venerdì 24 giugno 2005

il relativismo di Giulio Giorello
«Di nessuna chiesa»

Corriere della Sera 24.6.05
Nel pamphlet «Di nessuna chiesa» l’epistemologo critica le tesi di Benedetto XVI e di Marcello Pera
In nome dell’Illuminismo
Per il filosofo laico anche Dio è relativista
di PIERLUIGI PANZA

Il titolo, Di nessuna chiesa. La libertà del laico, richiama da subito il pasoliniano non sentirsi legato a «nessuna delle religioni che nella vita stanno... istituite a ingannare la luce, a dar luce all'inganno». Il testo è un pamphlet sul laicismo - inteso non come ateismo ma come esperienza di libertà - scritto da Giulio Giorello, filosofo che «senza se» e «senza ma» si è espresso a favore dei «sì» ai referendum, degli Ogm e contro le critiche di Benedetto XVI e del collega Marcello Pera al «relativismo». La «luce», naturalmente, è quella dell’Illuminismo o, meglio, del «fallibilismo» di Peirce e Popper. Giorello ha scritto un libro per chiamare i laici a una controcrociata: «Laici, basta difendersi, è tempo di attaccare», dice. Ma contro chi? «Contro l’assolutismo, che è l’opposto del relativismo. Il relativismo - spiega - non si oppone all’oggettività o alla verità scientifica, ma all’assolutismo. E nella storia umana, i disastri li hanno fatti sempre gli assolutismi e i fondamentalismi. Anche la chiesa, con l’apparato repressivo della Controriforma. Solo liberandosi dalla Controriforma è nata l’Europa moderna e democratica».
La sua tesi è di un «illuminismo estremo»: il vero peccato, anche per le religioni, non sarebbe il relativismo, bensì l’assolutismo. E per dimostrare che la religione «deve essere relativista» Giorello muove da un passo biblico: «Lo Spirito soffia dove vuole». Che cosa vuol dire questo? «Vuol dire che lo Spirito soffia al di sopra di qualsiasi fondamento. L’assolutismo è un peccato contro lo spirito: è ostile all’autentico pensiero cristiano, ebraico e islamico». Insomma, per Giorello, ogni Dio è relativista.
Il filosofo cerca di dimostrarlo dall’interno, partendo dalla storia della chiesa. «I primi esempi di società aperta si realizzarono in Inghilterra quando i rappresentanti delle varie chiese incominciarono a pensare che la loro forma di vita fosse una delle vie possibili da seguire, e non la via, la verità. Così si fondarono le società aperte» e, come conseguenza, la possibilità di una cultura fatta di congetture e confutazioni che la civiltà vaglia e seleziona.
Nel libro traspare poi un forte richiamo al darwinismo, come nocciolo duro del pensiero illuminista. Proprio il contrario di quanto l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse in «Verità cattolica» su MicroMega nel 2002: «La teoria evoluzionistica si è andata cristallizzando come la strada per far sparire definitivamente la metafisica, per rendere superflua l’ipotesi di Dio (Laplace)... è diventata una specie di filosofia prima» che tende a non «consentire più nessun altro livello di pensiero». «Il darwinismo non è il fondamento - sostiene di contro Giorello -, ma la più plausibile chiave di lettura biologica e culturale».
Insomma, come scriveva John Locke, per Giorello siamo costretti a scegliere «non nel chiaro meriggio della certezza, ma nel crepuscolo delle probabilità», in quel crepuscolo dove le teorie, per essere scientifiche, devono essere falsificabili. A scegliere in pieno «relativismo».
Ma che sapere è un sapere senza fondamento? Tanto vale, allora, spendere l’aforisma prêt-à-porter di Wittgenstein: ciò di cui non si può parlare si deve tacere? «Sì, dovremmo tacere - afferma Giorello -, ma possiamo anche riconoscere che il senso della vita è un insieme di congetture ed esperienze, una verità velata». Non rivelata.
Ciò che appare carente, in questo discorso, è l’aspetto etico. Combattere la «dittatura del relativismo» va forse inteso solo come necessità di manifestare con coraggio ciò in cui si crede... «Se uno uccide o fa violenza è sempre in nome di un credo, di un fanatismo. Per me - afferma Giorello - si può essere morali se Dio non c’è; ma, mi chiedo: si può essere morali se Dio c’è? Se Dio vuole imporre qualcosa a chi non crede? Il relativismo ammette che qualsiasi concezione possa avere un difensore pubblico; anche gli assolutisti possono averlo? No».
Il libro sfiora anche temi di attualità, come l’origine della vita, l’embrione. «Per me l’embrione è un aggregato di cellule e la vita inizia con la nascita». Ovvero con l’esperienza. Ma viene in mente, a questo proposito, un interrogativo che arrovellò Sant’Agostino: se muore un feto, il giorno della resurrezione rinascerà come feto o come uomo formato? «Non coltivo l’idea di una rinascita personale - continua Giorello -. È un problema da porre ai cattolici. Bisogna chiedere a loro come rinasceranno l’80 per cento degli embrioni che non vengono portati a buon fine e che, per loro, sono vita. Bisogna chiedere se rinasceranno anche gli spermatozoi, che sono vita potenziale».
È un Illuminismo, questo, che ci porta dritti verso il postumanesimo. Nessuna incertezza signor filosofo? Eppure, era il 1947, Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell’illuminismo già avevano messo in guardia su come la dea Ragione si trasformi, talvolta, in controprassi. «L’Illuminismo migliore è quello che sottolinea i rischi delle scelte. Basta leggere David Hume per capire che l’Illuminismo non è la luce accecante della Ragione. La Ragione assoluta è una caricatura dell’Illuminismo. Qualunque grande cambiamento che agisce sul vivere fa paura. Ma non voler servirsi della scienza per correggere la casualità della natura è stolto».
La storia dell’uomo, del resto, è storia della manipolazione della Natura: il giardino è una manipolazione del bosco, la città è una manipolazione della campagna. E lo sapeva bene l’illuminista Voltaire che, dopo aver letto il Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau gli scrisse: «Signore, vien voglia di camminare a quattro zampe quando si legge la vostra opera».

Il libro «Di nessuna chiesa. La libertà del laico» di Giulio Giorello
è pubblicato da Raffaello Cortina editore (pagine 79, 7,50)
L’autore Giulio Giorello è nato a Milano nel 1945. Insegna Filosofia della scienza all’università degli Studi di Milano
La frase «Troppo spesso si dimentica che il contrario di relativismo è assolutismo»

americani & Co.

liberazione.it 24 giugno 2005
Falluja
di Sabina Morandi

Gas, napalm, torture, bombe al fosforo in un film i crimini di guerra americani a Falluja Un cane lupo con la bocca contratta in un ultimo tentativo di respirare. Un bastardino bianco, buttato al margine della strada, che sembra addormentato. E poi gatti, colombe, conigli… Morti nelle loro gabbie, nei recinti, nel giardino di fronte a casa. Morti, tutti, senza un filo di sangue. Non si sa cosa può averli uccisi ma, di certo, non erano né bombe né pallottole. Forse gas?

Le immagini dei filmati girati a Falluja che scorrono davanti agli occhi dei pochi giornalisti presenti alla conferenza stampa organizzata dalle parlamentari Elettra Deiana (Prc) e Silvana Pisa (Ds) nelle sale della Fnsi sono tutte molto eloquenti, e molto, molto peggiori del piccolo esercito di animali addormentati che ti ritrovi davanti in apertura. Perché nei video ci sono donne, uomini, bambini. Ci sono esseri umani resi irriconoscibili da qualche oscuro rogo chimico, armi capaci di staccare la pelle dal corpo in un istante, visto che questi anonimi resti umani sono congelati nell'atto di alzarsi dal letto o di ripararsi il viso con il braccio. Una mano stringe ancora una catenina. Qualcosa che assomiglia a una donna tiene fra le braccia qualcosa che assomiglia a un bambino.

I filmati "amatoriali", riorganizzati con un faticoso quanto presumibilmente straziante lavoro da Barbara Romagnoli, sono stati realizzati il 18 novembre 2004 nella città ribelle di Falluja, a conclusione dell'operazione Al-Fajr (letteralmente, l'alba) che, secondo la Us Army, avrebbe dovuto distruggere definitivamente la resistenza irachena. A operazione conclusa, come di consueto gli americani hanno passato la mano agli iracheni: una squadra di medici volontari è stata autorizzata a entrare per "ripulire" la città e per cercare di dare un nome ai numerosi corpi sepolti in modo approssimativo durante il violentissimo attacco cominciato l'8 novembre. Del gruppo facevano parte anche gli autori delle riprese, Maher Rajab Abdullah (dell'ospedale Yarmouk di Baghdad), Mohammad Hadeed (del Falluja general hospital), che si sono dati da fare per riesumare i corpi e dare un nome alle migliaia di vittime civili che, fino a questo momento, nessuno s'è ancora degnato di contare. Secondo gli americani i dieci giorni di bombardamenti ininterrotti che hanno raso al suolo 36 mila case - praticamente una piccola città - avrebbero prodotto non più di 1.200 vittime, «quasi tutti insorti», rassicurano i generali, mentre secondo fonti non ufficiali i morti sarebbero fra i tre e i cinquemila, dei quali hanno ricevuto riconoscimento e sepoltura soltanto in 700.

Resta il fatto che i dottori Abdullah e Hadeed, una volta dentro la città proibita, hanno pensato bene di filmare l'orrore sia per facilitare i riconoscimenti che per spezzare la pesante censura che argina qualsiasi informazione proveniente dall'Iraq, in particolare le notizie provenienti dalle città rase al suolo nell'ambito di una strategia di punizioni collettive tanto barbara quanto inefficace. Ma, una volta dentro, i medici non si sono soltanto ritrovati di fronte alle immagini della carneficina che si aspettavano - del resto cos'altro può accadere in una città di 350 mila abitanti, chiusa dentro un cordone vietato perfino agli operatori sanitari e bombardata ininterrottamente per giorni? - ma sono stati costretti a porsi una domanda estremamente disturbante, soprattutto per un professionista dotato della formazione scientifica adeguata: di che cosa è morta tutta questa gente? Quali armi possono uccidere nel sonno senza ferire o, come testimoniano i resti carbonizzati, bruciare la pelle di un essere umano senza dargli nemmeno il tempo di contorcersi per il dolore? Gas come quelli che Saddam aveva impiegato contro i curdi? Bombe al fosforo o nuovi tipi di napalm, entrambi proibiti dalle convenzioni internazionali?

Nessuna spiegazione richiede invece il filmato girato a Baghdad che ritrae un altro morto, anch'esso mostrato ai parlamentari italiani da Mohi Al Din Al Obeidi, il rappresentante del consiglio degli Ulema che ha accompagnato i due medici all'incontro organizzato alla Camera da Silvana Pisa e Elettra Deiana, - a cui hanno aderito anche Francesco Martone (Prc), Gianfranco Pagliarulo (Pdci), Pietro Folena (Prc), Famiano Crucianelli (Ds), Roberto Sciacca (Pdci), Giovanni Russo Spena (Prc) e Alfiero Grandi (Ds). Il cadavere è ancora ammanettato, e anche un profano capisce subito cosa significa. Se alle manette si aggiungono le evidenti tracce di tortura, ovvero ferite da trapano sulle spalle e sulla nuca - uno strumento molto in uso, pare, durante gli interrogatori condotti dal nuovo esercito iracheno addestrato dagli americani - le conclusioni sono devastanti quanto inaccettabili. In più l'uomo era un imam - autorità religiosa sunnita - sparito nel nulla da qualche settimana e restituito ai familiari già cadavere. E non si tratta affatto di un caso isolato: altri ottanta imam sono stati prelevati nelle loro case e nelle moschee per sospetta complicità con gli insorti, e di loro non si sa più nulla. Proprio per ottenere la liberazione, o almeno qualche informazione sulla sorte dei desaparecidos, le autorità religiose sunnite hanno indetto un'iniziativa senza precedenti: tre giorni di sciopero di tutte e moschee.

La delegazione composta dai due medici e dal religioso, portata in Italia dall'Associazione Italia-Iraq, sta cercando di dare maggiore diffusione possibile alle raccapriccianti immagini di Falluja e di Baghdad. Tutto il materiale visionato dai parlamentari italiani - gli animali gasati, le persone carbonizzate nella città distrutta e le riprese della ricomposizione del corpo martoriato dell'imam - è stato consegnato a una rappresentante del governo inglese, che non ha rilasciato dichiarazioni. Tornando a Baghdad la delegazione cercherà di parlare con i pochi rappresentanti delle Nazioni Unite ancora presenti nel paese per sollecitare ancora una volta, filmati alla mano, un'indagine indipendente che faccia luce sul tipo di armi impiegate - sperimentate? - contro la popolazione di Falluja. Nel frattempo la ricostruzione della città tarda a partire e i risarcimenti, che secondo i prudentissimi calcoli di Washington, dovrebbero aggirarsi sui 493 milioni di dollari sono ancora soltanto virtuali. A sei mesi di distanza ne sono stati stanziati appena cento milioni, ma le 31 mila persone che aspettano cercando di sopravvivere fra le macerie, non hanno ancora visto niente.

E' questa la guerra di liberazione in cui sono impegnati i nostri soldati? E' questa la missione sul cui ri-finanziamento i parlamentari italiani sono chiamati a pronunciarsi? E su quali informazioni, su quali notizie, su quali rassicuranti immagini, dovrebbe basarsi la loro decisione? «Pensiamo che nell'attuale contesto caratterizzato dal più totale black out sulla vicenda irachena, dall'assenza di notizie da quei luoghi e mentre perdura una drammatica situazione di guerra» conclude Elettra Deiana «ogni occasione che consenta di raccogliere informazioni e materiale documentario sia da considerare positivamente, fermo restando che tutto debba essere vagliato e verificato quando la cortina di ferro che la coalizione anglo-americana ha imposto su quel paese si sarà alleggerita». Peccato che all'agghiacciante proiezione di queste immagini fossero presenti così pochi giornalisti, evidentemente troppo impegnati a partecipare attivamente alla caccia all'immigrato per occuparsi di simili quisquiglie. Peccato perché, anche se le immagini sono troppo agghiaccianti per essere pubblicate, la loro visione sarebbe davvero utile per capire a quale inesauribile sorgente d'odio possono attingere le cosiddette "centrali del terrore" per arruolare i propri martiri, oggi e per gli anni a venire.

insonnia

ANSA 24.6.05
Medicina: insonnia è donna, 12 milioni di italiani ne soffrono

(ANSA) - ROMA, 24 GIU - Gli italiani che soffrono di insonnia sono 12 milioni e 6 volte su 10 a non chiudere occhio è una donna. Anche nel resto d'Europa gli insonni sono il 34% degli adulti. Il sonno è uno stato complesso della vita psichica, con le caratteristiche della veglia. Chi dorme male rischia la depressione. Studi clinici della Società Italiana di Neurofarmacologia e della Società Italiana di Psichiatria esplorano le interazioni tra sonno e equilibrio mentale.

depressione

Yahoo! Salute venerdì 24 giugno 2005
Pediatria
Figli appena nati, papà depressi
Il Pensiero Scientifico Editore
Martino Dell’Angelo

Secondo uno studio appena pubblicato da The Lancet, i bambini i cui padri hanno sofferto di depressione postnatale vanno incontro ad un rischio accresciuto di problemi comportamentali ed emotivi.

Una leggera forma depressiva è piuttosto frequente sia nelle madri, sia nei padri di bimbi appena nati. Compare entro i dodici mesi successivi al parto, anche se l’insorgenza è datata, più frequentemente, tra pochi giorni e le sei settimane dopo il parto. Tende a svilupparsi gradualmente, può persistere per diversi mesi ed essere causata anche da un aborto. In una piccola percentuale di casi può tradursi in depressione cronica o ripresentarsi nelle gravidanze successive. Spesso, a torto, questi sentimenti vengono sottovalutati e considerati normali reazioni allo stress associato al dover prendersi cura di un neonato.

Una percentuale, pari almeno al 10 per cento, di donne che hanno appena avuto un bambino, invece, riceve una diagnosi vera e propria di depressione post-partum; in queste persone la sensazione di tristezza che compare dopo il parto, invece di diminuire nel tempo, si acuisce. E’ noto che la depressione materna disturba la qualità delle cure materne e può causare problemi per lo sviluppo sociale, comportamentale, cognitivo e perfino fisico dei figli. Poco fin qui si sapeva invece dell’influenza della depressione paterna.

Una équipe dell’Università di Oxford ha studiato 13.500 mamme, di cui 12.800 avevano un partner, per le prime 8 settimane seguenti il parto, somministrando ai coniugi un questionario per scoprire episodi di depressione postatale. I padri sono stati poi ricontattati dopo 21 mesi dalla nascita. In seguito, gli stessi ricercatori hanno studiato i comportamenti dei bambini di quelle coppie a 3-5 anni, riscontrando che la depressione paterna era collegata a problemi emotivi e comportamentali nei figli, specialmente se maschi. Gli effetti permanevano anche valutando il peso dell’eventuale, concomitante depressione materna.

Secondo Paul Ramchandani, primo autore dello studio, “la ricerca prova che la depressione paterna ha un effetto negativo persistente sul comportamento e sullo sviluppo emotivo dei figli nella prima infanzia”.

Fonte: Ramchandani P et al. Paternal depression in the postnatal period and child development. The Lancet, 365, 9478, 2005:2201-5.
Solantaus T, Salo S. Paternal postnatal depression: fathers emerge from the wings. Ivi, 2158-9.


Reuters 24.6.05
Gb, anche i papà possono soffrire di depressione post-natale
Fri June 24, 2005 7:27 AM GMT

LONDRA (Reuters) - Capita più spesso alla mamme, ma anche i papà possono soffrire di depressione post-natale e possono influenzare il comportamento dei propri figli.
Lo hanno riferito oggi alcuni ricercatori inglesi.
I bambini sembrano essere particolarmente colpiti dai padri depressi e hanno il doppio di problemi comportamentali nei loro primi anni di vita rispetto agli altri bambini.
"Le nostre scoperte indicano che la depressione paterna ha uno specifico effetto negativo sul comportamento dei bambini nei primi anni di vita e sul loro sviluppo emotivo", ha detto Paul Ramchandani dell'università di Oxford.
In una ricerca pubblicata sul giornale scientifico The Lancet, Ramchandani e i suoi collaboratori hanno studiato il comportamento e la salute mentale di 12.800 coppie nelle prime settimane dopo la nascita di un figlio e poco prima del secondo compleanno del bambino.
I ricercatori hanno anche analizzato lo sviluppo emotivo dei bambini e il loro comportamento a 3 anni con questionari compilati dalle mamme.
"La relazione tra lo sviluppo comportamentale dei bambini e la depressione dei padri è molto forte", ha detto Ramchandani.
"Potrebbe essere che i bambini sono particolarmente sensibili alle cure parentali paterne, forse per il diverso coinvolgimento dei padri nei confronti dei figli", ha aggiunto.
La depressione postnatale è un fenomeno ben conosciuto, che interessa il 13% di tutte le neo-mamme. I suoi sintomi vanno da moderato a grave.
Un recente studio ha mostrato che circa il 3% dei padri mostra segni di depressione dopo la nascita di un figlio.

farmacologi e stress
invece della cannabis

ANSA Venerdì 24 Giugno 2005, 17:30
MEDICINA: MOLECOLE ANTISTRESS SCOPERTE DALL'UNIVERSITÀ DI URBINO

(ANSA) - URBINO, 24 GIU - Due nuove molecole che potrebbero essere utilizzate nella preparazione di farmaci antistress non a base di cannabinoidi, e più selettivi, sono state sintetizzate nei laboratori dell'Istituto di chimica dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", nell'ambito di una ricerca internazionale pubblicata dall'ultimo numero della rivista scientifica Nature. La ricerca è stata condotta insieme all'Università di Parma e agli atenei statunitensi di Georgia, California e Brown University.
I risultati conseguiti sono stati illustrati questo pomeriggio a Urbino dal preside della facoltà di farmacia Giorgio Tarzia, dal prorettore Mauro Magnani, e da un gruppo di docenti e ricercatori (Andrea Duranti e Andrea Tontini quelli che hanno collaborato allo studio).
Lo stress è notoriamente una reazione di adattamento del corpo a un cambiamento fisico o psichico, una risposta biologica specifica ad una richiesta ambientale. La ricerca è scaturita da alcune evidenze sperimentali che facevano supporre che l'inibizione del dolore in condizioni di stress poteva dipendere anche dal rilascio di sostanze non oppioidi di natura non accertata. Lo studio pubblicato su Nature ha dimostrato che nell'analgesia da stress sono coinvolti due derivati dell'acido arachidonico - 2-arachidonilglicerolo (2-AG) e anandamide (AEA) - che, prodotti naturalmente dal nostro organismo, esercitano un' azione di tipo cannabinoidico per interazione con specifici recettori.
Nei laboratori dell'Istituto di chimica farmaceutica dell'ateneo feltresco sono state sintetizzate due nuove molecole (URB602 e URB597) che si sono dimostrate in grado di prevenire selettivamente la degradazione dei due derivati da parte di enzimi specifici. E quindi di prolungare l'assenza di dolore.
Una scoperta che potrà portare a produrre dei farmaci capaci di trattare il dolore e i disordini collegati allo stress senza dover ricorrere ai cannabinoidi. I risultati della ricerca sono stati inclusi in una nuova domanda di brevetto presentata negli Usa e in altri paesi, compresi Giappone, Cina e Corea, premessa di un accordo interistituzionale fra gli atenei che hanno preso parte alla ricerca.
''I cannabinoidi - ha spiegato il prof. Tarzia - imitano l'azione di sostanze già presenti nel nostro organismo e che agiscono come antidolorifici e antistress. Noi abbiamo scoperto la componente finora ignota che serve per sintetizzare gli analgesici, per poter arrivare a farmaci che possano contrastare il dolore e lo stress solo dove e quando si manifestano, senza effetti collaterali su altre parti del nostro organismo''.
''Un risultato molto importante - ha concluso il prorettore - che dimostra sia l'importanza del lavoro di squadra nella ricerca scientifica, sia che l'Università di Urbino continua a svolgere attività eccellenti e riconosciute in ambito internazionale''. (ANSA).

giochi di ruolo

La Stampa 24.6.05
LE STORIE
QUELLE CHE SIMULANO
«Con mio marito fingo da una vita»

La simulazione di Meg Ryan nel film «Harry ti presento Sally» è impressa nella memoria di noi tutte. Ma non sempre le finzioni sono così allegre, anzi. Sprofondata in una vecchia poltrona del suo salotto, quasi alla ricerca di una protezione fisica, Annalisa - 43 anni, commercialista - accende una sigaretta dietro l’altra. «È una vita che recito a letto. Non so perché. Ho avuto una brutta delusione d’amore a 16 anni, tre anni fa ho iniziato una psicoterapia, spero mi aiuti». E intanto? «Cambio uomo in continuazione, alla ricerca di quel piacere che nessuno finora, a parte quella primissima esperienza da adolescente, mi ha regalato».
Slanciata, mani curate, sguardo bruno e appassionato, Annalisa non ha nulla in apparenza che tradisca la sua frustrazione. Difficile immaginarla in una condizione di costante insoddisfazione. Lo sguardo, la voce sono sensuali: «La mia carta vincente per ingannare gli uomini», sorride, solo con le labbra però. Perché è un inganno che la ferisce e l’annoia. «Vengono confusa con una mangiauomini. Invece mi chiedo: possibile che nessuno di loro si accorga che non provo piacere? La verità è che gli uomini sono noiosi. Io avrò pure il mio problemino, ma da parte loro mai un guizzo creativo».
Decisamente più ironica e spiritosa è Carla, 51 anni, insegnante. «Quella bellissima vignetta di Ellekappa, la ricorda? Recitava così: “Vedi cara, l’amore è una cosa, il sesso un’altra” “E la roba che facciamo noi come si chiama?”. Come vede, il piacere per noi donne non è ancora un diritto ma un optional». Carla ha una carica di simpatia che certo l’aiuta anche in un luogo così delicato come la zona notte. «Conosco mio marito da 36 anni - dice - ci vado a letto da 33, permetterà che non mi senta ancora assalita dal fuoco sacro della passione. Per lui è diverso, ancora mi desidera, anche se non è un grandissimo amante, e io non posso negarmi sempre». Quindi? «Quindi fingo. Non ho altra scelta, lui la finisce di stressarmi, in fondo non mi costa tantissimo. Mi tengo il marito al quale voglio bene e con cui ormai sono diventata un’attrice perfetta. E per convincerlo, prima dei rapporti uso un gel vaginale. Lui è contento, e io non patisco troppo».
All’amor proprio del suo fidanzato è destinata la simulazione di Sandra, 28 anni, cameriera in una pizzeria al taglio, aspirante architetto. «Lo so che non è bello fingere a letto, soprattutto alla mia età, ma non voglio ferire il mio ragazzo: credo si sentirebbe responsabile, invece lui non c’entra per niente». Come fa ad esserne così sicura? «Per due motivi. Uno di carattere fisico, nel senso che per un po’ ho sofferto di vaginismo. Sono stata seguita da un bravo sessuologo, che mi ha aiutata a superare i sensi di colpa che avevo a causa dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia».
E l’altro motivo? «Negli ultimi due anni sono stata molto sotto stress perché ho deciso di finire l’università e intanto lavoravo, anzi ancora lavoro, come cameriera. Arrivo a letto stanca morta, per il lavoro e per lo studio. Per questo, quando il mio ragazzo mi cerca a letto faccio finta di stare bene anch’io. Ne ho parlato con alcune amiche e mi hanno detto di farmi furba, perché la stanchezza non c’entra, e che forse lui dovrebbe essere più attento ai preliminari. Ma io sinceramente non me la sento di perderlo, ho paura che se mi metto a fargli quei discorsi va a finire che mi molla. Chissà, forse davvero sono solo troppo stanca per concentrarmi sul mio corpo, sul mio piacere. Vedremo come andrà al mare».

La Stampa 24.6.05
Non lo fo per piacer mio
Elena Loewenthal

Quante parole per il dire il sesso delle donne: liberato, dichiarato. Mai più represso. Esigente. Insoddisfatto. Confuso. Sdoganato, insomma, nel suo ruolo dentro la vita, al di là della procreazione e dei doveri coniugali. Soprattutto e più che mai, argomento di chiacchiera e discussione: di sesso si parla.
Eppure c'è anche, e c'è ancora, un sesso delle donne sottaciuto. Quasi un tabù, in un'epoca come la nostra di strenua consumazione dei tabù. E' il sesso doloroso. Non - o non necessariamente - quello reduce dal trauma di una violenza subìta magari tanti anni addietro. E nemmeno il sesso rifiutato per gravi patologie dell'animo e del fisico. E' invece un sesso più banale, che in fondo non dovrebbe fare notizia: condito di disturbi piccoli ma tenaci, trasforma il desiderio in un fastidio, il piacere in una immancabile frustrazione.
Ne parla Alessandra Graziottin in un libro appena uscito, intitolato «Il dolore segreto. Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali» (Mondadori editore, pp. 295, euro 17,00). L'autrice, forte di una lunga esperienza nel campo della sessuologia, parte da una lunga serie di casi «clinici» per raccontarci questo dolore di fare l'amore. Vi sono donne giovani e altre mature, ragazze alle prime esperienze e madri reduci da parti difficoltosi: «Sei una piaga! Possibile che un rapporto che alle altre dà solo piacere a te faccia venire un male cane per tre giorni?». Racconta Marianna (26 anni) esasperata dal sentirsi dare dell'isterica. Invece è «espareunia», cioè «persistente o ricorrente dolore genitale associato al rapporto sessuale»: non un’inibizione né una forma di rifiuto inconscio. Un male fisico, da curare. Perché nella sofferenza sessuale, ci spiega Graziottin, succede una cosa davvero singolare. Il dolore non è (quasi) mai psicogeno: ha solide basi biologiche, di competenza medica. Però dalle donne viene spesso confuso e considerato «semplicemente» alla stregua di una sorta di risonanza fisica della psiche.
Lo si ritiene un fenomeno psicosomatico, insomma, mentre è esattamente il contrario: il dolore sessuale ha cause fisiche, ma nella coscienza delle donne - che ne parlano di rado e ancor più di rado decidono di rivolgersi agli specialisti - viene avvertito come un disagio psicologico. Una fisima. Diana, 33 anni: «Mi aspettavo che far l'amore fosse una cosa meravigliosa. Invece ho provato sempre dolore, fin dalla prima volta. Passerà, mi dicevo. Invece il dolore è peggiorato negli anni». Prima di pensare che c'è qualcosa che non funziona nel corpo, in casi come questi si chiamano in causa la testa, i sentimenti.
Disapreunia, vaginismo, cicatrici retraenti, anomalie anatomiche, sono invece alcuni fra i nomi di questo dolore, la cui componente fisica è stata per tanto tempo trascurata. Vi è un motivo ben chiaro, in tutto questo: la sessualità femminile è stata sempre vista come un'espressione psicologica e affettiva. Come qualcosa di assai meno fisico della sessualità maschile: le ragioni del corpo di lui sono riconosciute da sempre, mentre quello di lei ha appena acquisito la dignità di soggetto. E ha, a dire il vero, ancora tanta, tanta strada da fare.
Angelicato, vocato soltanto a quella specie di miracolo che è la procreazione, il corpo della donna non ha quasi mai avuto voce in capitolo; la sua sessualità è stata per millenni ignorata e poi, a emancipazione in corso, confinata alla sfera psicologica e agli impulsi della volontà. Il corpo, ridotto al silenzio.
Oggi, uno studio condotto dal Primary Care Sciences Research Centre della Keele University (Gran Bretagna), ci spiega che per una donna su tre l'orgasmo si configura come una specie di chimera pressoché irraggiungibile. Ben poco di nuovo, si dirà, in questa ricerca. Se non che, la responsabile di questo studio, Kate Dunn, rivela che il 34-45 per cento della variazione individuale nella capacità di raggiungere l'acme del piacere dipende dalla variabilità genetica individuale. Questa specie di determinismo tale per cui nasciamo condannate o no ad appagarci facendo l'amore, non deve però diventare il pretesto per gettare la spugna.
Perché tanto il dolore sessuale quanto questa presunta vocazione genetica al piacere sono il segno che il nostro corpo chiede rispetto. Anche soltanto un poco di attenzione prima di rivolgerci prontamente, con una specie di automatismo indotto, alla tanto coccolata psiche.

streghe

il manifesto 24.6.05
Streghe allo specchio della modernità
Dal celebre classico di Jules Michelet, appena riproposto in una nuova traduzione da Stampa Alternativa, a una serie di romanzi per adulti e per ragazzi ambientati nella Salem dei processi o nel Salento della taranta, ritorna una delle più emblematiche figure della femminilità. Ma forse non era mai scomparsa
LAURA PUGNO

Le streghe son tornate. O meglio, erano già tornate negli anni Settanta, immagini di pensiero e pratiche femminili da sempre represse, ormai decise ad esprimersi, e a farlo alla luce del sole. Ma oggi non hanno più bisogno di andare e tornare, oggi, in un tempo storico che da una parte pensa il magico e il sovrannaturale come l'estrema provincia della ragione e della scienza ai confini del mondo conosciuto, come qualcosa che forse non immediatamente, ma di certo un giorno sarà spiegato, e che dall'altra alimenta di nutrimenti magici e sovrannaturali (proprio in quanto estranei alla logica del Logos con tutto quello che gli sta intorno e accanto) un'amplissima produzione di contenuti letterari, grafici e visivi per bambini, adolescenti e adulti. Oggi, in un tempo storico che non pensa tanto a cercarsi nella politica e nella protesta quanto a specchiarsi - come nello specchio della strega matrigna di Biancaneve? - nell'entertainment e nella fiction, le streghe e streghette sono dappertutto: dalla secchiona Hermione, fedele amica dell'Harry Potter seriale di J.K. Rowling, al successo nostrano del fumetto «Witch», dalla piccola alchimista Nina, la «bambina della Sesta Luna» di Moony Witcher alias Roberta Rizzo, fino a Serafina Pekkala comprimaria della trilogia Queste oscure materie di Philip Pullman, passando per la serie televisiva «Streghe» con Shannen Doherty e Alyssa Milano, di cui sono da poco usciti sul mercato italiano i primi due dvd. Ancora simbolo di libertà e potere femminile, le streghe si sono trasformate anche in prodotto. Per capire le mutazioni moderne della sorcière attraverso antiche radici, si può partire da un classico come La strega di Jules Michelet, edito per la prima volta a Parigi nel 1862 e successivamente ripubblicato, con varianti, sia nello stesso anno che l'anno successivo. A un quarto di secolo di distanza dall'edizione Einaudi negli Struzzi (1980), lo ristampa oggi, col sottotitolo «La rivolta delle donne nel romanzo-verità dell'Inquisizione», Stampa Alternativa, nella traduzione di Stefano Lanuzza, che mira dichiaratamente a una contemporanea leggibilità. Molti ricorderanno l'incipit di questo libro a suo tempo scandaloso, e considerato il più interessante tra le opere «minori» dell'impetuoso storico della Histoire de France e dell'Histoire de la Revolution Française: «Alcuni autori affermano che, poco prima della vittoria del cristianesimo, una voce misteriosa percorresse le rive del mare Egeo dicendo: "Il grande Pan è morto"... Del resto, non era una novità che gli dèi dovessero morire».

Se la strega - protagonista e vittima di una tragedia storica che dal Medioevo al Settecento avrebbe fatto, dicono gli studiosi, più di un milione di morti - è per i suoi persecutori la fidanzata del diavolo, il diavolo di Michelet, quel principio del male a cui la Chiesa cattolica ancora concretamente e non simbolicamente dichiara di credere, è l'erede degli dèi morti, di Pan, di Priapo e di Dioniso e al contempo, come ricorda Lanuzza nella prefazione, del Satana ragionatore e vitalistico di John Milton: «Il paganesimo, religione potente e vitale», per Michelet, «comincia con la sibilla e finisce con la strega».

La scoperta del Nuovo Mondo e la colonizzazione europea delle Americhe importò la fede nell'esistenza della stregoneria di là dell'Atlantico (intorno a questo tema fra l'altro ruotano due romanzi di Celia Rees usciti nel 2001 e nel 2003 per Salani, Il viaggio della strega bambina e Se fossi una strega), e così oggi chi dice strega dice Salem, la cittadina americana del Massachusetts dove nel 1692, a duecento anni di distanza dallo sbarco di Cristoforo Colombo, con i processi e la messa a morte di una ventina di persone, si consumò un vero e proprio episodio di isteria collettiva, di cui sopravvive una ricca documentazione. Proprio nei dintorni di Salem, a Windale, un piccolo centro che su quegli episodi di più di tre secoli fa ha costruito una certa fortuna turistica, è ambientato Wither di John G. Passarella, che ha vinto il Bram Stoker Award 2000 nella categoria opere prime ed è pubblicato in Italia dalla Gargoyle Books, casa editrice specializzata nell'horror, nella traduzione di Tiziana Lo Porto. Protagonista è Wendy Ward, studentessa di psicologia del locale Danfield College, figlia del preside e appassionata di Wicca e New Age varia, costretta a fronteggiare l'oscura presenza di Elisabeth Wither, strega di più di cinquemila anni. La vicenda di Wither è il primo atto di una trilogia - gli altri due titoli sono Wither's Rain e Wither's Legacy - che Gargoyle pubblicherà successivamente.

A una stregoneria mediterranea in cui si muovono «masciare» capaci di temibili fatture, turcinieddhri d'interiora d'agnello o carne umana, e legamenti d'amore, si ispira invece il romanzo d'esordio di Clara Nubile, Io ti attacco nel sangue, uscito a marzo per Fazi. La vicenda di Laura, studentessa a Bologna che al ritorno da un viaggio in India si ritrova afflitta da un mal di testa che sfida ogni diagnosi, è il pretesto per un viaggio nel Salento delle nonne e delle madri, «tarantate» che si liberano dal veleno e dalle passioni nel ballo furioso della pizzica. La «terra del rimorso» investigata alla fine degli anni Cinquanta da Ernesto de Martino si mescola nel libro di Nubile al Salento di oggi, portato sullo schermo da Edoardo Winspeare in Sangue vivo ed epicentro della voga del neotarantismo. Termine, quest'ultimo, diffuso dalla giornalista salentina Anna Nacci, autrice di vari saggi sull'argomento tra cui, di nuovo per Stampa Alternativa, Neotarantismo. Pizzica transe e riti dalle campagne alle metropoli. Dalle campagne alle metropoli è anche il percorso della «Notte della Taranta» di Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti che nei prossimi giorni, il 29 giugno, torna per la seconda volta a Roma, all'Auditorium. Una data che forse non a caso cade a poca distanza dalla Midsummer Night, la festa di San Giovanni, che proprio oggi si celebra e che segna la Notte delle Streghe più famosa dell'anno.

giovedì 23 giugno 2005

il 15 giugno, Liberazione: ha pubblicato la rettifica chiesta da Paolo Izzo

Caro direttore, nel suo giornale di sabato 11 giugno è apparso un articolo riguardante la posizione di Massimo Fagioli sui referendum (pag.6) che riprende alcuni brani della mia intervista con lo psichiatra dal titolo "La legge 40 violenta il rapporto uomo - donna e nega ogni idea di trasformazione", pubblicata in esclusiva da Nuova Agenzia Radicale il 26 maggio scorso.
Sarebbe cosa gradita, per completezza di informazione e anche per restituire il pensiero di Fagioli interamente e correttamente (la frase «lo Stato deve togliersi di mezzo nei rapporti privati addirittura intimi e in particolare nel rapporto uomo - donna, per esempio, che Liberazione ha attribuito a Emanuele Severino, è in realtà dello stesso Fagioli) che lei trovasse il modo nei prossimi giorni di rettificare la notizia citando la fonte. La ringrazio per l'attenzione e la saluto caramente

Paolo Izzo

L'articolo di sabato nella versione originale:

http://www.liberazione.it/giornale/050611/pdf/XX_6-PRP-2.pdf

...e il paginone delle lettere con la rettifica, pubblicato mercoledì:

http://www.liberazione.it/giornale/050615/pdf/XX_12-LET-1.pdf

Radetsky all'attacco

ilmanifesto.it 22 giugno 2005
Dopo la procreazione, l'aborto
Presentato a Roma dal cardinal Ruini e dal presidente del senato Marcello Pera, il libro di Joseph Ratzinger «L'Europa di Benedetto». Una sfida ai laici e un attacco esplicito alla 194
IAIA VANTAGGIATO

ROMA . Non parte certo sottotono la campagna vaticana contro la legge 194. Passato agli atti - con onore - il trionfo del referendum sulla procreazione assistita, il cardinale Camillo Ruini raccoglie il tributo dovuto e lancia la sua prossima sfida chiamando a raccolta l'Europa intera, invitandola a serrare i ranghi contro la legge sull'aborto: «un piccolo omicidio che ci porta a smarrire l'identità umana e a far prevalere il diritto sulla forza sulla forza del diritto». Di fronte a lui, una platea d'eccezione: quella riunitasi ieri a Roma a palazzo Wedekind - storica sede del quotidiano Il Tempo - per la presentazione dell'ultimo libro del cardinale Joseph Ratzinger nonché prima fatica editoriale del nuovo papa Benedetto XVI.

La sala è accaldata e sin troppo gremita ma fa indubbiamente impressione vedere in prima fila - gomito a gomito e abili nel non rivolgersi la parola per circa due ore - un repubblicano storico come Giorgio La Malfa e un ex repubblichino come Mirko Tremaglia cui non manca di rendere omaggio più di un rappresentante dell'aristocrazia papalina. Per fortuna che a salvare l'estetica arriva Pierferdinando Casini, l'astensionista numero due, secondo solo al presidente del senato Marcello Pera - cui si deve peraltro l'introduzione al libro di Ratzinger - al quale è però destinato il posto d'onore: quello alla destra di Ruini.

Ed è a Pera che vengono riservati gli unici due applausi a scena aperta. Il primo quando, sornione, afferma - a proposito della differenza tra atei e agnostici - che «Dio non sopporta l'astensione. Lo sapevo da prima ma mi sono ben guardato dal dirlo». Il secondo quando recita l'ormai noto refrain della differenza tra laicità e laicismo e critica uno stato - quello per il quale riveste gli abiti di presidente del senato - incapace di accettare veli o crocefissi in nome di un non meglio identificato universalismo dei valori.

Ma il parterre è troppo ghiotto per non dargli un'occhiata anche perché è lì - tra politici navigati e nuovi arrivati, porporati e cappellani - che si sta giocando la prossima partita. Anzi le prossime: aborto, riaffermazione delle radici cristiane dell'Europa e salto di qualità di una religione che - visti anche gli ultimi risultati referendari - non si accontenta più di essere relegata nella sfera del privato ma si dichiara determinata ad affrontare l'agone pubblico e politico. Giovan Battista Re - sino a due mesi fa, tra i papabili - è fra i primi ad arrivare. Chiarificatore è illuminante del futuro clima politico è lo scambio di battute con l'ex presidente del Comitato di Bioetica: «Sui referendum avete fatto un ottimo lavoro». Eminenza, è la risposta, non è che l'inizio. Scendendo di grado - le gerarchie sono pur sempre gerarchie - la bionda Francesca Martini della Lega Nord sembra godersi tutti i complimenti del cappellano di Montecitorio: «Onorevole, ottimo lavoro. Può sedersi qui». Neanche il tempo di una risposta - «Non è che l'inizio» - e l'onorevole Martini è costretta a rinunciare all'ambita postazione in prima fila a causa di sopraggiunte complicazioni: quello è il posto di Andreotti e non sarà certo un'esponente della Lega a fare retrocedere di una fila il senatore a vita.

Presenti in platea anche una silenziosa Alessandra Mussolini, i ministri La Loggia e Stanca, i parlamentari Sanza, Gasparri e Volontè. Manca la sinistra che ai richiami del papa - nonostante la batosta elettorale - si rifiuta di rispondere.

Eppure è ai laici che il libro di Ratzinger si rivolge come una sfida: vivete come se dio esistesse. Quanto ai valori - sembra essere sottinteso - ci pensiamo noi. A sottolinearlo sono - da un unico pulpito - Camillo Ruini, Marcello Pera e Bruno Vespa, scelto non troppo a sorpresa come moderatore dell'incontro: «Abbiamo sbagliato - afferma Vespa, manco si trattasse di un membro del conclave - ad accettare l'articolo 52 della Carta europea (quello relativo ai concordati, ndr) e a non pretendere nel preambolo di quella stessa Carta la menzione delle radici cristiane dell'Europa».

Ratzinger è un papa d'eccezione, non ama le conversioni forzate e non crede che ci sia in atto una battaglia di civiltà tra religioni monoteistiche. Il vero scontro - chiosano all'unisono Pera e Ruini commentando il suo libro - è tra una razionalità scientista e positivista che pretende di essere universale e autosufficiente da un lato e le grandi culture storiche dall'altro, cristianesimo compreso. Tra un'idea di uomo ridotto a prodotto della natura e come tale trattato (l'embrione?) e quella di una fede che ora come non mai pretende di esprimersi anche pubblicamente.

Il giochino è tutto qua: lasciate che i laici vengano a me e lasciate che rimangano laici. La Chiesa non ha bisogno di nuove conversioni ma solo di altri voti. In vista, chissà, di una revisione della 194 o di una ripassata della legge 40.

I piccoli omicidi di Ratzinger
«Il dramma morale, la decisione per il bene o per il male,comincia dallo sguardo, dalla scelta di guardare il volto dell'altro o meno. Perché oggi si rifiuta quasi unanimamente l'infanticidio, mentre si è diventati quasi insensibili all'aborto? Forse solo perché nell'aborto non si vede il volto di chi verrà condannato a non vedere mai la luce». (Tratto da: Joseph Ratzinger, L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, introduzione di Marcello Pera, Cantagalli editore)
una segnalazione di Paolo Izzo

anche Liberazione, martedì 21, ha pubblicato un articolo sul festival di Pesaro


per vedere la pagina in pdf cliccare qui: http://www.liberazione.it/giornale/050621/pdf/XX_11-CUL-02.pdf

obiezione di coscienza

Yahoo! Sanità mercoledì 22 giugno 2005,
Obiezione di coscienza: fin dove spingersi
Il Pensiero Scientifico Editore

L’obiezione di coscienza in medicina apre nuove questioni non ancora esplorate. Non esiste solo il diritto al rifiuto di fornire una pratica medica ma anche il diritto di non facilitare il paziente che intende fare qualcosa in contrasto con la coscienza del medico?
Questo la spinosa questione che viene dagli Stati Uniti: una riflessione in corso tra medici, infermieri ed operatori sanitari su cosa voglia dire veramente svolgere il lavoro secondo la propria coscienza. In alcuni stati della federazione la riflessione si è già trasformata in legge: è il diritto all’astensione. In Italia questo diritto di non-decidere che ha valore di decisione è stato di recente evocato e applicato in occasione del referendum sulla fecondazione medicalmente assistita.
L’ultimo numero del New England Journal of Medicine affronta il problema in un interessante editoriale. Cosa vuol dire “agire secondo coscienza” di fronte a richieste di aborto, eutanasia, suicidio assistito, riproduzione medicalmente assistita, ricerche su cellule staminali? Può voler dire oltre che rifiutarsi di praticare l’aborto, per esempio, anche rifiutarsi di prescrivere la pillola del giorno dopo, astenersi dal fornire tutte le informazioni ad un paziente che si pensa voglia fare una scelta in contrasto con la coscienza dell’operatore. Un pediatra, per esempio, si potrebbe rifiutare di dire al paziente che sono disponibili dei vaccini contro la varicella perché per produrli sono stati usati tessuti proveniente da feti abortiti.
“Le questioni di coscienza sono insidiose. Alcune interpretazioni personali finiscono per diventare leggi universali” avverte l’editoriale del NEJM. Gli operatori rivendicano il loro diritto di agire secondo coscienza ma questo potrebbe essere lesivo nei confronti dei pazienti. In Wisconsin un farmacista che personalmente riteneva la contraccezione una forma di aborto si è rifiutato di dare ad una donna la pillola anticoncezionale e anche di restituirle la ricetta in modo che potesse andare a comprare il farmaco da un’altra parte. In Wisconsin questo farmacista non è punibile per legge perché ha esericitato il suo diritto, pervisto dalla legge, di astenersi dalla partecipazione alla problematica del malato.
Questo è un esempio e potrebbe essere anche un’estremizzazione; tuttavia il problema della espressione delle libertà singole rimane, compatibilmente con il rispetto delle libertà altrui, come si diceva un tempo.

Fonte: Charo AR. The celestial fire of coscience. Refusing to deliver medical care. NEJM 2005;24:2471-3.

Usa, ricerca sulle staminali
braccio di ferro tra la presidenza e i singoli Stati

Tempomediconline - Tempo Medico n. 797 23 giugno 2005
USA: gli Stati scendono in campo
Sulla scia della California altri Stati finanziano programmi di ricerca sulle staminali
di Donatella Poretti

Gli Stati Uniti sono in pieno fermento. La notizia della prima clonazione terapeutica riuscita in Corea del Sud e i primi passi dei ricercatori di Newcastle in Gran Bretagna sembrano aver prodotto una ulteriore accelerazione, per evitare di restare a guardare i progressi fatti all'estero. Il paese pioniere per eccellenza non se lo può permettere.
Il 24 maggio il Congresso, con 238 voti a favore e 194 contrari, ha approvato lo Stem Cell Research Enhancement Act, la proposta di legge del deputato repubblicano del Delaware Mike Castle e della democratica del Colorado Diane DeGette che prevede di estendere i finanziamenti federali anche alle linee embrionali ottenute dopo il 2001, data limite fissata dalla Casa Bianca, e derivate da embrioni in eccedenza delle cliniche di fecondazione assistita. E mentre il provvedimento è passato al Senato, il presidente George W. Bush ha preannunciato che opporrà il suo primo veto dopo 5 anni alla Casa Bianca: "Sono contrario all'uso del denaro dei contribuenti per sostenere studi e promuovere un tipo di scienza che distrugge la vita per "salvare la vita"".
Ma il denaro dei contribuenti ha già iniziato a confluire in alcuni programmi per la ricerca con le staminali embrionali voluti, e votati, dai singoli Stati. La California ha fatto da apripista: dopo il voto dello scorso novembre su Proposition 71, ha iniziato a muovere i primi passi l'Istituto per la medicina rigenerativa, in attesa dell'arrivo della prima tranche di quei finanziamenti che nel giro di 10 anni toccheranno la cifra record di 3 miliardi di dollari. La gara è aperta e altri Stati, per non restare indietro e subire l'esodo dei propri ricercatori, delle aziende del biotech e dell'indotto, sono scesi in pista: New Jersey, Washington, Connecticut, Michigan, Massachusetts.
Il governatore democratico del New Jersey, Richard Codey, seguendo il modello californiano vorrebbe vendere 230 milioni di dollari in obbligazioni per la ricerca sulle cellule staminali. Con la più grande concentrazione di aziende farmaceutiche, che hanno contribuito nel 2003 all'economia dello stato con circa 24 miliardi di dollari, il New Jersey si organizza per non perderle.
La Camera dello stato di Washington ha approvato il progetto per lo sviluppo economico della scienza chiamato Life Science Discovery Fund. L'idea, sostenuta anche dalla governatrice Christine Gregoire, è quella di creare un fondo di 350 milioni di dollari che lo stato preleverà dall'industria del tabacco e che elargirà in bonus annuali da 35 milioni a partire dal 2008.
Nel Connecticut Camera e Senato hanno approvato alla fine di maggio un provvedimento che stanzia 100 milioni di dollari in 10 anni per la ricerca con le staminali embrionali. Il governatore Jodi Rell ha già dichiarato il suo accordo.
La governatrice del Michigan Jennifer Granholm ha proposto di destinare 2 miliardi di dollari alla ricerca con le staminali embrionali, ma per far questo c'è bisogno di modificare l'attuale legislazione che vieta i finanziamenti statali. Il voto è atteso per novembre.
In Massachusetts il parlamento ha approvato una legge che ancora non stanzia direttamente fondi, ma elimina le norme che vietavano finanziamenti alla ricerca con le staminali embrionali e alla clonazione terapeutica. A nulla è valso il veto apposto dal governatore Mitt Romney che, pur dichiarandosi a favore della ricerca con le staminali embrionali, voleva limitare la ricerca a quelle derivate da embrioni sovrannumerari. Il prossimo passo, preannuncia il presidente del Senato Robert Travaglini, sarà una legge per stabilire fondi ad hoc.

di tutt'erbe un fascio

Adnkronos 23.6.05
DISABILI: 700 MILA GLI ITALIANI CON MALATTIE PSICHICHE

Roma, 23 giu. (Adnkronos) - Sono 700 mila gli italiani affetti da disabilità psichiche. Il dato è emerso stamani nel corso del seminario organizzato dalle onlus ad un anno dalla istituzione della figura dell'amministratore di sostegno. Il nuovo strumento non riguarda soltanto questo campione di italiani ma, come è stato rilevato nel corso del convegno, tutti coloro che si trovano in difficoltà nell'esercizio dei propri diritti, quindi anche anziani, persone che possono essere indotte a compromettere il proprio patrimonio, ma anche alcolisti, tossicodipendenti, soggetti colpiti da ictus, malati terminali e più in generale persone non autosufficienti.

mercoledì 22 giugno 2005

Silenzio tra due pensieri, il film di Payami
in una recensione del Messaggero

questo film era già stato segnalato sul blog con una recensione tratta da Il Messaggero

ilmessaggero.it 14 giugno 2005
Payami: «Il mio film “contro”, per combattere le censure»
di ROBERTA BOTTARI

ROMA - Mentre noi parliamo di censura, il film in questione, Silenzio tra due pensieri di Babak Payami, non è stato vietato ai minori: è stato proprio sequestrato, dal governo iraniano. Il regista è stato arrestato e costretto a fuggire dal paese mediorientale. «Ancora oggi - afferma Babak Payami - nessuno mi ha comunicato ufficialmente le ragioni del sequestro dell’originale e, quando ho chiesto chi mi interrogava se aveva visto il mio film, ha risposto che non ce n’era bisogno...». Silenzio tra due pensieri arriva finalmente in Italia, grazie all’Istituto Luce, che lo distribuisce in una quindicina di copie da venerdì. Presentato 2 anni fa alla Mostra di Venezia, si tratta del terzo film del cineasta, dopo One more day e Il voto è segreto. Il negativo è ancora in mano alle autorità locali, quello che vediamo dunque è ciò che il regista era riuscito a mettere in salvo prima del sequestro. Ogni volta che lo vede, Payami, viene colto da violenti mal di stomaco: «Non è il mio film, è quel che resta. Ma serve a far conoscere una realtà». Il film racconta la storia di una donna che viene risparmiata da un’esecuzione, perché vergine. Secondo una credenza, le vergini, se muoiono, vanno in Paradiso. E i killer non la vogliono solo morta: la vogliono anche dannata. Si pone così un bel problema. Per risolverlo, il leader spirituale costringe il boia a sposare la ragazza affinché, consumato il matrimonio, si possa finalmente procedere con l’esecuzione. Ma l’uomo, di fronte alla vittima-moglie, precipita nel dubbio. «Il silenzio del titolo - spiega il regista - è il momento in cui un individuo, o un’intera società, si risveglia da una convinzione cieca. Questo mio film è un viaggio nell’indecisione. Non parla di religione, ma di come questa può essere utilizzata per ingannare la gente: non mi stupisce che in Iran non lo abbiano gradito. Ma queste forme di repressioni sono inutili. L’ho detto anche a chi mi ha interrogato: prendetevi questo film e io ne girerò un altro, arrestatemi e un altro regista lo farà al posto mio. Comunque vada, sarò io a vincere questa battaglia».



presa d'atto
che giornale il Giornale...

una segnalazione di Paolo Izzo

ilGiornale.it

Il «non riconciliato» Bellocchio protagonista alla Mostra di Pesaro
Cinzia Romani


Roma. Come una signora matura e ben conservata, la 41ª edizione della Mostra internazionale del Nuovo cinema di Pesaro (25 giugno – 3 luglio) non rinnega i propri scapigliati trascorsi, ma li rammemora con forza. Così quest'anno palpiti e premi andranno, nel quadro di un Evento Speciale, all'icona per eccellenza di ogni ribellismo giovanile, a quel Marco Bellocchio da Piacenza che, stavolta, sarà giubilato come soltanto agli artisti scomparsi si conviene.
Al regista di Buongiorno, notte, infatti, gli organizzatori della Mostra conferiranno la cittadinanza onoraria di Pesaro, la sera del 2 luglio. Senza contare che del cineasta in rivolta permanente (sedabile per intervalli nel quieto borgo etrusco di Barbarano Romano, dove l'enfant terribile possiede una casa) sarà proposta una retrospettiva-lampo. Con particolare focus sul rapporto tra Bellocchio e il suo cinementore (all'epoca, si disse «plagiatore») Massimo Fagioli, nel '68 promotore della Nuova Psichiatria. Da Il diavolo in corpo (1986) a Il sogno delle farfalle (1994), pellicole costruite su ispirazione del Fagioli-pensiero, molto in voga quasi quarant'anni fa. «Sono tutt'altro che riconciliato: resto un ribelle che sceglie una lotta senza spargimento di sangue» conferma Bellocchio, già portavoce del discutibile Fagioli.
(...)

Marco Bellocchio anche su Il Tempo

Il Tempo martedì 21 giugno 2005
PESARO Alla Mostra in primo piano autori e attori italiani

UN DOPPIO anniversario segnerà la 41esima Edizione della Mostra di Pesaro. Il quarantesimo compleanno del Festival e, purtroppo, il primo anno senza Lino Micciché, ideatore e direttore per le prime 24 edizioni. La Mostra del Nuovo Cinema si aprirà e si chiuderà all'insegna del cinema italiano: sabato 25 giugno le autorità di Pesaro conferiranno la cittadinanza onoraria ad Amedeo Pagani, produttore vicino allo spirito della Mostra, il 2 luglio verrà allestita una tavola rotonda con Marco Bellocchio.(V. S.)

violenze contro le donne

La Stampa 22 Giugno 2005
LA DENUNCIA DI TELEFONO ROSA
«Spesso le vittime sono mogli e fidanzate
E gli stupratori sono quasi sempre recidivi»


ROMA. Da diciotto anni, l’associazione Telefono Rosa accoglie migliaia di donne che cercano aiuto, appoggio legale o anche solo una parola di conforto. Sono 7500 telefonate all’anno. «E una cosa la possiamo dire: in Italia la violenza di carattere sessuale è in deciso aumento», sostiene Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente dell’associazione. «Sia dentro le mura di casa, sia fuori. Con una differenza: le donne sposate o fidanzate denunciano con più convinzione lo stupro. Quelle violentate all’esterno hanno più remore. Sentiamo troppo spesso di donne che vengono da noi disperate, psicologicamente distrutte, senza aver trovato il coraggio di parlarne in famiglia, e tantomeno con la polizia. A volte, arrivano dopo che sono passati anni dai fatti».
Che il fenomeno delle violenze sia in crescita, lo dicono anche i numeri ufficiali. Sembrerebbe però una particolarità del Centro-Nord. Vi risulta?
«Non tanto. Anzi. Diciamo che, forse, al Sud sono ancora oggi meno disponibili a denunciare le violenze. Spesso sono le famiglie che non vogliono andare al processo. Non se la sentono di portare in piazza lo stupro. E’ un fenomeno culturale da non sottovalutare».
Si dice: merito anche della nuova legge.
«Bah, la legge andrebbe ripensata: abbiamo scoperto che il 75% dei condannati per stupro, appena uscito dal carcere lo rifà. Evidentemente durante la detenzione non si lavora per il loro recupero. Costa troppo».
E ora si parla soltanto degli stranieri. Secondo Telefono Rosa, quanto incidono nella crescita delle violenze in Italia?
«Guardi, ho qui davanti le schede relative a questo primo trimestre 2005. Su 260 casi che riguardano donne italiane, sommando stupri e molestie, gli episodi con immigrati sono circa un 10 per cento: cinque denunce di stupro e 16 di molestia. Significa che, negli altri 239 casi, i protagonisti sono uomini italiani. Su altri 40 casi con donne straniere, ci sono soltanto due stupri e una molestia a opera di immigrati; i restanti 37 casi riguardano italiani. Mi sembrano dati che parlano chiaro. Andiamoci piano a dare contro gli stranieri. Gli ultimi casi ci dicono piuttosto sullo spirito del branco, che colpisce indifferentemente adolescenti italiani e non. Lo straniero, quando è solo, al limite, può essere più molesto di un coetaneo italiano».
Le vostre ricerche dicono che, nel 27% dei casi, la violenza è senza motivo.
«Sì, è l’aspetto che più mi colpisce. I giovani cercano l’affermazione del proprio io nella prepotenza fisica e verbale. Ma qui il discorso è lungo...».

sinistra
l'intervista di Barenghi a Bertinotti su La Stampa di oggi

La Stampa 22 Giugno 2005
Intervista a Bertinotti
Riccardo Barenghi

ROMA. SE gli chiedi quanti voti pensa di prendere alle primarie, non risponde. Anzi, risponde così: «Questo non si dice». Fausto Bertinotti è il leader politico che nel centrosinistra molti guardano con timore (o terrore), timore che rifaccia a Prodi lo stesso scherzetto del ‘98. Ma il Bertinotti di oggi non assomiglia affatto a quello di sette anni fa, è un’altra persona. Dopo la ritrovata unità della coalizione, il segretario di Rifondazione sprizza addirittura ottimismo.
Prodi resta il leader, si fanno le primarie, poi il programma, poi forse il governo. Ma dopo aver rischiato di precipitare nell’abisso, questa soddisfazione così ostentata da tutti non le sembra un po’ esagerata, artificiale?
«Proprio perché usciamo da un periodo in cui tutto congiurava per il peggio, in cui sembrava che si fosse perduto il lume della ragione, tanto più si tira il fiato. Oltretutto mi pare che ne siamo usciti nel modo giusto, ossia con l’intenzione di costruire l’Unione, una coalizione con una forza propria. E le primarie sono una tappa fondamentale di questo percorso».
Però accanto alle primarie avete anche deciso di costituire un direttorio composto dai nove segretari dei partiti, una sorta di messa sotto tutela di Prodi?
«Neanche per sogno. Io penso a una vera e propria fase costituente della nostra Unione, che deve reggersi su due gambe: la legittimazione popolare da un lato e la forza dei partiti dall’altro».
La prima tappa della legittimazione popolare saranno appunto le primarie di ottobre. Un gioco un po’ truccato, tutti sanno che il leader sarà Prodi ancora prima di votare.
«Ma in ogni competizione l’esito non è mai scontato. E poi non c’è solo il problema di chi vince, ma anche di come si vince. Di cosa insomma si mette in campo, quali idee-forza, quale impostazione politica generale. Che si può affermare anche senza vincere».
In altre parole, lei pensa di perdere ma di ottenere un risultato tale da condizionare la politica del vostro governo?
«Io mi candido per dare una presenza, un’impostazione di sinistra alla coalizione. Non un programma contro un altro, quello lo faremo tutti insieme (e non a caso l’assemblea per vararlo è stata fissata due mesi dopo le primarie). Ma appunto l’ispirazione che dovrà guidare la politica del nostro eventuale governo».
Per arrivarci però non avete bisogno solo delle primarie per legittimare il leader e misurare i rapporti di forza interni, ma anche di firmare un accordo addirittura dal notaio, un patto di sangue che deve tenervi insieme. Lei ha anche detto che è disponibile a concedere al leader dell’Unione il potere di vita e di morte sul suo governo. Un’Unione che ha bisogno di tali e tante formalità per stare insieme non dà la sensazione di un’unità reale.
«Possiamo anche dire che si tratta di superfetazioni, i patti, i notai, tutte cose ridondanti e anche un po’ ridicole. Ma la cosa importante è il messaggio che vogliamo dare al popolo della sinistra, cioè che proveremo in tutti i modi a governare insieme per cinque anni. E che se non dovessimo riuscirci, diciamo da subito no a pasticci o inciuci e sì alle elezioni. Ovviamente il potere di scioglimento del Parlamento resta nelle mani del Capo dello Stato, ma il nostro è un impegno politico al quale io attribuisco un grande valore».
Mastella propone addirittura che nessuno voti mai contro il governo, al massimo ci si può astenere.
«Questa è una sua opinione. A me non interessano le gabbie procedurali, non hanno significato. Conta la politica. E la politica significa essere capaci di governare insieme».
Ma se Rifondazione si trovasse in dissenso su un provvedimento del governo di cui fa parte, voterebbe contro?
«Non voglio fasciarmi la testa prima di rompermela. Se si arrivasse a un caso del genere, saremmo alla rottura e al fallimento. Io però scommetto sull’impegno (mio e degli altri) di arrivare fino in fondo con un programma condiviso. Penso che non sia più tempo di traccheggiare o di galleggiare. O si vince alla grande, nel senso che si vincono le elezioni ma poi si vince soprattutto la sfida di un governo diverso. Oppure si perde, altrettanto alla grande».
Primarie, legittimazione popolare, superpoteri del leader: l’impressione però è che il populismo berlusconiano si sia infiltrato anche nel vostro campo.
«Forse. Ma il pericolo maggiore che io vedo oggi non è questo bensì il suo opposto. Ossia il distacco dei dirigenti dal popolo, un riflesso elitario, la costruzione di un recinto aristocratico – anche un po’ saccente – in cui il ceto politico si rinchiude. Ben venga allora il popolo. Perché se l’Unione non si dà come suo compito fondamentale quello di costruire il Popolo delle riforme, magari decidendo anche quale debba essere il suo blocco sociale di riferimento, allora perderemmo anche vincendo».

L'Unità 22 Giugno 2005
Nelle primarie dell’Unità Prodi è al 72%
Bertinotti secondo con quasi il 20%
Di Pietro è terzo con il 3,1% dei consensi e Pecoraro Scanio è al 2,8%. Tantissime e-mail
di Mara Anastasia / Roma

L’URNA ON-LINE dell’Unità ha raccolto ieri in poche ore più di 2.000 voti. Un risultato che ha dato a Romano Prodi un gradimento amplissimo, il 71.9%. Con un largo distacco Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione, che non raggiunge il 20 per cento. Segue Antonio Di Pietro con il 3. 1%, Alfonso Pecoraro Scanio, dei Verdi, con il 2.8 per cento; gli incerti sono 2.4%. Quando abbiamo aperto in rete l’urna, Mastella ancora non aveva annunciato la sua possibile discesa nel campo delle primarie: presto inseriremo anche il suo nome.

Il Foglio 22.6.05
Fassino: “Non vincerà Bertinotti, ne sono sicuro”

Così ieri Piero Fassino parlando delle primarie dell’8 e 9 ottobre: “Vincerà Prodi” e non c’è problema se ci sono altri candidati perché “se si crede nella democrazia non si ha paura dei suoi strumenti”. Le primarie, continua, saranno “aperte”: “Abbiamo interesse a un’investitura di Prodi che sia la più ampia possibile”. Intanto la segreteria della Quercia ieri s’è detta “soddisfatta” dell’accordo nel centrosinistra, ma ha specificato che “l’Ulivo resta in campo”. Quella nell’Unione “non è soltanto una pace”, ma “un accordo per il futuro”. E’ il parere di Prodi: “C’è un programma che ci lega a comportamenti che sono del tutto nuovi”.

Rita Levi Montalcini

ANSA Mercoledì 22 Giugno 2005, 15:49
MEDICINA: LEVI MONTALCINI, LA RICERCA DEVE ESSERE LIBERA

(ANSA) - TORINO, 22 GIU - ''Non si può mettere il lucchetto alla ricerca scientifica, anche se è necessario regolare l'uso che se ne fa per evitare di danneggiare la società e il pianeta''. Lo ha detto il premio Nobel Rita Levi Montalcini, aprendo la giornata dedicata alla medicina e al suo rapporto con la cittadinanza, ''Medici: ieri, oggi, domani'', organizzato dall'Ordine della provincia di Torino. E' stata anche l' occasione per presentare il ''prestito d'onore'' per giovani medici, iniziativa unica in Italia.
Levi Montalcini ha ammesso che la situazione della ricerca nel nostro paese non è facile, nonostante le enormi potenzialità della medicina italiana, e ha detto che l'impegno scientifico deve essere volto a nuove scoperte, ma anche all'aiuto di chi ha bisogno: ''Spero che i giovani vedano nella scienza l'unico modo per far fronte alle tragedie che affliggono il mondo, in particolare l'Africa e il sud del pianeta''. Riguardo al recente referendum sulla procreazione assistita, Levi Montalcini ha affermato: ''L'astensione non e' stata giusta, io ero per quattro sì, ma chi non era d'accordo poteva almeno andare a votare no''. ''Forse - ha proseguito - non si doveva chiedere alla gente di confrontarsi con questioni cosi' complesse o perlomeno i quesiti dovevano essere posti in maniera piu' semplice''. (ANSA).

Poincaré e Einstein

La Stampa TuttoScienze 22.6.05
LA STORIA DI DUE GENI CHE SI IGNORARONO A VICENDA
Francesco De Pretis

IL giugno 1905 probabilmente dal punto di vista scientifico è stato il mese più fecondo: il matematico francese Jules Henri Poincaré presentava il 5 giugno all'Accademia delle Scienze di Parigi una nota di quattro pagine, intitolata "Sur la dynamique de l'électron"; il 30 giugno un allora sconosciuto impiegato dell'ufficio brevetti di Berna di nome Albert Einstein, vedeva pubblicato sui prestigiosi "Annalen der Physiks" un articolo dal nome "Zur Elektrodynamik bewegter Körper". Con questi due scritti ebbero finalmente risposta gli interrogativi sorti più di trent'anni prima, all'indomani dell'apparizione dell'opera di Maxwell, che avevano tolto il sonno a molti uomini di scienza. Nel 1873 il fisico scozzese James Clerk Maxwell, riassumendo gli studi compiuti durante tutto l'arco del XIX secolo, aveva esposto un modello matematico - quattro celebri equazioni - che forniva una corretta spiegazione delle interazioni elettromagnetiche fra corpi. Contrariamente alla concezione della meccanica newtoniana, queste equazioni però introducevano il concetto di invarianza rispetto al sistema di riferimento scelto, dal quale discendeva la costanza della velocità della luce per ogni possibile osservatore: un'affermazione non di poco conto, che faceva andare letteralmente in frantumi le fondamenta concettuali della fisica classica, destando sgomento nel mondo scientifico del tempo. Maxwell stesso, conscio dello sconvolgimento epocale sollevato dal proprio lavoro, cercò subito una soluzione, rifacendosi al concetto di etere, un ipotetico mezzo imponderabile, elastico e trasparente che si supponeva riempire l'universo per poter così spiegare le modalità di trasmissione delle onde elettro-magnetiche e l'interazione di forze a distanza. Conferme sperimentali sull'esistenza dell'etere però non arrivarono, anzi un famoso esperimento (1881-1887) dovuto ai fisici Michelson e Morley riconobbe valida l'assunzione di costanza della velocità della luce, che risultò non essere influenzata dal «vento dell'etere»: le conclusioni a cui erano pervenuti i due scienziati statunitensi scatenarono nuovi dibattiti e congetture. Per rendere ragione all'esperimento di Michelson-Morley, il fisico irlandese George Fitzgerald ipotizzò nel 1889 che le lunghezze di corpi che si muovessero a velocità prossima a quella della luce, si dovessero accorciare. Hendrik Lorentz, geniale fisico olandese, arrivò nel 1892 allo stesso risultato, che prese il nome di contrazione di Fitzgerald-Lorentz. Continuando su questo filone di ricerca, un altro fisico irlandese, Joseph Larmor, e poi lo stesso Lorentz (1899), scrissero una serie di equazioni, oggi note come trasformazioni di Lorentz, che sostituivano le trasformazioni galileiane della fisica classica: da esse risultava l'invarianza della velocità della luce per ogni sistema di riferimento possibile, ma anche - fatto del tutto rivoluzionario - uno sfasamento temporale fra due sistemi di riferimento in moto uno rispetto all'altro. Proprio partendo dal carattere non più assoluto del tempo, ecco inserirsi sulla scena la riflessione di Poincaré: un anno prima, veniva pubblicato "La mésure du temps" (1898), uno scritto nel quale lo scienziato francese meditava sull'impossibilità della simultaneità temporale di due eventi. Nel 1900, al Congresso di Parigi, Poincaré tenne la celebre "Conférence sur l'existence de l'éther", nella quale pose una sistematica e decisa critica al concetto di etere di Maxwell e nel 1904, alla conferenza di Saint-Luis (USA), propose un problema relativistico nuovamente legato al tempo, oggi conosciuto come paradosso degli orologi. Profondo conoscitore della fisica classica, Poincaré era convinto della sostanziale veridicità del principio di relatività galileiana, cioè dell'impossibilità di dimostrare il moto assoluto. Così, nello scritto del 5 giugno 1905, partendo dall’impossibilità di dimostrare il moto assoluto, riprese le riflessioni di Lorentz e mostrò che le sue trasformazioni formavano un gruppo assieme con le rotazioni, da esse dedusse la contrazione delle lunghezze e osservò acutamente che anche la legge di gravitazione universale doveva essere ripensata se le onde gravitazionali si propagavano alla velocità della luce. Questo testo fu poi ampliato da Poincaré e inviato ai "Rendiconti del circolo matematico di Palermo" (23 luglio), un periodico siciliano di scienza, il cui direttore, amico di Poincaré, pubblicò lo scritto nel gennaio del 1906. Il 30 giugno 1905 apparve il testo di Einstein, il quale, partendo da due postulati iniziali (principio di relatività galileiana e invarianza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento), desumeva le trasformazioni di Lorentz e perveniva ai medesimi risultati ottenuti da Poincaré: questo scritto ha l'indubbio pregio di grande una chiarezza e semplicità, e di completare coerentemente il quadro di fondazione della nuova meccanica relativistica. Così pochi giorni fra due pubblicazioni di tale portata storica potrebbero stupire ma la simultaneità nella storia della scienza non è poi tanto rara: Newton e Leibniz elaborarono indipendentemente il calcolo infinitesimale verso la fine del XVII secolo, Bolyai, Gauss e Lobatchevsky contribuirono alla nascita delle geometrie non euclidee negli stessi anni del XIX secolo, ciascuno - almeno inizialmente - all'insaputa degli altri. Al di là di sterili polemiche sulla paternità della Relatività ristretta (fu un mutuo concorso fra Lorentz, Poincaré ed Einstein), il nome di Einstein fu legato indissolubilmente alla teoria della Relatività piuttosto per i lavori che il fisico tedesco produsse dopo (per essi fu decisivo l'incontro con Minkowski e l'italiano Ricci Curbastro); a lui va il merito - nel 1916 - di aver esteso la meccanica relativistica anche ai sistemi non inerziali e di aver compreso che sotto di essa vi è qualcosa di molto più complesso, un impianto teorico che si basa sulla geometria dello spazio e del tempo, una geometria dell'universo che Einstein individuò nel modello di spazio curvo di Riemann. Nonostante sia Poincaré che Einstein fossero giunti ai medesimi risultati, la reazione di entrambi sfociò in una sorta di dignitosa indifferenza: il nome di Poincaré appare solo una volta negli scritti di Einstein, quello di Einstein mai nelle carte di Poincaré, che nel 1912 morì improvvisamente. Questa freddezza fra i padri della Relatività ristretta ebbe però una infelice conclusione: Lorentz, amico di vecchia data di Poincaré, nella commissione scientifica per il Nobel del 1921, fece assegnare il prestigioso premio ad Einstein ma solo per lo scritto del 1905 legato allo studio sull’effetto foto-elettrico: un lavoro sì di grande importanza ma non rivoluzionario come la Relatività.