venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: L'Arena di Verona e Brescia oggi

L'Arena di Verona e Brescia oggi 5.9.03
Bellocchio da Leone d’oro
Mostra del Cinema
«Buongiorno, notte» racconta il rapimento del politico Una ricostruzione asciutta, onesta e coinvolgente
Il regista: «Il mio film su Moro non è verità storica»

Venezia. La presentazione dei film in concorso alla penultima giornata conosce un benefico soprassalto con la visione del film di Marco Bellocchio «Buongiorno notte». L'enfant terrible, ormai sessantaquattrenne, de «I pugni in tasca» ha lungamente elaborato la pellicola che si occupa del caso Moro, ferita non rimarginata, purtroppo assieme a molte altre, nella recente storia nazionale. Dopo aver consultato la vasta e composita documentazione disponibile, prendendo spunto inizialmente soprattutto da «Il prigioniero» della brigatista Anna Laura Braghetti, Bellocchio non s'è scostato dall'atteggiamento che gli è abituale e quindi ha evitato di dare una sua versione dei fatti e di contraddire altre versioni. Il suo «Buongiorno notte», tra i più attesi della Mostra e tra i prevedibili candidati al Leone, colpisce nel segno come il classico pugno allo stomaco. Ma il regista mette le mani avanti: « L’oggetto del mio film non è la verità storica » .
Il film inizia con il sopralluogo per affittare l'appartamento in cui Moro sarà detenuto. Il personaggio più seguito - in cui si sommano i tratti di alcune delle donne attive nelle BR - è Chiara (Maya Sansa) che cura l'alloggio con la copertura della sua attività di bibliotecaria. Mariano (Luigi Lo Cascio) è il responsabile del gruppo di quattro combattenti che predispone la stanza segreta per il sequestro. Il volo dell'elicottero della polizia e il telegiornale che rendono noto a Chiara dell'avvenuto sequestro, con esibizione di micidiale capacità di fuoco, la riempiono di gioia. Poi, con la custodia del Presidente (Roberto Herlitzka) e gli inevitabili contatti per fornirgli il cibo, per il rito del processo proletario, per la gestione della strategia, attuata con lettere e memoriali, atta a farsi in qualche modo "riconoscere" dallo Stato, Chiara entra in una crisi che agita i suoi sogni, traspare nei rapporti di lavoro, complica le relazioni col gruppo.
Bellocchio si serve del dettaglio quotidiano e del colpo d'ala visionario, onirico per ritagliare uno spazio in cui è agibile la valutazione di coscienza. Nei sogni di Chiara le immagini della rivoluzione leninista sono seguite da quelle dei partigiani assassinati quando coglie l'assonanza tra la lettera di Moro alla moglie e quelle dei condannati a morte della Resistenza ai famigliari. L'ubriacatura insurrezionale convince uno del gruppo, Ernesto (Piergiorgio Bellocchio, figlio del regista), che una stella a cinque punte disegnata nell'ascensore dell'università sia il segno dell'adesione impiegatizia: "È fatta!".
La pochezza della strategia sanguinaria è rilevata dallo stesso Moro con piane considerazioni. E Chiara immagina il Presidente che sgattaiola fuori dalla cella, sogna la sua liberazione sottolineata da un Momento musicale di Schubert. Il titolo contraddittorio, suggerito da una poesia di Emily Dickinson, focalizza la terribile alternativa vita-morte. I giudizi sono dolorosamente impliciti. La dedica al padre, la cui perdita non è recente per il regista, è un gesto significativo assieme all'immagine affranta di Paolo VI che suggella il film.
Più sbiadite, anche se di qualche interesse, le altre presenze della giornata nella sezione Venezia 60. Il serbo Srdjan Karanovic con «Occhi che brillano» offre una panoramica ironica e affettuosa (il regista vanta il suo come primo film postbellico senza morti e violenze) del permanente sconvolgimento delle esistenze nei Balcani, attraverso le traversie sentimentali di Labud (Senad Alihodzic) che cerca una soluzione ai suoi guai ricorrendo a una disorganizzata agenzia matrimoniale ed è costantemente perseguitato dai fantasmi della madre e di altri personaggi contrari alla fusione delle etnie. Divertente ma un tantino ripetitivo.
Il coreano «La moglie di un buon avvocato» mette in scena una coppia segnata dall'insoddisfazione e tentata da legami esterni, insiste a illustrare la collisione tra morte ed eros, tenta d'indicare un esito ottimista.