lunedì 1 marzo 2004


su MAWIVIDEO.IT
è disponibile la registrazione audiovideo
del secondo degli Incontri di Ricerca Psichiatrica 2003 - 2004
che ha avuto luogo sabato 28 febbraio
nell'Aula Magna dell'Università "La Sapienza" di Roma

Bertinotti a San Servolo di Venezia:
«un ex manicomio è buon esempio anche del nostro stato»

Repubblica 1.3.04
In un convegno a Venezia il leader puntualizza la scelta post-comunista: rivediamo le tesi marxiste
L'ultimo strappo di Bertinotti
"Non violenza con Gandhi e Capitini, ma non è la terza via"
di FRANCO VERNICE


VENEZIA - Lo avevano ribattezzato «subcomandante Fausto» dopo un incontro, qualche anno fa, nella selva del Chiapas, con il «subcomandante» dal viso celato più famoso al mondo, quello che di nome fa Marcos. Ora, Fausto Bertinotti, riposto in un immaginario cassetto l´altrettanto immaginario passamontagna, leva alto nel cielo di Rifondazione comunista il vessillo della non violenza. Lo fa, chiarisce, rivisitando criticamente l´intera storia della tradizione «dei marxismi» - plurale sottolineato - del Novecento. Disegna la nuova linea davanti ai militanti di Rc riuniti sull´isola di San Servolo, nella Laguna battuta dalla neve, per sancire «l´avanti così» in mezzo alle bandiere arcobaleno, a citazioni di Gandhi, Danilo Dolci, Walter Benjamin e Aldo Capitini, storica guida del movimento pacifista cattolico. Salva Marx, il Bertinotti di questa svolta veneziana, accompagna in una polverosa soffitta Lenin e, soprattutto, Stalin, affiancato dal nemico di una vita intera, Trotskij, con buona pace delle recalcitranti minoranze interne che, da Venezia, non a caso si sono tenute alla larga, e per questo vengono redarguite.
«Operiamo una discontinuità», altrimenti «abbiamo perso» è il monito del leader di Rifondazione dopo due giorni di dibattito, aperto da Marco Revelli. Dibattito senza sussulti, vista proprio l´assenza dei possibili contestatori: «Siamo costretti a fare i conti con la nostra storia» per capire «perché la scalata al cielo è stata sconfitta». Ripercorrere i sentieri insanguinati del Novecento, per trovare le ragioni di tante disfatte, per emendarsi da orrori come i lager staliniani, «colpa storica grandissima». Non violenza, allora, «per non vivere il comunismo come un monumento». E se non parla anche lui di «Terza via», è solo perché quell´espressione gli suona «logorata».
«Discontinuità» e «radicalità»: sostantivi irrinunciabili nel lessico del segretario di Rifondazione. Vi fa ricorso a piene mani anche oggi. Per esempio: «La non violenza è l´unico modo per dispiegare la radicalità annunciata». Un modo molto bertinottiano per sostenere come nell´era della globalizzazione, delle «guerre preventive» e del terrorismo alla Bin Laden, l´unica leva per scardinare il nefasto intreccio sia il pacifismo: «Scegliamo la non violenza per necessità». Una riflessione innescata dai fatti di Genova, garantisce. Non una scoperta dell´ultima ora, ma la conclusione di un percorso tormentato.
E dunque sguardo puntato verso il variegato universo pacifista, con le sue costellazioni di pianeti cattolici e ambientalisti, i più prossimi alla nuova strategia di Bertinotti. Pazienza se qualcuno storce il naso, come Luca Casarini e le sue tute bianche. Pazienza, se fra i no-global c´è anche il Francesco Caruso che, sull´Iraq, minaccia ceffoni al Piero Fassino.
Lontano dal palco, Fausto Bertinotti fa sapere di mirare ad un mondo «che in genere non si affaccia alla politica, come i giovani». Nessuna malizia elettoralistica, nessuna tentazione di approfittare del disagio diessino e della Margherita, i concorrenti ulivisti investiti dall´onda d´urto del dopoguerra iracheno? «Se l´intento fosse quello, sarebbe mal riposto. Il nostro è un incontro fra discorsi diversi, un incontro dal carattere disinteressato». In ogni caso, promette, questa Rifondazione che appare sempre più Rifondazione e sempre meno comunista, vuol praticare una non violenza che non sia «valore assoluto e nemmeno cattedra». Nel senso che non ha l´ambizione di dare patenti di bontà o di malvagità a nessuno.
La condanna del terrorismo è inappellabile, resta che, nel mondo di Bertinotti, c´è violenza e violenza, perché deve essere chiaro come sacrosanto rimanga il «diritto alla resistenza contro l´oppressione», anche se «non è obbligatorio strangolare il re». Fuor di dogma, se l´Intifada dei palestinesi è legittima, inaccettabili sono i bombaroli di Hamas, se gli zapatisti hanno diritto di cittadinanza, nessuna comprensione per una resistenza irachena che spara nel mucchio. E si compiace, Bertinotti, quando, tirando le somme, parla di «piccolo ma significativo evento», impreziosito dal «non aver parlato di Berlusconi per ben due giorni». Che poi tutto si sia realizzato «in un ex manicomio è buon esempio anche del nostro stato», sorride Fausto Bertinotti, chiamando il sorriso della sua platea.