venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: L'Unità

L'Unità 05.09.2003
Un labirinto di identificazioni in un capolavoro di Bellocchio
di Alberto Crespi


VENEZIA. È quasi un peccato sapere già tutto, o quasi, del nuovo film di Marco Bellocchio Buongiorno, notte. Sapere che parla del caso Moro, che la macchina da presa ci porterà nel covo Br di via Gradoli, che passeremo 100 minuti assieme allo statista democristiano sequestrato dai terroristi e ai suoi carcerieri. Eppure... eppure facciamo, per qualche riga, un gioco. Facciamo finta di essere uno spettatore lituano o congolese o marziano che non abbia mai sentito parlare di Moro, delle Brigate rosse, del ’78 in Italia e dell’Italia tout court. Cosa vediamo, entrando in sala? Una giovane coppia visita un appartamento in vendita e ascolta il discorso da imbonitore dell’agente immobiliare (curioso il dettaglio dell’ingresso direttamente dal garage). Nella sequenza successiva la ragazza è nella casa ancora vuota, ma assieme ad un altro giovane: insieme festeggiano il capodanno del ’78.

Che sia la storia di un triangolo? Altra scena: stavolta sono in tre, fanno lavori di ristrutturazione, costruiscono una finta parete di librerie. Cosa si dovrà nascondere in quella casa? Poco dopo, la ragazza è sola in casa e guarda ansiosa la tv: un’edizione speciale del Tg2 annuncia che attentatori ancora ignoti hanno assalito la macchina di Aldo Moro, massacrato la scorta, rapito l’uomo politico. Seduta di fronte al televisore, la ragazza esulta, e in quel mentre suonano alla porta: è la vicina, che le chiede di tenerle un attimo il figlioletto neonato mentre lei va a prendere l’altro figlio a scuola. La ragazza fa per rifiutare, ma la vicina le molla il pupo e corre via. Proprio in quel momento si sente trambusto dalla porta che dà sul garage. Tre giovani (i due già visti più un terzo, più maturo, con i baffi) portano in casa un enorme baule e lo trascinano dietro la finta libreria. Dentro c’è Aldo Moro. Suona il campanello. Tensione. Mani che corrono alle pistole. La ragazza va ad aprire, riconsegna il bimbo alla mamma. Praticamente, comincia il film.

Spiegazione del gioco: nel primo quarto d’ora di Buongiorno, notte, Marco Bellocchio ci regala un prologo alla Hitchcock. Poi, il thriller lascia il posto al Kammerspiel, al dramma da camera. In senso letterale: la claustrofobia domina, il centro di ogni sequenza ­ anche quando si va per strada, all’aperto, «fra la gente» che parla dei brigatisti come degli assassini ­ è sempre quella cameretta angusta, dominata da una bandiera rossa con la stella a 5 punte, dove Moro è rinchiuso. Spesso vediamo l’onorevole inquadrato attraverso lo spioncino della porta: è il modo in cui lo vede sempre Chiara, la nostra ragazza, «vivandiera» delle Br liberamente ispirata alla brigatista Anna Laura Braghetti e al suo libro Il prigioniero. Il giovanotto coi baffi, l’avete già capito, è Moretti, l’ideologo: ma nel film si chiama Mariano. Gli altri due sono i piatti della bilancia, Ernesto è quello che entra in crisi e vorrebbe vivere una vita normale, Primo è il debole devoto a Mariano: a voler fare il gioco del «chi è chi?», potrebbero essere Maccari e Gallinari, ma Buongiorno, notte non è un film-museo delle cere: in fondo Roberto Herlitzka non somiglia molto a Moro né è truccato allo scopo, come a suo tempo Volonté nel Caso Moro di Ferrara e in Todo modo di Petri. Bellocchio l’ha scelto ­ oltre che per la straordinaria bravura, si capisce perché è del Nord e parla «settentrionale» là dove tutti sappiamo che Moro era pugliese: la verità, spiega il regista, è che «nell’immaginare il personaggio di Moro spesso mi è venuta in mente la figura di mio padre, che è morto quando ero piccolo. Aveva qualcosa in comune con Moro, era un uomo molto tenace, un conservatore, che però aveva un’umanità profonda che ho cancellato con la sua morte».

Alt. Questa è una traccia. Siamo di fronte a un labirinto di identificazioni che ci dicono molte cose sul film. Se Moro è ­ in senso lato ­ il padre di Bellocchio, allora non è un caso che Ernesto, uno dei terroristi, sia interpretato da suo figlio Pier Giorgio che gli assomiglia in modo impressionante; né che Chiara sia Maya Sansa, la giovane attrice alla quale Bellocchio aveva dato il ruolo del titolo nella Balia, e che qui entra in scena fingendosi moglie di Ernesto, accudendo un neonato e poi facendo credere di essere incinta quando sviene... davanti al prete che è venuto a benedire l’appartamento, proprio nel giorno in cui i brigatisti hanno deciso per l’«esecuzione».

Kammerspiel, certo: forse addirittura dramma familiare, come già I pugni in tasca quasi 40 anni fa. Là un figlio ribelle uccideva la madre, qui dei figli degeneri ammazzano un padre ideale. Ma allora non dobbiamo meravigliarci che Buongiorno, notte sia un film stranamente poco «politico»: non si parla mai dell’ipotesi delle Br eterodirette né dello scontro, all’interno dei partiti, fra chi voleva trattare e chi no; l’ideologia fa capolino solo nei discorsi deliranti di Mariano/Moretti, ai quali Moro risponde con pacata saggezza (uno dei risvolti se vogliamo «politici» del film è la spaventosa differenza di livello culturale e politico fra Moro e i suoi carcerieri: lui era uno statista, loro erano non solo dei fanatici ma forse anche dei cretini; è un tema importante, non il più importante). Ma il cuore di Buongiorno, notte è tutto, scusate il bisticcio, nel cuore di Chiara. Lei è l’unica che vediamo fuori dal covo. È l’unica che lavora (fa la bibliotecaria). Fa la spesa, lava i panni (meravigliosa la battuta di Moro che dice: «C’è una donna fra voi? L’ho capito da come sono piegate le calze»).
Sogna, spesso. E quando sogna, Bellocchio le mette nella coscienza spezzoni di film sovietici, immagini di Lenin e Stalin ma anche paesaggi innevati e sogni di fede, come quando immagina i tre compagni che si fanno il segno della croce prima di mangiare. Lei vorrebbe salvare Moro. Non accetta l’idea della sua morte. E questo ­ci siamo arrivati ­ è il cuore vero del film. Dice l’allora extraparlamentare Bellocchio: «Ammazzare una persona significa non avere un rapporto con la realtà», e questo per un politico è il difetto più grave. Attraverso la toccante scena del pranzo fuori porta dove i parenti di Chiara intonano Fischia il vento, Bellocchio ci dice che c’è stata una stagione della violenza necessaria (la Resistenza) e una della violenza insensata (gli anni di piombo).
Buongiorno, notte è una riflessione alta su valori che vanno al di là della politica. È un’opera onirica, labirintica, spesso di difficile decifrazione, che lascia la voglia di rivederla più volte. È il film gemello dell’Ora di religione ed è altrettanto bello. Gli attori, soprattutto Herlitzka e la Sansa, sono stupendi. Bellocchio sta attraversando una fase di grazia e Venezia, regalandoci il suo film e quello di Bertolucci, ci ha fatto almeno un bel regalo. A proposito: The Dreamers si chiude con Jimi Hendrix sulle barricate di Parigi nel ’68, Buongiorno, notte termina con Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd sulle immagini di repertorio dei funerali di Moro nel ‘78. C’è sempre una chitarra elettrica, nei film dei figli di quella generazione, ad accompagnare i momenti salienti della storia.

Tifo commosso per un film da Leoni
di Gabriella Gallozzi

VENEZIA. A due giorni dalla fine questa Mostra numero 60 ha già il suo vincitore morale. È Marco Bellocchio con Buongiorno, notte, potente e spiazzante ricostruzione del caso Moro che non ha tradito le aspettative dei tanti accreditati in attesa dell'«italiano» da Leone d'oro. Nessun film in concorso, fino a ieri, era riuscito ad accendere l'entusiasmo travolgente che ha suscitato quello di Bellocchio. Alla proiezione per la stampa gli applausi hanno letteralmente tirato giù la sala, partendo a raffica cinque volte consecutive sui titoli di coda, fino a quando si sono riaccese le luci. E ancora applausi, calorosi, sentiti e interminabili si sono levati ieri mattina nel corso della conferenza stampa con cast e regista. Giornalisti in piedi e acclamanti hanno accolto Roberto Herlitzka, «gigantesco» nei panni di Aldo Moro. Poi applausi per i giovani «terroristi» Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno e soprattutto per lo stesso regista che è riuscito a stento a trattenere le lacrime. «Davvero non mi aspettavo questa accoglienza - dice Marco Bellocchio. Fino ad ora il film era stato visto da singole persone, l'impatto con un pubblico vero segna il salto di qualità. E l'importante ora è capire come andrà nei cinema», dove arriva da oggi in 170 copie distribuite dalla 01 di RaiCinema, coproduttrice con la Filmalbatros, dello stesso regista, e la Sky di Mardoch che ha firmato per il preacquisto dei diritti televisivi.
Ispirato al romanzo Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, la «vivandiera» del sequestro Moro, Buongiorno notte non è un film di ricostruzione storica che va a cercare mandanti o trame oscure «nascosti» dietro alle Br, come ha fatto di recente Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli. «Non mi interessava una lettura di questo tipo - dice il regista - la sfida, piuttosto, era ricercare in quell'inumana tragedia una traccia che contraddicesse l'ineluttabilità di quella vicenda». Puntando, cioè, sul «fattore umano», sulla crisi che coglie la giovanissima terrorista, ma anche i suoi compagni e lo stesso prigioniero. Tanto da arrivare ad un finale spiazzante e liberatorio, in cui tra sogno e realtà, vediamo Aldo Moro uscire per le strade di Roma, finalmente libero. «Come cittadino - spiega Bellocchio - allora ero per la trattativa che, al contrario dell'opinione comune, pensavo come un atto di coraggio e di forza politica. Non ho mai potuto accettare, infatti, l'idea che un uomo potesse essere ucciso in quel modo».

Dedicato a suo padre che il regista dice di aver «ritrovato via via nella figura stanca di Moro prigioniero», Buongiorno, notte è tutto girato all'interno dell'appartamento-prigione di via Montalcini - ricostruito a Cinecittà - dove si sviluppa il rapporto quotidiano tra carcerieri e vittima. «Quasi una vita di famiglia - spiega Bellocchio - di fronte alla quale appare ancora più folle e spietata la sentenza finale di morte». Una sentenza che, quando arriva per voce di Lo Cascio - Mario Moretti, il regista affianca ad un insieme di immagini potenti che fanno da sfondo alla lettura della protagonista delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza. «Ho scelto immagini - prosegue - tratte da Paisà e da vecchi filmati sulle fucilazioni dei partigiani eseguite dalla X Mas per mettere in relazione gli stati d'animo di fronte a quei momenti tragici». La Resistenza, ancora irrompe nel film, con la scena di un matrimonio in cui vecchi partigiani cantano in coro Fischia il vento. «In quegli anni - dice il regista - una delle accuse dell'estrema sinistra era di aver ridotto lo spirito della Resistenza a puro cerimoniale. Eppure non dimentichiamo che anche Lama è stato un partigiano e lo vediamo nel film fare il suo lungo discorso, forse pieno di retorica, ma di una retorica altissima, almeno per me che in quella cultura sono cresciuto». La «retorica» dei Br, nel film, invece, appare davvero insostenibile. Tanto che Bellocchio, interrogato su eventuali polemiche, dice di «temere, paradossalmente, più le critiche da sinistra che da destra. Ai Br viene dato degli stupidi e dei pazzi, cosa che potrebbe non andare giù a qualcuno». Per il momento l'unica polemica in corso è stata quella con la figlia del leader Dc, Maria Fida Moro che, sposato in toto il film di Martinelli, si è mostrata poco contenta di una nuova pellicola su suo padre. Al contrario, invece, di suo fratello Giovanni Moro che dopo aver visto il film ha inviato al regista e alla Rai una lettera di apprezzamento. Ancora un giudizio positivo sul film, poi, è arrivato dal segretario dello statista democristiano, Guerzoni. «Mi ha detto di aver amato molto il finale - conclude Bellocchio - perché gli ha suggerito che lo spirito di Aldo Moro, in qualche modo, sia ancora tra noi. Quella tragedia, infatti, segna ancora il nostro presente e non si può cancellare».