martedì 17 maggio 2005

Cannes, stupiscono i titoli

ilmessaggero.it Martedì 17 Maggio 2005
“TENDENZE”
«Sesso e violenza, coppia perfetta»
Il regista canadese parla di stupro, quello danese dà del cretino a Bush
Gl. S.

CANNES - Bush e l’America sotto accusa: ormai è una costante del festival. Dopo George Lucas, che ha fatto il parallelo tra le sue Star Wars e la ”guerra stellare” in Iraq, ieri è stata la volta del danese Lars Von Trier e del canadese David Cronenberg che, con stili e motivazioni diverse, hanno ugualmente preso di mira gli Usa. In una giornata memorabile di questo 58esimo festival, i due mammasantissima del cinema d’autore si sono sfidati a duello con i rispettivi film che criticano lo stesso Paese ma sulla Croisette hanno suscitato reazioni agli antipodi: pubblico superconcentrato per il ”noir” mozzafiato History of violence , molti spettatori in fuga dall’ambiziosissimo Manderlay con le sue scenografie stlizzate, riprese ondeggianti di scuola “Dogma”, recitazione e dialoghi teatrali.
«Bush è un cretino», ha detto alla conferenza stampa Von Trier, che sulla propria inaccessibilità e su certe leggendarie fobie (di volare, di venire fotografato...) ha costruito un personaggio e sull’antiamericanismo una trilogia di cui Dogville è il primo capitolo e Manderlay il secondo (ma non è detto che si farà il terzo, ha annunciato il regista). «L’America è seduta sul mondo e lo condiziona pesantamente sul piano politico, culturale e commerciale», ha spiegato Lars alla stampa internazionale. «Anche la mia Danimarca è vittima di questa influenza, che non è una buona influenza e si manifesta in diversi settori, a cominciare dalla catena McDonald che da vegetariano ho la fortuna di non frequentare. Ma pur non essendo mai stato negli Usa, come Kafka prima di scrivere Amerika , ho un cervello americano al 60 per cento. Laggiù però non ho il diritto di votare per cambiare le cose, così faccio film che criticano il sistema».
L’attore Danny Glover si è quindi lanciato in un’appassionata inventiva contro le discriminazioni ancora striscianti: «Von Trier non ha inventato niente. Il capitalismo americano ha potuto svilupparsi grazie alla schiavitù, ma dopo la Guerra Civile poche cose sono cambiate nei rapporti tra bianchi e neri ai quali sono riservati ancora i lavori più umili». Mentre, in nome della correttezza politica, «nella finzione delle serie tv si vedono perfino presidenti Usa di colore», ha aggiunto il regista, scangliandosi contro il conformismo: «Il politically correct è figlio della paura di parlare e sotterra qualunque possibilità di dibattito. Se tutti fossero d’accordo, la politica non farebbe passi avanti».
Viene invece considerata espressione universale di ”scorrettezza” la violenza che insanguina tanti film contemporanei. A cominciare da History of violence . «La violenza è un fenomeno tipicamente americano e il mio film è un western che ha per protagonista un uomo che imbraccia il fucile per difendere la propria famiglia: un classico mito a stelle e strisce», spiega Cronenberg, un maestro che si serve spesso del disagio per regalare emozioni forti. «Non c’è niente di più universale di una storia specifica, locale. Ma non c’è bisogno di andare negli Usa per imbattersi nella violenza sulla quale, come ben sappiamo, si sono costruite tutte le nazioni del mondo».
E un artista che sparge sangue a piene mani, chiedono al regista di Crash , non rischia di essere responsabile di eventuali fenomeni di emulazione? «Se ogni spettatore, uscito dal cinema, facesse una strage per replicare quello che ha visto sullo schermo, la terra sarebbe già spopolata», osserva Cronenberg. «Nelle sequenze estreme, io cerco sempre la complicità del pubblico». Accetta dunque di giustificare una delle scene più forti del film, l’atto sessuale che somiglia a uno stupro tra Viggo Mortensen e sua moglie Maria Bello sulle scale di casa. «Sesso e violenza è un connubio perfetto, come uova e bacon», sorride il regista. Aggiunge Viggo Mortenesen, applauditissimo nel ruolo del protagonista in bilico tra un presente ”specchiato” e un passato sinistro che (forse) riaffiora all’improvviso: «Il tema del film non è la violenza fine a se stessa ma quella che proviene dall’autorità. E questo fa riflettere».

ilmanifesto.it
17 maggio 2005
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