venerdì 5 settembre 2003

Buongiorno, notte: il Corriere della Sera

Corriere della Sera 5.9.03
Un sogno, che altro? Deluderà qualcuno
I significati di quest’opera dalla impeccabile fattura sembrano sfuggire un po’ all’autore
di Tullio Kezich

E avrei voglia di sapere da lui quanto vi ritrova l’atmosfera di via Montalcini, gli atteggiamenti dei carcerieri, le angosce di quei 55 giorni. L’assurda ipotesi è autorizzata da una strampalata fantasia che emerge dal film stesso, dove i sequestratori trovano nella famosa borsa dello statista un copione intitolato «Bongiorno, notte», del quale in seguito si dichiara autore un ambiguo collega di Chiara, la protagonista mezza bibliotecaria e mezza brigatista. Anche se il regista si è ispirato al memoriale «Il prigioniero» di Anna Laura Braghetti, la pellicola non affronta la materia in chiave di docudramma (come Il caso Moro di Giuseppe Ferrara) o di dietrologia (come Pi azza delle Cinque Lune di Martinelli). «Un sogno, che altro?»: la battuta che suggella «Il Principe di Honburg» di Kleist, da Bellocchio trasferito in immagini, potrebbe essere il motto di Buongiorno, notte . Chi si aspettava un altro film che gridasse a un complotto più o meno arbitrariamente ricostruito, sarà rimasto deluso.
Ciò che preme all’autore non sono la verità dei fatti, le motivazioni politiche, le spiegazioni logistiche. Sulle prime il film sembra voler essere la storia di un appartamento, che vediamo affittato da Chiara e dal suo finto marito in figura di giovani sposi; e infatti la macchina da presa non si sposterà granché da questa scena centrale, con la sua tana segreta dove il prigioniero viene trasferito prelevandolo da una cassa come fosse già cadavere.
Roberto Herlitzka, che presta a Moro un volto pallido e dolente, lo scopriamo poco a poco da fessure o spioncini: solo verso le ultime battute il rimorso fantasticante di Chiara lo farà circolare per le stanze e addirittura prendere la fuga per le vie della città sull’onda del «Momento musicale» di Schubert. Lungo tutto il film gli echi del mondo esterno, incluse le notizie di cronaca, arrivano attraverso la tv citata nei servizi e programmi d’epoca. L’evento è interiorizzato sotto l’incubo di un tormento che attanaglia quasi tutti i congiurati, dei quali il regista sottolinea la matrice cattolica (il segno della Croce prima dei pasti), non si capisce se in un misurato tentativo di nobilitazione o di denuncia di ogni integralismo. Ci sono anche l’incongrua benedizione della casa, con svenimento di Chiara, e un Paolo VI che sembra uscito da un film di Buñuel.
Congelando la fresca disponibilità di Maya Sansa, il regista non le concede di variare molto l’espressione sempre allarmata, preoccupata, lacerata. Chiara fa un pellegrinaggio sulla tomba del padre, seguito da una bicchierata campestre con gli ex partigiani al canto di «Fischia il vento» e da una commossa rievocazione delle lettere dei condannati a morte della Resistenza. Per assimilare al loro sacrificio quello di Moro, che scrive alla moglie, o per dirci che i brigatisti, pur considerandosi paladini della supersinistra, nel loro operare cieco e crudele sono omologabili agli sgherri del nazifascismo? Ogni tanto i significati di questo film dalla fattura impeccabile sembrano sfuggire un po’ alle mani dell’autore: ma si possono controllare i sogni?

«Ho solo raccontato la psicologia dei terroristi»
Bellocchio: «Non è un film-indagine su Moro. Quei segni della croce? Erano fondamentalisti»
di Maurizio Porro

VENEZIA - Marco Bellocchio, al Lido, ha dovuto ieri difendersi dall'uragano di consensi che ha accolto «Buongiorno, notte », il film sul caso Moro che ha dedicato alla presenza invisibile ma affettuosa di suo padre, scomparso quando era piccolo. Sedici minuti di applausi e cartelli inneggianti al Leone d’oro alla proiezione per il pubblico ieri sera. Le prime reazioni: il figlio dello statista, Giovanni Moro, ha mandato una lettera d'appoggio, avendo gradito il film; l'ex segretario di Moro, Guerzoni, approva il doppio sogno del finale in cui il senatore cammina libero per Roma: «La sua presenza - dice Bellocchio - è viva, non si può sotterrarla».
Piacerà a tutti il film che la Rai si appresta a far uscire oggi in 170 copie in Italia? Eppure Bellocchio, che analizzando le zone intime e oscure dei terroristi rischia di focalizzare i fattori umani accettando i rischi di strumentalizzazioni, teme critiche a sinistra più che a destra.
«Ho accettato il progetto, ma non per girare un film-inchiesta di cui non sono capace: non so se è stata colpa del Kgb, della Cia o della P2, non mi interessa stabilirlo, ma affermare la mia infedeltà rispetto ai fatti. Volevo conoscere la psicologia dei terroristi, il quotidiano nella casa piccolo borghese alla periferia di Roma, la lotta tra l'utopia rivoluzionaria e la vita di tutti i giorni. Mi interessava la complessità della loro situazione, Moro non doveva neanche comparire».
Fu un momento di gran dissoluzione. «Ricordo maghi e veggenti che varcavano il portone del ministero degli Interni, in totale confusione: si dice che la catastrofica crisi della sinistra cominci da lì. Ma dentro al film ci sono anche le radici della mia cultura, nella Resistenza, le immagini di Paisà e anche le evocative musiche dei Pink Floyd».
Ai tempi, da che parte stava? «Ero di quelli che volevano trattare perché mi sembrava intollerabile che un uomo potesse morire così. Credo che la vera fermezza del governo sarebbe stata la trattativa».
Il regista de L’ora di religione ha creato dal suo ingegno analitico, ma si è attenuto al libro della Braghetti «Il prigioniero», che racconta i personaggi noti. Maya Sansa, bravissima, dà luce alla crisi di una brigatista che non sa da che parte stare. E sogna, come piace a Bellocchio, creatore di immagini freudiane. In un letto sopra il quale svetta un crocifisso, sogna la panchina di Lenin, Stalin, i brigatisti che si fanno il segno della Croce e Moro che passeggia per casa come il papà del regista quando era piccolo e fingeva di dormire.
«I più religiosi, i più fondamentalisti erano loro, come dice Moro, il segno di croce fa parte della dimensione ineluttabile del destino».
Emozionati anche gli attori, quelli che allora c'erano e quelli non c'erano (e che oggi hanno in mente solo la foto storica del bagagliaio della Renault col cadavere dello statista).
«Per me - dice l'attrice - il caso Moro era una cosa lontana, da libri di storia, ma mi sono buttata a leggere, vedere, studiare; poi Marco mi ha protetto dallo sconquasso emotivo».
«Io avevo 11 anni, a Palermo - dice Lo Cascio - ricordo che uscii prima da scuola, c'erano le edizioni straordinarie dei giornali. Poi c'è un segno: il cadavere di Peppino Impastato, che ho recitato nei Cento passi , fu ritrovato lo stesso giorno di Moro, il 9 maggio».
«Io invece c'ero - afferma il bravissimo Roberto Herlitzka, che fa Moro -. Andai al funerale e ne ricordo lo sgomento. Per interpretarlo ho risentito la sua voce alla radio, visto spezzoni, ma poi ho trovato una dimensione interiore naturale e mi fa piacere sapere che, a Bellocchio, complice il personaggio, ho ricordato suo padre».

Quella poesia della Dickinson
«Buongiorno - Mezzanotte / Sto tornando a Casa / Il Giorno - si è stancato di Me / Come potrei Io - di Lui?». All’incipit della poesia di Emily Dickinson (sopra, nell’immagine ) si è ispirato Marco Bellocchio per dare il titolo al suo Buongiorno, notte . E durante il film ne ha fatto recitare alcuni versi ai suoi attori. « Good morning - Midnight » della poetessa americana fu pubblicata per la prima volta ad Amherst nel 1844. Ora, nella sua versione italiana, il primo verso è stato stampato in bianco su t-shirt nere che lo staff della produzione del film di Bellocchio ha indossato mercoledì sera durante la proiezione. Un successo. Tanto che ieri le magliette sono andate a ruba. Tutti i fan del film e della scrittrice del Massachusetts ne hanno voluto una.

Il magistrato: la matrice cattolica c’era ma vivevano lontano da tutti, senza fede
di Marco Imarisio

A lui è capitato di interrogare una terrorista che di giorno cercava di insegnare il catechismo a un bambino gravemente handicappato. E, quando i genitori del bimbo furono convocati in Procura, dissero che no, non era possibile, non era stata la loro baby sitter a «firmare» uno dei delitti più vigliacchi di quegli anni, perchè la loro baby sitter «credeva fermamente a quello che diceva a nostro figlio». Maurizio Laudi la domanda se l’è fatta più volte. Da dove veniva ai terroristi la forza di fare quel che facevano. Uccidere, rapire, sopportare la vita in clandestinità, l’addio ai familiari. Il magistrato torinese, oggi sostituto procuratore, ne ha visti tanti, nella Torino degli anni di piombo. Pentiti e non. «E quella domanda non ha ancora risposta».
Nel film di Bellocchio i terroristi prima di uccidere si fanno il segno della croce.
«Se è una trovata per rappresentare la matrice cattolica di alcuni di essi, ha un suo fondamento. Ma solo in questo caso».
Prospero Gallinari, uno degli uomini del sequestro Moro, dice che quella trovata è «grottesca».
«A me nei terroristi di quegli anni ha sempre colpito il loro senso di straniamento. Sembrava di parlare con gente che aveva staccato la spina dai normali meccanismi della vita reale, come la fede».
Il regista Marco Bellocchio sembra dare rilievo alla matrice cattolica dei terroristi. Un terrorista non poteva farsi il segno della croce o pregare?
«In clandestinità, secondo quanto ho potuto constatare, vivevano in una bolla dalla quale restava escluso il loro vissuto personale, compresa una eventuale dimensione religiosa».
Esiste una componente cattolica nei giovani che scelsero la lotta armata?
«Per alcuni di essi il senso di giustizia inappagato, l’illusione di raggiungere una maggiore giustizia sociale, veniva anche da esperienze cattoliche. Nel primo periodo brigatista, quello di Curcio, la dimensione religiosa di un militante non era certo motivo di diffidenza da parte degli altri. "Frate mitra", ovvero Silvano Girotto, si infiltra nelle Br sfruttando anche il fascino del suo personaggio, fede e terzomondismo».
Il sequestro Moro appartiene alle Br di Mario Moretti, la «seconda generazione».
«Nell’ondata di fine anni Settanta ho incontrato qualche forma di cattolicesimo tra i terroristi di "Prima linea", che venivano da esperienze più variegate, dal movimento e dall’autonomia. Non tra i brigatisti, più monoliticamente marxisti. E non mi risulta che tra i carcerieri di Moro vi fossero dei credenti».
Secondo lei, queste distinzioni finivano con la scelta della clandestinità.
«Non credo che la dimensione religiosa fosse qualcosa che un terrorista "attivo" e militante poteva sentire e sostenere veramente».

OMAGGIO
«Bernardo?

«Spirito di Bernardo, se ci sei, batti un colpo. Dov'è nascosto Aldo Moro?». «Nella Luna, nella Luna». Uno spirito burlone quel Bernardo fatto evocare da Bellocchio nella seduta medianica del film. «Quel Bernardo sono io - svela a sorpresa Bertolucci (foto) - Bellocchio mi telefonò: "Ti spiace se uso il tuo nome durante la seduta spiritica?". La cosa naturalmente mi divertiva, gli ho detto sì. Uno scherzo tra amici e colleghi che da sempre si stimano. E la risposta che Marco fa dare allo spirito è un omaggio a un mio film, La Luna , che girai proprio nel '78». «Il giorno che lo sequestrarono resta per me indimenticabile: il 16 marzo, il mio compleanno», conclude Bertolucci, che considera quei fatti come la conclusione del '68 da lui evocato nel suo film I sognatori . (g.ma.)