venerdì 22 agosto 2003

Jerry A. Fodor e David Hume

Corriere della Sera (22.8.03?)
A colloquio con il famoso filosofo americano che riscopre in chiave moderna l’empirismo di David Hume
La mente creò gli oggetti. Con un’idea

Con un titolo dal sapore volutamente musicale, Hume Variations, ovvero Variazioni Hume, sta per uscire in libreria, per i tipi della Oxford University Press, l'ultima fatica di Jerry A. Fodor, da circa vent'anni il piu' noto e piu' controverso filosofo, psicologo e scienziato cognitivo. Molti dei suoi libri sono stati tradotti in italiano e pochi sono, anche da noi, gli studiosi e gli studenti di psicologia e di filosofia della mente che non li abbiano assiduamente frequentati, magari ammirandoli, o, magari, tentando di demolirli. Il «New York Times», alcuni mesi or sono, ha scritto che la presenza di Fodor nell'area newyorchese ha grandemente contribuito a far nascere una «Atene sullo Hudson», cioè un polo filosofico senza uguali al mondo. Attualmente professore alla Rutgers University, nel New Jersey (a un tiro di autobus da Manhattan, dove abita), Fodor si e' formato al Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove ha poi insegnato per oltre vent'anni, spalla a spalla con il celeberrimo linguista Noam Chomsky.
Stancatosi, infine, di discutere fino a notte inoltrata, nell'area di Boston, soprattutto a Harvard e al MIT, con una legione di insigni colleghi, sedotto dalla prospettiva di tornare a vivere a New York, avendo, oltretutto, trovato un appartamento a pochi metri dal suo diletto teatro d'opera, il Metropolitan, accettò, nel 1986, l'offerta di trasferirsi alla Rutgers University e di ivi rafforzare la collaborazione con i suoi principali colleghi e spesso co-autori Ernest LePore e Zenon Pylyshyn.
Dotato di una mente collimata e penetrante come un laser e di uno straordinario senso dell’umorismo che rende divertenti anche i suoi libri più austeri, Fodor ha continuato a svolgere il ruolo di enfant terrible, creando attorno a sè una minoranza di seguaci (alla quale mi onoro di appartenere) e una larga maggioranza di feroci critici, con i quali perennemente incrocia la spada. «A Boston - mi dice Fodor - quando si iniziava una discussione filosofica, si andava avanti per ore e ore. Qui a New York, per fortuna, dopo un po', l'uno o l'altro guarda l'orologio e si scusa di dover andar via, dato che ha i biglietti per il Metropolitan». Ma difficilmente, penso, lo lasceranno ora in pace, biglietti o no, con il suo eterodosso saggio su Hume.
Come mai questa strana scelta? David Hume (1711-1776) è uno dei padri fondatori della filosofia empirista, e Fodor, da bravo razionalista, si era ripetutamente scagliato, in passato, contro le tesi centrali non solo di Hume, ma di ogni psicologia di stampo empirista. La sua risposta e' fulminea: «Hume mi interessa perché è stato il primo pensatore a porsi come obiettivo esplicito una teoria psicologica basata sui fatti e sull'esistenza di genuine rappresentazioni mentali. Lui le chiamava idee, noi li chiamiamo concetti, ma quello che conta è che, sia lui che noi, ammettiamo che esistano dei contenuti mentali, che vi siano dei veri oggetti del pensiero e che le idee semplici siano innate».
Gli chiedo, allora, dove risiede la differenza. Fodor va dritto al nucleo della questione: «Secondo Hume, ogni immagine mentale trae origine dai sensi (vista, udito, tatto), ed è un po' come un quadro visto con gli occhi della mente. Inoltre, per Hume, il pensiero e' dominato dalle associazioni mentali. Basta togliere via queste due ipotesi, cioè che le idee siano delle pitture mentali e che le associazioni guidino il pensiero, e otteniamo una teoria perfettamente accettabile». Fodor si affretta ad aggiungere, con ammirazione, che Hume ha il grande vantaggio di essere sempre molto chiaro e di renderci facile vedere dove ha sbagliato e come correggerlo.
Fodor ha smantellato in molti modi, tutti a mio avviso persuasivi, il ruolo centrale un tempo attribuito alle associazioni mentali nella costruzione delle conoscenze umane, dal bambino all'adulto. Gli chiedo come, oggi, riassumerebbe le ragioni essenziali della sua feroce inimicizia per le associazioni mentali.
In sintesi, mi risponde che le associazioni mentali, per loro intima natura, non sono guidate da criteri di verità, ma solo da criteri superficiali di prossimità e di similitudine. Quando tali criteri sono meno superficiali, allora dobbiamo farli emergere e spiegarli, rinunciando alla speranza che le associazioni costituiscano esse stesse una spiegazione.
Un fatto fondamentale della nostra psiche è che i pensieri portatori di verità conducono molto spesso ad altri pensieri che sono, per lo più, anch'essi portatori di verità. L'associazionismo non può spiegare questo fatto. Abbiamo dovuto aspettare circa due secoli, dopo Hume, per cominciare a capire che la spiegazione va essenzialmente cercata nelle proprietà sintattiche del pensiero, non nelle associazioni mentali.
I pionieri di questa svolta sono stati il compianto matematico inglese Alan Mathison Turing (artefice sommo della logica astratta degli automi razionali, intorno al 1935) e Noam Chomsky (artefice sommo della teoria della sintassi universale delle lingue umane, dal 1953 ad oggi).