La risonanza magnetica per scoprire quando si dicono bugie
G.V.
È POSSIBILE scoprire se una persona mente o dice la verità analizzando il cervello. Infatti la risonanza magnetica o (fMRI), utilizzata per la diagnosi dei tumori cerebrali, mostra che quello delle persone che mentono appare molto diverso da quello di chi dice la verità. «Ci possono essere zone nel cervello coinvolte nella truffa che possono essere misurate con la fMRI, ma anche zone nel cervello coinvolte quando si dice la verità e sono parametri più efficaci, per smascherare le menzogne, delle alterazioni del battito, della pressione e del respiro, solitamente analizzate nella prova della verità» ha dichiarato Scott Faro, direttore del «Functional Brain Imaging Center» della Temple University School di medicina a Philadelphia. L’equipe del ricercatore ha illustrato i suoi sorprendenti esperimenti al congresso dell’Associazione nordamericana di radiologia.
Faro e i suoi colleghi hanno esaminato 11 volontari. A sei di loro è stato chiesto di sparare con un pistola giocattolo e poi di mentire dicendo che non lo avevano fatto. Altri tre che avevano assistito hanno invece detto la verità su quanto accaduto. Un volontario si è ritirato dallo studio. Durante il test i volontari erano legati a una macchina convenzionale e a un fMRI, che usa un forte magnete per fornire una immagine (lo scanner «svela-bugie») in tempo reale dell'attività del cervello.
Il team di Faro ha evidenziato durante l'esperimento sette zone di attivazione nella truffa, e quattro zone di attività in chi dice la verità. Soprattutto, sembra che il cervello si sforzi di più nel mentire che nel dire la verità: nel primo caso, infatti, viene attivata la parte frontale del cervello, nella zona medio-inferiore e pre-centrale, l’ippocampo, la regione medio temporale e le zone limbiche. Alcune di queste sono coinvolte nella risposta emotiva, ha detto Faro.
Durante una risposta vera, il fMRI ha mostrato l'attivazione di parti del lobo frontale del cervello e del lobo temporale.
Parallelamente in Inghilterra il gruppo di lavoro di Paul Fletcher, professore di psichiatra dell’università di Cambridge, sta portando avanti gli studi sullo sforzo cerebreale durante l’appredimento. Gli scienziati sono arrivati alla conclusione che pensare ad azioni semplici interferisce con la capacità di imparare e di memorizzare. Quando si svolge un determinato compito, talvolta è meglio non pensarci troppo, cioè il tentativo cosciente di apprendere può causare difficoltà. L’attività cerebrale di alcuni volontari che stavano eseguendo un esercizio simile senza compiere uno sforzo cosciente (apprendimento implicito) è stata confrontata con quella di persone che si sforzavano deliberatamente di compiere lo stesso risultato. Gli esperimenti hanno individuato in questi ultimi un più lungo tempo di reazione e di risoluzione dello schema del test, rispetto a coloro che avevano meno informazioni per risolverlo e quindi ci riflettevano di meno.
Repubblica 5.12.04
Dentro la cassaforte dei pensieri
CLAUDIA DI GIORGIO
Gli scienziati hanno già trovato la chiave biologica dell'amore, del libero arbitrio, della spiritualità Presto impareranno a usarla: arrivando a conoscere in anticipo anche le cattive intenzioni Con molti rischiC'era una volta il segreto del cervello: la "scatola nera" impenetrabile che custodiva gelosamente le emozioni e i pensieri degli esseri umani. Poi, meno di trent'anni fa, grazie a una nuova generazione di tecnologie il coperchio della scatola è improvvisamente saltato. Permettendoci letteralmente di "vedere" il cervello in azione: il brain imaging ha infatti favorito scoperte rivoluzionarie, rivelando come funziona la mente, facendo luce sulle radici biologiche dei comportamenti e delle scelte e aprendo la strada verso nuove terapie. Ma ha anche messo potenzialmente in mano a chiunque la chiave per entrare nel più privato degli spazi privati: la nostra mente.
Quella che conduce al cervello è una porta che fa paura. Soprattutto adesso che le metodologie di ricerca si sono fatte più raffinate. Il timore è che si imbocchi nuovamente la strada percorsa il secolo scorso da Cesare Lombroso, quella dei criminali nati, della predisposizione ineluttabile ai comportamenti devianti. Una moderna frenologia, insomma. E per di più, tecnologicamente avanzata. Tanto avanzata che un domani non troppo lontano, per essere assunti in un posto di lavoro o ottenere la patente di guida, non ci sarà più bisogno di un test psicoattitudinale ma di una semplice scansione del cervello.
Ora i segreti del cervello sono sotto gli occhi degli scienziati. Sempre meno misteriosi, sempre più manipolabili: tecniche come la tomografia a emissione di positroni (Pet) e la risonanza magnetica funzionale (fMri) hanno trasformato i neuroscienziati in paparazzi della mente, tanto coraggiosi quanto indiscreti. In pochi anni, il numero delle ricerche sul cervello è cresciuto a dismisura, attirando sponsorizzazioni e finanziamenti. E il fascino dell'idea di conoscere, in modo "scientificamente oggettivo", cosa ci passa per la testa è diventato irresistibile.
Le mete degli scienziati sono sempre più ambiziose. Adesso sotto l'obiettivo ci sono i processi più intimi e individuali. Completate le mappe delle funzioni motorie e sensoriali del cervello (di qua il centro del linguaggio e il riconoscimento dei volti, di là la percezione tattile e l'attenzione visiva), i ricercatori sono passati alle foto panoramiche dell'area deputata a funzioni superiori (la corteccia prefrontale), dove risiedono le capacità di esprimere giudizi e controllare gli impulsi.
Dal paesaggio in generale, gli studiosi - continuando a lavorare di zoom - sono poi scesi ai dettagli. Ed ecco le istantanee del cervello che si innamora, che impara, memorizza e decide, che può essere declinato a seconda del sesso: perché quello degli uomini - ormai è una certezza - è diverso da quello delle donne, sia anatomicamente sia dal punto di vista funzionale. Una scoperta sufficiente - se male interpretata - a far tornare alla ribalta antichissimi pregiudizi.
C'è stata poi la straordinaria scoperta della plasticità cerebrale, la capacità del cervello adulto di rimodellarsi con l'apprendimento e l´esperienza. Scoperta che ha portato con sé il primo grande interrogativo etico: quando sarà possibile stimolare questa plasticità con i farmaci (e non c´è da aspettare moltissimo), sarà giusto usarli anche per potenziare le capacità di un cervello sano? Chi deciderà come (e su chi) utilizzarli? E una persona con il cervello potenziato sarà la stessa persona di prima?
I dubbi, ancora una volta, procedono di pari passo con i progressi. E diventano allarmanti via via che i muri si sgretolano, che le frontiere si spostano in avanti. Un gruppo di ricercatori ha annunciato di aver trovato l'area che racchiude la consapevolezza del "sé" e la capacità di comprendere i processi mentali degli altri. Un altro ha riferito addirittura di aver "visto" il libero arbitrio: i circuiti che si attivano quando compiamo liberamente un´azione sono molto diversi da quelli all'opera quando stiamo eseguendo un ordine.
«Il cervello è l'anima e l'anima è il cervello», hanno sostenuto i neuroscienziati più radicali e visionari. Forse esagerando, ma non troppo: è indubbio che le esperienze religiose più intense siano governate da circuiti cerebrali. Studiando alcune forme di epilessia, ricercatori come Vilayanur S. Ramachandran e Michael Persinger hanno infatti trovato il cosiddetto "modulo di Dio", una serie di connessioni tra i lobi temporali e il sistema limbico, un gruppo di strutture cerebrali evolutivamente più arcaiche. L'alterazione dei lobi porterebbe a una sovrastimolazione del sistema limbico, e da lì a sensazioni di tipo spirituale e mistico.
Ma non basta. Tre anni fa, un team di Princeton ha inaugurato le indagini sulle basi neurali delle scelte morali. Più di recente, all'università di Pennsylvania hanno scoperto che mentire aumenta l'attività nella corteccia prefrontale destra. Ad Harvard, invece, si è scoperto che il cervello si comporta diversamente se si dice una bugia inventata al momento o architettata con cura.
La domanda, inquietante, è: le fotografie della mente scattate dalle neuroscienze saranno usate come prove legali per stabilire la responsabilità individuale? La risposta è senza dubbio sì. E anzi, è inutile parlare al futuro. Già nel 2001 un tribunale dell'Iowa ha ammesso come prova in un processo per omicidio le "impronte" delle onde cerebrali rilevate secondo un metodo detto brain fingerprinting. La tecnica è controversa, e da molti ritenuta inaffidabile, ma si mormora che la Nasa stia sviluppando un "neurosensore" da collocare negli aeroporti per rilevare le onde cerebrali dei passeggeri con "pensieri sospetti".
Dalle fotografie del cervello in generale alla lettura e al controllo di un cervello in particolare il passo è breve. E molti esperti pensano che il monitoraggio della mente non sia ancora stato messo in pratica solo perché le tecnologie attuali non sono per il momento tanto sofisticate da distinguere tra chi è in tensione perché ha una bomba con sé e chi vive uno stato d'ansia.
I metodi ora disponibili sono però già sufficienti per le aziende. Da una costola delle indagini sulle basi cerebrali delle scelte economiche è nato infatti il neuromarketing. Che oggi studia le reazioni del cervello a determinati marchi e prodotti ma domani potrebbe cercare di influenzarle, e intanto ci fotografa la mente per rivelare che la Pepsi sollecita le aree del piacere e la Coca Cola quelle deputate a memoria ed emozioni.
Nemmeno le ricerche di tipo più clinico sono al riparo da obiezioni etiche. La scoperta delle basi neurali di malattie come la schizofrenia e l'autismo o delle alterazioni cerebrali legate all'alcolismo e al consumo di sostanze stupefacenti sta senz'altro portando a importantissimi strumenti diagnostici e di cura. Ma quando il californiano Adrian Raine riferisce che nel cervello dei killer psicopatici l'attività di alcune aree è più ridotta, diventa davvero difficile non ricordare il passato. E pensare che Lombroso è tornato in mezzo a noi.
Repubblica 5.12.04
Il Viagra del cervello cade anche l'ultimo tabù
(c.d.g.)
Cinque anni fa, i giornali di tutto il mondo riportarono con molta evidenza la notizia della nascita dei Doogies, un ceppo di "supertopi" che l'aggiunta di un gene extra aveva dotato di più memoria, più rapidità nella soluzione dei test, più capacità di imparare. Topi, insomma, la cui intelligenza era stata aumentata artificialmente, e che nelle speranze dei loro creatori erano appena un assaggio del vero piatto forte: il potenziamento del cervello umano.
Messa in moto dagli eccezionali progressi degli ultimi anni nelle conoscenze sul cervello e il suo funzionamento, la ricerca di metodi e sostanze per migliorare le capacità cognitive oggi è diventata un settore di punta, in cui si fanno concorrenza grandi case farmaceutiche e piccoli laboratori d'avanguardia. Alla base, c'è il tentativo di stimolare a comando quello che, si è scoperto, il cervello adulto sa già fare da sé, e cioè modificare, anche in base all'esperienza, il modo in cui sono connessi tra loro i neuroni, generandone persino di nuovi.
Ed ecco gli studi per la realizzazione di farmaci che stimolino la neurogenesi: per recuperare la memoria danneggiata dall'età o da malattie come l'Alzheimer, ma anche (forse) per mandare a mente in un giorno quel che un cervello normale impiega un mese ad imparare. Ecco l'indagine su sostanze che influenzano il processo con cui i neuroni immagazzinano i ricordi: ancora una volta per la cura di malattie degenerative delle funzioni cerebrali ma anche (chissà) per superare tre esami in tre giorni. Ecco insomma la caccia a quello che qualcuno ha chiamato "il Viagra del cervello", la pillola per diventare più perspicaci, lucidi e intellettualmente brillanti. Pensata per i malati, ma potenzialmente adatta ad essere usata anche dalle persone sane.
Le ricerche non hanno solo l'obiettivo di progettare, sperimentare e mettere in circolazione nuovi farmaci. Un settore considerato promettente mette insieme terapia genica e trapianto cellulare per stimolare i fattori di crescita in regioni specifiche del cervello. Anche le citatissime cellule staminali potrebbero scendere in campo: poiché da esse derivano tutti i tipi di cellule del corpo, perché non provare a usarle per conquistare qualche neurone in più? C'è anche la stimolazione transcranica, una tecnica che sfrutta i campi magnetici per agire su aree specifiche cerebrali. Ha dato buona prova nella cura della depressione, ma qualcuno sta cercando di capire se sarebbe possibile usarla per costruire un "elmo mentale" che, una volta indossato, incrementi immediatamente le capacità cognitive.
Queste ricerche, comunque, sono ancora miglia e miglia lontane dalla realizzazione di prodotti concreti e commerciabili, così come è ancora lontana dal tradursi in realtà la più fantascientifica delle tecniche di doping mentale, e cioè potenziare il cervello impiantandovi microchip, magari interfacciabili con un supercomputer. È il sogno (o l'incubo?) dell'uomo bionico, una delle possibili evoluzioni immaginate da scienziati e scrittori per la specie umana. Che dopo essere finalmente riuscita a guardare dentro il proprio cervello, difficilmente resisterà alla tendenza innata di cercare di cambiarlo.