martedì 17 maggio 2005

sui referendum

L'Unità 17 Maggio 2005
Quel gene di Mozart
Giovanni Berlinguer

Temo che scelte importanti e difficili, come quelle che riguardano la procreazione assistita, divengano confuse nella mente dei votanti o non votanti a causa delle intimidazioni personali, delle polemiche interne ai partiti e agli schieramenti e perfino del cicaleccio (la traduzione nell'inglese gossip non lo rende meno infame). I casi sono tanti, e purtroppo c'è molto da scegliere. Il più spregevole è stato il pettegolezzo costruito a danno di Fini e della Prestigiacomo, dopo che avevano dichiarato il loro voto (diverso l'uno dall'altra). Il caso più fastidioso è la richiesta petulante rivolta a Prodi, dopo il suo coraggioso “voterò!”, perché dichiari pubblicamente come e perché voterà. L'articolo 48 della Costituzione, secondo cui “il voto è personale ed uguale, libero e segreto” deve valere anche per i leaders.
Vorrei ricordare che nel referendum più importante della storia d'Italia, quello che decise tra monarchia e repubblica, Alcide De Gasperi, che aveva a cuore l'equilibrio del suo partito e del Paese, non dichiarò mai il suo voto, né prima né dopo; e fu probabilmente una decisione saggia.
Se non verrà attenuato il rumore di fondo, cioè l'inquinamento acustico che rischia di confondere l'opinione pubblica, temo che risulterà arduo per i cittadini distinguere il filo conduttore dei molti problemi che sono sottesi alla scelta referendaria: la scienza e l'etica, la libertà e i diritti, l'embrione e la persona, la legge e la religione, la donazione e i rapporti fra generi.
Vorrei perciò proporre di riflettere in modo semplice su quale sia il punto essenziale in discussione: è la libertà di procreare. Questa non è un diritto assoluto, ma una facoltà. Questa è una decisione che non riguarda soltanto i due genitori: coinvolge anche un terzo soggetto, colui che nascerà e ha perciò una rilevanza etica primaria. Una scelta libera e responsabile, quindi.
Comprendo che questa tesi può essere interpretata in maniere diverse, ma rifiuterei di considerarla scontata o banale. La ragione è molto semplice: perché la libertà di procreare, nella storia plurimillenaria del genere umano, era una facoltà sconosciuta e negata (soprattutto per le donne) fino a cinquant'anni fa, o poco più. Sconosciuta perché mancavano informazioni basilari sulla riproduzione e mezzi adeguati, non traumatici, per controllarla; e sempre negata a causa del predominio maschile. È prevalso l'obbligo, più che la libertà.
La libertà responsabile di procreare è quindi una conquista recente della modernità, che supera e incorpora la tradizione della nostra specie. Essa è il frutto (forse il migliore) dell'incontro tra due forze che sono fra le più dinamiche della storia: la scienza e le lotte contro l'ingiustizia. Vi è stata una straordinaria coincidenza, e spesso una sinergia consapevole, fra le crescenti nozioni e le tecniche atte a regolare, a migliorare e a consentire i processi della procreazione, e le lotte e le proposte delle donne per liberarsi ed emanciparsi da vincoli millenari. Come conseguenza, oggi in molte parti del mondo si è ampliata la possibilità di scelta, anche quando sussistono ostacoli di natura patologica; la possibilità di scegliere quando, come (e in qualche misura chi) procreare.
Sul “chi”, è giusto porre limiti precisi. Il Comitato Internazionale di Bioetica dell'Unesco, esaminando le possibilità che offre la diagnosi pre-impianto (sull'embrione in provetta, prima che sia trasferito nell'utero), ha detto un sì e due no: sì a negare l'impianto in caso di gravi patologie, no alla scelta del sesso del nascituro, no all'eventuale enhancement, cioè ai tentativi di accrescimento delle sue qualità genetiche. Ricordo che in un dibattito sulla procreazione assistita una signora mi chiese: “Chi può impedirmi, quando sarà possibile, di chiedere che mio figlio abbia le qualità di un Mozart?”. Un'altra signora risolse il quesito in una risata quando obiettò “Io preferirei un Vivaldi”. La verità è che oggi è scientificamente impossibile modificare caratteristiche essenziali degli esseri umani per via genetica. Anche la terapia genica, basata sulla sostituzione di geni malati con geni sani, sulla quale erano nate molte speranze vent'anni fa, ha avuto pochissimi risultati positivi e molti “effetti collaterali”: in parole povere, decessi accelerati dei pazienti che si erano affidati a queste cure. La sola eugenetica che ha funzionato per più di un secolo, finora, è quella selettiva, finalizzata alla sterilizzazione o allo sterminio degli indesiderabili, fossero essi malati di mente o ebrei. È un arbitrio confonderla con i progressi della conoscenza genetica, che non coincidono con le illusioni di scienziati irresponsabili.
Il miglioramento della specie e degli individui umani, in altre parole, deve essere affidato al progresso culturale, sociale e morale, e di questo progresso è parte essenziale la libertà e la responsabilità del procreare. È per difenderla ed estenderla che si fa il referendum, per correggere una legge che è fortemente discriminatoria su piani diversi. Sul piano sociale, ci riporta alla situazione che vi era in Italia prima delle legge sull'aborto, quando chi poteva permetterselo andava coi voli charter ad abortire in Inghilterra, e chi no doveva soffrire e morire. A Valencia, c'è ora un centro clinico di procreazione assistita, verso il quale affluiscono molte coppie di italiani, che ha affisso un grande cartello nella hall dell'aeroporto: “Stiamo dando il maggiore contributo allo sviluppo del turismo valenciano”.
Sul piano biologico, la discriminazione sta nel vietare la procreazione a persone o coppie che abbiano ipofertilità o sterilità: impedimenti naturali che non sono di per sé ingiusti; ma lo diventano se viene negato l'accesso a un rimedio esistente, come la donazione di ovuli o di spermatozoi. In nome di quale principio? Quando le ostilità si estendevano a ogni tipo di procreazione assistita, l'argomento era: ciò che è naturale è bene, ciò che è artificiale è male.
Quando poi si comprese che in questo modo si poteva giungere all'aberrante conclusione che le malattie naturali sono il bene, e le cure artificiali il male, il dissenso rimase circoscritto alla parola “eterologa”. Parola fuorviante e tendenziosa, perché in biologia vuol dire commistione fra animali di specie diverse, e qui non si tratta di incroci fra uomini e scimmie bensì di donazione e accoglienza, cioè di solidarietà fra esseri umani. Ora è stato prospettato da varie fonti un altro dubbio: perché impedire a chi nasce di conoscere i suoi genitori biologici? A me pare che non basta rispondere che i veri genitori sono quelli che l'hanno voluto, nutrito e amato. A questa verità è giusto aggiungere che c'è anche il diritto di sapere, da grandi. In Italia esso è già stato riconosciuto per i bambini adottati, e in molti paesi (come la Svezia e l'Austria) è stato esteso ai nati dalla procreazione assistita. Se l'obiezione è solo questa, sarà facile trovare un consenso per modificare la legge, quando e se il referendum avrà eliminato le sue maggiori storture.
Infine vi sono le discriminazioni e gli ostacoli verso i tanti, forse milioni di persone, sofferenti e disperate, che potrebbero trarre giovamento da cure basate sulle cellule staminali. Premetto che queste si possono trarre da fonti diverse, tessuti del corpo e cellule del cordone ombelicali, oltre che da embrioni. Premetto inoltre che, anche in questo campo, si usa un'espressione fuorviante, quando si parla di “clonazione terapeutica” mentre per ora c'è solo sperimentazione, e non è giusto ingigantire le attese a breve termine dei malati. Aggiungo infine che l'embrione è certamente un progetto di vita, ed è giusto il divieto (sancito dalla Convenzione bioetica europea, ratificata dall'Italia) di produrre embrioni a scopo sperimentale. Ma non riesco a condividere i motivi per cui gli embrioni già esistenti, ora per decreto di Sirchia ammassati in contenitori centralizzati in attesa che il tempo li distrugga, non possono essere usati a scopi di ricerca finalizzati alla sopravvivenza di esseri umani, opponendosi in nome del criterio che ogni embrione è persona, il quale è indimostrabile scientificamente. La scelta non è sempre fra il bene assoluto e il male assoluto.
Esiste anche l'idea che dal male può nascere qualche bene, e le leggi ben costruite sono pietre miliari di questo complicato e tormentato cammino.

L'Unità 17 Maggio 2005
«Quella legge moltiplica gli aborti»
Fecondazione, parla Adinolfi genetista della London Medical School: il diritto di voto va esercitato
Maria Zegarelli

ROMA Di origini italiane, (la sua famiglia è di Salerno), nato in Africa, vive dagli anni Sessanta in Inghilterra. È uno scienziato, un uomo che ha passato tutta la sua vita a studiare il modo di far nascere meglio gli esseri umani e curare al meglio le donne gravide. Il professor Matteo Adinolfi, arrivato nei giorni scorsi in Italia per un convegno sulle tecniche di diagnosi pre-natale, è molto critico sulla legge 40 sulla procreazione assistita. «E sbagliata sotto ogni punto di vista», osserva. Ed è critico anche con il collega Bruno Dalla Piccola, presidente della Società italiana di genetica umana. «Non si possono invitare le donne a disertare il referendum».
Professore, l’attuale legge vieta la diagnosi pre-impianto. Lei ha detto che trova assurda questa norma. Perché?
«Se in una donna si induce una iperovulazione è possibile che riesca a produrre cinque o sei ovociti, di cui almeno tre saranno anormali. Ce lo dimostrano anni e anni di studi e osservazioni. Il 70% circa delle gravidanze nel mondo non arrivano a termine a causa di alterazioni cromosomiche. Si verificano, cioè, aborti precoci, alle prime settimane di gestazione. La mia domanda è: perché mettere nell’utero degli embrioni prodotti con ovociti non normali e perché non selezionarli prima impiantandone solo uno o due? In alcuni centri del Belgio si impianta un solo embrione e le possibilità di successo sono del 30%, altissime rispetto a quelle di altri paesi».
Lei sta dicendo che anche sotto questo profilo siamo indietro?
«Dico piuttosto che se le indagini pre-impianto sono scrupolose, le possibilità di successo aumentano sensibilmente. Decidere per legge che si devono impiantare embrioni a caso è piuttosto strano. Vietare la diagnosi pre-impianto, ripeto, dal mio punto di vista, è un errore gravissimo. Credo che sia ingiusto anche vietare ad un uomo o una donna di donare ovociti, seme, o embrioni congelati. La donazione è un atto d’amore, una scelta eticamente giusta. Destinare gli embrioni soprannumerari alla ricerca, invece, può permettere di fare passi in avanti nella cura contro molte malattie».
Lei ha parlato di un esperimento molto importante condotto poche settimane fa in America con le cellule embrionali. Ci può spiegare di cosa si tratta?
«È stato possibile curare topini affetti da emofilia trapiantando cellule embrionali di altri topini coltivati in vitro. I topini sono stati prodotti artificialmente da un ricercatore americano, Smith. Quelli coltivati in vitro hanno prodotto il fattore 9 dell’emofilia e, una volta effettuato il trapianto, i topini emofiliaci sono guariti, malgrado le cellule embrionali erano incompatibili dal punto di vista immunologico. Erano incompatibili ma sono state accettate. Questo è un grande successo per la ricerca. Per ora non sappiamo se sia possibile sugli esseri umani, ma abbiamo una traccia su cui lavorare».
In Italia il comitato “Scienza e vita” contesta l’efficacia delle cellule embrionali. Dicono che non ci sono certezze sulla loro efficacia...
«Non è vero. Esistono studi americani che dimostrano il contrario. Questo non vuol dire che in futuro soltanto le cellule embrionali saranno la risposta ad alcune malattie. C’è anche la speranza di creare cellule staminali di un individuo adulto, e di trasformarle in cellule pluripotenti, differenziarle in una cellula che produce ad esempio il fattore 9».
L’obiezione che alcuni scienziati fanno è che le cellule embrionali si possono trasformare in cellule tumorali.
«Mettiamo sul piatto della bilancia da una parte i successi e dall’altra i fallimenti. Faccio ancora un esempio: i bambini con le immunodeficienze si curano con l’ impianto di cellule geneticamente manipolate che producono immunoglobuline. Questa manipolazione su 14 bambini ha prodotto i seguenti risultati: 11 sono guariti, tre hanno contratto la leucemia. Abbiamo salvato undici bambini, gli altri 3, che sarebbero morti, sono stati curati anche dalla leucemia. Cosa vuol dire? Che a volte bisogna correre dei rischi, minori rispetto alla malattia che vogliamo curare, se vogliamo dare una speranza».
Quale immagine le arriva da osservatore «esterno» del dibattito in corso in Italia?
«A me sembra molto strano che il professor Bruno Dalla Piccola inviti le donne a non andare a votare. Il diritto di voto andrebbe sempre esercitato, soprattutto in casi come questo. Ritengo, inoltre, che siano le donne a dover decidere quando si tratta di gravidanza, diagnosi pre-impianto, aborto. L’intervento dell’uomo è un intervento estraneo. Il medico, poi, non ha alcun diritto morale di intervenire. Neanche se è un illustre professore».

Il Tempo 16.5.05
Livia Turco: «Raggiungere il quorum riaprirà il dibattito»

LA salute della donna viene prima dell'integrità dell'embrione. Un principio per cui, secondo Livia Turco, responsabile Welfare dei Ds, è giusto abrogare la legge 40 per tornare poi in Parlamento e riscrivere le norme sulla fecondazione assistita. L'esponente dei Ds considera l'embrione un «progetto di vita e sono d'accordo su una legge che ne riconosca la dignità umana. Ma non ci può essere equiparazione tra embrione e nato — ha aggiunto Livia Turco in una intervista — Perciò la norma attuala va abrogata». «Io credo che dopo le urne si debba tornare in Parlamento e scrivere un nuovo testo che ristabilisca l'equilibrio dei valori in gioco, attualmente a scapito della salute della donna. Raggiungere il quorum — fa presente la responsabile Welfare della Quercia — significherà riaprire il dibattito». Turco si dice favorevole anche alla fecondazione eterologa. «Personalmente non la praticherei. Ma credo che l'acquisizione fondamentale della laicità sia la distinzione fra le proprie convinzioni personali e il ruolo della legge che deve tenere conto delle pluralità e cercare le soluzioni più giuste». «Con la proibizione dell'eterologa — continua Livia Turco — ad esempio ci troveremmo di fronte a fenomeni simili a quanto accadeva con l'aborto prima della legge 194, a cominciare dal turismo sanitario. E poi una scelta individuale non si può regolare per legge: penso ai casi di sterilità, infertilità o di malattie genetiche gravi. Qui non si tratta di generiche libertà di opinione, non mi si parli di "relativismo etico", è solo rispetto del pluralismo». «Il referendum è un'occasione per una discussione pacata e una crescita di coscienza collettiva. Che questa discussione sull'astensionismo, soprattutto quello opportunista e difensivo di chi non vuole affrontare una questione imbarazzante, non la permette. Rispetto invece profondamente — conclude la Turco — la posizione della chiesa che rivendica un'astensione forte e chiara. Anche se mi dispiace». Anche l’oncologo Umberto Veronesi interviene nel dibattito per il sì. «Io penso che in un mondo democratico, tutti abbiano il diritto e il dovere di esprimere la propria opinione nei referendum per la procreazione assistita. Io sono per il si, naturalmente, come tutto il mondo scientifico. Se poi però vincesse il no, io mi inchinerò alla maggioranza senza riserve». «Credo — ha sottolineato ancora — che sapere come la pensa la gente è un dovere, mi sorprende che molti uomini politici invitino a non andare a votare. È una posizione antidemocratica, illiberale e un po’ arretrata, che apre le porte a qualsiasi dittatura del futuro». «La scienza corre a livello mondiale — ha concluso Veronesi, riferendosi all'ipotesi che i referendum non ottengano il quorum — gli altri Paesi la fanno correre, la fanno andare. Mi dispiace però se le donne italiane dovranno andare all'estero per fare ciò che qui non si può fare».

Il Mattino 16.5/05
Berlinguer: «Questo testo è peggio del nulla»
Maria Paola Milanesio

«A essere sbagliato è l’impianto della legge: una legge ideologica che tende ad affermare principi etici non dimostrati e non dimostrabili e che restringe la libertà di procreare». Giovanni Berlinguer, fino al 2000 presidente del comitato nazionale per la bioetica, è ora componente del comitato dell’Unesco. Uno dei punti cardini di questa legge è ”l’embrione è vita”. Che cosa dice la scienza? «La scienza sa quasi tutto sullo sviluppo dell’embrione, sa che dal momento della congiunzione del patrimonio genetico femminile e maschile c’è - fatto salvo il caso dei gemelli - un progetto unico e irripetibile di vita umana. Ma la scienza non può dire se l’embrione è o non è persona, e questo perché il concetto di persona è filosofico e per alcuni teologico. È un arbitrio chiedere una risposta alla scienza. Su questo concetto ci sono idee plurime e questa pluralità va rispettata, evitando di tradurre nelle leggi idee che non possono essere convalidate dalla scienza». La Chiesa e poi il presidente del Senato Marcello Pera hanno parlato di pseudoconcetti scientifici come pre-embrione, pre-vita. Che cosa risponde? «Non rispondo a obiezioni che pretendono di avere un fondamento filosofico unico. Ritengo che la tendenza a legiferare sulla base di principi filosofici o teologici che sono oggetto di discussione sia un arbitrio». Come giudica la legge che sarà sottoposta a referendum? «La considero molto restrittiva rispetto alle altre leggi europee e discriminatoria. Intanto, perché - come per l’aborto - chi ha soldi può rivolgersi all’estero. Pensi che all’aeroporto di Valencia, in Spagna, c’è un cartellone che dice ”Abbiamo contribuito più di tutti a incrementare il turismo”: è la pubblicità di un centro per la procreazione assistita. Il secondo motivo di discriminazione è di carattere biologico, perché chi ha problemi di sterilità, di malattie genetiche si vede vietare la possibilità di avere figli con la fecondazione eterologa. Un termine, tra l’altro, usato molto impropriamente, perché in biologia è eterologo un incrocio tra due specie animali diverse, mentre in questo caso si tratta di un legame di solidarietà della specie umana». Il comitato per il sì dice che astenersi è una furbizia, è un rifiutare lo scontro ad armi pari. Che cosa ne pensa? «È una scelta correttissima, per il referendum non c’è l’obbligo di voto. Ritengo che sia invece scorretto che la Chiesa cattolica interferisca nella vita dello Stato, perché in questo modo se ne cancella la laicità. L’Italia, comunque, è abbastanza libera da non subire interferenze da parte della Chiesa, tant’è che il referendum sull’aborto - approvato con il 51 per cento in Parlamento - venne convalidato dal 68 per cento degli elettori». Un leader politico è tenuto a dire come voterà? «Un leader continua a essere un uomo libero: si esprima se lo ritiene opportuno - Fini ha fatto una scelta chiarissima - o non lo faccia se non vuole. Non penso sia giusto premere sui leader perché dicano come intendono comportarsi». Meglio queste norme dell’assenza di regole? «Questo testo è peggio del nulla perché pone delle restrizioni arbitrarie».