venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: La Provincia

La Provincia 5.9.03
Cinema
Acclamato «Buongiorno, notte», sul sequestro dello statista visto attraverso gli occhi dei brigatisti
«Che errore far uccidere Moro»
Bellocchio: «Lo penso col senno di poi. Ma il film non ha tesi»
di Nicola Falcinella

Applausi e commozione. Miglior accoglienza non poteva avere Marco Bellocchio con il suo «Buongiorno, notte». Il penultimo giorno di proiezioni ha presentato uno dei grandi pretendenti al Leone d’oro che sarà assegnato domani sera. Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro raccontati dal covo di via Montalcini, i terroristi visti come delle persone con le loro illusioni e le loro follie terribili. Tante ombre, atmosfere, sguardi, sogni, ricordi, partendo da ciò che si sa di quei giorni per poi creare quattro sequestratori (non hanno i nomi dei veri Br per evitare che finzione e realtà storica si confondano) che vivono giorno per giorno la situazione, fra i dubbi. «Buongiorno, notte» ha tanti momenti forti, commuoventi: il funerale degli agenti di scorta visto in tv, la lettera a Papa Paolo VI che Moro legge ai brigatisti per ricevere consigli, le epistole del prigioniero ormai destinato a morte che si sovrappone, nella mente della giovane, a quelle dei partigiani fucilati dai nazisti e dalla X Mas (con frammenti di «Paisà» di Rossellini). Bellocchio evoca con le musiche di Verdi, Schubert e dei Pink Floyd, con sogni di utopie visualizzati da «Tre canti di Lenin» di Dziga Vertov, fa sentire vicini e distanti ai quattro terroristi che nel crescente isolamento, colmi di una follia efferata, nascondono un uomo (che ha il volto di Roberto Herlitzka), lo processano e lo uccidono. Quale interpretazione ha dato del sequestro di Aldo Moro da parte delle Br? Per la prima volta – racconta Bellocchio – ho fatto un film su commissione, per la Rai, che mi ha lasciato molta libertà. E’ stata una sfida che mi ha progressivamente coinvolto. Ho scelto come strada quella di affermare delle infedeltà rispetto a come andarono le cose. Non mi interessavano tesi o discorsi ideologici o ipotesi come quelle di un ruolo della Cia o del Kgb. Non mi interessava sapere chi erano i responsabili ma capire se fosse possibile evitare la fatalità tragica di quel che avvenne. Il personaggio di Chiara ha nel film possibilità d’uscita che nella realtà la Braghetti non ebbe. E’ tutto giocato sull’interno, sulla vita nel covo. Perchè? Mi è congeniale girare negli appartamenti. Prima ho raccontato la finta vita di famiglia, dove i personaggi mettono le fedi al dito prima di uscire e le tolgono appena rientrate per passarsi come una giovane coppia. Poi la scoperta del prigioniero come persona. Ho concentrato il film, per non essere troppo lungo o noioso sull’interno, accennando al resto con pochi tratti. Inizialmente Moro non lo si doveva vedere, doveva essere solo una voce. Poi il ruolo è cresciuto. Non conobbi il Moro reale, ma approfondendolo non credevo suscitasse tanta pietà e simpatia in tutti quanti. Perché mostrare le immagini di “Paisà”? La resistenza è accennata nel libro della Braghetti, Il prigioniero , che ho usato come traccia di partenza. Lei si rimprovera di non aver reagito, anche se è difficile credere che ci sia stato un reale pentimento. Credo che la cosa più folle sia stata l’uccisione a freddo di Moro, ingiustificabile, terribile, soprattutto dopo che si sono parlati e conosciuti. Mi è venuto spontaneo l’accostamento con le immagini dei partigiani uccisi, anche in contrasto alla mitizzazione della resistenza che i brigatisti avevano fatto. Nel film si vedono tanti uomini politici in immagini di repertorio, come li ha scelti? Non ho fatto calcoli politici. Per esprimere la linea della fermezza ho messo il famoso comizio di Luciano Lama perché simboleggiava tanto e per le parole potenti. Non volevo fare film a tesi, come lo fu quello di Ferrara dal libro di Sciascia. Nel finale emerge un rifiuto di questa linea della fermezza... Per me, con il senno di poi, fu un errore politico lasciare uccidere Moro. Non c’è una controprova, ma penso che uno Stato che avesse mostrato la forza di cedere si sarebbe mostrato comunque più forte dei terroristi, e si sarebbe salvato un uomo. Non sono uno storico, ma credo che a volte le scelte di maggior debolezza o più impopolari si rivelino alla lunga le più forti. Guardiamo ora al caso Sofri che non vogliono liberare. Ha dedicato il film a suo padre. Perchè? Mi hanno sempre rimproverato la mancanza del padre nei miei film. E’ successo che durante le riprese Herlitzka mi abbia più volte ricordato mio padre che ho perso quando ero adolescente. Avevo rimosso perché fu una perdita grave.

L’intervista
L’ottima Maya Sansa interpreta la Braghetti
«Chiara, divisa dai dubbi»
In ascesa Maya Sansa
di N. Fal .

Porta negli occhi il peso di un film difficile e il tormento di una persona che non è la terrorista fredda e tutta d’un pezzo ma una giovane donna che ha scelto la rivoluzione armata, ma perseguendola recupera scampoli di umanità. «Se il film proseguisse – racconta Maya Sansa, protagonista di “Buongiorno, notte” – credo che il mio personaggio, Chiara, abbandonerebbe la lotta armata. Anche se, nella realtà, Laura Braghetti che ha ispirato il mio ruolo, non ebbe crisi e circa un anno dopo uccise Vittorio Bachelet. Forse una volta che non si è avuto il coraggio di opporsi a una decisione così fredda e crudele come l’uccidere il prigioniero fa entrare in una morsa dalla quale è difficile uscire». La giovane attrice sta vivendo, dopo «La meglio gioventù» e «Il vestito da sposa», un momento molto felice della sua carriera, con ruoli importanti, il principale dei quali nel film di Bellocchio dove interpreta la donna componente del gruppo che tenne prigioniero Aldo Moro. Come si è preparata a questo personaggio? La prima volta che ho parlato con Bellocchio, con il quale avevo recitato ne La balia , non c’era ancora copione, dovevamo vedere se potessi trasformarmi in una terrorista. Ho letto molto, le lettere di Moro ma soprattutto i libri di ex terroristi: Il prigioniero della Braghetti, ma anche Morucci, Moretti, Faranda. Quando il regista mi ha detto che il mio personaggio si staccava dalla persona reale mi sono buttata sulla sceneggiatura cercando di capire la schizofrenia di Chiara. All’inizio ha fiducia nella missione di cambiare le cose, poi cambia, si confronta con cosa significhi tenere un uomo prigioniero in una stanza di un metro e mezzo. Che cosa pensa di quei giovani che si diedero alla lotta armata? Leggere i loro racconti li rende umani, si capisce come la passione così utopistico li porti a inseguirlo con una modalità tanto assurda. Mi sembrano persone che si sono fatte del male da sole. Erano giovani che si sono trovati giustificazioni per l’azione e molti si tirarono indietro prima. Alcuni si trasformarono in soldati, altri andarono in frantumi. Non li considero dei mostri, ma persone che si sono violentate dentro per seguire degli ideali fino alla follia. Follia e schizofrenia sono molto evidenti, anche nel film: nella casa covo aleggia un’atmosfera di morte e oppressione, anche se non mancano piccoli momenti di umanità. Uno dei personaggi tiene i canarini: nella realtà Prospero Gallinari aveva gli uccellini.

I commenti / La vicenda resta «un nodo non ancora sciolto»
I figli: Giovanni plaude, Maria Fida critica
di P. Pa.

«Si tratta della questione di come mai, in quel caso e solo in quello, lo Stato italiano decise di non trattare con i terroristi né cercare seriamente di liberare il prigioniero»: così, sottolineando il cuore del problema, si conclude la lettera che il figlio di Aldo Moro, Giovanni, ha scritto all’amministratore delegato di Rai Cinema Giancarlo Leone per ringraziarlo del film di Marco Bellocchio «Buongiorno, notte» dedicato al sequestro di suo padre, definito «un nodo non ancora sciolto». «Ho molto apprezzato il film - prosegue Giovanni Moro - trovo che Bellocchio scegliendo deliberatamente di riflettere sull’esperienza dell’uomo Aldo Moro in carcere, senza vincoli o ambizioni di ricostruzione storica o di fedeltà all’insieme dei fatti, abbia davvero illuminato aspetti importanti di quella vicenda». E aggiunge: «Penso che chi vedrà il film potrà cogliere il senso del dramma di un uomo posto di fronte a un destino tragico quanto insensato e non necessario, da lui vissuto in modo tanto più acuto quanto più era netta la sua percezione della incombente fine del mondo diviso in blocchi». Di opposto tenore, all’inizio della Mostra, erano state invece le valutazioni di Maria Fida, figlia dello statista e sorella di Giovanni, che si era lamentata con il regista («Poteva almeno avvisarci con una lettera»), aggiungendo uno sfogo: «Non ce l’ho con il libro nè con il film. Il mio rammarico nasce da altro: non è possibile che chiunque - tranne noi - possa parlare del caso Moro». E sull’onda del film, il 17 ottobre uscirà da Feltrinelli il libro di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella «Il prigioniero», da cui è liberamente tratto «Buongiorno, notte».