sabato 21 febbraio 2004

Edoardo Boncinelli sull'identificazione

Corriere della Sera 21.2.04
Studio inglese: se una persona cara sta male si «accendono» in noi gli stessi neuroni
La tua sofferenza è la mia: lo dicono i nostri cervelli
di EDOARDO BONCINELLI


«Condoglianze, congratulazioni, complimenti, compartecipazioni di nozze»: espressioni quotidiane che corrispondono a una ritualità sociale o a un vivido coinvolgimento emotivo. Espressioni quotidiane che hanno, sembra appurato oggi, una base biologica, che trovano una complicità nel nostro cervello e che tradiscono meccanismi d'identificazione e d'empatia vecchi come ... il dolore stesso o la gioia. Uno studio condotto all'University College di Londra da Tania Singer e il suo gruppo mostra chiaramente che osservare una persona cara che soffre stimola in noi l'accensione delle stesse aree cerebrali che si accendono quando noi stessi soffriamo. Una notizia scientifica semplice e lineare che ci fa toccare con mano quanto siamo vicini a comprendere in termini squisitamente biologici qualcosa della nostra interiorità, personale e condivisa.
A un addetto ai lavori la notizia non giunge totalmente inattesa, anche se certamente gradita, per almeno due motivi. Si sa da tempo, infatti, che compiere un’azione e immaginare di compierla attivano almeno in parte le stesse aree cerebrali. Si sa inoltre che nel cervello esistono specifici gruppi di cellule, dette neuroni specchio, che si attivano sia quando compiamo un’azione che quando la vediamo compiere da un altro. Fa piacere rilevare che nella scoperta dell’esistenza dei neuroni specchio, nella scimmia e nell’uomo, ha giocato un ruolo chiave un gruppo di ricerca di Parma condotto dal nostro Giacomo Rizzolatti e che nel delineare i contorni del primo tipo di fenomeni sono coinvolti vari gruppi italiani tra i quali quello che fa capo a Raffaella Rumiati della Sissa di Trieste. Disponiamo insomma, e non da ieri, di tutti i meccanismi necessari per immedesimarci con successo negli altri e per poter partecipare in parte delle loro sensazioni e dei loro stati d’animo.
Se noi riusciamo a capire qualcosa degli altri e, quindi, anche a comunicare con loro, è perché possediamo una facoltà mentale astratta chiamata non molto felicemente teoria della mente. Si sa infatti che ciascuno di noi è in grado di farsi un’idea, una teoria appunto, di quello che sta passando per la testa di un altro e che ci permette di «capire» almeno approssimativamente gli altri nelle diverse circostanze della vita. Le basi cerebrali di questa facoltà sono ancora poco note e quest’ultima serie di esperimenti potrebbe aiutarci a districare questa ennesima matassa.
E’ chiaro però che non stiamo parlando solo di aspetti conoscitivi. Una compartecipazione emotiva, anche avulsa da una piena presa di coscienza, è alla base di un enorme numero di fenomeni individuali che hanno uno sfondo sociale, dall’emulazione alla pietà, dalla convivialità alle più varie manifestazioni di altruismo, dal cameratismo all’impegno sociale. Quante spade o quante dita pronte sul grilletto di un’arma sono state bloccate da un attimo di esitazione, da un brivido di umana partecipazione e di empatia! Come se uno cercasse di immaginare quanto male può fare la sua azione. Non solo su chi la subisce, ma anche su chi gli è vicino e da questo dolore sarà colpito solo di riflesso. Siamo animali talvolta feroci, ma potenzialmente compartecipi.
Nell’uomo su tutto questo si vanno a sovrapporre e finiscono per interferire conoscenze e convinzioni a volte anche molto astratte che non agiscono, o non agiscono primariamente, nei nostri cugini animali. Nell’esperimento di cui stiamo parlando la persona della quale si osservano le reazioni non vede direttamente la sofferenza dell’altro, ma «sa» che sta soffrendo soltanto attraverso l’osservazione di una fredda lancetta di uno strumento. In questa maniera sono stati eliminati gli aspetti di pura immedesimazione emotiva per portare in primo piano l’aspetto conoscitivo di un’astratta capacità di immaginare e di compartecipare.
Questo risultato dimostra quanto artificiosa sia la contrapposizione tra mente e capacità di risolvere problemi da una parte ed emotività e affettività dall’altra. Non ci può essere emotività senza componenti conoscitive, così come non ci può essere razionalità senza una colorazione emotiva. Non riusciremo mai probabilmente a capire fino in fondo le basi naturali degli stati di coscienza individuali, ma ci andremo sempre più vicini, vicini quanto basta per dirci fratelli. Con piena consapevolezza.