venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: il Resto del Carlino

il Resto del Carlino 5.9.03
Nella prigione di Moro
l'incubo dell'Italia
di Andrea Martini

VENEZIA — Scandaloso nel senso evangelico di fertile e coraggioso portatore di novità (e non in quello abusato di trasgressione) "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio, terzo e ultimo film italiano in concorso alla Mostra, salutato al termine della proiezione da prolungati applausi, è sorprendentemente libero di suggestioni ideologiche, assolutamente estraneo a ragionamenti politici e si propone come riflessione su individui, soggetti, menti e cuori del più sconvolgente e tragico avvenimento nazionale dell'ultimo quarto di secolo.
Marco Bellocchio racconta, con semplicità assoluta, rigore formale, e partecipazione emotiva i giorni del sequestro Moro trattando l'argomento come se tutti gli aspetti storico-mediatici che ci hanno perseguitato e ci perseguitano (perché Moro?, chi dietro le BR? quali complicità?) non lo riguardassero e così facendo riesce a riportare il fatto nel suo vero ambito: un intreccio di atrocità e banalità.
Diciamolo subito: è questo uno dei rari casi in cui un'opera cinematografia, lo voglia o no, contribuisce alla comprensione di un avvenimento storico. Dalla proiezione del film si esce turbati e consapevoli di aver vissuto o rivissuto la trama non necessariamente identica alla realtà ma sicuramente vera di un incubo.
Sulle tracce delle lettere di Moro, di molti altri atti e testi, ma anche del libro memoria della carceriera Anna Laura Braghetti, "Buongiorno, notte" (titolo indovinato come pochi, da un verso di Emily Dickinson) ci introduce nella prigione covo in cui il presidente della Dc fu nascosto dal mattino del sequestro a quello della sua morte. Cominciamo dal finale. Bellocchio ce ne propone uno doppio: accanto a quello dell'odiosa esecuzione (non vista) osserviamo Moro (Roberto Herlitzka) infilarsi un soprabito e abbandonare, indisturbato, il covo in una fresca alba di primavera. E' il frutto del sogno a occhi aperti della carceriera Chiara, una Maya Sansa perfetta nell'adombrare il conflitto personale di una ventenne sempre più estranea, giorno dopo giorno, alla geometrica razionalità dei militanti. Ma la sequenza è anche una sorta di riconoscimento alla libertà interiore e politica di Moro, capace di intimidire i suoi persecutori ma non l'intera classe dei politici italiani i cui volti rivediamo impietriti, al momento del funerale, in uno dei filmati d'archivio.
Il film (da oggi nelle sale italiane) si basa sul quotidiano di prigioniero e carcerieri nel ridotto perimetro di un medio appartamento borghese adattato alla bisogna. In questa sorta di Grande Fratello ante litteram il tempo scorre nella ritualità scontata di una famiglia interrotta solo dall'attesa di notizie (la sollevazione del proletariato, lo scambio di prigionieri) che non arrivano e non possono arrivare. Chiusi nel fortino, molto più di quanto Moro non lo sia nella piccola cella, i brigatisti incarnano i prigionieri di un labirinto ideologico che schiaccia innanzitutto proprio le loro esistenze. Non a caso è Chiara, l'unica che affianca una vita normale a quella di militante, a ribellarsi come può alla banalità del male.
Con "Buongiorno, notte" Marco Bellocchio ci regala una toccante radiografia «infedele» della storia Moro di grande forza, come quasi mai i racconti della politica sono sullo schermo. Occorre un grazie sentito anche perché solo attraverso simili occasioni è possibile rendere conto di una vicenda la cui storia vera, ormai sembra certo, non conosceremo mai.

Bellocchio: «Il mio scopo?
Analizzare quella follia»
dall'inviato Silvio Danese

VENEZIA — Nella standing ovation per il film di Marco Bellocchio (nella foto a destra), ieri in concorso, si può leggere il bisogno di medicare una delle grandi ferite collettive della storia contemporanea italiana via rito cinematografico? Del diciannovesimo lungometraggio di Bellocchio, "Buongiorno, notte", già nel novero delle nomination per il Leone d'oro, al pubblico è restata l'impressione di un film necessario: «L'oggetto del mio film, però, non è la verità storica — ha precisato Bellocchio —. Per me era più importante analizzare la follia di quel delitto, e per questo, nel rispetto del mio stile e di quella tragedia, dovevo affermare un'infedeltà storica, non potevo fare diversamente. So che è di fondamentale importanza, ma non era nel mio obiettivo capire chi c'era dietro i terroristi, affrontare quel dibattito sul complotto che per anni ci siamo portati dietro. Ho puntato sull'invenzione di Chiara, il personaggio interpretato da Maya Sansa, che ad un certo punto reagisce, non ci sta, come invece non è avvenuto nella storia vera».
Bellocchio, che tradisce il piacere del consenso, proprio quando si schermisce, si aspetta reazioni politiche: «Qualcuna sì, ma più da sinistra che da destra. Finirà che mi rinfaccerano di aver trattato male i terroristi. Comunque non mi preoccupo: in fondo ho affrontato un film su una vicenda fondamentale della storia italiana soltanto perchè ho avuto la possibilita di raccontarla in libertà, altrimenti non avrei accettato. Questo è un film su commissione. Me lo ha proposto Rai Cinema, non l'ho scelto io. Semmai sono più preoccupato dalla reazione degli spettatori: il distributore, la 01, ha creduto nel film, al punto che esce oggi in 170 sale. Se va bene ok, ma se va male passeranno anni perchè io possa farne un altro».
Nella rilettura del caso Moro, che incrementa il numero dei film di Venezia sul mito del padre (dal dramma russo "Il ritorno" al comico americano "Anythings Else" di Allen), echeggia l'inquieto mito della resistenza: «Ai tempi del delitto Moro una parte della sinistra criticava i partiti di sinistra perchè avevano "annacquato" lo spirito della resistenza, riducendolo a puro cerimoniale. Ecco allora il segno della croce che i brigatisti fanno prima dell'esecuzione, che mostra come fossero più religiosi degli stessi democristiani. Il film è stato visto anche dal segretario di Moro, Guerzoni, secondo il quale l'ultima scena che mostra Moro vivo in giro per la città ci ricorda come la sua tragedia non sia cancellabile. Ho dedicato questo film a mio padre perchè mentre giravo, guardavo Herlitzka sul set e mi veniva in mente la personalità di mio padre. Morì che ero adolescente e in qualche modo lo annullai. Ricordo la sua onestà come conservatore». Ed è lo stesso Roberto Herlitzka che dopo Bellocchio prende la parola: «C'è stata una precisa intenzione di non salvare Moro», dichiara l'attore che critica duramente la decisione di non trattare ai tempi del rapimento dello statista dc. «Moro — dice Herlitzka — doveva essere eliminato, lo volevano i russi e gli americani».

Giovanni Moro: «Ma perché solo nel caso di mio padre lo Stato non volle trattare?»
di Giovanni Bogani

VENEZIA — Aveva vent'anni, quel giorno. A suo padre disse appena un ciao e uscì. Non sapeva che non lo avrebbe visto più, che le Br lo avrebbero sequestrato e poi ucciso. Giovanni Moro oggi ha quarantacinque anni. Più volte in passato ha manifestato la sua amarezza, la sua rabbia. Ieri Giovanni Moro ha detto la sua su "Buongiorno, notte". Ha scritto a Giancarlo Leone, figlio del presidente della Repubblica di allora, e adesso amministratore delegato di Rai Cinema. «Caro dottore — scrive Moro — desidero ringraziarla per l'invito che mi ha rivolto a vedere in anteprima il film che Marco Bellocchio ha dedicato alla vicenda di mio padre. L'invito non era dovuto, in quanto il film non richiedeva alcun visto o imprimatur da parte della famiglia. Né, d'altra parte, l'eventuale consenso o dissenso dei familiari nei confronti del film avrebbe potuto aggiungere o togliere nulla al suo valore». Fin qui le premesse. Poi il giudizio: «Desidero dirle che ho molto apprezzato il film. Trovo che Bellocchio, scegliendo di riflettere sull'esperienza dell'uomo Aldo Moro in carcere, senza vincoli o ambizioni di ricostruizione storica o di fedeltà all'insieme dei fatti noti, abbia davvero illuminato aspetti importanti di quella vicenda. Mi viene da dire che questo è un caso in cui una creazione artistica è stata capace, proprio restando tale, di accrescere la conoscenza della realtà». Moro parla del «nodo, ancora non sciolto, di quella vicenda». E stacca l'ultima frase: «Si tratta della questione di come mai, in quel caso e solo in quello, lo Stato italiano decise di non trattare con i terroristi né di cercare seriamente di liberare il prigioniero». Anche Lucia Annunziata, presidente della Rai, che ha voluto il film e chiamato Bellocchio a dirigerlo, manifesta il suo entusiasmo: «Il film mi è piaciuto moltissimo. Trovo liberatorio che Bellocchio abbia lasciato sullo sfondo tutto quel dibattito dietrologico su Cia, Kgb e complotti su cui molti di noi si incagliarono e si persero», spiega.