giovedì 21 aprile 2005

novanta super educatori a Napoli

Il Mattino 21.4.05

Nascono a Napoli i nuovi esperti in problemi dell'adolescenza, un team di novanta super educatori per gestire una delle fasi più delicate del processo di formazione. Via libera infatti al bando di partecipazione al Corso di perfezionamento in Scienze della Formazione sul tema "L'adolescente e il suo mondo: dinamiche e interazioni", organizzato dall'Università Suor Orsola Benincasa e dall'Istituto per ricerche ed attività educative (Ipe). Si tratta di un pacchetto formativo ad alta specializzazione, due mesi di lezioni ed esercitazioni pratiche rivolte a neolaureati, docenti di scuola e università, educatori o assistenti sociali, responsabili di centro di orientamento regionali, funzionari di enti locali, dirigenti di imprese e di enti che operano nel sistema scuola e tutti coloro che intendono specializzarsi nel campo dell'orientamento e della gestione dei processi formativi. "L'obiettivo - spiega Sergio d'Ippolito, direttore organizzativo del corso - è di formare un nuovo profilo professionale ad alta competenza e specializzazione su un tema che ha grande impatto sociale. Le problematiche legate agli adolescenti e lo studio dei fenomeni adolescenziali rivestono infatti un ruolo di primo piano non solo nel sistema famiglia ma anche nel sistema sociale. L'ottica non è solo quella di gestire e prevenire devianze e piaghe sociali, non ultima la criminalità, che spesso sono legate proprio a problemi di crescita della persona, ma soprattutto quella di fornire a tutti coloro che sono impegnati in attività di orientamento con i giovani tutti quegli strumenti che permettano all'adolescente di assumere consapevolezza delle sue caratteristiche personali e di svilupparle in vista delle scelte dei suoi studi e delle sue attività professionali." I moduli didattici sono affidati a docenti universitari specialisti in diverse discipline, dalla letteratura alla psicologia, alla sociologia della comunicazione, dalla pedagogia dello studio alla didattica: l'area pedagogica sarà affidata a Giuseppe Fioravanti e Ornella De Sanctis, l'area psicologica ad Anna Maria Costa, Franco Poterzio e Antonello Persico; l'area didattica e linguistica a Silvia Zoppi e Riccardo Garbini; l'area delle nuove comunicazioni a Michele Crudele, Guido Vinelli, l'area storico-sociologica a Corrado Guerre, Tonino Ciuffi e Giovanni Turco. Il Comitato tecnico scientifico è composto dal prorettore del Suor Orsola Lucio D'Alessandro, insieme a Giuseppe Fioravanti, Sergio d'Ippolito e Maurizio Sibilio. Saranno accettate solo le prime 90 domande, che vanno presentate entro il 26 aprile.

dai sintomi psicosomatici alla depressione

Yahoo! Salute 31.4.05
Psichiatria, Psicologia e Neurologia, Il Pensiero Scientifico Editore
Bambini “psicosomatici”, dieci anni dopo
Antonella Sagone
Come cambia nel tempo la frequenza di sintomi psicosomatici nei bambini in età scolare? uno studio ha messo a confronto dati raccolti su due diversi gruppi di bambini a distanza di dieci anni, notando cambiamenti. La ricerca è descritta sulla rivista Pediatrics
I bambini somatizzano facilmente le tensioni e le difficoltà; la loro difficoltà a verbalizzare e mettere a fuoco chiaramente il disagio psicologico può portarli a esprimere attraverso il corpo ciò che non sanno esprimere bene con la parola. Mal di testa, dolori addominali o di altre localizzazioni, nausea e vomito sono fra i sintomi più comuni che possono colpire un bambino nell’età della scuola primaria. Indagare non solo la frequenza di queste manifestazioni, ma anche come si associano con quadri più prettamente psichiatrici può essere utile; come anche importante è essere consapevoli della diversa percezione che dello stesso problema può avere il genitore, l’insegnante e il bambino stesso.
In questo studio, i ricercatori hanno effettuato delle interviste sia ai bambini che ai loro genitori a proposito dei sintomi fisici di questi ultimi. I bambini, dell’età di otto anni, appartenevano a due gruppi: il primo intervistato nel 1989 e il secondo dieci anni dopo. Inoltre gli studiosi hanno richiesto anche la collaborazione degli insegnanti per la compilazione di due test per l’accertamento della depressione e di altri sintomi psichiatrici. Un dato emerso in entrambi i gruppi è stata la frequente difficoltà per i genitori di rilevare i problemi psicosomatici dei loro figli.
Frequenti mal di testa e dolori addominali sono emersi in tutti e due i gruppi, ma nel secondo erano più frequenti. Dieci anni dopo, inoltre, i sintomi psicosomatici sono risultati associati, oltre che con la depressione, anche con quadri di iperattività. Dai risultati si evidenzia l’importanza di sentire sempre anche la testimonianza diretta dei bambini quando si indagano problematiche di tipo psicosomatico, perché gli adulti non sempre sono in grado di notarle. Inoltre, emerge la necessità di effettuare sempre accertamenti a 360 gradi, indagando sugli aspetti somatici in presenza di problemi psicologici, e viceversa. I motivi dell’aumento di fenomeni psicosomatici, e delle variazioni nelle loro associazioni a sintomi psichiatrici, vanno indagati con ulteriori studi.

Fonte: Santalahti P, Aromaa M, Sourander A et al. Have there been changes in children’s psychosomatic symptoms? A 10-year comparison from Finland. Pediatrics 2005;115(4):e434-42.

altri sedicenti psicoterapeuti

Repubblica Salute 21.4.05
Le parole per dirlo: ma la cura è soltanto raccontare?
di Margherita Spagnuolo Lobb
(Presidente Fiap)

La psicoterapia è ormai un metodo di cura diffuso, a cui molti si rivolgono con risultati positivi. Oggi, nell'era post-moderna, continuiamo a riproporre la domanda: "Che cosa fa cambiare veramente le persone in psicoterapia?". Possiamo ancora dire, con Freud, un secolo dopo la fondazione della psicoanalisi, "tutto ciò che è Es deve diventare Io"?
Su questa domanda si interrogano trasversalmente tutti i metodi delle psicoterapie nel congresso della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia che oggi si apre a Siracusa. Il titolo, L'implicito e l'esplicito in psicoterapia, sottende la domanda: ciò che fa cambiare in psicoterapia è la "conoscenza relazionale esplicita", ossia il rendere dicibile ciò che non lo è, o è la "conoscenza relazionale implicita", ciò che avviene tra paziente e terapeuta nella sfera dell'indicibile?
Il discorso di apertura è affidato a Daniel Stern, che ha sempre lavorato nell'interfaccia tra la ricerca e la psicoterapia. Egli è arrivato alla conclusione che "la conoscenza implicita (mai verbalizzata) gioca un ruolo enorme nel cambiamento delle persone in psicoterapia". I teorici dello sviluppo ci chiariscono che alcune esperienze sono preverbali e appartengono ad un linguaggio senza parole. Le neuroscienze confermano, per esempio, con la scoperta dei neuroni specchio, che il nostro cervello è costruito per e dalla relazione, che abbiamo capacità innate di stare in relazione in modi non verbali.
Il tema del congresso ha a che fare, dunque, con il rapporto tra il disagio psichico e la parola. Il dettato di Freud sottendeva l'idea che il disturbo psicologico è determinato dal suo essere inaccessibile alla coscienza, e quindi al controllo della ragione. Ne conseguiva che il principale metodo di cura fosse l'interpretazione.
Nonostante i cambiamenti culturali che hanno attraversato la psicoterapia, questa idea rappresenta ancora l'anima centrale della prassi di tutte le psicoterapie. Tutti gli approcci, compresi quelli che pongono al centro del loro metodo il non verbale o gli aspetti processuali della relazione, necessitano di un'evoluzione sull'uso terapeutico della comunicazione relazionale implicita. La tesi della cura come dicibilità, come narrazione, si basa sul presupposto che il disturbo risiede nel non detto. Il rendere dicibile l'esperienza da cui è scaturito lo restituisce alla relazione, attraverso il canale delle parole. Ma è solo questo, il non dicibile, di cui si occupa la relazione terapeutica? O altro? La tachicardia durante un attacco di panico, per esempio. Perfino nella relazione terapeutica, terapeuta e paziente "si annusano" fino a decidere quanto sono "fatti l'uno per l'altro". La "cura" non consiste nell'aiutare il paziente a capire e controllare, ma a vivere pienamente rispettando la propria innata capacità di regolarsi nella relazione, e non solo a livello verbale.
Il secondo congresso della psicoterapia italiana affronta dunque un tema scientifico centrale: non c'è da meravigliarsi, dato che la formazione in psicoterapia in Italia è tra le più qualificate nel mondo. La nostra legge (laborioso compromesso tra il mondo accademico, medico e psicoterapico) se da una parte è criticata nel resto d'Europa per il fatto che consente l'accesso alla psicoterapia solo a medici e psicologi, dall'altra garantisce gli standard formativi più rigorosi. Il doppio canale pubblico e privato nella formazione crea un clima di apertura mentale e libertà di scelta. Il prossimo passo, per la professione, è sicuramente la costruzione di una legge europea sulla psicoterapia, necessaria sia per la libera circolazione dei professionisti europei e per il dialogo scientifico tra di essi.

Repubblica Salute 21.4.05
Psicoterapia al gran consulto
A Siracusa, da oggi al 24, il Congresso delle Associazioni: obiettivo Europa
(m. pag.)

ORIENTARSI nel panorama delle psicoterapie per una paziente è assai complesso. Rogersiani, lacaniani, freudiani, junghiani, reichiani, gestaltisti, analisti transazionali, cognitivisti, comportamentisti, adleriani e via di seguito, per non parlare di terapie familiari, di coppia, di gruppo, per adolescenti, infantile. L'occasione di un dialogo scientifico e di prospettiva (la richiesta di un riconoscimento europeo) è il secondo congresso della Federazione italiana delle Associazioni di Psicoterapia (Fiap) in collaborazione con il Coordinamento delle Scuole di Psicoterapia (Cnsp) (Siracusa, 21-24; www.gestalt.it/fiap). Diversi approcci (sfiorano le 200, in Italia, le scuole di formazione riconosciute, riconducibili ad una sessantina di associazioni) che si rifanno alla "Dichiarazione di Strasburgo sulla Psicoterapia" del 1990: disciplina scientifica indipendente; formazione scientifica avanzata sulla base di qualifiche preliminari (soprattutto nelle scienze umani e sociali, dice il testo) e che comprende teoria, esperienza su di sé, supervisione. Nell'interrogarsi sulla professione, gli psicoterapeuti italiani hanno scelto il tema dell'esplicito e implicito (vedi qui sotto), con interventi di ricercatori, teorici e clinici, come Daniel Stern, Giovanni Liotti, Massimo Ammaniti, Bruno Callieri; con workshop e tavole rotonde (Leonardo Ancona, Camilllo Loriedo, Maurizio Andolfi, Rodolfo De Bernart, Paolo Migone, Gabriele Chiari, Alberto Zucconi e altri), si svilupperà un confronto tra approcci diversi nella terapia, riflessioni sul concetto di inconscio, questioni etiche, formazione, informazione.

la necrofilia di Derrida

L'Unità 21 Aprile 2005
Un libro raccoglie le orazioni funebri del filosofo per celebri amici morti: da Roland Barthes a Michel Foucault, da Gilles Deleuze a Emmanuel Lévinas
Derrida, la corrispondenza d’amorosi sensi con la morte
Beppe Sebaste

Nelle orecchie avevo ancora il panegirico del Papa che «ci guarda dall’alto», (come ha detto il nuovo Papa), mentre rileggevo la traduzione italiana dell’«ultimo libro» di Jacques Derrida, raccolta di orazioni funebri per gli amici morti: Ogni volta unica, la fine del mondo. I morti sono scrittori e filosofi illustri, da Roland Barthes a Michel Foucault, da Louis Althusser a Maurice Blanchot, da Gilles Deleuze a Emmanuel Lévinas, ecc., e comunque amici, il dialogo coi quali è divenuto monologo senza risposta, ad-Dio.
Parlare dei morti, coi morti, è il cuore stesso della letteratura, anzi della scrittura, la quale - Derrida lo ha insegnato lungo tutta la sua vita - è irriducibilmente testamentaria, e attesta in primo luogo la mortalità (l’assenza) di chi scrive, così come di chi legge. Se questa «pubblicità» della morte è uno dei motivi per cui Platone avversava la scrittura, analogamente è il suo ostentare la trasformazione della carne in verbo, e del Verbo in carne, l’essenza religiosa, giudaico-cristiana, della parola scritta, morte e risurrezione malgrado tutto. Torna in mente poi quel testo molto bello in cui Jean Genet racconta la visita all’atelier di Alberto Giacometti, e gli confida di voler scrivere, da sempre, per i morti. Al che Giacometti esclama: anch’io ho sempre avuto il desiderio di seppellire le mie sculture, per offrirle ai defunti.
I testi «in morte» di Derrida si affacciamo su questo bordo dell’apostrofe estrema, dove silenzio e parola potrebbero finalmente diventare sinonimi. Potrebbero. Il fatto è che, presi singolarmente, questi scritti di circostanza di Derrida (mai formula suona più appropriata), sono «ogni volta unica» un’intensa lettura, una dedica appropriata e commossa che dà al lettore più di quanto promette. Ma la raccolta di questi testi non fa un bel libro. L’hanno voluta e curata due suoi allievi, Pascale-Anne Brault e Michael Naas, rispettivamente francese e americano. Il risultato, involutivo rispetto ad altri testi dell’autore - innumerevoli quelli già dedicati alla morte, al lutto, perfino alla «propria morte» - produce claustrofobia per i suoi effetti ripetetivi e autoreferenziali, per il suo avvilupparsi nella lingua e nella firma di superstite, di testimone che sa bene che la testimonianza non è mai integrale, mai completa, mai esente dall’autobiografia, ma neppure mai abbastanza abbandonata in essa. Il tono è a volte quello della sua Circonfessione (1991), lamento funebre al capezzale della madre morente, e insieme meditazione su sant’Agostino: «Piango come i miei figli sul bordo della mia tomba», scriveva a un certo punto Derrida palesando l’iterabilità e la concatenazione del dolore e del lutto. Ma la fine di un mondo - la morte dell’individuo, dell’amico o la propria - non è la fine del mondo. È questa pretesa apocalissi - proprio mentre da decenni i matematici formalizzano l’ossimoro di «catastrofi lievi» per dire le «trasformazioni» in natura - a far franare un’opera che nel portare il linguaggio e il pensiero agli estremi limiti ha dato il meglio di sé - e il meglio della filosofia. Forse questi limiti sono stati raggiunti (da cui il senso di virtuosismo di certe pagine di Derrida), e l’intensità estrema come progetto della lingua suggerisce altre vie - estasi, uscite - all’espressione della consapevolezza; e forse quindi tra filosofia e letteratura ogni pretesa differenza va ormai deposta. Forse, infine, dietro le ideologiche formule dette da altri, quali «fine della storia», qualcosa di vero c’è, che coincide con lo scoprire, come mai prima di questa nostra epoca, che la propria morte di individui non ha redenzione né consolazione alcuna, né storica né palingenetica, né tantomeno dello «spirito vivente»; ovvero che l’autocoscienza più o meno hegeliana, quel dire e dirsi «io» (il fono-logo-centrismo, lo chiamava decenni fa Derrida) cessa e si estingue con la propria morte. Il senso di claustrofobia di cui parlo sopra è analogo allora a quello che nella vita politica (ma esiste una vita che non sia politica?) produce la variegata follia del pensiero dell’immunità, opposto a quello di comunità. A meno che non sia proprio «politica» la distrazione più grande, il rinvio, la «differAnza», scriveva Derrida. Vale in questo ambito, Derrida, ancora una volta, lo insegna, il pensiero del sopravvivere, sempre. Che fare, che dire allora in occasione della morte degli amici (poiché, illusoriamente, «sono sempre gli altri che muoiono», come scrisse Marcel Duchamp sulla propria tomba)?
Prendere sul serio la dedica e la morte, secondo Derrida è coniugare alla «politica dell’amicizia» una «politica del lutto». In queste parole, del resto, si riassume l’intera tradizione del pensiero occidentale. Viene in mente quella parola intensa, il verbo salutare, che nel Duecento, come attesta la poesia e in particolare Dante nella Vita nuova, era gravida di sensi. Oltre al saluto si intendeva infatti la salute e la salvezza (dell’anima) - il che giustifica la serietà assorta dell’amata «quand’ella altrui saluta». L’apertura del saluto dice la sacralità della relazione etica, l’epifania del volto del prossimo dinnanzi al quale «non possiamo più potere» (Lévinas), solo testimoniare. Che sia possibile coinvolgere i morti in questo gesto di saluto, salute e salvezza, lo mostrano i riti e i culti, nonché il fatto stesso di scrivere, citando i nomi dei morti che ci guardano, che ci riguardano (chissà se dall’alto, dal basso, da dentro o da tutt’intorno). Che la si chiami «social catena» (con Leopardi), o «corrispondenza d’amorosi sensi», è un dialogo che l’interiorizzazione del lutto costituisce in memoria. Parlare coi morti, dei morti, significa ricordare. E ricordare è la colla che tiene insieme il mondo.

Sandor Ferenczi

L'Unità 21 Aprile 2005
Sandor Ferenczi e «Papà» Freud
Valeria Viganò

Come sono complesse le relazioni umane e nello stesso tempo come sono ripetitive nelle loro dinamiche. E chi ha tentato più di ogni altro di spiegarne turbamenti, retropensieri, pulsioni inconsce non ne è stato mai esente, in comunanza e in lotta con i compagni ideali che cercavano di spiegare l’animo umano e la sua evoluzione. In questo senso la corrispondenza tra Sigmund Freud e l’amico, collega Sandor Ferenczi illustra meglio di parecchi saggi il lungo percorso intrapreso dalla psicoanalisi, i suoi cambiamenti esterni e interni, le modalità di confronto spesso inevitabilmente aspro tra il fondatore e i suoi seguaci, a tutti gli effetti tra il Grande Padre e i suoi Figli. Tutti loro, prima del tempo di internet, si scambiavano indefessamente lettere giornaliere in cui teoria e pratica si mescolavano in un connubio strettissimo di elaborazioni interpretative di una scienza e di intrecci assolutamente personali e intimi, fatti di tradimenti, delusioni, ripicche, affidamento.
Freud e Ferenczi si scrissero dal 1908 fino alla morte del più giovane Ferenczi nel 1933. Sono stati già pubblicati i primi due volumi (in Italia se ne occupa Cortina Editore), e ora è appena uscito in Germania il terzo tomo delle lettere tra i due che copre gli anni dal 1925 al ’33 (Sigmund Freud - Sándor Ferenczi: Briefwechsel Band III/2: 1925 bis 1933, a cura di von Ernst Falzeder, Eva Brabant, Patrizia Giampieri-Deutsch, Böhlau Verlag, 2005, pp. 384, euro 47). Una frase dall’introduzione di Andrè Haynal, riportata fedelmente da Die Zeit che presenta il libro è esemplificativa: «la comunità psicanalitica ha avuto sempre molte difficoltà a guardare dritto in faccia la propria storia, con obbedienza cieca e in una ingannevole sicurezza ha preferito sempre un’eccessiva idealizzazione». Dentro la relazione quotidiana fatta di scrittura sono passate molte delle questioni su cui Freud e Ferenczi lavoravano insieme, ma, nello stesso tempo, essendo stato ripetutamente Ferenczi paziente di Freud, passava anche il potere, fischiava il vento dell’autorità e della conseguente condiscendenza contrapposto alle folate di desiderio di deresponsabilizzazione da un lato e autonomia dall’altro. Quando Ferenczi elabora e applica metodi discutibili rispetto alla prassi, Freud stesso lo percepisce come un legittimo desiderio di abbandonare la casa del padre salvo poi giudicarne negativamente i contenuti.
Freud sa che razionalmente si può rifiutare la figura genitoriale e sa anche che negli strati profondi dell’inconscio questo non è veramente possibile. I due sono amici, fanno viaggi insieme, ma è sempre Freud a comandare, sottilmente o insindacabilmente. Freud è un grande vecchio in quegli anni, non approva certo alcune prassi terapeutiche che prevedono abbracci e intimità con i pazienti, eppure nel caso Jung-Spielrein lascia cadere dall’alto l’assoluzione per il suo adepto. Le contraddizioni non mancano e nelle lettere emergono tutte, fino all’ultima cartolina che Ferenczi spedisce a Freud per il suo settantasettesimo compleanno. Appena dopo muore. Forse mai veramente liberato, nonostante la strenua lotta per la sua indipendenza di pensiero da quella figura enormemente presente. Ma almeno rigoroso e onesto con se stesso, infantile sì ma con tutta la passione della ribellione.
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Silvio Berlusconi

in prima pagina del Corriere della Sera di oggi

«per fortuna sono un uomo e non una donna»
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laici

La Stampa 21 Aprile 2005
UNA SFIDA ALL’EUROPA LAICA
di Gian Enrico Rusconi

PAPA Ratzinger imporrà una nuova intransigente chiarezza nel rapporto tra laici e cattolici in Europa. Ed è bene che sia così. Costringerà ad un confronto stringente sul piano intellettuale e politico, nei contenuti e nel metodo. Accettiamo la sfida ma rifiutiamo di identificare la laicità con la «dittatura del relativismo» o con l'elenco degli «ismi» che Ratzinger stesso ha ricordato nella sua omelia «pro eligendo pontifice». E rifiutiamo di vedere un'Europa «senza radici», in un quadro cupo dove la navicella della Chiesa è in procinto di affondare.
Il dotto neo-pontefice sembra cogliere dal pensiero e dalla politica dell'Occidente soltanto i tratti più pessimisti. Paradossalmente fa propria in modo esclusivo la diagnosi di quel pensiero post-moderno nichilista cui vuole contrapporsi. Invece fortunatamente la condizione spirituale dell'Europa è assai più ricca di contrasti e di valori e non corrisponde alla desolata descrizione che ne fa il neo-pontefice.

L'Europa laica attende un interlocutore rigoroso ma scrupolosamente attento alle buone ragioni di chi non la pensa come lui. Un interlocutore che, partendo dal principio della libertà di coscienza (valore «per diritto proprio» - come Ratzinger stesso ha scritto) su questioni controverse riconosca la piena dignità etica di ogni posizione. Non la squalifichi - neppure nella formula apparentemente benevola della comprensione per il «peccato».
Ma temo di chiedere troppo. Ancora mesi fa l'allora card. Ratzinger respingeva espressamente la tesi che la laicità possa fondarsi sul principio etsi deus non daretur («come se Dio non ci fosse»). E invitava polemicamente i laici a rovesciare la formula e a comportarsi «come se Dio esistesse» (parafrasando la scommessa di Pascal).
Ma questo invito si basa sull'equivoco che la formula «come se Dio non ci fosse» sia una subdola forma di ateismo, moralmente deresponsabilizzante. Invece è la rivendicazione dell'autonomia etica dell'uomo di fronte alle sue scelte.
Ma perché si deve mettere Dio come discriminante etica, quando si tratta di rapporti matrimoniali, sessuali e forme di famiglia? Per esse Ratzinger vede drammatiche minacce di «svuotamento della loro indissolubilità ad opera di forme facili di divorzio, mentre si va diffondendo la convivenza tra uomo e donna senza la forma giuridica del matrimonio». E nelle unioni omosessuali vede la «dissoluzione dell'immagine dell'uomo».
Con questi argomenti il Papa non può attendersi di essere ascoltato in Europa. Nessuno pretende che corregga la dottrina morale della Chiesa, ma che almeno non assuma atteggiamenti catastrofistici e moralmente squalificanti per chi ha prospettive etiche diverse. Il discorso si fa ancora più impegnativo sulle questioni bioetiche. «Il valore della dignità umana, precedente ad ogni agire e decisione politica, rinvia al Creatore. Soltanto Lui può stabilire valori che si fondano sull'essenza dell'uomo e che sono inviolabili».
Inutile dire che questa affermazione è incompatibile con la concezione laica che riconosce pari dignità etica ad ogni «visione della vita» e assegna alla deliberazione politica la decisione di legge. Su questo punto non c'è spazio per compromessi.
Mi chiedo come se la caveranno da noi i molti che sinora hanno usato la comoda formula «sono laico ma non laicista».

sinistra

La Stampa 21 Aprile 2005
LUNGA GIORNATA DI TRATTATIVE NEL CENTROSINISTRA PER DECIDERE COME SI SAREBBERO SVOLTE LE CONSULTAZIONI
Bertinotti non accetta la delegazione unica
Prodi al Colle a nome della Federazione. Da soli anche Pdci, Verdi e Udeur

ROMA. Alle sette della sera, tre ore dopo il discorso di Silvio Berlusconi al Senato, Romano Prodi convoca i giornalisti nel suo studio bolognese a Strada Maggiore e scaglia contro il Presidente del Consiglio l’accusa di rinverdire l’andreottismo: «Prendendo atto che è cambiato il quadro politico del Paese, Berlusconi ha dato le dimissioni anche se nel farlo ha espresso un unico concetto: la volontà di durare e di procedere ad un piccolo rimpasto». Riecheggiando una delle “massime” più famose della filosofia andreottiana («Meglio tirare a campare che tirare le cuoia»), Prodi intende dire che la maggioranza ha il respiro corto anche considerando quel che ha combinato finora: «Di rimpasti ne abbiamo già visti tanti: è cambiato due volte il ministro degli Esteri, quello dell’Interno e quello dell’Economia. Abbiamo “rimpastato” tutto ma l’attività del governo non ne ha tratto giovamento».
Ma l’esternazione prodiana ha seguito di ben tre ore il discorso del Presidente del Consiglio non soltanto per la necessità di affinare il messaggio, ma anche perché nel suo pomeriggio bolognese il Professore ha dovuto sbrigare l’ennesima querelle procedurale, una “specialità” dell’opposizione che stavolta si è però trasformata in un piccolo, emblematico caso politico. Già da due giorni sull’Unione aleggiava un problema: come presentarsi al Quirinale per le consultazioni previste in caso di crisi di governo? Si è subito scartata l’ipotesi di inviare delegazioni di partito perché in quel caso il Professore non avrebbe potuto partecipare. Il progetto al quale hanno lavorato subito Romano Prodi e Arturo Parisi è stato quella di salire sul Colle con un’unica delegazione dell’Unione, “capitanata” dal Professore, ai cui fianchi sarebbero apparsi i segretari dei nove partiti dell’opposizione: Ds, Margherita, Rifondazione, Sdi, Pdci, Verdi, Di Pietro, Udeur, Repubblicani europei.
Quella vagheggiata da Prodi era un’innovazione molto forte rispetto alla prassi consolidata che prevede (ma non obbliga) i diversi partiti a sfilare separati all’ufficio alla Vetrata del Quirinale. Un’innovazione che avrebbe costituito il primo esperimento - non necessariamente ripetibile ma certo innovativo - verso quel soggetto unico dell’opposizione che resta il sogno dei prodiano. Il capo dell’Unione ha avviato le sue “consultazioni”, ha raccolto il via libera di quasi tutti i partiti, ma a metà pomeriggio si è consumato un “giallo”. Gli uffici del Quirinale preposti ad accogliere le squadre indicate dai partiti per le consultazioni di oggi, avrebbero ricevuto un’indicazione di massima: l’opposizione si presenterà con un’unica delegazione guidata da Romano Prodi.
Una forzatura? Allo staff del Professore smentiscono energicamente, sta di fatto che appena saputa la notizia, Fausto Bertinotti, che non aveva ancora dato il suo benestare liberatorio alla delegazione “unica”, è saltato sulla sedia. Si è sentito con Prodi e gli ha spiegato che Rifondazione, anzitutto per rispetto della prassi costituzionale, intendeva salire al Qurinale con la propria delegazione. Dice Franco Giordano, capogruppo di Rifondazione alla Camera: «Il leale spirito di coalizione non è in discussione, ma essendo contrari al partito unico, alle consultazioni del Capo dello Stato abbiamo deciso di presentarci con una nostra delegazione». Prodi non ha insistito e a quel punto ha deciso la contromossa assieme a Piero Fassino, Francesco Rutelli, Enrico Boselli, Luciana Sbarbati: il Professore guiderà la delegazione della Federazione dell’Ulivo, il che consentirà agli altri partiti che non ne fanno parte (Rifondazione, Pdci, Verdi, Di Pietro, Udeur) di presentarsi separati. Sembrava finita ma Prodi ha aggiunto un po’ di sale: «Domani decideremo in un vertice a Roma come presentarci al Quirinale ma io farò le dichiarazioni a nome di tutti. Questa è la linea che io porto». Ma se Prodi parla a nome di tutti, Bertinotti esce e tace? «Ma no, concorderemo una linea comune - spiega Giordano - e a quel punto parleremo noi e poi parlerà Prodi. Senza problemi».

imputabilità

La Stampa 20 Aprile 2005
NELLE MARCHE, IN MANICOMIO PER 10 ANNI
Sterminò la famiglia
Assolto, «è pazzo»

ANCONA. Ha sterminato la famiglia e l’hanno assolto. Arduino Sgreccia, 46 anni, imprenditore edile, era convinto che l’unico sistema per «proteggere» i suoi cari dall’imminente rovina fosse quello di sterminarli e l’ha fatto.
Ma il giudice ha deciso di non condannarlo, è stato riconosciuto infermo, ma rimarrà comunque rinchiuso in un ospedale psichiatrico per almeno dieci anni.
All’alba del 13 marzo 2004 Sgreccia uccise a fucilate la moglie Cecilia Torcellini, 37 anni, e i figli Erika e Andrea, 11 e 7 anni, poi rivolse il fucile contro di sè e tentò il suicidio.
Accadde nella villa di famiglia a San Pietro in Musia di Arcevia, in provincia di Ancona. La strage era senz’altro dovuta alla follia, ha stabilito il perito Vittorio Volterra.
Sulla base della valutazione dello psichiatra il giudice per l’udienza preliminare, accogliendo le richieste del pubblico ministero, ha assolto Sgreccia riconoscendo la completa incapacità d’intendere e volere al momento dei fatti. Ha disposto una misura di sicurezza di dieci anni da scontare col ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario.
Nel momento in cui premette il grilletto, a giudizio del perito, Sgreccia aveva maturato la folle idea che i familiari stessero andando incontro a un non meglio definito disastro da cui lui avrebbe dovuto salvarli.
Una sindrome da rovina che poi lo portò a rivolgere contro se stesso il fucile e a premere il grilletto. Rimase in coma per molti giorni, poi si è progressivamente ripreso.
Oggi è rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia dove sconterà la misura di sicurezza. Ma tra dieci anni potrebe anche uscire, se i medici non valuteranno diversamente

mercoledì 20 aprile 2005

sul set di Marco Bellocchio

La Sicilia 20.4.05
Cinema
Donatella Finocchiaro sul set di Marco Bellocchio
L'attrice catanese scelta dal regista per il nuovo film girato tra Termini e Cefalù: «Il successo mi è piovuto dal cielo»
Aldo Librizzi

Roberta Torre, dopo averla vista recitare per la prima volta, ha subito sentenziato «questa è la mia attrice per Angela; ma lei - chiediamo a Donatella Finocchiaro, nelle settimane scorse nel palermitano, sul set del nuovo film di Marco Bellocchio girato in diverse zone della Sicilia - cosa aveva fatto prima, dove era come era entrata all'improvviso così prepotentemente dalla porta principale nel mondo del cinema? «Prima di allora – dice Donatella Finocchiaro – avevo preso una laurea in giurisprudenza non interamente utilizzata in quanto ho fatto pratica per qualche anno presso uno studio di avvocato. In realtà poi ho abbandonato tutto e mi sono iscritta ad una scuola di teatro.
Si può dire che la sua prima autentica maestra sul set sia stata Roberta Torre? Dopo il successo del film nel ruolo di Angela e le esaltanti critiche al festival di Cannes lei come ha preso il tutto?
«Devo sinceramente dire che mi è come caduto dal cielo un successo che non mi aspettavo e quindi ancora più gradito. Mi sono trovata improvvisamente proiettata nel mondo del cinema e del teatro; proprio in quel periodo ho sposato un attore e quindi allontanarsi dalla legge è stato quasi un obbligo per avvicinarmi al mondo dello spettacolo».
Il suo modo di recitare presenta i requisiti della naturalezza. Con questo recente film girato nei dintorni di Palermo ha fatto un grosso salto di qualità, è scesa alla corte di uno dei più famosi registi italiani, Marco Bellocchio.
«Si può senz'altro dire che Marco Bellocchio è uno dei pochi rimasti. In questi giorni abbiamo girato una scena abbastanza interessante e sono stata spremuta come un limone fino a quando non ha trovato la giusta impostazione. E' una persona che non si può prendere in giro possiede una grande e esperienza e sa già dove ti vuole condurre».
Come è stata scelta tra diverse partecipanti al ruolo?
«Abbiamo fatto un provino e poi una chiacchierata in cui mi ha detto che il ruolo di protagonista non era per me, perché cercava una ragazzina di vent'anni poi mi volle dopo alcuni mesi per un altro provino, già alla prima sortita mi disse delle belle cose sino a quando mi chiamò per il provino definitivo ed è andata! Castellitto come compagno di lavoro lo considero uno dei grandi attori italiani ed internazionali la prima volta che l'ho incontrato ero emozionata».
Lei che è di Catania, come considera questo lato della Sicilia?
«Conosco benissimo Palermo perché avevo dei parenti in questa città e poi in estate per diversi anni sono andata a fare i bagni a Cefalù».

neuroscienze

Il Sole 24ore 20.4.05 16.49
A Roma un Centro europeo per la ricerca sul cervello

Nasce a Roma il Centro europeo per la ricerca sul cervello, polo "integrato" d'eccellenza nel campo delle neuroscienze, con l'obiettivo dichiarato di promuovere il rientro dei ricercatori in italia e attrarre gli stranieri. E il premio Nobel Levi Montalcini definisce un "miracolo" dell'intesa tra pubblico e privato il Centro a cui partecipano Cnr, Fondazione Ebri, Fondazione Santa Lucia.

Alla cerimonia, svoltasi stamane nel complesso di Prato Smeraldo hanno partecipato tra gli altri i ministri dell'Istruzione, Letizia Moratti, e della Salute, Girolamo Sirchia, il neo-presidente della Regione Lazio,
Piero Marrazzo, il sindaco di Roma, Walter Veltroni, insieme al presidente del Cnr, Fabio Pistella, al presidente della Fondazione Ebri, Rita Levi Montalcini.

"Ricerca d'avanguardia per sconfiggere le malattie invalidanti e un eccellente esempio di cooperazione pubblico-privato", ha definito la nuova iniziativa il ministro Moratti, presentando l'European brain research, che, ha aggiunto, racchiude "la presenza di risorse umane di altissima qualità, la confluenza di ricercatori su tematiche di grande interesse e attualità, con il contributo attivo di scienziati di livello internazionale e la disponibilità di risorse e competenze sia pubbliche che private".

"Sono questi - ha detto ancora Moratti - i quattro ingredienti essenziali che potranno assicurare il successo di un'iniziativa ambiziosa come il nuovo polo di ricerca integrato sulle neuroscienze, che si deve innanzitutto all'impegno e alla leadership della professoressa Rita Levi Montalcini". Che, peraltro, all'Ebri ha festeggiato il suo novantaseiesimo compleanno, commentando ironicamente: "Sono felice di essere tra i viventi a poco meno di un secolo di vita". Il premio Nobel, riporta una nota del Cnr, ha poi ricostruito le fasi dell'ideazione dell'istituto da lei ipotizzato nel 2001 e ringraziato tutti coloro che hanno contribuito a realizzare quello che ha definito un "miracolo".

Il polo della ricerca sulle neuroscienze nasce su una struttura di circa 25mila metri quadrati, di cui parte già utilizzati dai laboratori dell'Ebri e dalla Fondazione Santa Lucia. In particolare, l'accordo prevede che per le spese connesse alla progettazione, realizzazione e attività dell'accordo, sia costituito un fondo speciale regionale, la cui dotazione è pari a 4 milioni 500mila euro, nel triennio 2005-2007, ripartiti equamente sui tre anni.

Il Cnr, la Fondazione Santa Lucia e la Fondazione Ebri mettono a disposizione dell'accordo i risultati dei propri progetti. In particolare, il Cnr sta trasferendo circa 90 fra ricercatori e tecnici, di alto livello scientifico. La Regione Lazio, attraverso la Filas Spa, ha messo a disposizione le competenze nella valutazione economica di progetti imprenditoriali innovativi, per promuovere e favorire la collaborazione e il trasferimento alle Pmi, anche tramite la promozione di spin-off da attività di ricerca. Inoltre, l'iniziativa punta a sviluppare collaborazioni con centri internazionali, allo scopo di promuovere il rientro di cervelli in italia e attrarre ricercatori stranieri.

il prof. Umberto Veronesi sulla legge 40

L'Unità 20 Aprile 2005
Fecondazione
Veronesi: legge ingiusta

«La grande speranza di ridurre drasticamente il tragico peso umano e sociale di 30 mila bambini che nascono ogni anno in Italia con gravi malformazioni viene vanificata» dalla legge sulla fecondazione assistita che nega le analisi preimpianto. Lo scrive Umberto Veronesi nella prefazione del volume che riunisce le riflessioni di otto giuristi e presentato ieri a Roma nella fondazione dell’oncologo. Secondo Veronesi la legge, vietando qualsiasi analisi di una cellula-uovo fecondata, nega uno dei maggiori progressi della medicina negli ultimi anni: «Pare che il legislatore ignori completamente il vero obiettivo della analisi preimpianto, che è quello di dare la possibilità a chi è portatore di una malattia genetica di non trasmetterla ai propri figli». All'incontro era presente il cardinale Tonini che ha detto: «Gli scienziati non si limitino a cercare solo di superare i confini della nuove ricerche, ma si pongano anche obiettivi etici».

dai mondi tolemaici
gatti e schizofrenia...

Yahoo! Salute 19.4.05
Il Pensiero Scientifico Editore
Psichiatria, Psicologia e Neurologia
Toxoplasmosi materna e rischio di schizofrenia
Antonella Sagone
È stata trovata una connessione fra la toxoplasmosi contratta in gravidanza e una maggiore frequenza di sintomi schizofrenici riscontrati nel figlio più avanti nella vita. Questo dato è stato presentato in un articolo comparso sulla rivista American Journal of Medicine.
La toxoplasmosi è una malattia causata da un parassita del gatto e di altri felini. Di decorso lieve e a volte senza sintomi negli adulti, può invece avere conseguenze serie se contratta dalla donna durante il secondo o terzo trimestre di gravidanza, in quanto il parassita può superare la barriera placentale e causare malformazioni neurologiche, calcificazioni intracraniche o danni alla retina del nascituro. In alcuni casi il neonato, asintomatico alla nascita, sviluppa dei sintomi dopo qualche settimana; in altri casi l’infezione resta senza alcuna conseguenza per il feto. Allo scopo di prevenire e combattere questo rischio, viene effettuato un test di controllo sugli anticorpi materni, ripetuto dopo qualche tempo durante la gravidanza per accertarsi che l’eventuale presenza di anticorpi segnali l’immunità acquisita in precedenza, piuttosto che un’infezione in atto. In caso di infezione durante la gravidanza, è opportuno sottoporsi a una terapia farmacologica appropriata.

I ricercatori hanno studiato un ampio campione di donne che avevano partorito fra il 1959 e il 1967, prendendo in esame i dati relativi agli anticorpi contro il toxoplasma. La risposta anticorpale è stata classificata nelle tre categorie di negativa, moderata e alta, indicando quest’ultima la probabile infezione in atto nel corso della gravidanza. alla luce di questi dati sono stati messi a confronto due gruppi di nati, 63 dei quali avevano in seguito sviluppato schizofrenia o altri disturbi dello spettro schizofrenico, a fronte di 123 soggetti con caratteristiche simili a quelle del primo gruppo, che non presentavano questi disturbi.

La presenza di un elevato tasso di anticorpi IgG materno è stato correlato a un maggior numero di casi di schizofrenia o di sintomatologie schizofreniche, mentre un tasso negativo o medio non ha mostrato alcuna correlazione. Gli autori ipotizzano due possibili spiegazioni per questo fenomeno: l’effetto diretto dell’infezione sul feto oppure quello dovuto agli anticorpi materni. La prevenzione di questa patologia tramite accurati screening rimane la pratica più importante per affrontare questo problema, mentre sarebbe opportuno ripetere lo studio per aggiungere ulteriore evidenza ai suoi risultati.

Fonte: Brown AS, Schaefer CA, Quesenberry CP. Materlan exposure to toxoplasmosis and the risk of schizophrenia in adult offspring. Am J Psichiatry 2005;162:767-73.

sinistra

Vittoria schiacciante del centrosinistra alle regionali in Basilicata e nei ballottaggi di Province e Comuni
L’Unione espugna anche Viterbo e Chieti
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scarafaggi

Le Scienze 19.04.2005
Uno scarafaggio chiamato Bush
Anche Darth Vader ha dato il nome a un coleottero

Forse il presidente degli Stati Uniti George Bush, il vice presidente Dick Cheney e il segretario della difesa Ronald Rumsfeld non vedranno mai una biblioteca, un aeroporto e un'autostrada intitolati con il proprio nome: ma nel frattempo, per ciascuno dei tre, ecco uno scarafaggio battezzato in loro onore.
Due ex entomologi della Cornell University, dovendo scegliere il nome per 65 nuove specie di coleottero, hanno battezzato tre insetti del genere Agathidium, finora completamente sconosciuti agli scienziati, con i nomi di membri dell'amministrazione Bush. Si tratta di A. Bush Miller e Wheeler, A. Cheney Miller e Wheeler e A. Rumsfeld Miller e Wheeler.
Quentin Wheeler e Kelly B. Miller hanno anche battezzato alcune delle nuove specie in onore delle proprie mogli (e di una ex-moglie!), di Pocahontas, di Hernan Cortez, degli Aztechi, del cattivo di "Guerre Stellari" Darth Vader ("che con A. vaderi condivide una grande testa lucente simile a un elmetto"), di Frances Fawcett (la loro illustratrice scientifica) e con parole greche e latine. Molti altri nomi scelti per gli insetti derivano da diverse località geografiche, come California, Georgia e alcuni stati messicani, oltre che dalle caratteristiche fisiche che li distinguono.
La decisione di dare il nome di Bush, Cheney e Rumsfeld a tre coleotteri, spiegano però gli entomologi, non ha niente a che fare con le caratteristiche fisiche degli insetti ma è un omaggio ai leader degli Stati Uniti. "Ammiriamo questi uomini che hanno il coraggio delle proprie convinzioni - ha affermato Wheeler, che ha insegnato entomologia alla Cornell per 24 anni, fino allo scorso ottobre - e che talvolta si rendono impopolari pur di difendere i principi della libertà e della democrazia".
Coloro che desiderassero catturare un esemplare dei tre coleotteri, dovranno recarsi nel sud dell'Ohio, nel North Carolina e in Virgina per Agathidium bushi; in Messico (Oaxaca e Hidalgo) per Agathidium rumsfeldi; in Messico (Chiapas) per Agathidium cheneyi. Le nuove specie sono state descritte sul numero del 24 marzo 2005 della rivista "Bulletin of the American Museum of Natural History".

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Emanuele Severino e Benedetto XVI

Corriere della sera 19.4.05
«Il relativismo è una tempesta
e porterà alla morte degli eterni»

Ieri mattina , durante la messa «Pro eligendo Romano Pontifice», l’omelia pronunciata dal cardinale Joseph Ratzinger era di carattere filosofico oltre che teologico, puntando l’indice contro i «venti di dottrina che abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni». Il decano del Sacro Collegio ha preso netta posizione contro le numerose correnti ideologiche e le «mode del pensiero» che hanno agitato «la piccola barca» di molti cristiani. In particolare, ha condannato senza mezzi termini «la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura soltanto il proprio io e le sue voglie». Un discorso che riguarda indubbiamente la fede ma che investe, come dicevamo, anche l’ambito della filosofia contemporanea. Per questo, abbiamo rivolto alcune domande a Emanuele Severino, uno dei maestri del nostro tempo.
Professor Severino, che cos’è oggi il relativismo?
«Quando si parla di relativismo ci si riferisce alla filosofia. E la Chiesa va innanzitutto ammirata perché anche in questa occasione, attraverso le parole di Ratzinger, mostra la propria capacità di capire il carattere decisivo della filosofia nella storia dell’uomo. Dopo la fine dell’Urss, con le ovvie differenze di impostazione, la Chiesa è rimasta l’unica istituzione planetaria a valorizzare questo carattere».
Ma Ratzinger condanna il relativismo?
«Da decenni vado dicendo che la Chiesa sottovaluta la potenza del pensiero filosofico del nostro tempo e lo riduce, appunto, a semplice relativismo. Non riesce a scorgere la potenza concettuale che sta alla radice del relativismo e delle altre forme del pensiero contemporaneo».
Il cardinale ha parlato di «dittatura del relativismo» che non riconosce nulla come definitivo...
«Non si tratta di dittatura ma dell’invincibilità del pensiero del nostro tempo, che non è semplice scetticismo ingenuo e nemmeno semplice negazione dogmatica della verità, dell’etica e della realtà assolute».
Perché invincibilità?
«L’invincibilità è tale soltanto rispetto alla grande tradizione culturale dell’Occidente. Questo discorso invincibile lo si può sommariamente indicare così. Se esiste una verità eterna o un essere eterno, essi sono presenti ovunque: ora, nel passato, nel futuro; e in questo modo essi riempiono ogni vuoto, ovvero quello che deve esistere affinché ci possa essere divenire e storia».
Che cosa intende, professore, con queste due ultime parole?
«Mi riferisco ai processi che vanno via via riempiendo e producendo vuoti, creando e annientando».
E allora?
«Ma riempiendo ogni vuoto, allora l’eterno cancella proprio quel divenire storico, che anche per la tradizione è l’evidenza suprema. Si evoca Dio per fondare, illuminare, salvare il divenire che sta dinanzi agli occhi. Concludendo, il discorso invincibile mostra che se c’è un eterno non ci può essere il mondo».
Mi sembra che Ratzinger condanni il vento che condiziona ogni giorno le dottrine in cui il mondo di oggi crede...
«Non si tratta di un vento, o si può parlare così soltanto in relazione alla superficie degli eventi. È una tempesta quella che porta invincibilmente alla morte degli eterni e di Dio».
E la verità in cui crede il cristiano?
«Tutto il discorso di Ratzinger è rigoroso e ripropone, anche a proposito del relativismo, una tematica ricorrente nelle encicliche e nei documenti ufficiali della Chiesa degli ultimi decenni. Ma la verità del cristianesimo è fede, e cioè è volontà che il mondo abbia un senso piuttosto che altri, i quali avrebbero lo stesso diritto di farsi valere. Questo fatto porta la fede in una pericolosa vicinanza alla volontà di potenza e alla violenza. Naturalmente al di là delle intenzioni, quasi sempre molto nobili, degli uomini di Chiesa».
Ma senza la fede, parafrasando l’omelia di Ratzinger, che cosa rimane all’uomo?
«Indubbiamente l’uomo non può vivere senza una fede, così come è difficile sopravvivere senza ingannare. La necessità della fede non significa la sua verità, inoltre si fa avanti una fede più forte di quella religiosa: le montagne sono mosse ormai sempre più dalla fede nella tecnica».
Ratzinger condanna il relativismo perché le cose e i valori di cui è portatore scompaiono presto...
«La Chiesa e tutta la nostra cultura affermano l’annientamento delle cose del mondo. Su questa persuasione, che è l’autentico omicidio ed enticidio originario, è inevitabile che si arrivi alla morte degli eterni e di Dio. Ma la follia più radicale sta proprio in quella persuasione che identifica le cose e il nulla, sicché la non-follia è l’apparire dell’eternità di ogni situazione, stato, istante del mondo. Il pensiero di Spinoza appartiene a quella follia, ma possiamo servirci di una sua grande affermazione che si legge nell’ Etica : "Sentimus experimurque nos aeternos esse", ossia: "Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni". Ma l’eternità autentica non è quella di un padrone, creatore, demiurgo che domina le creature e il divenire».

l'orecchio interno

Le Scienze 18.04.2005
La rapidità dell'orecchio interno
Le cellule specializzate lavorano in modo da accelerare i segnali

Per interpretare le cadenze del linguaggio umano, è necessario che l'informazione sia trasmessa dall'orecchio al cervello con una sincronizzazione estremamente precisa. In generale i neuroni non perdono certo tempo a trasmettere i segnali, ma quelli specializzati presenti nell'orecchio interno (le cosiddette cellule ciliate) lavorano a un ritmo ancora più elevato. Due studi pubblicati sulla rivista "Nature" offrono ora nuovi indizi sull'origine della rapidità di risposta di queste cellule.
I neuroni immagazzinano i neurotrasmettitori, le molecole che consentono le comunicazioni, all'interno di piccoli compartimenti della membrana chiamati vescicole sinaptiche. Se stimolate, le vescicole si fondono con la membrana esterna del neurone e liberano i neurotrasmettitori che eccitano il neurone successivo. Durante la segnalazione, i neuroni devono costantemente rifornire la propria dotazione di vescicole. La maggior parte di essi produce nuove vescicole usando pezzi di membrana cellulare riciclata, un processo piuttosto lento.
Il fisiologo Claudius Griesinger dell'University College di Londra e colleghi hanno scoperto che le cellule ciliate accelerano questo processo producendo vescicole da zero e conservandole nel citoplasma, anziché raccoglierle dalla membrana. Le vescicole già formate vengono poi inviate al nastro presinaptico, una struttura che organizza le vescicole vicino al luogo del loro rilascio. Questa differenza aiuta a mantenere una riserva apparentemente inesauribile di vescicole e a sostenere un tasso di rilascio cento volte superiore di quello di un neurone convenzionale. Un secondo studio, di Tobias Moser dell'Università di Gottinga e colleghi, suggerisce che i nastri consentono la liberazione in parallelo di più vescicole alla volta.

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Sonno infantile e sonno adulto

Le Scienze 19.04.2005
Sonno infantile e sonno adulto
Non ci sono differenze significative fra i rispettivi meccanismi neurali

Il sonno è assolutamente essenziale per il benessere di un individuo. Eppure la sua funzione precisa è tutt'altro che chiara. Circa quarant'anni fa, i ricercatori Howard Roffwang e William Dement scoprirono che i neonati trascorrono molto più tempo in fase REM - la fase maggiormente associata ai sogni - rispetto agli adulti, e dunque ipotizzarono che il sonno REM svolgesse un ruolo nello sviluppo del sistema nervoso centrale. Questa ipotesi si basa però su una differenza significativa fra i meccanismi neurali del sonno infantile e quelli del sonno degli adulti, che allora i ricercatori non avevano potuto accertare.
In uno studio pubblicato sulla rivista "PLoS Biology", Karl Karlsson, Mark Blumberg e colleghi dell'Università dell’Iowa hanno affrontato le difficoltà tecniche legate allo studio del minuscolo cervello dei neonati per analizzare l'attività neurale associata al sonno infantile. Usando tecniche che vanno dalla registrazione neurale al tracciamento anatomico alle microlesioni, i ricercatori hanno dimostrato che il sonno attivo di topi vecchi di una settimana presenta forti rassomiglianze con le definizioni convenzionali di sonno adulto. Inoltre, i meccanismi neurali alla base del sonno infantile contengono le componenti primarie del sonno adulto.
I risultati mostrano dunque che lo sviluppo del sonno si basa su componenti elementari già presenti subito dopo la nascita. Se i meccanismi neurali del sonno infantile e di quello adulto fossero interamente differenti, allora il sonno nell'infanzia e nell'età adulta servirebbe a scopi differenti. Lo studio suggerisce invece una continuità di sviluppo fra i due stati.

K.A.E. Karlsson, A.J. Gall, E.J. Mohns, A.M.H. Seelke, M.S. Blumberg, "The neural substrates of infant sleep in rats". PLoS Biology 3(5): e143 (2005).

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"Vedere la Scienza", a Torino

La Stampa TuttoScienze 20.4.05
Fermi, Rubbia & C. sul grande schermo
A TORINO DAL 26 AL 30 APRILE IL CICLO DI FILM «VEDERE LA SCIENZA» PER L’ANNO DELLA FISICA
Pino Zappalà

DOPO Milano, arriva per la prima volta a Torino, dal 26 al 30 aprile, "Vedere la Scienza", una rassegna di cinema scientifico con grandi documentari ma anche grande cinema. Promossa da Facoltà di Scienze, Infn e CentroScienza, con la collaborazione del Museo del Cinema e il supporto di Comune e Provincia di Torino, Regione, Conscientia, Fondazione Cineteca Italiana, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT, la manifestazione è dedicata alla fisica del XX Secolo con protagonisti come Einstein, Fermi e Rubbia (ma anche Kubrick). Si inizia martedì 26 (alle 10 per le scuole e alle 16,30 per tutti) con "L'ultima Particella" (premiato a Téléscience 2003 in Canada) di Michel Andrieu, che cerca di rispondere a una domanda che assilla l'umanità almeno dai tempi di Democrito: di che è fatta la materia? La particella a cui allude il titolo è il bosone di Higgs, detta anche la "particella di Dio". Segue "Il sogno di Einstein" della serie "L'universo elegante" di Joseph McMaster e Julia Cort, tratto dall'omonimo libro di Brian Greene che ci introduce alla ricerca della Teoria del Tutto, il sogno - irrealizzato - di Einstein. Nell'attesa di una soluzione definitiva, Greene ci invita a bere un drink nello spassoso "Quantum Cafè" (Grand Prix al XXI Festival Image et Science in Francia). Alle sera alle nove per tutti, si passa alla finzione intelligente con "2001: Odissea nello spazio", il leggendario film di Stanley Kubrick tratto da un racconto di Arthur C. Clarke. Mercoledì 27, ore 10 e 16,30, The "Geneva Event", una coproduzione svizzero-britannica, narra dello straordinario esperimento svolto al CERN nei primi Anni 80 che valse il premio Nobel Carlo Rubbia e Simon Van der Meer. L'esperimento rivelò l'esistenza di due particelle subatomiche fondamentali, i bosoni W e Z zero, permettendo di unificare due delle forze esistenti in natura, quella elettromagnetica e l'interazione debole. Ancora il CERN protagonista con "Le Cattedrali della Scienza" che racconta cinquant'anni del centro di fisica delle particelle europeo fino al nuovo acceleratore LHC, che nel 2007 sarà il più potente del mondo. Alle sera a spasso nel cosmo sull'Enterprise con il dottor Spock di "Star Trek" che ci proietterà nella fisica forse un po' troppo visionaria del XXIII secolo. Giovedì 28 aprile si torna alla frontiera della fisica attuale, quella delle «stringhe», con altri due episodi della serie "L'Universo Elegante". Venerdì 29, "Longitudine" di Peter Jones, tratto dal libro di Dava Sobel. Il film narra di John Harrison, che si dedicò completamente alla costruzione di orologi sempre più precisi per vincere la sfida per la corretta determinazione della longitudine. Il programma è completato con "Nano: la prossima dimensione" di Pierre Oscar Lévy, con cui si entra in un universo nel quale tutti i fenomeni si misurano in miliardesimi di metro. Tutta italiana l'ultima giornata della rassegna. Un documentario del 1962 apre al mattino, "Chicago, 2 dicembre 1942" di Antonio Ghirelli e Maurizio Barendson, la rievocazione di Fermi, dagli esordi a Via Panisperna, al Nobel in Svezia, fino agli Stati Uniti, dove lavora al progetto atomico. Il 2 dicembre 1942 è il giorno nel quale Fermi e i suoi collaboratori riescono a ottenere la prima reazione a catena, una data cruciale per la fisica e la storia del Novecento. Si prosegue con il francese "Galileo, Messaggero delle Stelle" di Jean-Claude Lubtchansky, la rievocazione delle tappe più importanti del grande scienziato nei luoghi in cui ha vissuto: a Pisa come studente di medicina che scopre la periodicità del pendolo, a Firenze dove si dedica alla matematica, a Padova e infine a Roma dove deve fare i conti con il dogmatismo dell'inquisizione. Alla sera si ritorna a Fermi con "I Ragazzi di Via Panisperna" il film di Gianni Amelio che narra la straordinaria esperienza di un gruppo di giovani scienziati di grande impegno e talento (Majorana, Pontecorvo, Amaldi, Segré, Wick), sotto la guida del grande maestro. Ogni film sarà presentato da fisici ed esperti. Le proiezioni mattutine sono riservate alle scuole, con prenotazione allo 011-670.7921. Le proiezioni si svolgono al Cinema Massimo, via Verdi 18, Torino, tel 011-812.5606. L’intero programma con gli approfondimenti è consultabile partendo da www.centroscienza.it

martedì 19 aprile 2005

DALLA LIBRERIA AMORE E PSICHE

potrete trovare qui da noi

il dvd del film di Massimo Fagioli

‘La psichiatria esiste?’

il dvd è disponibile anche a Firenze
come sempre da STRATAGEMMA

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è uscito anche, ed è disponibile qui da noi


"Argomenti di psicopatologia dell’adolescenza"

a cura di Anna Maria Zulli

Libreria dell’Università Editrice, Pescara 2004

Il volume raccoglie una serie di seminari svoltisi presso la facoltà di psicologia dell’università "G.D’Annunzio" di Chieti nel 2004 sulla psicopatologia dell’adolescenza e contiene i contributi di Anna Maria Zulli, Annelore Homberg, Ester Stocco, Maria Pia Albrizio, Giovanni Del Missier
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Libreria Amore e Psiche
via s. caterina da siena, 61 roma
info:06/6783908 amorepsiche2003@libero.it
i nostri orari: lunedi 15-20
dal martedi alla domenica 10-20
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