la sconfitta della generazione spartachista. Una sconfitta che non vuole dire fine della speranza nella rivoluzione. Rosa Luxemburg può infatti lasciare Berlino, fuggire al destino che le hanno riservato i riformisti di allora. Invece decide di stare. Non per vittimismo o perché non ami la vita. Ma perché così è convinta che l'idea della rivoluzione possa continuare, possa rinascere. «Come Cassandra di Christa Wolf, che può fuggire da Troia in fiamme e invece decide di restare, Rosa diventa testimone per le generazioni future» sottolinea con un accostamento felice Imma Barbarossa a chiusura del convegno - dedicato alla storica figura del movimento operaio - da lei coordinato insieme a Simona Ricciardelli (entrambe esponenti del Forum delle donne del Prc).
Per l'intera giornata di sabato alla Città della scienza di Bagnoli (Napoli) si sono intrecciate le voci di coloro che, in questi anni, hanno custodito la memoria della nota, ma spesso dimenticata, pensatrice. In sala anche una classe del liceo Labriola e la presidente della circoscrizione di Bagnoli Antonella Cammardella.
Promosso dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre, dal Forum e Transform Italia il seminario ha il merito di aver riportato alla luce la straordinaria attualità di Luxemburg e di aver messo in connessione associazioni, singoli e singole. Ora si tratta di fare un passo in più, come propone Lidia Menapace, portavoce della Convenzione: «Dobbiamo cogliere l'occasione di questo convegno per costruire una rete nazionale e internazionale». Uno degli obiettivi potrebbe essere quello di dare vita all'edizione critica completa delle opere. Oggi sono introvabili. Non sono sugli scaffali delle librerie. Eppure il suo pensiero è di grande attualità. Spiega Menapace: «Non di filologia si tratta, ma di una occasione per rimettere in moto i cervelli di sinistra».
Il suo e nostro tempo
In quale direzione? Intanto si deve e si può partire dalla grande attualità di Rosa Luxemburg, da quella che Rina Gagliardi definisce la «congruità del suo tempo col nostro tempo». La grande innovazione tecnologica, la convinzione delle sorti progressive che si imbatte contro la guerra come "necessità" per tentare di uscire dalla crisi del capitalismo, la sconfitta del riformismo. Tutti elementi che rimbalzano da quei giorni ai nostri giorni, fino alla crisi della globalizzazione capitalistica, alla guerra permanente. Luxemburg vede giusto fin da allora. E per questo viene osteggiata sia dai socialdemocratici che dalla ortodossia comunista. A noi restano i suoi scritti non sistematici, non dogmatici, ma aperti come germogli, come un pensiero da continuare. Una sorta di mappa, di cartografia dell'azione politica presente, con almeno tre coordinate, bene sintetizzate dalla giornalista di Liberazione. Primo: «L'idea cruciale di "Socialismo o barbarie"»; secondo: «L'originale concezione del processo rivoluzionario, concepito come "rivoluzionamento" di tutto l'ordine esistente, non come sola conquista del potere politico»; terzo: «La centralità della lotta contro la guerra e il militarismo, dunque la fondazione di un pacifismo strategico».
Socialismo o barbarie
Lidia Cirillo dei Quaderni Viola chiede: «Mentre possiamo dire, a cuor leggero, che cosa sia la barbarie, non abbiamo forse perso la nozione di che cosa sia il socialismo?». Il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, rilancia: «"Socialismo o barbarie" continuo ad usarlo sapendo bene che cosa è la barbarie e non sapendo più con esattezza cosa è il socialismo. Il socialismo, come insegna Luxemburg, è uno strumento di ricerca, è un pensiero aperto. E' il discorso zapatista di camminare domandando». Apertura che vale anche per la forma partito. Un partito che, sottolinea Domenico Jervolino dell'Università di Napoli, ha messo la sua innovazione al primo posto. Si tratta allora di salvare l'appartenenza come elemento laico e di rimettere in discussione il partito come guida unica della rivoluzione. In questo Luxemburg è un lume ancora acceso. Profondamente critica dell'apparato burocratico, è però protagonista della nascita di tre partiti. Sottolinea Bertinotti: «Il partito come il sindacato non sono assoluti. Sono gli strumenti che in una certa fase interpretano il conflitto di massa, sono parte di un tutto, dentro una necessità storica».
Riscoperta nel '68
Nel '68 il movimento studentesco e operaio riscoprono Luxemburg su cui era caduto l'anatema di Stalin. La riscoprono come esempio di un pensiero antidogmatico, di una idea della rivoluzione opposta alla presa del potere. Grazie all'edizione curata da Lelio Basso degli Scritti politici un'intera generazione si confronta con la sua idea dell'autonomia dei movimenti di massa e della rivoluzione come «rivoluzionamento», come processo aperto. Oggi, spiega Aldo Tortorella dell'Associazione per il rinnovamento della sinistra con un contributo scritto, questo pensiero è l'occasione per ripensare criticamente la propria storia e andare avanti. Con un punto fisso: il pacifismo, l'antimilitarismo. La pensatrice polacca resta in carcere due anni per i suoi discorsi contro la guerra. E' convinta che, qualsiasi sia il suo esito, rappresenti una sconfitta per il movimento operaio. E' la vittoria del capitalismo. «Rosa - spiega Menapace - non ha un pensiero sistematico né sul pacifismo, né sul femminismo. Ma la sua opposizione alla guerra è feroce. E' per noi importante averla come punto di riferimento: si tratta di trovare direttamente nella nostra storia esempi che oggi guidino il nostro pacifismo». Così è. Almeno per le "Donne in nero" che con Nadia Nappo raccontano il loro incontro con Luxemburg.
Genealogie
L'autrice della Accumulazione del capitale è al centro di un intreccio di storie, di persone, uomini e donne. Il suo sentire incontra quello di tante altre e altri. E' così per Hanna Arendt. In un bel intervento Maria Letizia Pelosi (Università di Napoli) traccia le fila di questo dialogo a distanza, che a volte emerge in maniera esplicita, altre volte si può ricostruire in filigrana come orizzonte comune in cui pensiero e azione sono tutt'uno. E' così anche per Vera Lombardi, la socialista eretica scomparsa da circa un decennio e ricordata da Guido D'Agostino (Istituto campano della storia della resistenza): napoletana, iscritta negli ultimi anni della sua vita a Rifondazione, è un altro esempio di una ricerca aperta e radicale. La lista è lunga. Arriva fino a Gramsci, alla Scuola di Francoforte. Non è un caso. «Luxemburg - sottolinea Gabriella Bonacchi della Fondazione "Lelio Basso" - non ha dato vita a scuole, ma a genealogie». Il suo pensiero - precisa Scipione Semeraro (Transform Italia) - è antipedagogico, non autoritario, come si vede dall'esperienza che fa nella scuola di partito dei socialdemocratici dove insegna teoria politica in maniera innovativa.
Le rose e le spine
Il pensiero di Luxemburg vive. Si diffonde. L'8 gennaio a Berlino sulla sua tomba si recano in tanti e tante. Con mazzi di rose. Lo racconta Christiane Reymann (Fondazione Rosa Luxemburg). E' un appuntamento della Pds subito assunto dal partito della Sinistra europea che, fin dalla sua nascita, ha detto no allo stalinismo e nella teorica ha trovato un punto di riferimento forte. E' la scelta di una radicalità che non si fa dogma, ma partecipazione. Come le sculture di Ingeborg Hunziger, ospite del convegno: lavori dedicati all'ebrea polacca rivoluzionaria che non sono esposti nei musei, ma vivono per le strade, per le piazze, tra la gente.

Angela Azzaro
angela. azzaro@liberazione. it

Oms:
allarme depressione

www.corriere.it 8.12.04
Le malattie mentali si apprestano a superare le cardiovascolari
Oms: malattie disabilitanti, è allarme depressione
Passerà dal 4° al 2° posto mondiale entro 15 anni. Soffrono del «male oscuro» oltre 150 milioni di persone

GINEVRA (SVIZZERA) - Il «male di vivere» si appresta a diventare una delle malattie più pericolose del ventunesimo secolo. La depressione infatti fa oltre 150 milioni di «vittime» al mondo e dal quarto posto attuale passerà al secondo nel 2020 tra le malattie che provocano maggiore disabilità e giorni persi di lavoro, più del diabete, dell'ipertensione, dell'artrite.
ALLARME
A lanciare l'ennesimo allarme sulla depressione, il ben noto «male oscuro» che spegne la gioia di vivere, è l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) secondo cui le malattie mentali sono quelle che procurano i maggiori danni all'individuo e alla stessa collettività: il 12% dei dayl (ossia disabilità, carico sociale e mortalità) relativi a tutte le malattie è dovuto proprio alle malattie mentali contro un 10% delle malattie cardiovascolari ed un 5% di tutte le forme tumorali e neoplasie. «La situazione è critica ma non per questo va sottovalutata ed occultata: tutti siamo chiamati a farci i conti - dice Michele Tansella, direttore del Centro di Ricerca Oms dell'Università di Verona - c'è bisogno di migliorare le conoscenze per migliorare le cure: per farlo occorrono risorse per la ricerca scientifica e psicosociale».
MALATTIE MENTALI: COLPITE 45O MILIONI DI PERSONE
Per l'Oms a fronte dei 450 milioni di persone che, almeno una volta nella vita, si imbattono in un disturbo mentale c'è bisogno di risorse nettamente superiori al 2% destinato dal fondo sanitario ai servizi di salute mentale: in Italia è sotto il 5%, lontana dal 12% dei dayl. «Occorrono più risorse per la ricerca, per la cura e assistenza dei pazienti, direi il doppio di quelle dedicate ai tumori - avverte Tansella - ma anche più informazione sulla materia». Accanto alla depressione c'è poi la schizofrenia (25 milioni di vittime) l'abuso di alcool e droga (90 milioni) e ansia e stress (che coinvolgono centinaia di milioni di persone). «Molti progressi si sono fatti per la cura di queste malattie invalidanti - conclude Tansella - ma ancora non basta per prevenire l'insorgenza della cronicità».

(la stessa notizia appare anche su molti altri quotidiani nazionali)

sinistra
un'intervista del Corsera a Fausto Bertinotti

Corriere della Sera 8.12.04
BERTINOTTI
«Si torni al proporzionale per motivi di igiene politica»
«Una testa, un voto. Il maggioritario porta a una semplificazione tipo Coppi-Bartali»
di Daria Gorodisky

ROMA - Fausto Bertinotti, il suo partito, Rifondazione comunista, come accoglie la proposta «più maggioritario» lanciata da Massimo D’Alema?
«Per me bisogna fare l’opposto: andare verso il proporzionale. È una questione di igiene politica, di garanzia di pluralismo, di verifica dei reali rapporti fra partiti e società. Ognuno deve contare per il voto che esprime. Una testa, un voto; tot voti, tot rappresentanza… Il resto è del demonio».
Però torna alla ribalta un altro elemento di divisione nell’alleanza.
«È un argomento importante, ma non è la questione principale. Certo, bisogna vedere come può vivere il pluralismo politico nella Gad, o come vogliamo chiamarla. La riduzione di grandi aggregazioni politiche a una sola è estranea alla cultura di questo Paese e crea forte conflitto per la sopravvivenza. Inoltre, in Italia abbiamo visto che il sistema maggioritario ha solo peggiorato la qualità della politica».
In che modo?
«Abbiamo più personalizzazione, il che significa un presidenzialismo di fatto, un’americanizzazione della politica italiana che non auspichiamo. Più spettacolarizzazione, fondata su due personaggi, su una semplificazione binaria del tipo Coppi-Bartali. Più partiti. Infine, ma non per importanza, più potere di ricatto delle piccole formazioni sulla coalizione: è sotto gli occhi di tutti che chi raccoglie consensi da prefisso elettorale può avere un numero di parlamentari alto».
E il doppio turno? Per alcuni, favorirebbe i Ds e voi.
«È una proposta che va in senso maggioritario. E poi di che cosa si parla esattamente? Di modello francese? Dunque di una strada presidenzialista? Ritengo persino inutile addentrarsi in dettagli tecnici».
Ancora D’Alema sostiene che sarebbe una bella idea accorpare regionali e politiche, in aprile.
«Solo se fosse la conseguenza di una battaglia che fa cadere il governo. Come ipotesi istituzionale no, sarebbe inaccettabile oltre che di impossibile realizzazione».
Molti pareri diversi, in politica interna, estera, fiscale, però per ora nella corsa elettorale il patto tra voi e il centrosinistra tiene. La futura prospettiva di governo invece spacca Rifondazione. Che cosa succederà al Congresso?
«Sì, ci sono molti problemi veri da noi. Ci saranno 5 mozioni di cui una sola guidata dal segretario, da me; ma è la prova che si tratta di un partito democratico. Non ritengo che la questione se partecipare o meno a un futuro governo di centrosinistra sia è una delle principali: per me pari son, dipende da quale terreno in quel momento sarebbe più efficace. Però domando a tutti: come si fa a pensare di cacciare Berlusconi senza assumersi responsabilità nel provarci?»
In fatto di politica estera, il presidente della Repubblica Ciampi si è dichiarato favorevole ad abolire l’embargo sull'esportazione delle armi alla Cina. Voi invece siete contrari.
«Noi crediamo che questa globalizzazione produca una vera crisi di civiltà. In politica economica il capo dello Stato pensa sostanzialmente che l’innovazione porti necessariamente il progresso. Io, invece, credo che possa portare una crisi di civiltà. Con tutto il rispetto, direi che Ciampi non vede il carattere distruttivo di questa situazione. Si continua sulla via degli anni 80 e 90, mentre secondo me dovrebbero proprio cambiare le categorie politiche economiche».

sinistra
Pietro Ingrao

il Tempo 8.12.04
Ingrao: «Anche il Pci pagava i suoi uomini»
Il leader storico della sinistra operaia bacchetta Prodi: «Non accetto il termine mercenari»
L'ex presidente della Camera attacca anche l’Ulivo: «Macchè regime: il fascismo non consentiva neanche l’opposizione»
di LUIGI FRASCA
anche il Corriere della Sera, più in breve, pubblica la medesima dichiarazione
«NON accetto il termine "mercenari". Mercenario è chi fa una cosa solo per soldi. Che siano professionisti o volontari, entrambi agiscono per convinzione. Non ci trovo nulla di male se un partito paga i propri militanti. Il Pci pagava molti dei suoi giovani sostenitori, anche se la maggior parte di loro agiva da volontario». Per Romano Prodi arriva anche la scomunica di un grande vecchio della sinistra italia, Pietro Ingrao. L’ex leader dell’ala operaista del Pci si concede anche una battuta scherzosa contro il Professore: «Io non sono rientrato nella schiera dei mercenari perché sono diventato deputato parlamentare molto presto, nel ’48. Venivo remunerato dignitosamente anche se una bella fetta se la prendeva il partito».
L’ex presidente della Camera [...] ha preso di mira anche altre dichiarazioni fatte da esponenti del centrosinistra: «Quello di Berlusconi è un regime? Esiterei sulla parola regime. Ho vissuto sotto il fascismo, l’ho conosciuto ed era un’organizzazione più complicata. Se regime vuol dire che ci non ci sono forze che si oppongono, allora non è vero che oggi in Italia esista un regime. Il vantaggio di Silvio Berlusconi sono i suoi soldi. Ma questo lui non lo nasconde». Per Ingrao la discriminante che può ricondurre il dialogo tra i poli a una dimensione di convivenza civile è un’altra: «Il confronto è l’unico metodo che consente la legittimazione tra gli avversari. Per me è meglio un giovane di An o di Forza Italia, di chi non va a votare, o lo fa solo sulla base dell’ultima parola che ha sentito. Preferisco il dibattito, anche acceso, di chi ha idee diverse dalle mie, al silenzio che è la cosa peggiore. Io preferire che Berlusconi, però, dimostrasse il suo rispetto per l’avversario, accettando subito il confronto politico con Romano Prodi».
[...]

sinistra
chiude “la Rivista del manifesto”

Aprileonline.info 8.12.04
SINISTRA. ULTIMO NUMERO PER “LA RIVISTA DEL MANIFESTO”
''il manifesto'' spiazza un’altra volta
Mentre il quotidiano prepara un’assemblea con Asor Rosa, il mensile annuncia la chiusura. ''Contenitori'' e ''contenuti'' non si incontrano?

Ogni giornale di sinistra che chiude, è banale dirlo, è una voce in meno che ci aiuta a pensare. Quando ad annunciare la chiusura, dopo 57 numeri, è “la Rivista del manifesto” il dispiacere si acutizza. Firme autorevoli – da Lucio Magri a Pietro Ingrao, da Rossana Rossanda a Aldo Tortorella, da Giuseppe Chiarante a Fausto Bertinotti – ci hanno accompagnato per cinque anni rinverdendo (anche nella grafica e nel formato) “il manifesto” delle origini, quello nato nel giugno del 1969.
La chiusura è motivata politicamente in modo trasparente, come vuole una buona tradizione: c’è un contrasto nel comitato di direzione sull’analisi e sulle prospettive. Lucio Magri, il direttore, con un lungo articolo ne ricostruisce le dinamiche e annuncia di ritenere esaurito il suo ruolo insieme alla “spinta propulsiva” che aveva generato l’idea progettuale della rivista.
La sconfitta è cocente. Erano tornati a lavorare insieme gli esponenti più autorevoli della “sinistra comunista”, quella nata nell’XI Congresso del Pci del 1966, quando Pietro Ingrao sollevò dubbi sul centralismo democratico e sulla strategia del partito. Da quel Congresso presero le mosse gli ingraiani, alcuni dei quali finirono poi radiati dal Pci nel 1969 con un voto dello stesso Ingrao, il quale sarebbe arrivato nelle stanze di via Tomacelli con venticinque anni di ritardo. Quel ritrovarsi lasciava ben sperare sulla ricerca da condurre insieme e dava perfino un sapore sentimentale al ricongiungimento.
Sulle ragioni delle divisioni politiche i lettori avranno di che farsi un’opinione leggendo l’ultimo numero in edicola del mensile. Il punto dirimente resta però il giudizio sulla storia del comunismo italiano e sulla recente “svolta” di Rifondazione, da alcuni ritenuta eccessiva per le conclusioni che trae in merito sia alla nonviolenza come metodo e strategia sia alla ricollocazione del Prc che gira le spalle alla tradizione comunista. Ci sono poi giudizi diversi sull’urgenza di un “nuovo contenitore” dove raccogliere la sinistra critica e alternativa.
C’è chi – come ha fatto recentemente Alberto Asor Rosa sul “manifesto quotidiano” – si pone il problema di unificare il più possibile quel 13 per cento che non si riconosce nei Ds e chi individua in Rifondazione, proprio grazie alla sua “svolta”, il punto di partenza di un eventuale rimescolamento politico e organizzativo. E c’è chi, come Magri e Rossanda, ricostruisce pure le occasioni perdute e che non ritorneranno, come la fase seguita alla sconfitta elettorale del centrosinistra nel 2001, quando Luigi Pintor si impegnò a lanciare inascoltato un dibattito sulla stessa prospettiva che oggi si vuole attualizzare.
A sconcertare, a dire la verità, è che il mensile annunci il suo ultimo numero lo stesso giorno in cui Gabriele Polo, direttore del quotidiano, in prima pagina scrive un editoriale per dire che il 15 gennaio (forse al Teatro Brancaccio, dove nacque nel 1991 Rifondazione comunista, dove “il manifesto” aprì la sua sfortunata campagna elettorale nel 1972, dove Palmiro Togliatti tenne uno dei suoi primi discorsi nell’Italia del dopoguerra) “il manifesto” chiamerà a discutere della proposta di Alberto Asor Rosa forze sociali, partiti, movimenti, sindacati e associazioni. E’ come se ci sia stato un cortocircuito tra chi vuole lavorare al nuovo “contenitore” ripoliticizzandosi in questo percorso e chi a quel contenitore dovrebbe fornire i “contenuti”.
Tra i tanti misteri della sinistra italiana, ora se ne è aggiunto un altro. E noi, che abbiamo bisogno di contenitori e contenuti come l’aria, ci sentiamo più poveri perché ci mancherà un luogo da ascoltare e leggere con la curiosità di chi dalle generazioni maggiori spera sempre di avere un’illuminazione.
Ci auguriamo che abbia ragione Alessandro Vannini, il disegnatore del mensile, che nella vignetta sulla copertina della “Rivista del manifesto” in edicola schizza un omino fuori dalla porta intento ad affiggere il cartello “Torno subito”. Sì, se è possibile, tornate subito.


Liberazione 8.12.04
La "Rivista del manifesto" chiude. Magri: abbiamo esaurito "la spinta propulsiva"
Dibattito a sinistra

A cinque anni dalla sua nascita, con 56 numeri alle spalle, una diffusione di ottomila copie e 2000 abbonati, la Rivista del manifesto chiude. A comunicarlo ai lettori un ampio primo piano della rivista stessa in cui il direttore, Lucio Magri, ma anche numerosi componenti del comitato di direzione (Chiarante, Cremaschi, Ingrao, Parlato, Rossanda, Santostasi, Serafini, Tortorella) spiegano le motivazioni che hanno portato a una scelta così impegnativa. «Abbiamo esaurito la spinta propulsiva» dice Magri nel suo editoriale di saluto, rammaricandosi per un esito che è comunque il frutto della difficoltà a «ricostruire una sinistra politica» in cui si intrecciassero un nuovo pensiero e nuove esperienze. A rendere praticamente impossibile questo percorso, dice Magri, è la difficoltà a evitare in un percorso di «rifondazione» della sinistra sia «la patetica nostalgia» che la «liquidazione sommaria» dei riferimenti storici e teorici. «C'è chi - scrive ancora Magri - ha sentito l'esigenza di una rottura e di un'autocritica molto più esplicita e radicale rispetto al passato (...) Cito solo Pietro Ingrao per il peso che ha avuto e la crudezza del suo recente libro-intervista». «Altri -aggiunge Magri - e paradossalmente io, sentono l'esigenza di andare controcorrente, di non varcare la soglia che divide anche la critica più dura dalla secca rimozione e tanto più dalla liquidazione». Nel resoconto del dibattito redazionale è Pietro Ingrao a proporre «una nuova fase» in cui siano presenti un dialogo più impegnativo con Rifondazione comunista e anche l'opportunità di un'intesa di lavoro fra gli organi di stampa della sinistra ("manifesto" e "Liberazione" prima di tutto)».