martedì 6 aprile 2004

Pablo Neruda

Corriere della Sera 6.4.04
Un uomo alto e stanco. Un poeta, dicono...
di Paolo Falla


Un uomo alto e stanco. Un poeta, dicono. Certamente un senatore comunista cileno perseguitato dal suo Paese, guardato a vista dalle polizie occidentali. Quando arriva in Italia, nel mite autunno del 1950, Pablo Neruda si è lasciato alle spalle un’avventurosa fuga attraverso la Cordigliera delle Ande e l’approdo a Parigi, ospite di Picasso: non sospetta la fortuna che avrà la sua opera ma soprattutto la generosa protezione che gli sarà offerta dagli intellettuali italiani, prima ancora che una sola delle sue liriche fosse pubblicata in italiano. Nei primi mesi viaggia tra Milano, Firenze, Siena, Genova, Venezia: ospite di scrittori che organizzano letture pubbliche dei suoi versi e municipalità di sinistra che lo nominano cittadino onorario. Un cittadino senza documenti, espulso dal Cile che ne reclama l’arresto e guardato a vista da una polizia «che non mi ha mai maltrattato, ma che mi seguiva instancabile». A Roma viene assistito da Fulvia e Antonello Trombadori che lo nascondono a casa della nonna di Fulvia. A Venezia, stufo di avere gli agenti addosso, tenta una fuga sulla gondola a motore del sindaco comunista, lasciando i poliziotti ad arrancare sui remi.
Mentre Renato Guttuso e Carlo Levi se lo contendono per due ritratti, nel gennaio 1952 il ministero dell’Interno decide di liberarsi di questo cileno ingombrante e firma un decreto di espulsione. Ma non riuscirà a farlo partire, con gli agenti incaricati della scorta, sopraffatti alla stazione Termini da una folla di scrittori e artisti: nei tumulti rimangono coinvolti Guttuso e Levi, Moravia e la moglie Elsa Morante che non esita a «colpire col suo ombrellino di seta la testa di un poliziotto». Finirà all’italiana, col ritiro di quel provvedimento vigliacchetto da parte di un ministero preoccupato che Neruda se ne stesse buono, lontano dai riflettori. L’unione tra l’ipocrisia democristiana e la solidarietà comunista gli regalerà i sei mesi vissuti a Capri, quel «tempo memorabile», dove potrà vivere a pieno l’amore con la nuova compagna Matilde Urrutia e portare a termine «un libro d’amore appassionato e doloroso, pubblicato poi a Napoli, anonimo, Los versos del capitán . Anonimo per rispetto alla moglie, Delia del Carril, da cui si stava separando, tirato in cinquanta rarissimi esemplari, grazie a una colletta: cinquemila lire offerte da quarantaquattro intellettuali comunisti, da Guttuso a Giorgio Napolitano, da Maurizio Valenzi al pittore Paolo Ricci, ad Antonello Trombadori.
Il «tour» italiano di Pablo Neruda, la sua scoperta di un Paese «che mi sembrava semplicemente favoloso» non possono che essere il punto di partenza delle celebrazioni, volute dall’ambasciata del Cile e sostenute da un prestigioso comitato scientifico, per il centenario della nascita del poeta, avvenuta a Parral nella regione meridionale del Cile, «terra di ghiacciai e di vulcani» il 12 luglio 1904. Saranno sedici le città che offriranno un omaggio, dalla proiezione di video e documentari, alla presentazione dei libri, a recital di poesia a teatro. Il Corriere della Sera ha appena pubblicato nella sua collana «Poesia» una antologia dedicata al poeta cileno, mentre l’editore Passigli di Firenze è impegnato nella proposta dell’intera opera, in trentaquattro volumi.
Un posto di rilievo in questo anno dedicato a Neruda spetta a Roma che al poeta «dell’amore e della civiltà» - ha ricordato l’assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna - dedicherà una «maratona poetica» dal 14 settembre al 16 ottobre e una mostra ispirata all’autobiografia Confesso che ho vissuto . Ma il centenario di Neruda potrà regalare qualcosa di più di una pur appassionata e ricca serie di appuntamenti: la riflessione su quel biennio di esule in una Italia di un uomo che sarebbe diventato un Premio Nobel solo vent’anni dopo. In una Italia squassata dal conflitto appena concluso, oppressa dalle diffidenze della Guerra fredda, eppure colma di slanci di entusiasmo e di speranza.