venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: La Gazzetta del Sud

La Gazzetta del Sud 5.9.03
«Buongiorno notte», già nel novero delle nomination per il Leone d'oro, è stato accolto con una standing ovation di 15 minuti
Bellocchio commuove Venezia
«Il mio racconto del caso Moro non è una verità storica»
di Silvio Danese

VENEZIA – Nella standing ovation (quindici minuti di applausi) per il film di Marco Bellocchio, ieri in concorso, si può leggere il bisogno di medicare una delle grandi ferite collettive della storia contemporanea italiana via rito cinematografico? Del diciannovesimo e commovente lungometraggio di Bellocchio, «Buongiorno notte», già nel novero delle nomination per il Leone d'oro, al pubblico è restata l'impressione di un film necessario: «L'oggetto del mio film, però, non è la verità storica – ha precisato Bellocchio –. Per me era più importante analizzare la follia di quel delitto, e per questo, nel rispetto del mio stile e di quella tragedia, dovevo affermare un'infedeltà storica, non potevo fare diversamente. So che è di fondamentale importanza, ma non era nel mio obiettivo capire chi c'era dietro i terroristi, affrontare quel dibattito sul complotto che per anni ci siamo portati dietro. Ho puntato sull'invenzione di Chiara, il personaggio interpretato da Maya Sansa, che ad un certo punto reagisce, non ci sta, come invece non è avvenuto nella storia vera». Bellocchio, che tradisce il piacere del consenso, proprio quando si schermisce, si aspetta reazioni politiche: «Qualcuna sì, ma più da sinistra che da destra. Finirà che mi rinfaccerano di aver trattato male i terroristi. Comunque non mi preoccupo: in fondo ho affrontato un film su una vicenda fondamentale della storia italiana soltanto perché ho avuto la possibilià di raccontarla in libertà, altrimenti non avrei accettato. Questo è un film su commissione. Me lo ha proposto Rai Cinema, non l'ho scelto io. Semmai sono più preoccupato dalla reazione degli spettatori: il distributore, la 01, ha creduto nel film, al punto che esce domani in 170 sale. Se va bene ok, ma se va male passeranno anni perché io possa farne un altro». Nella rilettura del caso Moro, che incrementa il numero dei film di Venezia sul mito del padre (dal dramma russo «Il ritorno» al comico americano «Anythings else» di Allen), echeggia l'inquieto mito della resistenza: «Ai tempi del delitto Moro una parte della sinistra criticava i partiti di sinistra perché avevano “annacquato” lo spirito della resistenza, riducendolo a puro cerimoniale. Ecco allora il segno della croce che i brigatisti fanno prima dell'esecuzione, che mostra come fossero più religiosi degli stessi democristiani. Il film è stato visto anche dal segretario di Moro, Guerzoni, secondo il quale l'ultima scena che mostra Moro vivo in giro per la città ci ricorda come la sua tragedia non sia cancellabile. Ho dedicato questo film a mio padre perché mentre giravo, guardavo Herlitzka sul set e mi veniva in mente la personalità di mio padre. Morì che ero adole scente e in qualche modo lo annullai. Ricordo la sua onestà come conservatore». Nella polemica innestata qualche giorno fa dal dissenso di Maria Fida Moro, espresso prima di vedere il film, s'inseriscono le parole di consenso dell'altro figlio, Giovanni, in una lettera che Bellocchio legge: «È il caso di una creazione artistica capace, proprio restando tale, di accrescere la conoscenza della realtà».

Commuoversi più per una br che per Moro?
NON POSPORRE LE VITTIME
di Umberto Cecchi

Stiamo attraversando una lunga stagione di perdono. E di buonismo. Ma mentre la Chiesa per perdonare chiede il pentimento, la nostra società laica, e pigramente cinica, non chiede niente. Spesso perdona per stanchezza. Perché non perdonare è faticoso. Almeno in certi casi. E c'è qualcosa di più inquietante ancora nel nostro senso del perdono, c'è il plusvalore delle parole: chi parla meglio e con maggior convinzione, finisce per aver ragione sui morti ammazzati. Fa breccia nelle nostre intelligenze intorpidite da carriere, week end e consumi. Così ci domandiamo perché c'è chi deve soffrire in carcere per vecchie cose dimenticate, mentre noi ci azzuffiamo per il quotidiano. A Venezia, “Buongiorno notte” di Bellocchio, ci ripropone il dramma di una giovane terrorista. La vivandiera di Moro. E ci commuove con lo strazio di una militante severa e sensibile costretta a mediare fra la vita quotidiana, gli affetti e il terrore in nome di una militanza rigorosa. E assurdamente finisce per commuoverci più del cadavere di Moro ripigiato in quel portabagli. Oggi Sergio Segio, uno degli attori di quello specioso atto di terrorismo, esce di carcere. Forse ci commuoverà anche lui con le sue memorie di bravo ragazzo impegnato a lottare per un mondo migliore. Scriverà di certo un libro che leggeremo, e lo ascolteremo nei salotti. È la prassi. Proprio ieri l'Europa con i suoi apparati burocratico-giuridici ci ha rimproverato di tenere in carcere Adriano Sofri, sostenendo che con il suo comportamento ha già pagato. Non sono d'accordo, ma credo sia ormai il caso di lasciar definitivamente libero questo carcerato anomalo e privilegiato, che a differenza di tutti gli altri, scrive su decine di giornali, fa della Tv e riceve segretari di partito. Ha pagato, dicono. Sarà. Ma quanto ha pagato la famiglia Calabresi che ha avuto la sventura d'essere famiglia di commissario e non di rivoluzionario? Insomma, Signora Europa, maestrina dalla penna rossa sempre severa con l'Italietta Berlusconiana, liberiamolo pure Sofri, ma per favore, senza inni di gioia né lacrime di commozione. Certo, siamo in un momento di gran voglia di dimenticare. Ma è davvero così facile? Togliatti amnistiò crimini politici e quant'altro per poter ripartire con un'Italia nuova. Chiuse burocraticamente con la storia, ma i moti dell'animo sono ancora aperti. Perché l'animo umano non è un archivio di tribunale. Va bene, perdoniamo, ma per favore non creiamo la melassa del perdono: ci sono ferite aperte. Alcune recentissime. C'è ancora qualcuno, Stato compreso, che si ricorda di Biagi?

MA SONO DIVERSE LE OPERE VALIDE IN CONCORSO
E adesso il regista italiano è tra i favoriti

VENEZIA – Dopo il consenso della stampa (inattesa standing ovation, raramente riservata) e soprattutto degli operatori stranieri che lo hanno già prenotato per i prossimi festival di Toronto, New York e Londra, Marco Bellocchio e il suo «Buongiorno, notte» dedicato al caso Moro, puntano dritto al Leone d'oro. In un Totoleoni, necessariamente parziale visto che manca l'atteso «21 grammi» di Alejandro Gonzalez Inarritu con un bel cast formato da Sean Penn, Benicio Del Toro e Naomi Watts, Bellocchio è senz'altro tra i favoriti, anche se forse più che il Leone potrebbe avere il Gran Premio della giuria o il premio speciale per la regia, mentre un riconoscimento tra i suoi attori spetterebbe a Roberto Herlitzka che interpreta Moro. Tra l'altro Bellocchio non ha mai vinto a Venezia. Bellocchio, secondo le indiscrezioni raccolte ieri, se la sta giocando con il russo «Il ritorno» (che ha in più la triste storia del protagonista bambino morto dopo le riprese) di Andrej Zvjagintsev, che ha avuto grandi consensi ovunque. Se Monicelli e i suoi giurati si ricorderanno di quello che è accaduto a Cannes quest'anno con «Uzak», c'è l'eventualità di una Coppa Volpi ex aequo tra i due ragazzi, Vladimir Garin e Ivan Dobronravov). Però, pare la giuria stia considerando anche un'altra eventualità, quella di premiare l'efficace «Zatoichi» di Takeshi Kitano, film ironico e di grande qualità visiva. Kitano potrebbe in mancanza di altri premi avere la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Restano in zona premi il polacco 'Pornografià di Jan Kakub Kolski tratto da un romanzo di Witold Gombrowicz, il cui protagonista è in odore di Coppa Volpi, poi «Il miracolo» di Edoardo Winspeare, piaciuto ai critici e buon compromesso per un eventuale giuria divisa. In una rosa si possono includere il caotico condominio di Amos Gitai che con 'Alilà potrebbe ottenere la Coppa Volpi per l'attrice Ronit Elkabetz; il maestro portoghese Manoel de Oliveira con il suo «Un film parlato»; la tedesca Margarethe Von Trotta, il cui ritorno al cinema sotto il segno di «Rosenstrasse», storia di una piccola resistenza tedesca al nazismo potrebbe aver centrato i tempi. Nonostante le attese della vigilia resta escluso (più che altro è una speranza) il film di Bruno Dumont «Twentynine Palms», noioso nella sua sessualità meccanica.