La Stampa TuttoLibri 2.10.04
POE Un bambino tra i fantasmi
Julio Cortázar
IL carattere del poeta non può essere compreso se si trascurano due circostanze capitali della sua infanzia: la pressione psicologica e affettiva accusata da un bambino che, non avendo i genitori, sa di poter vivere soltanto grazie alla carità altrui (carità estremamente peculiare, come si vedrà), e la vita del Sud. La Virginia, a quell’epoca, rappresentava lo spirito sudista molto più di quel che un’occhiata superficiale alla carta geografica degli Stati Uniti lascerebbe supporre. La cosiddetta «Linea Mason-Dixon», che delimitava l’estremità meridionale della Pennsylvania, valeva anche come confine tra quelle tendenze che sarebbero fermentate a Nord nell’abolizionismo, e a Sud nella difesa del regime schiavista e feudale. Edgar Poe crebbe come sudista - nonostante fosse nato a Boston - e non smise mai di sentirsi tale spiritualmente. Molte sue critiche alla democrazia, al progresso, alla credenza nella perfettibilità dei popoli provengono dal suo essere «un gentiluomo del Sud» radicato nei costumi mentali e morali modellati dalla vita virginiana. Altri elementi di stampo prettamente sudista avrebbero concorso a influenzare la sua immaginazione: le bambinaie nere, i domestici schiavi e un folclore nel quale le storie di fantasmi e i racconti sui cimiteri e sui cadaveri erranti nelle foreste provvidero a organizzare un ricco repertorio del sovrannaturale, su cui non mancò di fiorire una vivace aneddotica. John Allan, il suo quasi involontario protettore, era un commerciante scozzese emigrato a Richmond, dove era diventato socio di un’impresa dedita al commercio del tabacco e ad altre attività curiosamente disparate, ma tipiche di un tempo in cui gli Stati Uniti erano un immenso campo di prova. Uno dei settori dell’attività di John Allan era costituito dall’ufficio di rappresentanza di alcune riviste britanniche, e fu nei locali della Ellis & Allan che il piccolo Edgar ebbe l’opportunità di curvarsi, giovanissimo, sui magazines trimestrali scozzesi e inglesi, e di prendere contatto con un mondo erudito e pedante, «gotico» e romanzesco, critico e diffamatorio, in cui i cascami dell’ingegno del XVIII secolo si mescolavano con il romanticismo in piena eruzione, e in cui le ombre di Johnson, Addison e Pope cedevano lentamente alla folgorante presenza di Byron, alla poesia di Wordsworth e ai romanzi e ai racconti del terrore. Gran parte della tanto discussa cultura di Poe proveniva da quelle precoci letture.
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Tra i quattro e i cinque anni Edgar era un bel bambino con i riccioli bruni e i grandi occhi luminosi. Lesto com’era a impadronirsi delle poesie degli autori alla moda (Walter Scott, per esempio), le dame che si recavano in visita da Frances Allan all’ora del tè non si stancavano di sentirlo recitare, gravemente, appassionatamente, le estese composizioni apprese a memoria. Gli Allan provvedevano alla sua educazione con intelligenza, ma il mondo che lo circondava, a Richmond, si rivelava non meno utile dei libri. La sua mammy, la bambinaia nera di ogni figlio di famiglia ricca del Sud, dovette iniziarlo ai ritmi della gente di colore, la qual cosa spiegherebbe, in parte, il suo interesse posteriore, quasi ossessivo, per la scansione dei versi e per la magia ritmica che infiammano Il corvo, Ulalume, Annabel Lee. E vi era il mare, rappresentato dai suoi ambasciatori naturali, i capitani dei velieri, che si riunivano negli uffici della Ellis & Allan per discutere di affari e per brindare con i soci narrando lunghe avventure. Il piccolo Edgar dovette intravedere, trepidante ascoltatore, le prime immagini di Arthur Gordon Pym e del vortice del Maelström, e tutta quell’aria marina che impregnerà la sua letteratura e che egli seppe convogliare nelle velature che ancora sospingono le sue navi di fantasmi.
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Quando si critica la formazione letteraria e culturale di Poe non bisognerebbe dimenticare che negli anni 1831 e 1832, allorché la sua carriera di scrittore era definitivamente avviata, Edgar lavorava assillato dalla fame, dalla miseria e dalla paura; il fatto che riuscisse a tirare avanti, e a conquistare giorno dopo giorno nuovi gradini verso la sua perfezione letteraria, dimostra quanta forza fosse capace di sprigionare quel grande debole. Ma a volte Edgar perdeva le staffe. Non sappiamo se allora bevesse più del dovuto (anche se la più piccola dose gli era sempre fatale). Si era innamorato di Mary Devereaux, giovane e graziosa vicina dei Clemm. Per Mary, il poeta rappresentava il mistero, e in un certo modo il proibito, poiché già correvano voci sul suo passato, seminate in gran parte da lui stesso. Inoltre Edgar aveva quell’aspetto che avrebbe sempre soggiogato le donne che attraversavano la sua vita. La stessa Mary, moltissimi anni dopo, lo ricordava così: «Mr Poe era alto cinque piedi e otto pollici, aveva i capelli scuri, quasi neri, che portava molto lunghi e pettinati all’indietro, come gli studenti. I suoi capelli erano fini come la seta; gli occhi grandi e luminosi, grigi e penetranti. Aveva il viso completamente rasato. Il naso era lungo e dritto, e i lineamenti molto fini; la bocca, espressivamente bella. Era pallido, esangue, con la pelle gradevolmente olivastra. Guardava in maniera triste e malinconica. Era estremamente magro... ma aveva un atteggiamento raffinato, un portamento eretto e militaresco, e camminava con passo svelto. La cosa più incantevole di lui, tuttavia, erano i modi. Era elegante. Quando guardava qualcuno sembrava capace di leggerne i pensieri. Aveva una voce gradevole e musicale, ma non profonda. Indossava sempre una giacca nera abbottonata fino al collo... Non seguiva la moda, ma aveva un suo stile».
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Si è detto che Poe, nei periodi di depressione derivanti da una palese debolezza cardiaca, ricorresse all’alcol come a uno stimolante indispensabile. Appena beveva, il suo cervello ne pagava le conseguenze. Questo circolo vizioso dovette chiudersi ancora una volta a bordo, durante la traversata per Baltimora. A Richmond i medici lo avevano ammonito che una nuova ricaduta gli sarebbe stata fatale, e non si erano sbagliati. Il 29 settembre il battello attraccò a Baltimora; Poe doveva prendere il treno per Filadelfia, ma si rendeva necessaria un’attesa di molte ore. Fu in quelle ore che si decise il suo destino. Sappiamo che quando fece visita a un amico era già ebbro. Ciò che accadde dopo è soltanto argomento di congettura. Si apre una parentesi di cinque giorni, in capo ai quali un medico, un conoscente di Poe, ricevette un messaggio scritto frettolosamente a matita con cui lo si informava che un signore «alquanto male in arnese» aveva urgente bisogno del suo aiuto. Il biglietto proveniva da un tipografo che aveva riconosciuto Edgar Poe in un ubriaco semincosciente imbucato in una taverna e circondato dalla peggiore marmaglia di Baltimora. Erano giorni di elezioni e i partiti in lizza facevano votare più volte i poveri diavoli, ubriacandoli preventivamente per condurli da un seggio all’altro. Non esiste alcuna prova concreta, ma l’ipotesi più plausibile è che Poe sia stato utilizzato come votante, e infine abbandonato nella taverna dove l’avevano identificato. La descrizione che ne fece poi il medico dimostra che era ormai perduto per il mondo: solo con se stesso nel suo personale inferno in vita, consegnato definitivamente alle sue visioni. Quanto rimaneva delle sue forze (visse altri cinque giorni in un ospedale di Baltimora) bruciò in terribili allucinazioni, nella lotta con le infermiere che lo legavano, nell’invocazione disperata di Reynolds, l’esploratore polare che aveva influenzato la composizione di Gordon Pym e che ora, misteriosamente, si tramutava nel simbolo finale di quelle terre dell’aldilà che Edgar sembrava stesse vedendo, così come Pym aveva intravisto la gigantesca immagine di ghiaccio nell’ultimo istante del romanzo.
... Morì alle tre del mattino del 7 ottobre 1849. «Che Dio aiuti la mia povera anima», furono le sue ultime parole.