venerdì 22 agosto 2003

nihilismo

Corriere della Sera (22.8.03?)
ELZEVIRO
Il dopo Heidegger
L’ombra del nichilismo
di GIUSEPPE GALASSO

Con il titolo Il nichilismo europeo (ora edito da Adelphi, a cura di Franco Volpi) Martin Heidegger pubblicò come saggio a sé nel 1967, a 78 anni, uno squarcio del suo Nietzsche del 1961. L’emergere del nichilismo nei suoi studi nietzschiani non fu fortuito. Che cosa vuol dire - si chiedeva Nietzsche - «nichilismo»? Che i valori massimi - rispondeva - si svalorizzano. Manca lo scopo, manca la risposta al «perché». Il problema, non nuovo, del senso della tradizione europea era così connesso da Nietzsche con il tema del nichilismo, familiare alla cultura russa del tempo. Manfred Riedel notava che per Nietzsche (di cui non gli sfuggiva il «linguaggio leggero, a volte troppo leggero e vorticoso») l’uomo, «"essenza" temporalmente finita», non può «dare risposte definitive alla domanda sul "che cos’è", niente "verità eterne" come supreme condizioni di tutte le cose che appaiono», come «categorie innalzate a "valori" quali "scopo, unità, essere"». Perciò, neppure il perché del nichilismo ha una risposta. Ne consegue che, «nell’accadere storico della modernità, non si può più identificare l’Europa con l’Occidente e l’Occidente con l’antichità e il cristianesimo». Heidegger riprese il problema di Nietzsche, dice Volpi, quando maturò la sua «attenzione per la negatività che contrassegna l’epoca moderna».
Non era una ripresa innocente. Per Riedel, Heidegger si muove nella scia del Nietzsche «ingannato nella sua speranza di sognatore di un rinnovamento spirituale del Reich di Bismarck». Heidegger, cullatosi in un’analoga «disillusa attesa» del Terzo Reich di Hitler, «rivela così, a partire dal trauma, dopo la metà degli anni Trenta, il sogno della "Germania spirituale"». La sua riflessione sul nichilismo si lega a un «processo di rielaborazione del trauma» attraverso l’idea della «Germania spirituale», una «Germania segreta» contrapposta a quella «ufficiale». Questa porta Heidegger a pensare che «lo spirito non si rivela né "popolare", né "europeo"», e a vederlo, «di fronte alla catastrofe della seconda guerra mondiale», piuttosto, come lo spirito degli abitanti della terra, e quindi come qualcosa di contrario «all’abituale fiducia europea nella ragione e all’ideologia coeva del "sangue" e della "terra"» (l’ideologia del nazionalismo razzistico al culmine nel Terzo Reich). Così, è «lo spirito dell’oikoumene a emergere dinanzi allo sguardo di Heidegger», che con ciò conclude, per Riedel, «la sua traumatica esperienza per rielaborarla in un lungo e faticoso cammino di pensiero e purificarsene infine nella sua opera tarda».
Anche Volpi collega il nichilismo all’esperienza politica di Heidegger, «alla lotta ideologica accesasi nel nazionalsocialismo per la leadership culturale», in cui egli si scontrò con Alfred Rosenberg ed Ernst Krieck. Krieck in particolare gli imputava «un esplicito ateismo e un nichilismo metafisico analogo a quello sostenuto specialmente da scrittori ebrei» e, quindi, «un impulso alla depravazione e dissoluzione del popolo tedesco». Lo studio di Nietzsche e del nichilismo e del rapporto tra metafisica e nichilismo rozzamente associati da Krieck sono la risposta di Heidegger. Ne viene fuori la tesi che «il nichilismo non è solo una spettrale ma contingente ombra che accompagna la storia europea tra Ottocento e Novecento, e che la grande letteratura, specie con Turgenev e Dostoevskij, ha tentato di catturare». Esso è assai di più: «un movimento che inerisce all’essenza stessa della metafisica occidentale». Perciò, secondo Volpi, per Heidegger «Nietzsche e il nichilismo segnalano un destino: il destino di un de profundis dal quale l’umanità pare non essersi ancora risollevata».
Riedel, dunque, vede nelle tesi heideggeriane sul nichilismo una riuscita e purificante evasione dal sogno di una Germania spirituale fallito sia col Secondo che col Terzo Reich. Volpi, più persuasivo, lascia Heidegger nella sua constatazione del de profundis . In entrambi i casi, però, resta il senso di una contestazione e negazione heideggeriana dell’Europa e della sua tradizione speculativa. Ne uscivano con le ossa rotte, oltre le ideologie della terra e del sangue, anche la modernità, l’identificazione europea con la tradizione classica e cristiana, il senso europeo di una storia che angoscia, ma anche libera e promuove. A che vale, allora, scoprire lo spirito dell’oikoumene o degli abitanti della terra come alternativa allo spirito dell’Occidente, all’Europa? Cosmopolitismo contro europeismo? Cosmopoli contro Eurolandia? E con quali pensieri e valori (e, in più, non solo teoretici, metafisici, come in Heidegger)?
Francamente, non vediamo qui una veduta che, oltre a «purificare» Heidegger, apra una vera alternativa all’esperienza europea di cui si canta il de profundis . Vi vediamo, invece, una meditazione e un travaglio di pensiero non superiori a ciò che criticano e negano, ma con prospettive e suggestioni ricche di fascino e di feconda problematicità. Così è, ad esempio, nelle pagine sul nichilismo come svalutazione dei valori supremi e come storia o in quelle sul dominio del soggetto nell’età moderna. Sono pagine che non si dimenticano. Ma proprio in esse ci sembrano, non a caso, operare più forti gli spiriti e le voci di quella tradizione europea di cui si vuol proporre una critica risolutiva.