venerdì 5 settembre 2003

Buogiorno, notte: Alto Adige (Trento)

Alto Adige 5.9.03
Ora Bellocchio è in corsa con Inarritu
Totoleoni

VENEZIA. Dopo il consenso della stampa (inattesa standing ovation, raramente riservata) e soprattutto degli operatori stranieri che lo hanno già prenotato per i prossimi festival di Toronto, New York e Londra, Marco Bellocchio e il suo "Buongiorno, notte" dedicato al caso Moro, puntano dritto al Leone d'oro. In un Totoleoni, necessariamente parziale visto che manca l'atteso "21 grammi" di Alejandro Gonzalez Inarritu con un bel cast formato da Sean Penn, Benicio Del Toro e Naomi Watts, Bellocchio è senz'altro tra i favoriti, anche se forse più che il Leone potrebbe avere il Gran Premio della giuria o il premio speciale per la regia, mentre un riconoscimento tra i suoi attori spetterebbe a Roberto Herlitzka che interpreta Moro.
Tra l'altro Bellocchio non ha mai vinto a Venezia. Bellocchio, secondo le indiscrezioni raccolte ieri, se la sta giocando con il russo "Il ritorno" (che ha in più la triste storia del protagonista bambino morto dopo le riprese) di Andrej Zvjagintsev, che ha avuto grandi consensi ovunque. Se Monicelli e i suoi giurati si ricorderanno di quello che è accaduto a Cannes quest'anno con "Uzak", c'è l'eventualità di una Coppa Volpi ex aequo tra i due ragazzi, Vladimir Garin e Ivan Dobronravov).
Però, pare la giuria stia considerando anche un'altra eventualità, quella di premiare l'efficace "Zatoichi" di Takeshi Kitano, film ironico e di grande qualità visiva. Kitano potrebbe in mancanza di altri premi avere la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
Restano in zona premi il polacco "Pornografia" di Jan Kakub Kolski tratto da un romanzo di Witold Gombrowicz, il cui protagonista è in odore di Coppa Volpi, poi "Il miracolo" di Edoardo Winspeare, piaciuto ai critici e buon compromesso per un eventuale giuria divisa. In una rosa si possono includere il caotico condominio di Amos Gitai che con "Alila" potrebbe ottenere la Coppa Volpi per l'attrice Ronit Elkabetz; il maestro portoghese Manoel de Oliveira con il suo "Un film parlato"; la tedesca Margarethe Von Trotta, il cui ritorno al cinema sotto il segno di "Rosenstrasse", storia di una piccola resistenza tedesca al nazismo potrebbe aver centrato i tempi. Nonostante le attese della vigilia resta escluso (più che altro è una speranza) il film di Bruno Dumont "Twentynine Palms", noioso nella sua sessualità meccanica.
Il merito di "Buongiorno, notte" sta nel non parlarne come giallo, come una spy story, ma come una storia di persone: Moro non è uno statista ma un uomo.

BELLOCCHIO e la fine di Aldo Moro
"Buongiorno, notte" convince perché entra nei sentimenti più che nella cronaca
IN CONCORSO Pubblico e critica plaudono al ritorno del regista
di Stefano Giordano

VEENZIA. "Buongiono, notte" era sicuramete il film in concorso più atteso di questo finale di festival. Da una parte per la trasposizione cinematografica delle drammatiche vicende del sequestro Moro; dall'altra per l'attesa di una conferma di questa nuova fase del regista che, con il precedente "L'ora di religione", aveva ritrovato consenso di critica e pubblico. L'attesa era dunque anche per vedere quale posizione avrebbe preso il regista nel confronto dei delle vicende a distanza di 25 anni. Quale ricostruzione storiaca in questa fase di bisogno di memoria e pressione revisionista? Senza badare troppo allo specifico della cronaca, dei fatti, dei personaggi, il regista ha incentrato il film sulle dinamiche dei rapproti tra i protagonisti, Moro e i brigatisti, nei giorni del sequestro. In una forse eccessiva semplificazione emerge subito chiara la figura di uno statista interamente dedicato alla politica, in nome di una tensione etica e di profonde convinzioni religiose. Un personaggio mite e profondamente umano (vedi le citazioni delle lettere ai parenti), quasi stilizzato in questa incarnazione della vittima sacrificale. Dall'altra i brigatisti, determinati da ideologie assolute, imparate a memoria, da rigidi dogmatismi; ma poi anche incerti e divisi.
Il film procede tra le varie fasi e situazioni del sequestro, annunciate da un televisione perennemente accesa, e la quotidianità dei sequestratori, i loro ricordi, i sogni, i dubbi. La conclusione è nota, ma nel film, dopo l'uscita dal covo e l'avvio alla morte, creato su un crescendo musicale dei Pink Floyd (incredibilmente riuscito), Aldo Moro si ritrova libero a camminare per le strade. La metafora è chiara, lo spirito, il pensiero, l'esempio, il sacrificio non muoiono e gli sconfitti storici sono inevitabilmente i carnefici. Ancora dunque una pagina di storia per un film italiano presentato al festival. Dopo il '48 della strage di Portella della Ginestra di Paolo Benvenuti in "Segreti di Stato", dopo il'68 di Bernardo Bertolucci di "The dreamers", il '78 del sequestro Moro di Marco Bellocchio.
Perchè questo interesse per la storia dei nostri cineasti? Il cinema è diventato forse il media più popolare per la sua ricostruzione, la sua diffusione, la necessità della memoria? Una volontà di contrapporsi alla televisione che spettacolarizza sempre più il documentario? Può esserci un'esigenza etico-didattica, una voglia di raccontare un passato vissuto e conosciuto. Può esserci altro, per esempio i film che hanno vinto i festival importanti degli ultimi anni ("Il pianista", "La vita è bella"...). Ma il cinema resta sempre e soprattutto fiction, per questo dalla storia si possono realizzare ricostruzioni molto differenti a seconda delle finalità. Così se Benvenuti cerca la ricostruzione fedele a sostegno della denuncia, Bertolucci quella romantico evocativa di incitamento alle nuove generazioni, Bellocchio è interessato alle spinte interiori e al confronto dell'azione etico-politico portata agli estremi. Il rischio è la stilizzazione, ma, come il film di Bertolucci, anche questo non è forse dedicato agli over 40, che certe storie le hanno seguite in diretta, al tempo, ma ai giovani che di certe vicende sanno poco o niente e necessitano indirizzi. Poi, la lettura del passato, la selezione dei fatti importanti da rendere storia, inevitabilmente riducendoli, è un processo imprescindibile della contemporaneità.
Il film dunque, dalle buone qualità formali (ritmo, interpretazione, fotografia), piacerà o no a seconda di chi avrà voglia di leggerne gli intenti secondo quelli del regista, più che per altri elementi cinematografici.