venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: Il Tempo

Una rigorosa analisi del dissidio brigatista
di GIAN LUIGI RONDI

FINALMENTE un autore, Marco Bellocchio, che per dirci di quei giorni terribili in cui durò la lunga «notte» del sequestro Moro non si perde nella ridda di ipotesi su un «caso», come hanno fatto invece — male — altri film precedenti. Il suo «Buongiorno notte», infatti, parafrasi, nel titolo, di un verso di Emily Dickinson, punta diritto alle persone, trascurandone intenzionalmente la vera identità — salvo per Aldo Moro — e immaginando invece le reazioni di fronte al crimine orrendo che si accingevano a perpetrare.
Da una parte, così, i duri del terrorismo, pronti ad andare fino in fondo in nome di ideali totalmente fraintesi anche se pervicacemente conclamati. Da un’altra quelli più turbati dalla situazione, chiusi in un appartamento a tu per tu con un grande prigioniero cui danno del tu, pur chiamandolo sempre «Presidente», anche se si sentono rispondere con il lei e che, ascoltandolo e ascoltando due delle sue lettere dal carcere, quella alla moglie, dopo la condanna a morte, e quella a Paolo VI, sentono a poco a poco venir meno le loro certezze infami. Specialmente una donna, qui chiamata Chiara, che, figlia di un partigiano assassinato dai repubblichini, finisce per collegare, sempre più in crisi, quel lontano omicidio a quello che lì, con il suo voto contrario, si sta per compiere.
Bellocchio, che si è scritto anche il testo, analizza a fondo questa crisi, evocandovi attorno, condannandoli, l’ambiente e i caratteri — verosimili anche nell’invenzione — di quegli esponenti delle Brigate rosse in equilibrio precario tra la decisione e l’esitazione.
Con un linguaggio cinematografico che, privilegiando il buio di quella «notte», serra da vicino tutti i personaggi, anche quando, specie Chiara, li segue all’esterno; scandendoli con ritmi quasi ossessivi che si placano solo di fronte al Prigioniero, alla sua calma rassegnata, alle sue risposte sempre alte: lasciando che la voce di Roberto Herlitzka, chiamato a reinterpretarne la figura, susciti, nella vicenda, momenti grondanti commozione; come, appunto, la lettura della lettera alla moglie e di quella al Papa.
Dà vita, intensamente, al travaglio di Chiara l’interpretazione lacerata e lacerante di Maya Sansa: la cifra del film, il segno giusto del suo stile.
Altro film in concorso, difficile però da accostarsi alla nobile impresa di Bellocchio, «Occhi che brillano» del serbo Srdjan Karanovic. Una commedia sentimentale nella confusione tra guerra e dopoguerra a Belgrado. Con la trovata di far interloquire con i vivi dei defunti, parenti o amici. Un grottesco sorridente.

Annunciato già dall’applauso dei giornalisti alla proiezione ...
... dell'altra sera, il Leone d'oro a «Buongiorno, notte» di Marco Bellocchio (il titolo è tratto da un verso di Emily Dickinson) è stato praticamente richiesto per acclamazione alla conferenza stampa del film, che ha registrato la più trionfale accoglienza riservata dalla Mostra ad un regista, con tanto di «standing ovation» per Bellocchio e cast.
Ecco, il cast. Destinati un po' a sparire sotto la personalità di un regista così «ingombrante», gli attori di «Buongiorno, notte» sono tutti bravissimi. Da Maya Sansa a Luigi Lo Cascio, anche se una citazione particolare la merita il più defilato di tutti, Roberto Herlitzka, uno dei maggiori attori del nostro teatro, che nel film dà vita ad un Aldo Moro sofferente ma distaccato.
«Se mi uccidete, per la gente io diventerò un martire che vi condannerà all'emarginazione», ammonisce nel film Herlitzka-Moro, presagendo da politico consumato la fine stessa delle Br che iniziò proprio dalla clamorosa uccisione del presidente della Dc.
«All'epoca dei fatti, nel 1978, io fui molto colpito dalla ferocia dimostrata dai brigatisti - ricorda Herlitzka - Ora dico che lo Stato non volle salvare lo statista. Ma il mio tentativo è stato quello di rendere con efficacia più che il personaggio pubblico, le sue emozioni. Quelle che provava un uomo anziano rinchiuso dentro uno stanzino per 55 giorni nell'attesa di essere ucciso. Io credo di non essermi neppure avvicinato a mostrare ciò che lui deve aver provato. Ma mi basta sapere che se sono riuscito a far capire al pubblico anche una sola piccola parte della sua angoscia, bene, allora il mio lavoro non è stato inutile».
Coraggioso, Herlitzka. Che ammette come per un attore di teatro come lui, defilato da sempre da feste e mondanità «una passerella come quella della Mostra di Venezia potrebbe, se fossi ancora giovane come gli altri protagonisti del film, farmi letteralmente perdere la testa».
Herlitzka interpreta il secondo Moro della storia del nostro cinema. Il primo, nell'86, fu impersonato da Gian Maria Volonté in «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara. Herlitzka, che pure da Volontè è fisicamente assai differente, ammette di non aver visto il film di Ferrara ma di aver ammirato Volonté in «Todo Modo» di Elio Petri, «un personaggio che a Moro, in qualche maniera, assomigliava».
Il film di Bellocchio, rigoroso (ma il regista dice che non ha rispettato la verità storica, specie nella ribellione del personaggio della Sansa, che ombreggia la Braghetti) contiene almeno un momento di calcolata ironia. Allorché il medium della seduta spiritica che dovrebbe consentire il ritrovamento di Moro chiede con quale spirito sta parlando. Ecco la risposta dall'aldilà: «Sono lo spirito di Bernardo». Impossibile non riconoscere un amichevole sfottò all'amico-rivale di sempre Bernardo Bertolucci. Dal quale è attesa adesso una risposta.
di Antonello Sarno