venerdì 19 novembre 2004

sinistra: il problema del pensiero religioso
Liberazione: intervista a Massimo Cacciari

Liberazione, 19.11.04
FEDE E RAGIONE DELL'OCCIDENTE
Intervista al filosofo Massimo Cacciari
di Tonino Bucci

Non esiste altra coppia più evocativa e carica di allusioni nel pensiero occidentale della relazione tra fede e ragione. Attorno ai due termini siè non solo sedimentato un vero e proprio patrimonio filosofico, ma anche una storia di connessioni e conflitti filtrati attraverso le varie epoche. Se si volesse dare un'immagine figurativa di queste due protagoniste della tradizione occidentale si potrebbe ricorrere alla descrizione che ne forniva Hegel nella "Fenomenologia dello spirito" a proposito dello scontro epocale tra illuminismo e religione, come di due acerrimi nemici intenti a combattersi ma destinati, non appena uno fra i due soccomba, a riprodurre le ragioni dell'altro al proprio interno. Nemici, quindi, ma accomunati da un medesimo destino. Cosa ne è oggi della fede, come si rapporti alle forme di conoscenza razionali e, più in particolare, alla sfera del politico, è il tema conduttore della decima edizione di Umbrialibri - iniziata l'altro ieri a Perugia sotto il titolo "In nome della fede". Nell'elenco delle presenze figura anche quella del filosofo Massimo Cacciari, impegnato oggi in un confronto con il matematico Giorgio lsrael sul tema della speranza.
Nella teologia della tradizione cristiana la fede ha sempre manutenuto una distinzione dalla razionalità ma si è presentata pur sempre come una forma di conoscenza (quand'anche non discorsiva) o, al limite, come una scelta etica. Non crede che oggi, invece, prevalga nel senso comune, una concezione relativistica della fede, vissuta per lo più come adesione personale, privata, a valori tra loro indifferenti?
«E' difficile fare una storia lineare della fede, c'è un insieme di idee attorno a questo termine che si confondono e s'intrecciano. Fin dai primi secoli della diffusione del cristianesimo si confrontano una concezione della fede come semplice e pura follia per la ragione, davvero antagonistica rispetto a ogni modello discorsivo, e un'idea della fede come archetipo e fondamento del discorso. Una cosa è Tertulliano, altra cosa è Clemente, per intenderci. C'è una continua oscillazione, un continuo confronto, tra concezioni diverse lungo tutta la storia della cristianità. Certo, nei momenti più alti della teologia cristiana, sia in epoca patristica sia in epoca scolastica, noi abbiamo un'idea della fede che tenta in tutti modi di coniugarla con la ragione: "fides et ratio", e non "aut fides aut ratio"».
In che modo?
Intanto, dal punto di vista propedeutico, nel concepire la fede non come qualcosa che contrasta la ragione, ma come un'istanza meta-razionale. Questa è la spiegazione più semplice del rapporto che ci può essere. E' il grande modello dantesco, per citare il momento più alto e, tutto sommato, più completo sia dal punto di vista figurale e artistico, sia da quello teologico. La ragione è assolutamente indispensabile per accompagnarti fino alla perfezione della città dell'uomo, alla conclusione del Purgatorio. Ma per il tratto successivo essere accompagnato da virtù che non puoi darti da solo, che non possono essere il prodotto di una tua formazione, di una tua educazione. La fede è, quindi, un dono, non può essere il semplice prodotto della volontà o dello sforzo conoscitivo o della capacità d'indagine, di interrogazione, di conoscenza. Eppure, tra i due aspettivi è continuità, come si vede chiaramente in Dante. Vi è una netta distinzione e nello stesso tempo un'altrettanto profonda
continuità
Perché?
Qui tocchiamo uno degli aspetti più significativi dell'idea di fede nella cristianità. Questa fede, che è sempre - ripeto - considerata come «grazia» e come «dono», come una virtù "soprannaturale" che noi non possiamo darci ma che ci viene donata, questa fede lungi dall'esaurirsi in un atto di semplice sottomissione ed obbedienza, è il mezzo indispensabile per cercare di comprendere lo stesso divino. È una fede che indaga, che interroga, intrinsecamente inquieta. Non è fede uguale sottomissione, fede uguale obbedienza, fede uguale ossequio formale a una legge. È una fede che indaga, una fede che in ogni momento - come si dice nel Vangelo di Marco - prega per essere liberata dalla sua stessa incredulità. Questo è il tratto più caratteristico della fides cristiana. E, certo, è anche il tratto, insieme, che maggiormente la distingue dall'idea di fede che possiamo avere nell'Islam o nell'ebraismo ortodosso. Se la fede cristiana non si fosse elaborata in questo modo, come avrebbe potuto l'Europa cristiana dar vita ai suoi sviluppi artistici, filosofici, tecnici, scientifici?
Dovremmo quindi affermareche lo spirito inquieto dell'Occidente e i suoi prodotti più marcati come l'Illuminismo non va letto in antitesi con la tradizione cristiana ma all'interno di una storia comune?
Leggere la storia europea secondo la partizione Illuminismo/fede sarebbe un atteggiamento completamente laicistico e massonico...
Del resto questa inquietudine verso la ricerca è presente anche nei momenti più significativi dello stesso pensiero teologico, in Tommaso d'Aquino e, più ancora, in Duns Scoto e Occam. E' così?
Nella scuola francescana domina maggiormente l'aspetto pratico della fede. La fede appare sia in Duns Scoto sia in Occam come una dimensione completamente separata dal sapere. La fede è ciò che ti salva, ha questa funzione pratica, è una virtù pratica - è chiarissimo nella scuola francescana. Qui sta la grande differenza con l'impostazione domenicana e tomista.
Non c'è oggi una difficoltà delle Chiese tradizionali a tenere sotto controllo il territorio della fede, delle credenze religiose personali, sempre più lontane dal corpo organizzato della teologia?
È un'osservazione giusta. Se possiamo stabilire una cronologia nell'idea di fede, non c'è dubbio che nel corso dell'800 e del '900, di fronte a un processo di razionalizzazione, di secolarizzazione, sempre più la fede tende a ridursi a una dimensione sentimentale e privata. Questa dimensione privatistica della fede contrasta con tutte le scuole che abbiamo prima schematizzato, cioè con una visione forte della fede. Tutte le concezioni,sia quella francescana sia quella domenicana, sia quella tertullianea o quella di Clemente, di Agostino e di Tommaso, tutte sono accomunate dal fatto che la fede è assolutamente determinante nella struttura della nostra anima ed è una grande virtù comune, ha una dimensione pubblica, ecclesiale. Nel mondo moderno e contemporaneo la fede tende a ridursi a una dimensione privata. Qui davvero c'è uno sconvolgimento totale rispetto alla concezione cristiana e, a maggior ragione, rispetto a quella islamica e, in generale, a tutte le concezioni abramitiche della fede.
Nel senso comune prevale l'opinione secondo la quale il razionalismo favorirebbe la filosofia mentre l'irrazionalismo aumenterebbe il dominio delle religioni. Ma la crisi dei fondamenti e della razionalità non tocca anche le Chiese alle prese con questa difficoltà di rapportarsi a una sfera della religiosità sempre più frammentata e privatistica?
Certo. E' come un'abdicazionea pensare fides et ratio - che non è detto si debba pensare nei termini in cui la pensa Woytila. E un'abdicazione a quella impostazione forte, è la riduzione della fede a fatto sentimentale e della religione a fatto del cuore. Questa tendenza si afferma nel tardo Romanticismo e, secondo me, diviene dominante nel senso comune contemporaneo.
Veniamo al rapporto tra fede e politica. Per quanto riguarda l'italia l'appartenenza dei cattolici a una medesima area politica non è più un fatto scontato. In taluni casi, il rapporto tra queste due dimensioni si riduce a interpretare la fede come un repertorio di massime prescrittive delle azioni individuali. Esiste, però, anche una funzione di supplenza della fede nei riguardi di una politica sempre più tecnica, aniministrazione, calcolo economico e sempre meno attenta ai valori, ai fini, alle domande di senso ultimo del mondo?
Bisognerebbe distinguere epoche e ambiti. È chiaro che il rapporto tra fede e politica si dà per la cristianità in tutt'altro modo che per il giudaismo e, ancora di più, per l'islam. Fede e politica si legano nel giudaismo a partire dalla questione del messianesimo che nulla ha a che vedere con quello cristiano. Nell'Islam il rapporto è pressoché necessario - e questo è un altro dei grandi problemi nella relazione tra noi e il mondo islamico che non può essere affrontato solo a livello pragmatico-politico. L'islam perde davvero un aspetto essenziale della sua natura se non si vede un rapporto tra fede e politica in senso strutturale e necessario. Per quanto riguarda il tema di questo rapporto in generale la mia posizione, più volte espressa, è questa: un rapporto si dà e si può dare nell'ambito della cristianità soltanto in termini agostiniani, per quanto ripensati e reinterpretati. La fede esiste e manifesta tutta la sua energia come riserva escatologica permanente nei confronti di ogni sistema e regime politico. Non entra a far parte di quel sistema e di quel regime, ma ne rappresenta una immanente, costante critica, nel senso letterale del termine. È questo il rapporto tra fede e politica, qualunque altro tipo di rapporto snatura il carattere della fede cristiana. Una fede che si traduca in legge viene completamente snaturata. Una fede che semplicemente sia supplenza rispetto a un vuoto di senso è un'altra versione di quella fede come sentimento o religione del cuore. No, la fede è una critica, anche conoscitivamente argomentata, ad ogni elemento di idolatria politica, ad ogni barlume da parte del politico di ergersi a sistema definitivo. Questa è l'unica concezione che io avverto come cristiana del rapporto tra fede e politica. Nella cristianità non ci può essere negligenza o indifferenza nei confronti del politico - qualsiasi tentativo di fare del cristianesimo una sorta di buddismo new age è semplicemente ridicolo. Il cristiano vive e commercia nella città dell'uomo, quindi il rapporto tra fede e politica ha da esserci. Come? Se il cristiano intende dettare leggi tradisce se stesso completamente. Se, all'opposto, la fede è semplicemente una donazione di senso che distoglie gli occhi dalle miserie della politica, siamo al sentimento,alla "pappa del cuore"; al buonismo. La fede invece è un'arma critica, capace anche di argomentare contro ogni elemento idolatrico possa apparire all'interno di un sistema politico. Questo è il vero rapporto tra fede e politica nell'Occidente europeo cristiano. Qui nasce un problema: se avvertiamo così la nostra tradizione non per questo ci siamo avvicinati di un passo all'islam. Anzi, ce ne siamo ancora più nettamente distaccati. Questa è la tragedia.