martedì 29 marzo 2005

sinistra
un'intervista a Fausto Bertinotti

un articolo ricevuto da Melina Sutton

Repubblica 29.3.05
L'INTERVISTA
Bertinotti: se Berlusconi perde Lazio, Piemonte o Puglia entra in una crisi irreversibile
"A Prodi dico: via il maggioritario e il no alle primarie è un errore"

Firme false. I veleni della campagna elettorale sono anche figli di questo sistema di voto: bisogna cambiare
il programma Dobbiamo metterci al lavoro dopo il voto. Proprio a livello locale vedo la fine della stagione liberista
GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Segretario Bertinotti, tutti condividono l'appello a fermare i veleni in campagna elettorale. Ma come se ne esce, in concreto?
«Prima di tutto, sottraendosi a questo tipo di confronto. Poi, con una vera opera di bonifica, cioè con una riflessione su questo sistema elettorale e sugli elementi devianti che lo stesso sistema suggerisce».
È deviante anche la presunta raccolta di firme da parte dei partiti della sinistra per far correre la lista Mussolini sperando così di danneggiare il centrodestra?
«Se questa notizia fosse vera, sarebbe un episodio disdicevole, un sacrificio alla logica del "fine giustifica i mezzi" che non condivido. Vede, la riforma della nostra cultura politica nel senso della non violenza ha molte conseguenze, inclusi alcuni comportamenti che producono un sovrappiù di sorveglianza critica sul rapporto mezzi-fini. In poche parole, non è una vittoria quella guadagnata con strumenti che annullano la dignità. Ma quando parlo di bonifica, voglio dire che i frutti avvelenati ci sono già stati prima delle firme false. Penso alle liste civetta, una vicenda molto sottovalutata, che ha prodotto effetti devastanti. Presentare dei partiti fantasma solo per danneggiare un concorrente è già un'alterazione delle regole del gioco. L'allarme è stato lanciato più volte. Ora, per slittamenti progressivi, si è creata una situazione da correggere al più presto».
Come?
«Cambiando il sistema elettorale. Bisogna uscire dal maggioritario che è inadatto al Paese. È un sistema in cui conta soltanto vincere, per cui finisce che il nemico del mio nemico può diventare un mio amico, come nel caso della Mussolini».
Quando metterete sul tavolo la vostra proposta?
«Dopo le politiche del 2006. L'obbiettivo è un sistema proporzionale, sul modello tedesco».
Chiederete a Prodi di inserire questa riforma nel programma dell´Unione?
«No. Non faremo lo stesso errore del centrodestra. Il programma delinea l'azione di governo, non deve occuparsi di correzioni istituzionali. Ma la riflessione è necessaria».
Le elezioni di domenica prossima sono un test politico?
«Il loro significato nazionale è indotto. Nel voto regionale è certamente forte la domanda politica del "cambio" per usare il termine che ha avuto successo in Spagna e in Portogallo. Cioè, cacciare Berlusconi. Ma sento anche un'altra richiesta urgente: ricostruire il peso del potere locale come antidoto all´incertezza, che è il tratto dominante del nostro tempo. Mai una campagna elettorale è stata così segnata dal problema della precarietà. Spaventa l'idea che attraverso la delocalizzazione e l'internazionalizzazione passiva si possano risolvere le questioni aperte. Penso al finanziere russo che arriva e si compra la Lucchini, alla vicenda di Terni, al calzaturificio pugliese che sta per trasferire la produzione in Cina. L'economia scarica i suoi problemi sulla società e crea una condizione d'incertezza. In questo clima, il potere locale appare come un possibile ancoraggio, c'è una fortissima domanda di valorizzazione del governo sul territorio. Nel Sud, per esempio, c'è qualche timido tentativo di sottrarsi alle politiche neoliberiste. Sono piccoli episodi, ma hanno voglia di crescere. Io uso uno slogan: lì dove una volta si scriveva "comune denuclearizzato" scriviamo "regione de-precarizzata"».
Il voto non è condizionato dalle vicende nazionali e dalle risse?
«Non credo. Quello che si muove sul fondo è più potente della superficie che tutti vediamo».
Si conteranno i voti o le regioni, per capire chi ha vinto?
«Il test è molto ampio, quindi conteranno le percentuali, i voti. È importante anche vedere quante regioni conquisterà l'Unione, oltre a quelle che ha già e in cui sarà sicuramente confermata. Più ne strappa, più è un successo».
Otto a sei è un successo?
«Se Berlusconi perde il Lazio o il Piemonte o la Puglia, cioè le regioni in cui parte avvantaggiato, allora per lui è una vera rotta».
E dovrebbe dimettersi?
«Ho militato fin dall'inizio nel partito della caduta anticipata di Berlusconi. Non si è realizzata per mancanza di determinazione e per scelte politiche sbagliate. Ma ora siamo a un anno dalle politiche, non penso a un precipitare degli eventi. Però se si verifica il "cambio" in una di quelle tre regioni, Berlusconi cercherà una caratterizzazione estrema, iper-ideologica, della sua politica. Proverà a ripetere l'operazione potente di Bush, ma è una carta francamente debole perché Bush è al centro dell'impero e ha usato la guerra come una corazza per gli Stati uniti, noi invece siamo alla periferia e sulla guerra si pagherà un prezzo, è stato un pessimo investimento. Giocherà forse la carta della nuova Costituzione rivendicando l'introduzione del premierato, di un governo messo al riparo dall'influenza dei canali democratici, dei movimenti. Ma è un'arma spuntata per la campagna elettorale, può valere solo se vincono nel 2006. L'ultima carta è quella economica, le tasse. Beh, non funziona, in questa campagna elettorale non ha prodotto nemmeno un effetto demagogico. Se le regionali vanno come abbiamo detto, l'insuccesso politico si sommerebbe alle conseguenze delle riforme di Berlusconi e per lui la sconfitta nel 2006 diventa un dato irreversibile».
Dopo le regionali, l'Unione affronterà il programma per le politiche?
«Certo. E quello che emerge dalle regioni può fare la sua parte accanto alle mille consultazioni della Fabbrica del programma. Specialmente al Sud, è sentita con grande forza la lotta dei diritti: il salario sociale, il reddito di cittadinanza. E la valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale, l'intervento pubblico visto non come una superfetazione ideologica ma come la difesa dei beni comuni, l'acqua per esempio, il tema della programmazione. A livello locale si vede bene la fine della stagione neoliberista».
Dopo le regionali, si riapre anche la partita delle primarie nell'Unione. È vero che stanno tramontando?
«Per un gentlemen agreement mi sono attenuto alla consegna di sospendere la discussione in queste ultime settimane. Le primarie non le ho proposte io, non appartengono alla mia cultura. Ma attenzione: nel mondo sta emergendo una domanda che si chiama democrazia. E la Puglia è stato un episodio di rinascenza democratica. Ne discuteremo al momento opportuno, ma perché privarsi delle primarie?».