martedì 17 maggio 2005

Cannes, stupiscono i titoli

ilmessaggero.it Martedì 17 Maggio 2005
“TENDENZE”
«Sesso e violenza, coppia perfetta»
Il regista canadese parla di stupro, quello danese dà del cretino a Bush
Gl. S.

CANNES - Bush e l’America sotto accusa: ormai è una costante del festival. Dopo George Lucas, che ha fatto il parallelo tra le sue Star Wars e la ”guerra stellare” in Iraq, ieri è stata la volta del danese Lars Von Trier e del canadese David Cronenberg che, con stili e motivazioni diverse, hanno ugualmente preso di mira gli Usa. In una giornata memorabile di questo 58esimo festival, i due mammasantissima del cinema d’autore si sono sfidati a duello con i rispettivi film che criticano lo stesso Paese ma sulla Croisette hanno suscitato reazioni agli antipodi: pubblico superconcentrato per il ”noir” mozzafiato History of violence , molti spettatori in fuga dall’ambiziosissimo Manderlay con le sue scenografie stlizzate, riprese ondeggianti di scuola “Dogma”, recitazione e dialoghi teatrali.
«Bush è un cretino», ha detto alla conferenza stampa Von Trier, che sulla propria inaccessibilità e su certe leggendarie fobie (di volare, di venire fotografato...) ha costruito un personaggio e sull’antiamericanismo una trilogia di cui Dogville è il primo capitolo e Manderlay il secondo (ma non è detto che si farà il terzo, ha annunciato il regista). «L’America è seduta sul mondo e lo condiziona pesantamente sul piano politico, culturale e commerciale», ha spiegato Lars alla stampa internazionale. «Anche la mia Danimarca è vittima di questa influenza, che non è una buona influenza e si manifesta in diversi settori, a cominciare dalla catena McDonald che da vegetariano ho la fortuna di non frequentare. Ma pur non essendo mai stato negli Usa, come Kafka prima di scrivere Amerika , ho un cervello americano al 60 per cento. Laggiù però non ho il diritto di votare per cambiare le cose, così faccio film che criticano il sistema».
L’attore Danny Glover si è quindi lanciato in un’appassionata inventiva contro le discriminazioni ancora striscianti: «Von Trier non ha inventato niente. Il capitalismo americano ha potuto svilupparsi grazie alla schiavitù, ma dopo la Guerra Civile poche cose sono cambiate nei rapporti tra bianchi e neri ai quali sono riservati ancora i lavori più umili». Mentre, in nome della correttezza politica, «nella finzione delle serie tv si vedono perfino presidenti Usa di colore», ha aggiunto il regista, scangliandosi contro il conformismo: «Il politically correct è figlio della paura di parlare e sotterra qualunque possibilità di dibattito. Se tutti fossero d’accordo, la politica non farebbe passi avanti».
Viene invece considerata espressione universale di ”scorrettezza” la violenza che insanguina tanti film contemporanei. A cominciare da History of violence . «La violenza è un fenomeno tipicamente americano e il mio film è un western che ha per protagonista un uomo che imbraccia il fucile per difendere la propria famiglia: un classico mito a stelle e strisce», spiega Cronenberg, un maestro che si serve spesso del disagio per regalare emozioni forti. «Non c’è niente di più universale di una storia specifica, locale. Ma non c’è bisogno di andare negli Usa per imbattersi nella violenza sulla quale, come ben sappiamo, si sono costruite tutte le nazioni del mondo».
E un artista che sparge sangue a piene mani, chiedono al regista di Crash , non rischia di essere responsabile di eventuali fenomeni di emulazione? «Se ogni spettatore, uscito dal cinema, facesse una strage per replicare quello che ha visto sullo schermo, la terra sarebbe già spopolata», osserva Cronenberg. «Nelle sequenze estreme, io cerco sempre la complicità del pubblico». Accetta dunque di giustificare una delle scene più forti del film, l’atto sessuale che somiglia a uno stupro tra Viggo Mortensen e sua moglie Maria Bello sulle scale di casa. «Sesso e violenza è un connubio perfetto, come uova e bacon», sorride il regista. Aggiunge Viggo Mortenesen, applauditissimo nel ruolo del protagonista in bilico tra un presente ”specchiato” e un passato sinistro che (forse) riaffiora all’improvviso: «Il tema del film non è la violenza fine a se stessa ma quella che proviene dall’autorità. E questo fa riflettere».

ilmanifesto.it
17 maggio 2005
I miei temi primordiali, morte e sesso
Incontro con il regista canadese che presenta al festival una pellicola con effetti horror da fumetto
CRISTINA PICCINO

CANNES. Il «set» è una qualunque cittadina nella provincia americana ordinata, perbene, tranquillità che fa quasi paura. Come la perfezione della famigliola, la bella mamma che sembra ancora adolescente, il figlio [...]
l'articolo completo sarà disponibile on line domani

Erika

Il Gazzettino Martedì, 17 Maggio 2005
INTERVISTA ESCLUSIVA
La ragazza che uccise madre e fratellino appare cambiata. Ha 21 anni, pensa all'università e non ha alcun fidanzato
Erika: «Non sono sola, la famiglia mi aiuta»
Anche la nonna materna, oltre al padre e ai cugini, segue la giovane appena trasferita nel carcere per adulti di Brescia
NOSTRO INVIATO

Erika, la diabolica ragazzina bionda di Novi Ligure con lo sguardo gelido e gli occhi "spiritati" non c'è più. Non solo perchè ha appena compiuto ventuno anni e nemmeno perchè «ha elaborato il vissuto legato ai delitti commessi» come chiedevano i giudici nella sentenza che l'ha condannata a 16 anni per il duplice omicidio della madre e del fratellino. Al posto di quella sedicenne che i carabinieri chiamavano "il ghiaccio" oggi c'è una bella ragazza con i capelli neri raccolti a coda di cavallo, gli occhi scuri che ti guardano fissi e un po' spaesati. La "nuova Erika" da meno di due settimane è detenuta in un carcere per adulti, il femminile di Brescia. Primo piano, terza cella a sinistra, la numero 11. Divide otto metri quadrati con Dina, una giovane madre moldava. Nel corridoio del braccio passeggiano le altre 22 detenute.
Erika, jeans attillati e una corta maglietta viola, ha appena finito di pranzare e non gradisce incontrare estranei. Nei giorni scorsi ha rifiutato di parlare con alcuni politici locali che avevano chiesto di lei, ma accetta il colloquio con la deputata veneziana Luana Zanella (Verdi) anche se l'approccio è rude: «I giornalisti scrivono solo falsità su di me. Parole che non ho mai pronunciato. Cose che non ho mai fatto e nemmeno pensato».
All'inizio è fredda, parla a monosillabi. Molto prevenuta. Sapremo poi che è il padre, Francesco De Nardo, 47 anni, che durante i colloqui le sconsiglia i contatti col mondo esterno. I familiari - compresa la nonna materna - la stanno comunque coprendo di attenzioni chiederanno le misure alternative al carcere, i benefici di legge cui avrà diritto da ottobre (scontato un terzo della pena): potrebbe anche essere la semilibertà se il tribunale di sorveglianza sarà d'accordo.
- Come stai qui nel nuovo carcere?
«Mi trovo bene».
- Cos'è cambiato rispetto al minorile in cui sei stata per 4 anni?
«Finora niente, stavo bene anche là dove mi sono fatta alcune amiche, ma ho compiuto 21 anni il 28 aprile e sono stata trasferita qui a Brescia».
- Continui a mantenere contatti con le detenute?
«Sì, ci scriviamo spesso».
- Hai anche altra corrispondenza, qualcuno ti scrive dal Nordest?
«Non conosco nessuno di quelle parti. Hanno detto anche quello...?»
- No, perchè cos'hanno detto di falso su di te?
«Quasi tutto. E io non ho parlato con nessuno. Si sono inventati tante storie come quella di un mio fidanzato...»
- Quel giovane di Verona che andò in tv dalla Venier rivelando la corrispondenza con te?
«Non solo quello. Ma comunque non è vero niente, non ho fidanzati».
- Dunque non hai più sentito Omar?
(Erika incrocia le braccia e sembra chiudersi ancor più in se stessa, mentre la sua compagna di cella gira lo sguardo. La loro è l'unica cella in cui non si vedono pacchetti di sigarette e poster alle pareti, c'è invece un piccolo scaffale con qualche libro).
- Hai un volume su Napoleone, ti interessi di storia?
«No, è di Dina, ma forse lo leggerò anch'io».
- Stai seguendo qualche corso o attività qui in carcere?
«Sono appena arrivata, per ora ho frequentato solo il corso di comunicazione (sono incontri collettivi con uno psicologo che cerca di far parlare fra loro le detenute, ndr
- Ti sei diplomata, intendi iscriverti all'Università?
«Penso di sì, ma devo ancora decidere e scegliere cosa studiare».
Alla Cattolica di Brescia c'è una facoltà artistica e pare che i primi giorni di permanenza nel nuovo carcere Erika abbia mostrato qualche interesse per la pittura.«In verità - precisa subito lei - un ex detenuto mi ha solo regalato i suoi colori, ma ancora non li ho presi in mano».
- Come trascorri le tue giornate, c'è un televisore in cella, ti piace qualche programma tv?
«No, cerco di vederne poca, non c'è nulla che mi piace in particolare. Scrivo alle amiche, leggo...».
«Ti ho portato un libro, è una raccolta di diari scritti da una donna - le dice l'on. Zanella - spero tu lo possa apprezzare». È l'unico momento in cui su quel volto enigmatico appare un sorriso.
- Insomma qui non ti senti sola?
«No niente affatto, i miei familiari non mi fanno sentire sola, vengono sempre a trovarmi e mi aiutano».
Oltre a papà Francesco, due volte la settimana le fanno visita alcuni cugini e i suoi nonni, anche quella materna, Giuliana. «Questo loro grande affetto la sta aiutando più di ogni altra cosa - spiega la direttrice del carcere bresciano, Maria Grazia Bregoli - ma lei è seguita anche da psicologi, basta che chieda d'incontrarli. Possono intervenire anche la suora e la nostra educatrice che seguono anche le altre detenute».
La sezione femminile del carcere di Brescia è un ambiente tranquillo, pulito e immerso nel verde, con una decina di laboratori (13 detenute hanno un lavoro fisso in una cooperativa locale) e con personale carcerario molto preparato: sono appena state assunte 9 nuove agenti donna e anche i veterani (tutti coordinati dal comandante Di Blasi) mostrano grande umanità «pur nel rispetto delle regole esistenti fra recluse e sorveglianti - spiega - Per ora Erika è tranquilla e si comporta bene».
Però questa ragazza s'è macchiata di uno dei delitti più atroci della storia criminale italiana. Quelle mani esili - che lei spesso tiene dietro la schiena - hanno infierito sulla mamma e sul fratellino. «Gli effetti della droga - riflette Luana Zanella - sono devastanti, quel massacro ne fu l'ennesima prova». Erika e Omar, assumevano Lsd, hashish e forse anche cocaina.
Dopo oltre un'ora di colloqui i portoni del carcere si chiudono dietro di noi. Erika per varcarli dovrà aspettare il 2017.

"autismo creativo»

Il Messaggero Martedì 17 Maggio 2005
«Geni-smemorati? Nell’autismo creativo è possibile»

ROMA Abbiamo chiesto allo psichiatra Massimo di Giannantonio di inquadrare clinicamente il caso dell’“uomo piano”.
«Partendo dal fatto che non si può avere alcuna certezza, porrei l’attenzione sul cosidetto autismo creativo. Si tratta cioè di soggetti che pur presentando problemi neuropsichiatrici continuano a disporre di aree di comportamento in condizioni perfette e che gli consentono di mantenere vette di genialità assoluta. E’ assolutamente nella prassi che pur in presenza di emorragie o trombosi cerebrali che in pratica eliminano pezzi specifici dell’encefalo ne restino integre altre. La struttura neuroanatomica cerebrale è struttura eccezionalmente complessa fatta di cuclei specializzati (quelli del linguaggio, della memoria, della motivazione) se c’è una micro trombosi di una zona molto limitata del cervello possiamo avere la conservazione delle altre funzioni mentre in caso di infarto cerebrale vengono pregiudicate funzioni più complesse . Si potrebbe inoltre pensare ad afasia, sia transitoria che permanente.
L’“uomo-piano” è stato trovato oltre un mese fa e la polizia sta cercando di contattare le orchestre per cercare di dargli un nome.
«Io penserei anche a istituti di ricovero e riabilitazione dove l’uomo possa aver maturato una professionalità musicale molto elevata e che possa aver abbandonato per cause accidentali o fortuite anche se dopo oltre un mese si sarebbero già fatti avanti. Comunque la prima cosa da fare è verificare che il soggetto non presenti segni di traumi accidentali tipo ematomi, graffi, ferite.
Potrebbe trattarsi di uno scherzo?

«Non è da escludere anche se con appositi esami si potrebbe facilmente smascherare. Esami neuroradiologici funzionali che escludano microemorragie o microtrombosi cerebrali oppure test psicologici come quello di rorschaach (test proiettivo che scruta le emozioni a livello profondo) oppure quello di wais che rivelerebbero se la persona sta mentendo.

depressione in GB

Ansa 17.5.05
GB: un lavoratore britannico su cinque è depresso
Lo stress costa all'Inghilterra 150 miliardi di euro

(ANSA) - LONDRA, 17 MAG - E' la depressione da stress sul lavoro il nemico numero uno della produttivita' britannica: ne soffre un suddito di Sua Maesta' su cinque. La conseguenza diretta e' di costare all'economia quasi 150 mld di euro all'anno in produzione persa. A dare l'allarme e' Mind, associazione benefica a tutela della salute mentale, secondo la quale ormai patologie psicologiche come ansia e stress hanno superato in termini di diffusione il mal di schiena diventando la principale causa d'invalidita'.
copyright @ 2005 ANSA

iperattività

Il Tempo
IPERATTIVITÀ
E. Gae

Iperattività, mutismo elettivo e autismo infantile, troppo spesso rappresentano barriere frapposte tra noi e coloro che hanno problemi di comportamento. Lo spettro dell'alienazione e l'emarginazione può costituire una minaccia, soprattutto se si manifesta in tenera età. Ecco il motivo per cui è nato l'istituto di neuropsicologia, un centro per la valutazione dei problemi del comportamento e dell'apprendimento dei linguaggi (dislessia, disgrafia, balbuzie) sempre più presenti nell'età prescolare e scolare. All'iniziativa, promossa dall'associazione italiana di neuropsicologia pediatrica diretta dal dr. Angelo Cioci specialista in psicologia medica, collabora il II circolo di Via Arniense, già da anni sensibile ad aiutare i ragazzi in difficoltà, grazie al supporto dell'equipe dei docenti di sostegno, coadiuvata dagli stagisti del corso di laurea in Psicologia dell'Ateneo d'Annunzio. I discenti saranno osservati in un'ottica neuropsicologica e, se trovati in difficoltà, supportati con programmi di recupero. "La nostra scuola - sottolinea la direttrice Doralice De Nobili - è stata sempre all'avanguardia per il superamento di tali problematiche, formando gli insegnanti e cercando di vincere la diffidenza con un interscambio tra esperti e famiglie. Infatti, nell'istituto sarà possibile richiedere visite gratuite per i ragazzi in difficoltà, in presenza dei genitori; frequentare un gabinetto linguistico e prender parte ad attività psicomotorie". Il progetto è rivolto a tutte le scuole della Provincia. (...)

alcoolismo tra i giovani

Il Tempo 17 Maggio 2005
I giovani bevono troppo?
L. Simone Sica

I giovani oggi bevono troppo? La domanda ricorre di frequente sia nei dibattiti degli operatori di settore che nei discorsi comuni, indotta dalla notevole "visibilità" che assume il comportamento di consumo da parte dei giovani. I luoghi e le modalità di socializzazione giovanile hanno infatti subìto negli ultimi decenni notevoli impennate con una crescita esponenziale delle tendenze aggregative, l'allentamento dei vincoli familiari, l'abbassamento dell'età così detta "adolescenziale" ed una diversificazione di quelli che vengono (o venivano?) definiti i "riti di passaggio" da una fase e l'altra del ciclo vitale. Ovunque, infatti, anche nel più remoto paese della provincia molisana, sono bar, pub e birrerie o discoteche e quant'altro, luoghi ove normalmente si consumano bevande alcoliche. In che quantità? Difficile definire il "troppo" iniziale se non si introducono, oltre alla quantità, variabili quali la "problematicità" del consumo, la modalità di consumo e le stesse variabili psico-sociali. Ebbene, considerato che dal punto di vista biologico, oltre che psicologico, gli adolescenti sono comunque più sensibili ai rischi legati alcool, la risposta potrebbe essere: "Sì, una parte di giovani e adolescenti, specie maschi, ha un consumo a medio-alto rischio". Che fare allora? Appellandoci semplicemente al buonsenso e all'osservazione che deriva dalla quotidiana esperienza nelle aule scolastiche, riteniamo che il complesso fenomeno della dipendenza da alcool debba richiedere interventi, ad un tempo, più specifici per le situazioni a rischio e più globali, precoci e continui in generale, interventi in cui si mobilitino risorse molteplici che non possono limitarsi solo alla scuola. Scuola, peraltro, che non può darsi obiettivi di sostegno all'auto-stima dei ragazzi o di educazione valoriale o di formazione per l'assunzione di decisioni solo in forme sporadiche e vincolate a programmi educativi specifici quali quelli sull'uso di sostanze. Distinguere pertanto tra obiettivi di formazione culturale all'uso di sostanze e obiettivi di prevenzione della dipendenza è premessa indispensabile per lo sviluppo di interventi sia nella scuola che al di fuori di essa. E' dunque necessario puntare ad offrire ai ragazzi strumenti per riflettere sul valore delle sostanze nel proprio gruppo e nella società, strumentare per discutere ed esprimere le proprie posizioni sull'uso di sostanze, strumenti per leggere ed analizzare la comunicazione sociale sul tema per sfatare stereotipi e tabù, paure e false sicurezze. Ma questo, forse, dovremmo farlo, insieme ai ragazzi, anche noi adulti.

Il consumo di alcool, molto diffuso tra tutte le fasce di popolazione, inizia quasi sempre e volentieri in età giovanile, come dimostrano molti studi ed anche i dati del Servizio Dipendenze Patologiche del Distretto socio-sanitario di Venafro. Si inizia proprio nell'adolescenza: spesso si utilizza tale sostanza per stare al centro dell'attenzione nel gruppo di amici o per avvicinare semplicemente una ragazza. Di solito l'età in cui si inizia a bere birra o a farsi un bicchiere di vino è 14-15 anni; alcuni più precoci sono avvicinati all'alcool dalla famiglia stessa, essendo l'alcool un alimento-elemento fortemente radicato nella cultura e nelle consuetudini. Proprio in quell'età i ragazzi cominciano a chiedere birra al bar, il sabato sera si spostano nei pubs e con il tempo diventa un'abitudine. Infatti ci vuole poco per passare da un normale consumo di alcool al suo abuso ed è un fattore abbastanza pericoloso perché esso favorisce comportamenti normalmente repressi. E' chiaro che i giovani arrivano ad assumere atteggiamenti molto disinibiti ed euforici, sembrando agli occhi degli altri coetanei più spigliati e simpatici, ma rischiando spesso anche la vita alla guida di un auto. Infatti in circa la metà degli incidenti stradali l'alcool è la causa principale, in particolare al sabato sera, all'uscita da locali e discoteche. I ragazzi assumono grandi quantità di vino, birra, cocktails specie durante le feste, quando - in tanti - diventa piacevole il primo bicchiere, cui seguono altri che servono a movimentare la serata e a garantire il divertimento (insieme a musica assordante e - purtroppo - non di rado all'assunzione di altre sostanze psicoattive). Stare in compagnia, tuttavia, non reputo essere l'unico fattore che induce a bere perché ormai, attraverso i mass-media e la distribuzione incontrollata dell'alcool, esso ha raggiunto una enorme diffusione in tutti i ceti sociali. Per esempio, in Italia l'alcool è una sostanza assolutamente legale, che si può comprare senza alcuna restrizione, quindi è facile da parte dei giovani avere a disposizione tutte le sostanze alcoliche. Ritengo dunque sia importante affrontare questo argomento nella scuola e con persone esperte in questi problemi. Spesso infatti si pensa di sapere già tutto di ogni cosa, quando in realtà si scopre di conoscerne - come per l'alcool - solo il nome. E' da qui, se si vuole, che ha inizio la reale considerazione nei confronti di una sostanza, che si ritiene erroneamente meno nociva di quelle abitualmente considerate tali dai giovani (droghe).

sinistra
Bertinotti: la tassazione delle rendite finanziarie rilevanti

(Fausto Bertinotti sarà stasera ospite di Chiambretti: sulla 7 alle 23.30)

Corriere della Sera 17.5.05
Bertinotti: bravo Alemanno. La patrimoniale? Sulla casa c’è già
«Propongo di abolire l’Ici sulla prima abitazione e di concentrare le imposte sulle proprietà immobiliari rilevanti»

ROMA - Davanti alla proposta di Gianni Alemanno sulla tassazione delle rendite finanziare, Fausto Bertinotti gongola. «È più di un anno che noi e la Cgil ci muoviamo su questa traiettoria», ricorda il segretario di Rifondazione comunista. «Del resto - aggiunge -, è una tesi che appartiene alla grande tradizione rifor... riforma... ri-for-ma-tri-ce».
Riformatrice?
«Cercavo solo una parola per evitare il termine riformista....».
Alemanno riformatore contrapposto ai riformisti alla Massimo D’Alema? Non è assurdo che la destra sia d’accordo con Bertinotti?
«La destra? Quella è la proposta di un singolo componente del governo. Certamente non del governo».
Credo che il ministro delle Politiche agricole si offenderebbe a non essere considerato di destra.
«La sua posizione sulle rendite finanziarie è eccentrica rispetto a quella governativa. Se è per questo Alemanno ha pure promosso l’università enogastronomica in Piemonte, che costituisce un punto di eccellenza, ha difeso l’intervento, sacrosanto, di alcune Regioni contro gli organismi geneticamente modificati... Anche se non era la linea del governo».
Il segretario di Rifondazione loda un colonnello del partito di Gianfranco Fini. Ho sentito bene?
«Sono radicalmente contrario a ogni forma di collaborazione con il governo, ma quando anche nella maggioranza si riscontrano elementi politici interessanti li giudico positivamente. Non vedo perché non dovrei farlo con Alemanno se egli apprezza una proposta di intervento sulle rendite».
Lui dice che è necessario per tagliare l’Irap. Oltre che sul principio in sé, è d’accordo anche sull’obiettivo?
«No. Esistono almeno due ragioni per una priorità programmatica nell’attacco alla rendita. La prima è l’esigenza di redistribuire la ricchezza e rilanciare così la domanda interna. Anche perché questo è il Paese che in Europa detiene un singolare record negativo: sono diventati tutti più poveri mentre i ricchi diventavano ancora più ricchi. La seconda è che le rendite finanziarie hanno finito per sottrarre al Paese una immensa capacità d’investimento».
Gran parte del debito pubblico è in mano agli investitori esteri. E anche ai piccoli risparmiatori. Alla luce di questo crede sia praticabile un aumento del prelievo sui titoli di Stato?
«È da vedere. Intanto facciamo passare la scelta, mettiamo all’ordine del giorno del Paese la tassazione delle rendite finanziarie. Se diversamente si comincia subito a piantare paletti, si determina una fuga dal problema».
Crede che sia più politicamente produttivo procedere in questo modo? Come quando ha proposto una imposta patrimoniale che sembra allarmare anche il centrosinistra?
«Da mesi mi rifiuto di usare il termine "patrimoniale", che provoca una crociata ideologica a cui non intendo prestarmi. Quindi non ne parlo. Ma faccio notare che la patrimoniale in Italia c’è già».
Da quando?
«Chi fa finta di indignarsi deve spiegarmi perché le case sono tassate, e a partire dalla casa d’abitazione. E perché l’automobile dev’essere tassata anche quando è ferma».
«Il messaggio dev’essere chiaro nell’escludere la patrimoniale: l’80% degli italiani possiede la casa in cui abita». Sono parole di Francesco Rutelli al Messaggero . Cosa risponde?
«Visto che mi si porta l’esempio della casa, faccio una proposta: eliminare del tutto l’Ici sulla prima abitazione, magari con qualche differenza per le dimore di iperlusso, e concentrare l’imposizione fiscale sopra una certa soglia di proprietà immobiliare».
Ancora Rutelli: «Per noi la priorità è ridurre il cuneo contributivo-fiscale».
«Come altri esponenti dell’Unione hanno detto, penso che questa non sia oggi una priorità. Credo anzi che nelle attuali condizioni della finanza pubblica l’eliminazione dell’Irap e un intervento indifferenziato sul cuneo fiscale andrebbero in una direzione sbagliata».
Non vuole ridurre le imposte sulle imprese?
«Sono del tutto contrario a interventi generalizzati. Qualora si dovesse fare un intervento, dovremmo semmai prevederlo per quelle aziende che operano in settori innovativi. Piuttosto, pensiamo seriamente alla possibilità di destinare alla ricerca una parte delle risorse derivanti dall’aumento delle tasse sulle rendite».
Anche la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo è favorevole alla tassazione delle rendite . La sorprende?
«Macché. Su alcune cose Montezemolo ha preso saggiamente le distanze dalla precedente gestione: per esempio sull’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma al primo banco di prova è stato proprio il suo colpo di piccone che ha fatto saltare il contratto degli statali, anche se la favola di cui si narra è un’altra».
Che favola?
«Questa: la Confindustria è intervenuta a bloccare il contratto degli statali preoccupata per la piega che avrebbe potuto prendere quello dei metalmeccanici».

Siracusa

Corriere della Sera 17.5.05
La Grecia antica? È in Italia, a Siracusa
Dal teatro di Eschilo al leggendario viaggio di Alfeo


Quattordici maggio del 2005, sei del pomeriggio. Il sole cala dietro le gradinate del teatro di Siracusa, il più antico teatro greco costruito in pietra, il più grande della Sicilia e uno dei più belli del mondo. Migliaia di persone aspettano Antigone : tra poco andrà in scena la storia della figlia di Edipo, rappresentata (sino al 26 giugno, a cura dell’Istituto nazionale del dramma antico) con una regista d’eccezione, Irene Papas, e un’interprete straordinaria, Galatea Ranzi. Chissà chi metteva in scena questa storia, in questo stesso teatro, negli ultimi decenni del V secolo a.C. Quando Antigone venne presentata al pubblico ateniese, nel 421 a.C., Siracusa era un centro teatrale internazionale. Alcuni decenni prima, nel suo teatro erano state rappresentate Le Etnee , la tragedia scritta da Eschilo per celebrare la rifondazione della città di Catania da parte di Ierone I, con il nuovo nome di Etnea. Chissà se gli spettatori odierni sanno di sedere sulle gradinate dove, un giorno lontano, sedette il grande tragico.
Andare a Siracusa vuole dire immergersi nella grecità. Nel V secolo a.C., la città era la più potente delle poleis greche in territorio italico. I siracusani, dopo avere batturo i Cartaginesi a Imera, nel 480, nel 474 avevano sconfitto gli etruschi nella battaglia navale di Cuma ed esteso la loro supremazia fuori dell’isola. A Siracusa soggiornavano Simonide, Bacchilide e Pindaro. Nel suo teatro si svolgevano importanti concorsi drammatici, sul modello di quelli ateniesi, cui partecipavano autori come Frinico, Eschilo e il siracusano Epicarpo, ricordato da Platone come il più grande rappresentante della commedia, accanto a Omero, come massimo esponente della poesia epica.
Ma il teatro non è che una delle tracce greche in Siracusa: al di là del piccolo ponte che oggi la collega alla terraferma sta Ortigia, l’isola incantata sulla quale quasi tre millenni or sono sbarcarono i coloni di Corinto, fondatori di Siracusa. Recentemente dichiarata «patrimonio dell’umanità» per lo splendore, oltre che dei siti antichi, dei suoi monumenti barocchi, Ortigia è il luogo del mito.
Sulla punta estrema dell’isola si trova la fonte Aretusa: racconta la leggenda che la ninfa che portava questo nome, figlia di Nereo e di Doride e amica inseparabile della dea cacciatrice Artemide, era amata e corteggiata da Alfeo, il fiume che scorreva a Olimpia. Anche i fiumi si innamoravano, in Grecia. Eros colpiva indifferentemente esseri umani e dei, e i fiumi avevano natura divina. Ma Aretusa non gradiva il corteggiamento, e chiese soccorso ad Artemide, che per sottrarla ai tentativi di Alfeo di possederla la trasformò in fonte e la trasportò al di là del mare, a Siracusa. Troppo innamorato o troppo ostinato per arrendersi Alfeo si inabissò, e traversato a sua volta il mare raggiunse l’amata, sgorgando a poca distanza da questa, così che le sue acque potessero congiungersi con quelle di lei. Sembra vera, la storia, quando la racconta il barcaiolo che, circumnavigando l’isola, ti mostra le polle d’acqua, a pochi metri dalla riva, e ne beve l’acqua dolce, di fiume. È l’acqua di Alfeo. Un mito importante, questo, per i siracusani.
Il viaggio di Alfeo, le sue acque che sgorgano a Siracusa sono la metafora del legame che univa la colonia alla madrepatria. A Olimpia stava uno dei santuari dove i greci si recavano prima di dedurre una colonia. Siracusa, inoltre, era stata fondata da una spedizione composta da cittadini di Corinto accompagnati da abitanti di Olimpia, uno dei quali era Archia, l’ecista che aveva condotto il viaggio e l’insediamento sulle coste della Sicilia. La colonizzazione non era intesa come conquista, ma come fusione dei due popoli. Lo stretto legame tra i greci di Siracusa e quelli della madrepatria veniva ribadito da riti e leggende: ogni volta che a Olimpia si celebrava un sacrificio le acque della fonte Aretusa si macchiavano di rosso; se si gettava una coppa nel fiume Alfeo, a Olimpia, questa riemergeva nelle acque del mare di Siracusa.
I siracusani erano greci, a ogni titolo. Non è un caso se, ancor oggi, il turista che raggiunge questa città straordinaria si sente in Grecia.

Emanuele Severino, a modo suo:
l'embrione non è persona

Corriere della Sera 16 maggio 2005
Le Idee
Perché l’embrione-persona è la negazione dell’uomo

Nuovo intervento di Emanuele Severino nel dibattito lanciato dal Corriere sulla fecondazione assistita in vista del referendum del 12 e 13 giugno. Secondo il filosofo, che ribatte alle tesi di monsignor Sgreccia, la posizione della Chiesa porta a una conclusione che contraddice la realtà
"L’articolo di monsignor Sgreccia pubblicato martedì 10 maggio sul Corriere mi induce a riproporre un tratto del mio discorso sull’embrione - lasciando anche questa volta da parte il mio pensiero filosofico e la mia critica del concetto di «capacità», e indicando solo quali conseguenze scaturiscono dalla dottrina della Chiesa sull’embrione. Invito cioè la Chiesa a pensare con attenzione al contenuto del mio articolo apparso sul Corriere del 24 febbraio 2005. Nel marzo scorso monsignor Sgreccia mi aveva criticato dicendo tra l’altro che, per me, affermare (come la Chiesa afferma) che l’embrione è sin dall’inizio un essere umano «è come affermare che l’uomo è "capace di entrare nel Regno dei Cieli"». Santo cielo! Se io avessi scritto queste strampalerie monsignor Sgreccia avrebbe il diritto di considerarmi uno sciocco. Ma non avendole scritte è sorprendente che un esponente così autorevole e competente della Chiesa abbia così frainteso il mio discorso. Che dunque ripropongo con alcune considerazioni relative al nuovo articolo di Sgreccia.
Secondo la filosofia a cui (anche) la Chiesa si ispira, un uomo può nascere solo se, prima di esso, esiste qualcosa che ha la capacità (o «potenza ») di diventare uomo. Si badi: qualcosa di unitario. Tale principio vale anche per altre forme di «generazione». E così: una statua può essere prodotta solo se, prima di esserlo, esiste, poniamo, un blocco di marmo capace di diventare una statua (per opera dello scultore). Se il blocco fosse in frantumi, nessuno di essi, e nemmeno il loro insieme, avrebbe la capacità di diventare quella statua. Per produrre quella statua bisogna che le parti del blocco non siano frantumi, ma unite; ossia, bisogna che il blocco sia qualcosa di unitario. Altro esempio: un uomo può entrare nel Regno dei Cieli (può esistere cioè quel processo che è la «generazione» di un beato) solo se, prima che egli vi entri, esiste qualcosa di unitario che ha la capacità di entrarvi e che è appunto quell’uomo durante la sua vita terrena. (Non sono la testa, le gambe, o parti della psiche, in quanto tra loro separate, ad avere quella capacità: non sono cioè i pezzi dell’uomo ad averla).
Se non esistessero la capacità del blocco di marmo di diventare statua e la capacità dell’uomo di andare in Cielo, l’esistenza di statue di marmo e di beati sarebbe impossibile. Epertanto, ritornando al nostro caso, se, prima della nascita dell’essere umano, non esistesse qualcosa di unitario, avente la capacità di diventare un uomo (se cioè non esistesse un uomo «in potenza »), la nascita di uomini sarebbe impossibile.
Orbene, per la Chiesa, l’embrione è, sin dal momento della fecondazione, uomo, persona; e il principio spirituale (l’«anima razionale») per il quale l’uomo non è animale è creato da Dio. Per la Chiesa, cioè, Dio crea tale principio sin dal momento della fecondazione, cioè dell’unione del gamete maschile e femminile.
E siamo al punto. La domanda che rivolgo alla Chiesa (e ad altri) è: se un uomo può nascere solo se prima di esso esiste un qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare un essere umano, e se sin dalmomento della fecondazione l’embrione è essere umano «in atto», che cosa è e dove è mai il qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare uomo e senza di cui nessun uomo potrebbe nascere? Dov’è l’uomo «in potenza»? La Chiesa non può rispondere a questa domanda.
Infatti, prima dell’unione dei gameti (con la quale, per la Chiesa, esisterebbe già sin dall’inizio un uomo «in atto»), i gameti sono separati e nessuno dei due, in quanto separato, può avere la capacità di diventare uomo. (Come nessuno dei frammenti del blocco di marmo ha la capacità di diventare una statua; né sono i pezzi di un uomo ad avere la capacità di andare in Cielo). E come l’insieme dei frammenti del blocco di marmo non ha la capacità di diventare statua, nemmeno l’insieme dei due gameti separati ha la capacità di diventare uomo. E, per la Chiesa, prima della loro unione non può nemmeno intervenire Dio a infondere in essi l’«anima razionale».
Che cosa segue da tutto questo? Un assurdo: sostenendo che fin dal momento della fecondazione esiste un uomo «in atto», la Chiesa viene a negare (contro le proprie intenzioni) l’esistenza della capacità, da parte di qualcosa di unitario, di diventare un uomo; e da questa negazione segue ciò che anche per la Chiesa è un assurdo, ossia che non potrebbe nascere alcun uomo. Ma gli uomini nascono. Dunque ciò che provoca questo assurdo è impossibile, ossia è impossibile che sin dall’inizio l’embrione sia un uomo.
Monsignor Sgreccia mi ricordava che «i due gameti hanno la capacità di generare un individuo- ratto allo stato embrionale, che poi si sviluppa e diviene adulto proprio perché esiste una capacità, una potenzialità che si attua nel momento dell’unione». Ma, replico, questa capacità di diventare adulto è quella che si costituisce quando l’embrione ha già incominciato ad esistere: non è quella di cui stiamo parlando, che è la capacità di qualcosa di diventare embrione umano (o animale) — la capacità, cioè, che cessa di esistere quando l’embrione incomincia ad esistere.
Per uscire dall’assurdo ora indicato è dunque necessario negare che sin dall’inizio l’embrione sia un essere umano in atto; e dunque è necessario che Dio infonda l’anima razionale dopo che l’embrione ha incominciato a esistere, ossia è necessario affermare che ciò che ha la capacità di diventare uomo sia costituito, perlomeno, dallo stato iniziale dell’embrione, per quanto breve esso sia.
Per la scienza non sappiamo quando l’embrione incominci a essere persona. Ma, sulla base dell’argomentazione ora indicata, la Chiesa, per evitare l’assurdo, deve dire che all’inizio della sua esistenza l’embrione non è persona. È poco, ma è decisivo. (È poco, perché rimane aperto il problema, per la Chiesa, di accertare l’estensione di quell’inizio, cioè se Dio crei l’anima razionale subito dopo l’unione dei gameti, oppure dopo qualche tempo). Non è meglio che la Chiesa, anche qui, ritorni a san Tommaso, per il quale «il feto è animale prima di essere uomo»? (Il mio riferimento a Tommaso è stato poi ripreso da altri). Uscirebbe dal vicolo cieco in cui si è cacciata. O almeno da questo — altri ancora essendocene, ancora più ciechi; e non solo per la Chiesa.
Nell’articolo pubblicato sul Corriere monsignor Sgreccia parla invece da scienziato. Ma, rispetto a quanto sopra abbiamo mostrato, sfonda una porta aperta. Richiama infatti che per la biologia (e anche per biologi non credenti) l’embrione ha, «fin dal momento della fecondazione » un’«identità» biologica, genetica e organica. Un cane, dice, è cane sin dal momento della fecondazione e rimane cane fin quando è vecchio e prossimo alla morte. E aggiunge: «Pensiamo che la stessa biologia valga anche per qualsiasi animale superiore, compreso l’uomo ».
Ora, non v’è dubbio che i biologi siano per lo più d’accordo su questo avvicinamento di cani e uomini. Ma monsignor Sgreccia qualche dubbio dovrebbe averlo. La dottrina della Chiesa non è adeguatamente rappresentata da scritti come questo di Sgreccia. I biologi, infatti, non hanno difficoltà ad affermare che un organismo materiale si evolva e divenga mente, coscienza, ragione, cioè essere umano — come, perlopiù, essi non hanno difficoltà ad affermare l’evoluzione delle specie, quella evoluzione, cioè, per la quale l’uomo proviene dalla scimmia.
Ma la Chiesa può starsene tranquilla come lo è monsignor Sgreccia? La Chiesa esclude perentoriamente che la vita umana e il suo inizio possano essere adeguatamente intesi dalla scienza e dalla biologia. Per la Chiesa la spiegazione adeguata si può raggiungere — abbiamo detto sopra — solo introducendo l’azione di Dio, che crea lui, direttamente, ciò che vi è di propriamente umano nell’uomo. In questo articolo monsignor Sgreccia ha invece l’aria di sostenere che per risolvere il problema dell’inizio della vita umana basti la scienza. La Chiesa non è adeguatamente rappresentata da un discorso come questo di monsignor Sgreccia che lascia così vistosamente da parte quel sapere filosofico al quale invece la Chiesa - con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - dà una così rilevante importanza.
Ho detto che, rispetto all’argomentazione sopra sviluppata, monsignor Sgreccia sfonda una porta aperta, perché tale argomentazione parte proprio dalla supposizione che l’embrione sia, sin dall’inizio, vita umana (e lo sia nel senso voluto dalla Chiesa, non dalla sola biologia); e così partendo - ossia pur concedendo tutto ciò che sta a cuore alla Chiesa e a monsignor Sgreccia -tale argomentazione mostra a quale assurdo quella supposizione conduca.
Come dice monsignor Sgreccia, la coscienza morale proibisce che si spari verso un cespuglio se appena si dubita che dietro di esso, invece di una lepre, ci sia un bambino. Ma quell’argomentazione mostra che la dottrina della Chiesa sull’embrione conduce alla conclusione (certo non voluta dalla Chiesa) che dietro il cespuglio non può essersi venuto a trovare nessun bambino - appunto perché, come si diceva, quella dottrina porta a negare la capacità di diventare un essere umano (ossia un bambino dietro il cespuglio).
E dico tutto questo condividendo le preoccupazioni per la manipolazione e mercificazione dell’uomo.

il mistero del pianista

una segnalazione di Gianluca Cangemi

Corriere della Sera 16.5.05
Il sito del Guardian invita a scrivere chi lo riconosce
Ha perso la memoria ma suona divinamente
E' stato trovato sull'isola inglese di Sheppey. Non ha mai parlato. Ha disegnato un piano e solo di fronte alla tastiera ritrova serenità
La foto dell'uomo senza nome pubblicata sul sito del Guardian e il disegno del pianoforte

LONDRA - Giacca scura, camicia bianca e cravatta, completamente bagnati, come se l'uomo sui 25 anni che le indossava, fosse caduto in mare. Questo giovane - spiega un articolo sul sito del Guardian - camminava circa un mese fa sull'isola di Sheppey, di fronte alla costa inglese del Kent, e ha attirato l'attenzione di un poliziotto che gli ha chiesto le sue generalità. Nessuna risposta. Nessun documento addosso e, in compenso, evidenti segni di instabilità psichica.
IL RICOVERO - Lo sconosciuto venne accompagnato in un ospedale, per accertamenti sanitari. Secondo i medici si trattava di un caso di amnesia totale. L'uomo era venuto dal nulla e ci restava, senza offrire alcuna indicazione sulla propria identità o sul proprio passato.
IL DISEGNO -Dopo qualche giorno di silenzio assoluto a uno dei sanitari è venuta l'idea di lasciarlo solo nella sua stanza con carta e penna, per vedere se ne fosse emersa qualche traccia. Ne uscì una, precisa; sul foglio un pianoforte a coda tratteggiato con mano sicura.
LA MUSICA -Il passo successivo è stato ovvio: lo sconosciuto senza memoria è stato accompagnato nella cappella dell'ospedale, dove c'è un pianoforte. Lui si è seduto e ha iniziato subito a suonare. Benissimo, come probabilmente solo un musicista avrebbe saputo fare.
Nelle settimane successive «piano man», come è stato soprannominato, è tornato regolarmente nella cappella a suonare, senza mai dire una parola. I medici hanno notato che tutti i sintomi della sua instabilità psichica si placavano del tutto di fronte alla tastiera. Spesso suonava il «Lago dei Cigni» di Tchaikovsky. Altre volte pezzi sconosciuti, che sembravano scritti da lui e che ricordavano le composizioni di Ludovico Einaudi. Il direttore del reparto psichiatrico dell'ospedale di Dartford, Ramanah Venkiah, dove «piano man» è stato trasferito, dice: «Suona il piano divinamente e tutto il personale sanitario è felice di poterlo ascoltare ma sulla sua identità continuiamo a non sapere nulla, visto che continua a non parlare».
Il Guardian ha deciso di pubblicare la sua storia, con una sua foto, nella speranza che qualcuno possa riconoscere questo giovane senza nome.

Ed ecco l'articolo apparso sul Guardian:
http://www.guardian.co.uk

The Guardian Monday May 16 2005
Do you know this man? Mystery of the silent, talented piano player who lives for his music

His rendition of Swan Lake only clue to identity of stranger found soaked by the sea
Steven Morris

Dripping wet and deeply disturbed, the smartly-dressed man was discovered walking along a windswept road beside the sea. Over the next few days he steadfastly refused, or was unable, to answer the most simple questions about who he was or where he had come from.It was only when someone in hospital had the bright idea of leaving him with a piece of paper and pencils that the first intriguing clue about the stranger's past emerged. He drew a detailed sketch of a grand piano. Excited, hospital staff showed him into a room with a piano and he began to skilfully perform meandering, melancholy airs. Several weeks later he has still not spoken a word, expressing himself only through his music.Some who have heard the "piano man", as he has been nicknamed, believe he may be a professional musician. One theory is that he has suffered a trauma which has caused amnesia, one of the methods the mind uses to retreat from a shock. Personal memories can be lost while the ability to communicate - or, for instance, play the piano - is not.The man's carers have become so desperate to find out who he is and what has happened to him that they have allowed his photograph to be taken in the hope that someone will solve the mystery.The "piano man" was found on the Isle of Sheppey, Kent, last month. He wore a black jacket, smart trousers and a tie, all dripping wet. Police officers tried to find out who he was and if he had fallen into the sea, been pushed or even swum ashore from a boat - but the man remained silent. They dried him off as best they could and took him to accident and emergency at the Medway Maritime hospital in Gillingham.Doctors examined the man, who appeared to be in his 20s or 30s, and found nothing wrong with him, but still he failed to respond to questions. He was difficult to assess as he appeared terrified of any new face, sometimes rolling himself into a ball and edging into a corner.After hours of trying to elicit any scrap of detail about his life, someone had the idea of leaving him with a drawing pad and pencils. When they returned an hour later they found he had produced an excellent and detailed sketch of a grand piano. Realising that music might be the key to unlock the mystery, he was taken to the hospital's chapel, which contains a piano. The man sat down at the instrument and began to play. The doctors were amazed at the transformation. For the first time since he had been found on Sheppey he appeared calm and relaxed. He was also a good player - some say exceptional.In the following weeks the "piano man" returned regularly to the chapel. He played sections from Swan Lake by Tchaikovsky but most often seemed to prefer to perform what appear to be his own compositions, which have been compared to the work of the Italian composer Ludovico Einaudi. Some hospital staff are convinced he is a professional musician and may even have been performing not long before he was found - hence his smart black clothes.Canon Alan Amos, the hospital chaplain, said: "He likes to play what I would call mood music - quite circular in nature without defined beginnings or endings." Mr Amos suggested he was using music as an anaesthetic. "Playing the piano seems to be the only way he can control his nerves and his tension and relax. When he is playing he blanks everything else out. He pays attention to nothing but the music."If allowed to he would play the piano for three or four hours at a stretch and at times has had to be physically removed from it because he refused to stop. When he is away from the piano he almost always carried a plastic folder with sheet music inside. Mr Amos said he did not believe the man was a professional musician, but someone who played well for his own pleasure. He suggested that he might have been wearing dark clothes on the day he was found because he had been to a funeral. He said: "It's a very sad case. Clearly there must have been some sort of trauma and it is important to find out what it was."The "piano man" was eventually transferred to a psychiatric unit in Dartford, where he was given access to a piano. Manager Ramanah Venkiah said: "He has been playing the piano to a very high quality and staff say it is a real pleasure to hear it. But we don't know what his position is because he is not cooperating at all."Research has suggested that exposure to familiar music can help people suffering post-traumatic amnesia. Some therapists offer music to help such patients recover lost memories and face the traumatic event which led to their state. Meanwhile social workers have issued a missing persons' bulletin on him. Until he is identified he will no doubt continue to play his sad but soothing music to the pleasure of those caring for him and his fellow patients.· Anyone who has information that might help to identify the "piano man" should email steven.morris@guardian.co.uk

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sui referendum

L'Unità 17 Maggio 2005
Quel gene di Mozart
Giovanni Berlinguer

Temo che scelte importanti e difficili, come quelle che riguardano la procreazione assistita, divengano confuse nella mente dei votanti o non votanti a causa delle intimidazioni personali, delle polemiche interne ai partiti e agli schieramenti e perfino del cicaleccio (la traduzione nell'inglese gossip non lo rende meno infame). I casi sono tanti, e purtroppo c'è molto da scegliere. Il più spregevole è stato il pettegolezzo costruito a danno di Fini e della Prestigiacomo, dopo che avevano dichiarato il loro voto (diverso l'uno dall'altra). Il caso più fastidioso è la richiesta petulante rivolta a Prodi, dopo il suo coraggioso “voterò!”, perché dichiari pubblicamente come e perché voterà. L'articolo 48 della Costituzione, secondo cui “il voto è personale ed uguale, libero e segreto” deve valere anche per i leaders.
Vorrei ricordare che nel referendum più importante della storia d'Italia, quello che decise tra monarchia e repubblica, Alcide De Gasperi, che aveva a cuore l'equilibrio del suo partito e del Paese, non dichiarò mai il suo voto, né prima né dopo; e fu probabilmente una decisione saggia.
Se non verrà attenuato il rumore di fondo, cioè l'inquinamento acustico che rischia di confondere l'opinione pubblica, temo che risulterà arduo per i cittadini distinguere il filo conduttore dei molti problemi che sono sottesi alla scelta referendaria: la scienza e l'etica, la libertà e i diritti, l'embrione e la persona, la legge e la religione, la donazione e i rapporti fra generi.
Vorrei perciò proporre di riflettere in modo semplice su quale sia il punto essenziale in discussione: è la libertà di procreare. Questa non è un diritto assoluto, ma una facoltà. Questa è una decisione che non riguarda soltanto i due genitori: coinvolge anche un terzo soggetto, colui che nascerà e ha perciò una rilevanza etica primaria. Una scelta libera e responsabile, quindi.
Comprendo che questa tesi può essere interpretata in maniere diverse, ma rifiuterei di considerarla scontata o banale. La ragione è molto semplice: perché la libertà di procreare, nella storia plurimillenaria del genere umano, era una facoltà sconosciuta e negata (soprattutto per le donne) fino a cinquant'anni fa, o poco più. Sconosciuta perché mancavano informazioni basilari sulla riproduzione e mezzi adeguati, non traumatici, per controllarla; e sempre negata a causa del predominio maschile. È prevalso l'obbligo, più che la libertà.
La libertà responsabile di procreare è quindi una conquista recente della modernità, che supera e incorpora la tradizione della nostra specie. Essa è il frutto (forse il migliore) dell'incontro tra due forze che sono fra le più dinamiche della storia: la scienza e le lotte contro l'ingiustizia. Vi è stata una straordinaria coincidenza, e spesso una sinergia consapevole, fra le crescenti nozioni e le tecniche atte a regolare, a migliorare e a consentire i processi della procreazione, e le lotte e le proposte delle donne per liberarsi ed emanciparsi da vincoli millenari. Come conseguenza, oggi in molte parti del mondo si è ampliata la possibilità di scelta, anche quando sussistono ostacoli di natura patologica; la possibilità di scegliere quando, come (e in qualche misura chi) procreare.
Sul “chi”, è giusto porre limiti precisi. Il Comitato Internazionale di Bioetica dell'Unesco, esaminando le possibilità che offre la diagnosi pre-impianto (sull'embrione in provetta, prima che sia trasferito nell'utero), ha detto un sì e due no: sì a negare l'impianto in caso di gravi patologie, no alla scelta del sesso del nascituro, no all'eventuale enhancement, cioè ai tentativi di accrescimento delle sue qualità genetiche. Ricordo che in un dibattito sulla procreazione assistita una signora mi chiese: “Chi può impedirmi, quando sarà possibile, di chiedere che mio figlio abbia le qualità di un Mozart?”. Un'altra signora risolse il quesito in una risata quando obiettò “Io preferirei un Vivaldi”. La verità è che oggi è scientificamente impossibile modificare caratteristiche essenziali degli esseri umani per via genetica. Anche la terapia genica, basata sulla sostituzione di geni malati con geni sani, sulla quale erano nate molte speranze vent'anni fa, ha avuto pochissimi risultati positivi e molti “effetti collaterali”: in parole povere, decessi accelerati dei pazienti che si erano affidati a queste cure. La sola eugenetica che ha funzionato per più di un secolo, finora, è quella selettiva, finalizzata alla sterilizzazione o allo sterminio degli indesiderabili, fossero essi malati di mente o ebrei. È un arbitrio confonderla con i progressi della conoscenza genetica, che non coincidono con le illusioni di scienziati irresponsabili.
Il miglioramento della specie e degli individui umani, in altre parole, deve essere affidato al progresso culturale, sociale e morale, e di questo progresso è parte essenziale la libertà e la responsabilità del procreare. È per difenderla ed estenderla che si fa il referendum, per correggere una legge che è fortemente discriminatoria su piani diversi. Sul piano sociale, ci riporta alla situazione che vi era in Italia prima delle legge sull'aborto, quando chi poteva permetterselo andava coi voli charter ad abortire in Inghilterra, e chi no doveva soffrire e morire. A Valencia, c'è ora un centro clinico di procreazione assistita, verso il quale affluiscono molte coppie di italiani, che ha affisso un grande cartello nella hall dell'aeroporto: “Stiamo dando il maggiore contributo allo sviluppo del turismo valenciano”.
Sul piano biologico, la discriminazione sta nel vietare la procreazione a persone o coppie che abbiano ipofertilità o sterilità: impedimenti naturali che non sono di per sé ingiusti; ma lo diventano se viene negato l'accesso a un rimedio esistente, come la donazione di ovuli o di spermatozoi. In nome di quale principio? Quando le ostilità si estendevano a ogni tipo di procreazione assistita, l'argomento era: ciò che è naturale è bene, ciò che è artificiale è male.
Quando poi si comprese che in questo modo si poteva giungere all'aberrante conclusione che le malattie naturali sono il bene, e le cure artificiali il male, il dissenso rimase circoscritto alla parola “eterologa”. Parola fuorviante e tendenziosa, perché in biologia vuol dire commistione fra animali di specie diverse, e qui non si tratta di incroci fra uomini e scimmie bensì di donazione e accoglienza, cioè di solidarietà fra esseri umani. Ora è stato prospettato da varie fonti un altro dubbio: perché impedire a chi nasce di conoscere i suoi genitori biologici? A me pare che non basta rispondere che i veri genitori sono quelli che l'hanno voluto, nutrito e amato. A questa verità è giusto aggiungere che c'è anche il diritto di sapere, da grandi. In Italia esso è già stato riconosciuto per i bambini adottati, e in molti paesi (come la Svezia e l'Austria) è stato esteso ai nati dalla procreazione assistita. Se l'obiezione è solo questa, sarà facile trovare un consenso per modificare la legge, quando e se il referendum avrà eliminato le sue maggiori storture.
Infine vi sono le discriminazioni e gli ostacoli verso i tanti, forse milioni di persone, sofferenti e disperate, che potrebbero trarre giovamento da cure basate sulle cellule staminali. Premetto che queste si possono trarre da fonti diverse, tessuti del corpo e cellule del cordone ombelicali, oltre che da embrioni. Premetto inoltre che, anche in questo campo, si usa un'espressione fuorviante, quando si parla di “clonazione terapeutica” mentre per ora c'è solo sperimentazione, e non è giusto ingigantire le attese a breve termine dei malati. Aggiungo infine che l'embrione è certamente un progetto di vita, ed è giusto il divieto (sancito dalla Convenzione bioetica europea, ratificata dall'Italia) di produrre embrioni a scopo sperimentale. Ma non riesco a condividere i motivi per cui gli embrioni già esistenti, ora per decreto di Sirchia ammassati in contenitori centralizzati in attesa che il tempo li distrugga, non possono essere usati a scopi di ricerca finalizzati alla sopravvivenza di esseri umani, opponendosi in nome del criterio che ogni embrione è persona, il quale è indimostrabile scientificamente. La scelta non è sempre fra il bene assoluto e il male assoluto.
Esiste anche l'idea che dal male può nascere qualche bene, e le leggi ben costruite sono pietre miliari di questo complicato e tormentato cammino.

L'Unità 17 Maggio 2005
«Quella legge moltiplica gli aborti»
Fecondazione, parla Adinolfi genetista della London Medical School: il diritto di voto va esercitato
Maria Zegarelli

ROMA Di origini italiane, (la sua famiglia è di Salerno), nato in Africa, vive dagli anni Sessanta in Inghilterra. È uno scienziato, un uomo che ha passato tutta la sua vita a studiare il modo di far nascere meglio gli esseri umani e curare al meglio le donne gravide. Il professor Matteo Adinolfi, arrivato nei giorni scorsi in Italia per un convegno sulle tecniche di diagnosi pre-natale, è molto critico sulla legge 40 sulla procreazione assistita. «E sbagliata sotto ogni punto di vista», osserva. Ed è critico anche con il collega Bruno Dalla Piccola, presidente della Società italiana di genetica umana. «Non si possono invitare le donne a disertare il referendum».
Professore, l’attuale legge vieta la diagnosi pre-impianto. Lei ha detto che trova assurda questa norma. Perché?
«Se in una donna si induce una iperovulazione è possibile che riesca a produrre cinque o sei ovociti, di cui almeno tre saranno anormali. Ce lo dimostrano anni e anni di studi e osservazioni. Il 70% circa delle gravidanze nel mondo non arrivano a termine a causa di alterazioni cromosomiche. Si verificano, cioè, aborti precoci, alle prime settimane di gestazione. La mia domanda è: perché mettere nell’utero degli embrioni prodotti con ovociti non normali e perché non selezionarli prima impiantandone solo uno o due? In alcuni centri del Belgio si impianta un solo embrione e le possibilità di successo sono del 30%, altissime rispetto a quelle di altri paesi».
Lei sta dicendo che anche sotto questo profilo siamo indietro?
«Dico piuttosto che se le indagini pre-impianto sono scrupolose, le possibilità di successo aumentano sensibilmente. Decidere per legge che si devono impiantare embrioni a caso è piuttosto strano. Vietare la diagnosi pre-impianto, ripeto, dal mio punto di vista, è un errore gravissimo. Credo che sia ingiusto anche vietare ad un uomo o una donna di donare ovociti, seme, o embrioni congelati. La donazione è un atto d’amore, una scelta eticamente giusta. Destinare gli embrioni soprannumerari alla ricerca, invece, può permettere di fare passi in avanti nella cura contro molte malattie».
Lei ha parlato di un esperimento molto importante condotto poche settimane fa in America con le cellule embrionali. Ci può spiegare di cosa si tratta?
«È stato possibile curare topini affetti da emofilia trapiantando cellule embrionali di altri topini coltivati in vitro. I topini sono stati prodotti artificialmente da un ricercatore americano, Smith. Quelli coltivati in vitro hanno prodotto il fattore 9 dell’emofilia e, una volta effettuato il trapianto, i topini emofiliaci sono guariti, malgrado le cellule embrionali erano incompatibili dal punto di vista immunologico. Erano incompatibili ma sono state accettate. Questo è un grande successo per la ricerca. Per ora non sappiamo se sia possibile sugli esseri umani, ma abbiamo una traccia su cui lavorare».
In Italia il comitato “Scienza e vita” contesta l’efficacia delle cellule embrionali. Dicono che non ci sono certezze sulla loro efficacia...
«Non è vero. Esistono studi americani che dimostrano il contrario. Questo non vuol dire che in futuro soltanto le cellule embrionali saranno la risposta ad alcune malattie. C’è anche la speranza di creare cellule staminali di un individuo adulto, e di trasformarle in cellule pluripotenti, differenziarle in una cellula che produce ad esempio il fattore 9».
L’obiezione che alcuni scienziati fanno è che le cellule embrionali si possono trasformare in cellule tumorali.
«Mettiamo sul piatto della bilancia da una parte i successi e dall’altra i fallimenti. Faccio ancora un esempio: i bambini con le immunodeficienze si curano con l’ impianto di cellule geneticamente manipolate che producono immunoglobuline. Questa manipolazione su 14 bambini ha prodotto i seguenti risultati: 11 sono guariti, tre hanno contratto la leucemia. Abbiamo salvato undici bambini, gli altri 3, che sarebbero morti, sono stati curati anche dalla leucemia. Cosa vuol dire? Che a volte bisogna correre dei rischi, minori rispetto alla malattia che vogliamo curare, se vogliamo dare una speranza».
Quale immagine le arriva da osservatore «esterno» del dibattito in corso in Italia?
«A me sembra molto strano che il professor Bruno Dalla Piccola inviti le donne a non andare a votare. Il diritto di voto andrebbe sempre esercitato, soprattutto in casi come questo. Ritengo, inoltre, che siano le donne a dover decidere quando si tratta di gravidanza, diagnosi pre-impianto, aborto. L’intervento dell’uomo è un intervento estraneo. Il medico, poi, non ha alcun diritto morale di intervenire. Neanche se è un illustre professore».

Il Tempo 16.5.05
Livia Turco: «Raggiungere il quorum riaprirà il dibattito»

LA salute della donna viene prima dell'integrità dell'embrione. Un principio per cui, secondo Livia Turco, responsabile Welfare dei Ds, è giusto abrogare la legge 40 per tornare poi in Parlamento e riscrivere le norme sulla fecondazione assistita. L'esponente dei Ds considera l'embrione un «progetto di vita e sono d'accordo su una legge che ne riconosca la dignità umana. Ma non ci può essere equiparazione tra embrione e nato — ha aggiunto Livia Turco in una intervista — Perciò la norma attuala va abrogata». «Io credo che dopo le urne si debba tornare in Parlamento e scrivere un nuovo testo che ristabilisca l'equilibrio dei valori in gioco, attualmente a scapito della salute della donna. Raggiungere il quorum — fa presente la responsabile Welfare della Quercia — significherà riaprire il dibattito». Turco si dice favorevole anche alla fecondazione eterologa. «Personalmente non la praticherei. Ma credo che l'acquisizione fondamentale della laicità sia la distinzione fra le proprie convinzioni personali e il ruolo della legge che deve tenere conto delle pluralità e cercare le soluzioni più giuste». «Con la proibizione dell'eterologa — continua Livia Turco — ad esempio ci troveremmo di fronte a fenomeni simili a quanto accadeva con l'aborto prima della legge 194, a cominciare dal turismo sanitario. E poi una scelta individuale non si può regolare per legge: penso ai casi di sterilità, infertilità o di malattie genetiche gravi. Qui non si tratta di generiche libertà di opinione, non mi si parli di "relativismo etico", è solo rispetto del pluralismo». «Il referendum è un'occasione per una discussione pacata e una crescita di coscienza collettiva. Che questa discussione sull'astensionismo, soprattutto quello opportunista e difensivo di chi non vuole affrontare una questione imbarazzante, non la permette. Rispetto invece profondamente — conclude la Turco — la posizione della chiesa che rivendica un'astensione forte e chiara. Anche se mi dispiace». Anche l’oncologo Umberto Veronesi interviene nel dibattito per il sì. «Io penso che in un mondo democratico, tutti abbiano il diritto e il dovere di esprimere la propria opinione nei referendum per la procreazione assistita. Io sono per il si, naturalmente, come tutto il mondo scientifico. Se poi però vincesse il no, io mi inchinerò alla maggioranza senza riserve». «Credo — ha sottolineato ancora — che sapere come la pensa la gente è un dovere, mi sorprende che molti uomini politici invitino a non andare a votare. È una posizione antidemocratica, illiberale e un po’ arretrata, che apre le porte a qualsiasi dittatura del futuro». «La scienza corre a livello mondiale — ha concluso Veronesi, riferendosi all'ipotesi che i referendum non ottengano il quorum — gli altri Paesi la fanno correre, la fanno andare. Mi dispiace però se le donne italiane dovranno andare all'estero per fare ciò che qui non si può fare».

Il Mattino 16.5/05
Berlinguer: «Questo testo è peggio del nulla»
Maria Paola Milanesio

«A essere sbagliato è l’impianto della legge: una legge ideologica che tende ad affermare principi etici non dimostrati e non dimostrabili e che restringe la libertà di procreare». Giovanni Berlinguer, fino al 2000 presidente del comitato nazionale per la bioetica, è ora componente del comitato dell’Unesco. Uno dei punti cardini di questa legge è ”l’embrione è vita”. Che cosa dice la scienza? «La scienza sa quasi tutto sullo sviluppo dell’embrione, sa che dal momento della congiunzione del patrimonio genetico femminile e maschile c’è - fatto salvo il caso dei gemelli - un progetto unico e irripetibile di vita umana. Ma la scienza non può dire se l’embrione è o non è persona, e questo perché il concetto di persona è filosofico e per alcuni teologico. È un arbitrio chiedere una risposta alla scienza. Su questo concetto ci sono idee plurime e questa pluralità va rispettata, evitando di tradurre nelle leggi idee che non possono essere convalidate dalla scienza». La Chiesa e poi il presidente del Senato Marcello Pera hanno parlato di pseudoconcetti scientifici come pre-embrione, pre-vita. Che cosa risponde? «Non rispondo a obiezioni che pretendono di avere un fondamento filosofico unico. Ritengo che la tendenza a legiferare sulla base di principi filosofici o teologici che sono oggetto di discussione sia un arbitrio». Come giudica la legge che sarà sottoposta a referendum? «La considero molto restrittiva rispetto alle altre leggi europee e discriminatoria. Intanto, perché - come per l’aborto - chi ha soldi può rivolgersi all’estero. Pensi che all’aeroporto di Valencia, in Spagna, c’è un cartellone che dice ”Abbiamo contribuito più di tutti a incrementare il turismo”: è la pubblicità di un centro per la procreazione assistita. Il secondo motivo di discriminazione è di carattere biologico, perché chi ha problemi di sterilità, di malattie genetiche si vede vietare la possibilità di avere figli con la fecondazione eterologa. Un termine, tra l’altro, usato molto impropriamente, perché in biologia è eterologo un incrocio tra due specie animali diverse, mentre in questo caso si tratta di un legame di solidarietà della specie umana». Il comitato per il sì dice che astenersi è una furbizia, è un rifiutare lo scontro ad armi pari. Che cosa ne pensa? «È una scelta correttissima, per il referendum non c’è l’obbligo di voto. Ritengo che sia invece scorretto che la Chiesa cattolica interferisca nella vita dello Stato, perché in questo modo se ne cancella la laicità. L’Italia, comunque, è abbastanza libera da non subire interferenze da parte della Chiesa, tant’è che il referendum sull’aborto - approvato con il 51 per cento in Parlamento - venne convalidato dal 68 per cento degli elettori». Un leader politico è tenuto a dire come voterà? «Un leader continua a essere un uomo libero: si esprima se lo ritiene opportuno - Fini ha fatto una scelta chiarissima - o non lo faccia se non vuole. Non penso sia giusto premere sui leader perché dicano come intendono comportarsi». Meglio queste norme dell’assenza di regole? «Questo testo è peggio del nulla perché pone delle restrizioni arbitrarie».