venerdì 20 maggio 2005

un riferimento al "Fu Mattia Pascal"

una segnalazione di Dina Battioni

Repubblica 19.5.05
L´AMANTE DI LADY PRIVACY
Un libro-intervista di Paolo Conti a Stefano Rodotà
Nuovi diritti in un mondo che cambia di continuo
la sordità della sinistra a questi temi
L'Italia esibizionista del grande fratello
Un bilancio e insieme un'analisi di una disciplina in gran parte da esplorare del Garante "per la protezione dei dati personali"
NELLO AJELLO

UNA PICCOLA SCHIERA DI PERSONAGGI MEMORABILI - da Greta Garbo a William Faulkner, da Jean Jacques Rousseau, quello delle Fantasticherie del passeggero solitario, al Balzac del romanzo Modesta Mignon - abitano il Pantheon di ciò che oggi chiamiamo la «privacy». Ne sono gli antenati. I missionari. Gli eroi. Ne hanno suggerito lo spirito, pur senza addentrarsi in una normativa giuridica. Ad essi rende onore il giurista Stefano Rodotà nell'Intervista su privacy e libertà che pubblica da Laterza, a cura di Paolo Conti (pagg. 154, 10 euro), nell'atto di lasciare la carica di Garante per la protezione dei dati personali. Aveva inaugurato quest'ufficio nel 1997, vi si era identificato con una foga spinta fino alla dedizione.
Ancora in anni recenti, questa nuova disciplina, la «privacy», era un terreno da esplorare non senza difficoltà. Venivano esaltati, nel concetto che la designa, una serie di Valori (sia consentito ricorrere, una volta tanto con ragione, a questo abusato termine maiuscolo) non ancora largamente sentiti come tali. Spesso, anzi, negletti fino a farne una parodia. Il diritto all´oblio, la libertà di essere lasciati soli, l´istinto a sottrarsi alle ossessive sorveglianze - burocratiche ed elettroniche, ormai gemellate - l´aspirazione a preservare qualche zona d´ombra nell´identità e nei comportamenti personali erano considerati poco meno che bizzarrie. Nell´emergere «in piena luce» dell´uomo moderno non si scorgevano, come sarebbe stato opportuno, dei precedenti quanto meno angosciosi: né l´insidia totalitaria che era stata dispiegata sia dal nazismo - l´«uomo di vetro» era il suddito ideale del III Reich - né quel sistema poliziesco che s´era incardinato nei gulag sovietici. Per distrazione o ignoranza storica s´immaginava che la tutela del proprio «privato» fosse un appannaggio di raffinate minoranze, una richiesta avanzata da ristrette cerchie di Vip (uso con disagio l´invadente acronimo) oppresse dalla curiosità pubblica. La difesa della propria intimità sembrava un rito praticato in esclusiva nel salotto di Lady Privacy. L´ansia di apparire, la coltivazione di quella «Velina» o di quella «Letterina» che sonnecchia ormai nell´inconscio di ogni essere vivente, predisponeva i più a esecrare la sola idea che il privato delle persone venisse tutelato magari per legge. Sembrava - ripeto - che il ricorrere a simili cautele fosse un espediente usato dalla gente già nota per impedire, magari, che si allargasse la propria cerchia: una rivalsa sociale a tutela dei ricchi e dei potenti. Un lusso giuridico. Un elegante diritto.
L´emergere del narcisismo di massa - l´Italia del Grande Fratello non è incline a privilegiare una psicologia che ricordi Il fu Mattia Pascal di Pirandello - congiurava contro la privacy. L´ostentazione del proprio io, anche se minimo, appariva un modo di partecipazione alto e ambito. Quel diritto al clamore che è una distorsione della modernità veniva presentata come un portato ultra-legittimo della democrazia. Ogni invito alla discrezione nel rappresentarsi in pubblico era interpretato come censura, o almeno istigazione alla reticenza. Per tutto questo, l´attività cui Rodotà si è dedicato dal 1997 in poi appare - e così egli la descrive - una battaglia.
Il terreno dello scontro era tuttavia in parte dissodato. La sordità delle sinistre rispetto agli imperativi della privacy aveva trovato un primo rimedio nella proverbiale vicenda delle schedature cui gli operai della Fiat vennero sottoposti a fini politicamente discriminatorii nei decenni infuocati della guerra fredda. Certi slogan risalenti alla fase eroica del femminismo - «Il privato è politico», prima di tutti - avevano contribuito, dal canto loto, a far riflettere sulla natura non necessariamente classista dei tentativi di riappropiazione della vita personale di cui l´Ufficio del Garante era il prodotto e lo strumento. Da utensile statuale indebito, chiamato a preservare il cittadino da un genere di attentati che egli non riconosceva come tali, quell´ufficio cominciò ad apparire come uno scudo contro l´invadenza del Potere.
L´ostracismo decretato dai «media» - Rodotà parla di capannelli di giornalisti davanti alla sede dell´Autorità, considerata una minaccia alla libertà di stampa - e l´inimicizia professata dalle banche, che si sentivano memomate nella loro azione ispettiva nei riguardi della clientela, andarono ridimensionandosi, anche perché l´ufficio preposto alla privacy alternava sforzi di convinzione a più energici interventi a termini di legge.
Nelle redazioni, benché scottate da un passato in cui la censura si ammantava di artificiose preoccupazioni sociali, l´inopportunità di certi titoli di cronaca - Rodotà ne indica uno: «Architetto omosessuale ferito in un incidente d´auto», in cui le preferenze affettive del malcapitato sono una chiosa indifendibile - la privacy venne vista sempre meno come un´avversaria professionale, una rompiscatole o una Cassandra con la faccia da Cerbero. In questo quadro, vanno giustamente moltiplicandosi le apparizioni di imputati con il volto «sfumato», o visti di nuca, e sui quotidiani o settimanali i protagonisti dei fatti di cronaca meno lusinghieri sono indicati con le semplici iniziali anagrafiche. E suscitano sempre più scandalo gli espedienti per aggirare sia la legge che il codice deontologico dell´informazione. Rodotà e Conti citano il caso di una ragazza siciliana affetta del morbo della «mucca pazza»: di lei i giornali parlarono, tenendone bensì nascoste le generalità ma descrivendola con particolari così lampanti - paese d´origine, attività commerciale svolta dalla famiglia, università in cui studiava, luogo da lei scelto per le vacanze - da renderla pienamente riconoscibile ed esporla alla discriminazione. L´Autorità della privacy intervenne, in quel caso, con molta fermezza.
Se numerosi successi vanno registrati, non si tratta di una battaglia vinta per sempre. La tecnologia, procedendo senza sosta sulla sua legittima strada, accoppia in sé ovvi vantaggi sociali e molteplici insidie. Telefonini, portali elettronici, carte di credito, sistemi di video-sorveglianza, cartelle cliniche non sufficientemente «segretate» a tutela dei pazienti di cui esplorano il Dna: ecco soltanto un assaggio delle casistiche in cui può configurarsi, ai danni di chiunque, un «furto d´identità» o un´indebita sottrazione di notizie. Ecco lacerata quella cultura del rispetto che risale, per grandi linee, all´«Habeas corpus» del 1215. Ma - insistendo giustamente nello spaventarci - Rodotà fa notare che oggi il nostro «corpo fisico» è assai meglio tuletato del nostro «corpo elettronico», cioè dell´enorme massa di informazioni che esistono su di noi e possono contro di noi essere utilizzate. Per cui a quell´antico e benemerito «Habeas corpus» andrebbe accompagnato un nuovissimo «Habeas data». La promessa della Magna Charta - non metteremo mano su di te - dev´essere estesa e aggiornata. Ciascuno di noi deve poter controllare tutto ciò che su di lui si scrive e si conserva.
Sempre in bilico sul palcoscenico della Storia, lady Privacy è indifesa di fronte agli imprevisti. La realtà può attentare ai suoi danni. Fra le vittime dell´11 settembre americano figura anche lei, nella sua essenza incorporea ma tutt´altro che trascurabile. L´imperativo della sicurezza generale, che è risuonato nel paese ha indubbiamente giocato contro la difesa dei singoli e del loro «vissuto». Al pari di ogni legislazione di emergenza, il Patriot Act rischia di considerare miope ogni preoccupazione individuale, e di farne giustizia rimandando a un indefinibile «dopo» il ritorno alla normalità costituzionale. A partire dall´11 settembre di quattro anni fa, «tutto sembra lecito a gran parte degli americani».
Ma il libro di Rodotà e Conti non si limita a questa denuncia. Si addentra anche nella sproporzione tra sforzi e risultati cui è approdata l´azione degli investigatori. Su otto milioni e mezzo di persone che sono state controllate negli Stati Uniti in seguito all´attentato delle Twin Towers, i veri sospettati sono in tutto 281, e nessuno lo è per reati di terrorismo. Nella grande democrazia americana la Privacy, oggi depressa, aspetta di sgranchirsi. E di riprendere la sua marcia.