martedì 24 maggio 2005

due nuovi cortometraggi di Marco Bellocchio a Trento

L'Adige 24.5.04
TRENTO – Una maratona di corti
Di FABIO DE SANTI

TRENTO – Una maratona di corti, nove nella prima giornata di oggi, otto domani e cinque giovedì con una selezione decisamente varia di minifilm, sketch divertenti, corti d´animazione, di denuncia, e qualche volta surreali.
Tutto questo è Italiani Indipendenti la rassegna curata da Stefano Giordano e organizzata dal centro Santa Chiara che si apre stasera alle 21 al Cinema San Marco con ingresso gratuito. Un appuntamento significativo per chi ama un certo modo di fare cinema e che in questa sua XIII edizione torna in qualche modo alle origini proponendo tre giorni di cortometraggi. Fra le novità di Italiani Indipendenti targato 2005 anche una selezione di quattro corti d'autore realizzati negli ultimi anni da Marco Bellocchio.
(...)
La prima serata di Italiani Indipendenti si aprirà con “Smart” di Leonardo D'Agostini che parte da un fatto di cronaca, con la storia di un ragazzo che dava fuoco alle Smart, “Assicurazione sulla vita” di Tomaso Carboni racconta invece di un uomo uomo ricco ed anziano si trova alle prese con un killer assoldato dalla giovane moglie, mentre “The Hunt” di Marco Spitoni apre scenari di fantascienza e “La barriera di Nanof” ci porta in Albania con una particolare, finale del campionato di calcio dilettanti. Dopo “In tram” di Filippo Soldi, spazio a "Oggi è una bella giornata” e “L'affresco” due corti diretti da Marco Bellocchio.
(...)

legge 40: anche usare la spirale è reato

AGI - Roma, 24.5.05
REFERENDUM:
MANTINI, LA LEGGE CONDANNA ANCHE CHI USA LA SPIRALE

"Uno degli effetti perversi della legge 40 è che da essa deriva la condanna (fino a tre anni e a 150mila euro) delle donne che usano come tecnica contraccettiva la cosiddetta spirale o iud". A metterlo in rilievo è il deputato della Margherita, Pierluigi Mantini, che fa riferimento all'articolo 14 della legge sulla procreazione assistita relativa ai limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni.
Mantini sottolinea che "la spirale non impedisce la fecondazione dell'ovulo, ma impedisce che l'ovulo si impianti nell'utero" e ricorda che la spirale è "un metodo frequentemente usato, soprattutto nell'ambito delle coppie stabili, che non impedisce in assoluto la fecondazione dell'ovulo ma determina una reazione ostile a che l'ovulo fecondato si impianti nell'utero".
"Se ogni ovulo fecondato è un embrione o un "concepito" - conclude - anche questa tecnica soppressiva può essere punita ai sensi della legge 40. Occorre riflettere seriamente su queste conseguenze, distinguendo la morale individuale dalle libertà e dai diritti dei cittadini, e andando a votare i referendum del 12 giugno". (AGI)

Umberto Galimberti

Il Gazzettino Martedì, 24 Maggio 2005
Il filosofo Umberto Galimberti ...

Il filosofo Umberto Galimberti - di cui è appena uscito il volume "Il tramonto dell'Occidente, nella lettura di Heidegger e Jaspers" (ed. Feltrinelli) - parlerà nel pomeriggio di sabato sul tema "Il corpo occidentale". «Come se si fosse anche un "corpo orientale"... - scherza - Magari sarebbe stato più appropriato "Il corpo in Occidente"».
Ma che ci fa, professore, un filosofo tra i ballerini?
«Non ho capito bene neanch'io. Ma mi viene in mente una bella frase di Nice: Tradire il mondo tra santi e prostitute, la danza, come se nella danza ci fosse una mediazione tra terra e cielo, tra il mondo delle bestie e quello celeste. E questo mi fa venire in mente Platone...»
A proposito della danza?
«No, Platone diceva che noi siamo uomini perchè il nostro corpo è eretto, e grazie a questa "visione panorama", può scrutare l'orizzonte, e questo fa sì che noi abbiamo le idee. "Ideien" in greco significa sia vedere che pensare, una facoltà preclusa agli animali, che hanno il corpo curvo e la testa rivolta a terra. Ma questa identità fra visione e pensiero, come specifico dell'umano, riguarda solo la cultura greca».
Perchè, quelle successive?
«Ad esempio nella cultura ebraica, sulla visione prevale l'ascolto, della parola di Dio. E in quella tradizione non esiste nemmeno il concetto di anima: l'ebraico "nefes", ad esempio, poi tradotta con "psiche" e in latino con "anima", in realtà significa altro: "vita", ad esempio, come nella massima biblica "Muoia Sansone con tutti i filistei", dove in realtà il Re catturato dice "Muoia la mia nefes". O nell'altra massima - "Occhio per occhio, dente per dente" - che nell'originale aggiungeva anche "nefes per nefes", cioè "vita per vita". Era così assente il concetto di immortalità e di aldilà che la punizione per i peccati doveva essere scontata sulla terra per sette generazioni».
E nella cultura cristiana?
«Anche i cristiani pensano, più che all'anima immortale, alla resurrezione dei corpi. Il concetto di anima separata dal corpo non c'è in teologia, appartiene piuttosto alla coscienza popolare, che lo fa derivare da Sant'Agostino: il quale considerava l'anima il luogo dell'interiorità, dove abita Dio».
Ma chi inventa, dunque, il concetto di anima?
«Platone, ma non in uno scenario di salvezza, bensì di mera speculazione scientifica: non possiamo fidarci, è il suo ragionamento, di informazioni che provengono dal corpo, che è soggetto alle passioni, alle malattie, all'invecchiamento. Bisogna ipotizzare un'altra dimensione, che pensa per numeri e idee e perciò è garante dell'oggettività della conoscenza».
Come si evolve nei secoli successivi il rapporto anima-corpo?
«Con Cartesio il corpo diventa "organismo", e nei secoli successivi tutto quello che non si spiega con un riscontro organico viene attribuito alla psiche: "Morbus sine materia", viene ad esempio definita la pazzia. E l'anima viene come sequestrata dalla psicologia. Ma nel dualismo anima-corpo si finisce per mistificare il rapporto vero, che è quello fra corpo e mondo. Dal punto di vista organico siamo tutti uguali, ma secondo la lettura fenomenologica, da Husserl ad Heidegger, la psiche si definisce per come l'individuo si rapporta col mondo: io mi definisco per come reagisco agli stimoli del mondo».
Perchè tradizionalmente si pensa alla salute dell'anima mortificando il corpo?
«Per i greci non era così, il dolore andava sopportato con forza e dignità, come elemento costitutivo della vita. É nella tradizione giudeo-cristiana che il dolore era figlio della colpa e strumento di riscatto per la salvezza: la mortificazione del corpo è il segno della purificazione spirituale, per renderlo degno di accogliere l'anima, quasi una "caparra" sulla Redenzione».
E oggi, che il corpo viene sottoposto a tutte le prove?
«Da quando il mondo si è laicizzato, con la morte di Dio, le pratiche prima inflitte al corpo per la salvezza dell'anima vengono ora rilanciate per la glorificazione di se stesso: al posto degli esercizi spirituali abbiamo gli esercizi in palestra, che sono una fatica... della Madonna; al posto dei digiuni abbiamo le diete, al posto del cilicio reggiseni tecnologici e tacchi chilometrici e così via, tutto al fine di proporre un corpo bello ed elastico».
Il sociologo Zygmunt Baumann trova che tutto questo sia il paradigma di una società di consumatori individualizzati - di prodotti, sensazioni, relazioni - incapaci di veri rapporti con la comunità di appartenenza...
«É vero. Ricorderei anche Schopenauer, e alla sua concezione di compassione come patimento assieme agli altri. Oggi no, se ci tocca soffrire la prima cosa che diciamo è "perchè proprio a me?", come se non facessimo tutti parte di un'umanità dolente».
Sul corpo, in particolare quello della donna, si registra il vero e proprio scontro di civiltà della nostra epoca...
«Certo. E vorrei osservare, a costo di apparire molto materialista, che l'emancipazione della donna in Occidente è un prodotto degli anticoncezionali, che hanno sganciato la sessualità dalla riproduzione, aprendo un inedito spazio al piacere, ora a livelli persino parossistici. Questo è lo specifico del corpo occidentale, mentre nell'Islam la sessualità è ancora un destino e non una scelta. Rimuovere questa contraddizione, che è antropologica, metterebbe in discussione l'intera organizzazione della società islamica: per questo non possiamo ipotizzare per loro corsi accelerati di emancipazione, avrebbero effetti sconvolgenti».
Ma i musulmani replicano che la donna occidentale è a sua volta soggetta alla nuova schiavitù dell'apparire, di una bellezza obbligatoria e stereotipata.
«É vero che anche in Occidente siamo schiavi di modelli estetici e sessuali, di cui non ci rendiamo conto, perchè erroneamente convinti di fare quello che vogliamo. Per non parlare dei nuovi corpi modellati, rifatti, usati come password...»
Non possiamo ignorare, in questo ambito, la questione del referendum: senza entrare nel merito dei quesiti, non trova che ci sia una contraddizione fra l'aspirazione generalizzata a una maggiore naturalità (no agli Ogm, si dice) e l'adesione alle nuove manipolazioni del corpo rese possibili dalla scienza?
«In problema si deve affrontare in uno scenario piu vasto. Un tempo la natura non era violabile, oggi con la genetica si. Per questo i principi etici di un tempo oggi non funzionano più. Come regolarsi di fronte a queste novità? La mia proposta è di rifarsi all'etica del viandante, indicata già da Aristotele. La scienza non si può fermare, allora bisogna valutare di volta in volta, caso per caso, basandosi non sulla teoria ma sulla saggezza».
Facciamo qualche esempio concreto?
«Dobbiamo accontentarci di un'etica provvisoria e parziale. Possiamo decidere ad esempio se far nascere chi per natura non potrebbe nascere è una cosa buona oppure no, vedere se la finalità cui si approda è socialmente accoglibile o negativa. Vale anche per la clonazione, che a mio parere è nefasta, mentre la fecondazione assistita no».
Il Patriarca di Venezia Angelo Scola ha lanciato un forte allarme su questi temi: rischiamo la fine della vita, ha detto...
«Mi rendo conto che c'è un problema, ma la mia obiezione è che finchè mi si disegnano scenari apocalittici ma non mi si indica come limitare la ricerca scientifica, l'etica diventa pat-etica, cioè un'invocazione priva degli strumenti per intervenire».

libertà

Il Giornale di Vicenza Martedì 24 Maggio 2005
Catone Liutprando e Dante “libertà” attraverso i secoli
L’indoeuropeo “leudh”diventa “liber” in latino e si trasforma nel “liut” tedesco. Liberto a Roma ero lo schiavo reso libero dal padrone.
Una piccola parola che traduce un fondamentale diritto naturale
di Giorgio Pegoraro

Una nostra lettrice, Lia Bordignon, nota scrittrice e donna impegnata nelle grandi problematiche della socialità, ci chiede di soffermarci nella nostra rubrica su alcune parole fondamentali, che appartengono al lessico di tutti i tempi e sono rappresentative di concetti che esplicitano l’agire dell’uomo: parole significative come libertà, autorità, arroganza e così via. Il richiamo nella lettera di Lia all’illustre studioso della latinità Alfonso Traina ci obbliga a un costruttivo rigore, ma procederemo, com’è ormai nostra abitudine, cercando di ricondurre queste voci alle soglie della loro creazione e rievocando qualche rudimento nella storia della loro evoluzione. Cominciamo con "libertà".
Una radice indoeuropea "leudh-" connota l’idea di "nascere, sussistere, crescere" e indica il "popolo": ne deriva un aggettivo di cui si ritrovano le tracce sia in latino ("liber"), sia in greco ("e-lèutheros", con l’ "èpsilon" protetico), un attributo che significa "libero" e che denota propriamente l’appartenenza al popolo, naturalmente a quel popolo da cui proviene l’epiteto. È chiaro quindi che la libertà per i nostri progenitori consisteva nell’essere di diritto membri di una società in cui ci si poteva muovere senza impedimenti. D’altronde da questa radice proviene nell’alto tedesco "liut", che vuol dire appunto "popolo" (in tedesco moderno "leute", gente): un celebre re dei Longobardi si chiamava Liutprando, un nome che significa "la spada fiammeggiante del popolo". Da un contesto più ampio, come quello della tribù, si poteva passare ad ambiti più ristretti come quelli della famiglia, il cui capo ("paterfamilias": "pater" deriva da una radice "pa" che significa "reggere e proteggere") conservava nella denominazione che lo designava - e quindi nelle sue funzioni- non solo connotazioni affettive, ma soprattutto giuridiche: il padre era - come dicevano i Greci - "despòtes" (da cui "dèspota"), era cioè "padron di casa" (dalle radici indeuropee "dems" la quale dà in greco "domos" e in latino "domus", la casa e "pot" che si ritrova nel latino "potis", potente). Per il padre latino all’interno della famiglia vi erano due classi di individui, i "liberi" e i "servi", e cioè da un lato i figli nati liberi ("ingenui": il matrimonio era celebrato "liberum quaesundum causa", per procurarsi dei figli) e dall’altro i membri che erano stati in vario modo aggregati, cioè gli schiavi, i quali facevano parte del patrimonio domestico, né più né meno degli animali, della proprietà terriera e degli strumenti di cui ci si serviva per lavorarla.
La "patria potestas", cioè un vero e proprio diritto di vita e di morte, era esercitata dal "pater", sia pure via via con sempre maggiori condizionamenti, nei confronti di tutt’e due le categorie di persone a lui soggette. "Liberto" era a Roma il nome dello schiavo liberato e "libertino" indicava l’appartenenza alla condizione dei liberti: solo in italiano libertino diverrà, a seconda dei tempi e degli scrittori, un fautore della libertà, un libero pensatore o anche, nel caso peggiore, una persona dedita alla sregolatezza.
Dopo tante ricerche e riflessioni di filosofi, come ad esempio Platone, Fichte, Sartre, e dopo tante ispirate pagine di scrittori e poeti, la libertà si è ormai per tutti consolidata positivamente in una sorta di diritto naturale che deve tradursi nella concretezza delle libertà politiche ed economiche: il problema fondamentale rimane quello per cui l’ordine sociale dovrà conciliarsi con l’autonomia dell’individuo. Per quanto concerne il rapporto tra coscienza individuale e libertà vogliamo concludere il nostro libero "excursus" richiamando un brano memorabile di Dante. Quando Dante e Virgilio, usciti dal regno del male entrano nell’isola del Purgatorio, trovano Catone l’Uticense, un simbolo della coerenza ideale e morale, colui che in nome della libertà come valore supremo preferì uccidersi piuttosto che cedere alla tirannide di Cesare. E Virgilio, cercando di placare la severità del guardiano, gli ricorda (Purg., I, 71-72) che Dante "Libertà va cercando, ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta ...". Dante cerca la libertà dalla schiavitù del peccato e ben può capirlo colui che alla causa della libertà fece dono della vita.

ricercatori inglesi...

ricevuto da Gianluca Cangemi

Le Scienze 21.05.2005
Le parole influenzano gli odori
Le risposte del sistema olfattivo dipendono anche da stimoli cognitivi esterni

Alcuni ricercatori hanno scoperto che la lettura di alcune parole può influenzare la percezione degli odori: in particolare, le parole piacevoli possono spingere le regioni olfattive del cervello a percepire un odore come piacevole. Lo studio è stato pubblicato sul numero del 19 maggio della rivista "Neuron".
Nel corso di un esperimento, i ricercatori guidati da Edmund T. Rolls dell'Università di Oxford hanno esposto i partecipanti a un'essenza di formaggio cheddar e hanno mostrato loro etichette con la scritta "formaggio cheddar" oppure "odore corporeo". Hanno scoperto che i soggetti valutavano l'odore come significativamente più piacevole in presenza della prima etichetta.
Gli scienziati hanno anche effettuato scansioni cerebrali dei soggetti con la tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI) durante l'esposizione delle etichette e degli odori, per scoprire quali regioni del cervello venivano attivate. I risultati dimostrano che l'etichetta "formaggio cheddar" produce un'attivazione in una parte specifica della regione del cervello che elabora le informazioni olfattive. Anche la semplice aria pura, se etichettata come "formaggio cheddar", attiva la medesima area ma in misura minore. L'etichetta "odore corporeo", invece, non produce attivazione in quest'area né in presenza dell'odore di formaggio né con l'aria pura.
"I risultati - spiegano Rolls e colleghi - mostrano che gli input cognitivi possono essere importanti nell'influenzare le risposte soggettive, comprese le risposte emotive agli stimoli olfattivi, e indicano che alcune delle aree cerebrali attivate dagli odori sono soggette a questa influenza cognitiva di alto livello".
© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A.

Desmond Morris e le donne

La Stampa 24 Maggio 2005
PROVOCAZIONI NEL NUOVO SAGGIO DI DESMOND MORRIS
È nata prima la donna o la seduzione?
Viaggio intorno al corpo femminile e ai suoi significati
simbolici. Una funzione solo ricevente? Le opinioni
di Dacia Maraini, Gianna Schelotto e Mauro Cosmai
di Michela Tamburrino

SEDUZIONE. E scoppia il putiferio. Il mondo, in tema, non si è pacificato ancora. Non si pacificherà. Da una parte la visione maschile; agli antipodi, la femminile. In mezzo un reticolato da caschi blu, volano strali intinti nel curaro, tornano a galla convinzioni maschiliste mai sopite e recrudescenze di un femminismo mai soddisfatto appieno.
E dire che tutte queste emozioni le scatena un tranquillo etologo, Desmond Morris, che già al suo attivo può vantare un altro caso di scientifico imbarazzo per l’essere umano nella sua completezza. Ne La scimmia nuda ci faceva tutti parenti strettissimi appunto del nerboruto mammifero, a solo un passo evolutivo di crescita da quell’animale increscioso, se considerato solo come termine di paragone. Oggi titilla la verve polemica dei lettori analizzando «L’animale donna»; s’incunea nel corpo femminile, ricco, ai suoi occhi, di curiosità e di rivelazioni insospettate. Il tour è fatto a tappe obbligate: dalla punta dei capelli al polo opposto dei piedi. Un trattato addolcito dal sense of humour tutto britannico che lo porta persino a convincersi che la sua tesi non è né ruffiana né maschilista, bensì imparziale secondo mandato della scienza.
La tesi dello zoologo invece prende parte: dopo aver raccontato delle tette dalla donna dell’età della pietra al chirurgo plastico, ne deduce che lei è concepita anatomicamente per sedurre, volenti o nolenti le rispettive affittuarie, un inghippo ai danni del maschio ben orchestrato da madre natura.
Apriti cielo davanti alla lesa maestà del femminile autodeterminante. Dacia Maraini non si stupisce più di tanto. «Morris è un uomo. Vero è invece il contrario, vale a dire che l’accoppiamento avviene tra due persone e che non c’è una predominanza dell’uno sull’altra. Giusto, in natura tutto è predisposto per la riproduzione ma noi abbiamo creato la cultura, altrimenti che l’avremmo fatta a fare? Ci vogliamo distinguere dagli animali, loro non conoscono la democrazia e noi sì. Culturalmente, appunto c’è un incontro tra due esseri e una scelta reciproca, altrimenti dovremmo parlare di stupro. La seduttività femminile è attiva ma visto che ancestralmente è stata giudicata peccaminosa, allora la donna ha represso i suoi istinti per senso di colpa. Invece la seduzione alberga nell’insieme della personalità: carattere, voce, intenti, spirito, allegria e ovviamente anche il corpo». In perfetta sintonia d’intenti la psicoanalista Gianna Schelotto: «Prima viene la natura poi la cultura. È possibile che il corpo, biologicamente precostituito per varie funzioni, sia stato determinato alla procreazione. Nel frattempo però sono intervenuti cambiamenti culturali. L’uomo è cacciatore, ma non significa che questo condanni la donna a essere preda. La seduzione è un elemento praticato dalla femmina adeguandolo al tempo che passa. E non penso che sia in antitesi con il femminismo. Si è seduttivi non solo a scopi erotici; lo si è per piacere agli altri».
Faccenda sempre più intricata, perché oggi non c’è più una netta divisione in termini di seduttività e non si capisce più a chi è deputata la scelta dell’altro. È più seducente la Venere di Milo o il Bronzo di Riace? E se il corpo femminile è fatto solo per sedurre, dopo una certa età a che serve più una donna? E le differentemente abili sono inutili alla società? Attenzione, così si rischia pericolosamente di precipitare nel baratro della teoria che vuole la selezione della razza perfetta. Invece la donna determina la propria richiesta d’attenzione, tant’è che ci sono brutte che si fanno appetibili e belle che tendono a scomparire, altrimenti arriveremmo a considerare lei alla stregua di una bambola gonfiabile. Ai nostri tempi poi, il linguaggio del corpo ha lasciato spazio a quello che prescinde dalla presenza; si seduce via e-mail o per sms.
Dopo tanto discettare al femminile, finalmente l’uomo, che sposa la tesi di Morris. È Mauro Cosmai, psicoanalista, sessuologo, docente di psicologia presso la facoltà di medicina dell’Università La Sapienza di Roma: «È vero. il corpo della donna è fatto per sedurre. Antropologicamente è lei che riceve e dunque deve attrarre l’altro corpo. Come in natura, attirare per ricevere il suo seme e perpetuare la specie. Allora il corpo della donna è chiamato a rappresentare l’ideale di bellezza mentre l’uomo al massimo può essere armonioso, equilibrato. Nella preistoria la femmina era biologicamente più forte, attrezzata com’era al parto. Poi, in una più proficua divisione dei compiti, a lei toccò di accudire i figli e difendere l’abitazione. Antropomorficamente il corpo femminile pone quesiti e se rivediamo in modo drastico e apocalittico il cambiamento dei ruoli, ci accorgiamo che in termini di seduzione lui non ha più niente da invidiare a lei; l’uomo si agghinda, si maschera, denuncia nei messaggi non troppo subliminali le sue intenzioni in un universo seduttivo senza più frontiere. A differenza di Morris, ritengo che la donna non resti mai passiva: una volta presa atto del ministero, sfrutta quello che si trova ad avere, oggi come ieri, dai sumeri all’era della Tv. Il concetto di Morris quando passa dalla passività fisica alla volontà femminile d’attrarre l’uomo, vale in certi contesti, in altri no. A mio avviso bisogna farne un discorso ambientale e non culturale». È nato prima l’uovo o la gallina? La donna o l’idea di seduzione? Morris ci illuminerà a forza di best sellers.

neuropsicologi israeliani...

Le Scienze 23.05.2005
Come il cervello comprende il sarcasmo
La mente deve saper collocare le parole nel giusto contesto

La capacità di comprendere il sarcasmo dipende da una sequenza orchestrata con cura di abilità cognitive legate a specifiche parti del cervello. Una ricerca pubblicata sul numero di maggio della rivista "Neuropsychology" descrive in dettaglio come la mente colloca nel contesto giusto le parole "pungenti".
Gli psicologi israeliani che hanno condotto lo studio spiegano che, affinché il sarcasmo vada a segno, gli ascoltatori devono comprendere le intenzioni di chi parla nel contesto della situazione. Per far ciò è necessario un tipo di pensiero sociale sofisticato, ovvero la comprensione del fatto che persone diverse pensano in modo diverso. Un esempio di assenza o limitazione di questo processo è fornito dai problemi dei bambini autistici nell'interpretare l'ironia, la categoria più generale di comunicazione sociale nella quale ricade il sarcasmo.
Simone Shamay-Tsoory e colleghi del Rambam Medical Center e dell'Università di Haifa hanno studiato 25 soggetti con lesioni al lobo prefrontale, 16 soggetti con lesioni al lobo posteriore, e 17 soggetti di controllo sani. Tutti i partecipanti hanno ascoltato brevi storie registrate su nastro, alcune sarcastiche e altre neutre. Ecco un esempio di sarcasmo: Joe va al lavoro e, invece di cominciare a lavorare, si mette a riposare. Il capo nota il suo comportamento e gli dice "Joe, non lavorare troppo!". Ecco invece un esempio neutro: Joe va al lavoro e subito comincia a lavorare. Il capo nota il suo comportamento e gli dice "Joe, non lavorare troppo!".
I partecipanti con danni al lobo prefrontale non erano in grado di comprendere il sarcasmo, mentre i membri degli altri due gruppi non avevano problemi. All'interno del primo gruppo, le persone con danni nell'area ventromediale destra (la parte posteriore della corteccia prefrontale) erano quelli con maggiori difficoltà a comprendere il sarcasmo. I risultati sono in accordo con quello che già si sa sull'anatomia del cervello: la corteccia prefrontale è infatti coinvolta nei processi del linguaggio pragmatico e nella cognizione sociale complessa, mentre l'area ventromediale è legata alla personalità e al comportamento sociale. "Comprendere il sarcasmo - scrivono gli autori - richiede sia la capacità di capire gli intenti di chi parla, sia quella di identificare le emozioni".

© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A.

dalla Cina, non solo magliette e computer

Il Messaggero Lunedì 23 Maggio 2005
Procura di Torino
«Sequestrate il “Viagra” della Cina»

ROMA - Il “ceedra” non è un integratore alimentare ma un farmaco. E, dunque, deve ottenere la prevista autorizzazione. E’ questo, in sintesi, il contenuto della lettera inviata dal procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, al ministero della Salute.
Nel mirino di Guariniello è finito il “ceedra” «integratore alimentare completamente a base di erbe», che «fa bene all’amore». In pratica si tratta di una sorta di “Viagra naturale” che la multinazionale ”ita Vartis“ importa dalla Cina e fa incapsulare in un’azienda dell’Alessandrino. E che, essendo definito integratore alimentare, può essere venduto senza prescrizione medica.
Guariniello ha fatto analizzare il prodotto e ha scoperto innanzi tutto che non si tratta di un integratore alimentare perché contiene un principio attivo (idrossihomo-sildenafil, in parte simile a quello del farmaco originale) nella proporzione del 5% del peso di ogni capsula. Dalle analisi è emerso anche che, accanto alle erbe, nelle capsule sono presenti piombo, manganese, rame e bario. E il piombo sarebbe nei limiti superiori a quelli consentiti nelle derrate alimentari. Da qui, la lettera al ministero della Salute. Quando e se, poi, il ministero gli risponderà positivamente, il magistrato potrà aprire un fascicolo per il reato di possibile frode in commercio.
Tra la merce sequestrata proveniente dalla Cina il cosiddetto “Viagra cinese” è sempre presente. Viene venduto nei locali delle comunità cinesi come “stimolante sessuale”.

violenze sui bambini

Corriere della Sera 24.5.05
romaIN NERO
Violenze sui bambini, un’emergenza rimossa
di FABRIZIO PERONACI

Una è appena nata e, nella foto che gli è stata scattata con un telefonino dopo che un passante l’aveva trovata in un cassonetto di via Giolitti, agita i pugnetti e stenta a tenere aperti i minuscoli occhi a mandorla. L’altra ha otto anni e della vita già conosce gli aspetti più cupi: le mani e il fiato di un estraneo addosso, le visite intime e invadenti dei dottori. La terza non c’è più, aveva sei anni quando ad ottobre morì nell’ospedale Pertini: sembrava un edema polmonare, ma poi è venuta alla luce una sconvolgente vicenda di abusi sessuali. Bambine vittime di violenze, sevizie. Nella città che, prima in Italia, ha istituito un consiglio comunale dei piccoli e, giusto la settimana scorsa, ha celebrato il «Giorno del gioco», esiste anche questo. Storie terribili, emerse nelle stesse ore in cui centinaia di ragazzini partecipavano alle festose iniziative dei Municipi.
Stazione Termini, mezzogiorno: Chou Naj, una cinese di 30 anni, entra in un negozo, chiede del bagno e ne esce tenendo in mano una busta celeste pesante un paio di chili: sua figlia, ancora viva. Poi getta il tutto nel cassonetto e sviene: «Non ho soldi per mantenerla», dirà più tardi.
Guidonia, case popolari: un ragazzo di 16 anni invita nella sua stanza la sorellina di un amico con la scusa di giocare con la Play Station, ma all’improvviso la spoglia, le salta addosso, la tocca ovunque. Adesso è agli arresti domiciliari, mentre la bimba si è chiusa in un mutismo che il tempo, forse, non guarirà mai.
Palazzo di Giustizia, piazzale Clodio. La tragica fine di Dana Dutu, piccola rumena vittima di incesto, impegna da mesi i magistrati. «La madre ha infierito ripetutamente e crudelmente», dice l’ordinanza di custodia cautelare.
Tre casi, ma non i soli. A Roma i neonati abbandonati negli ospedali sono 50-60 l’anno. I maltrattamenti oltre 200: una goccia nel mare degli abusi non denunciati. I minori che vivono «in uno stato di deprivazione e disagio psicologico» qualche migliaio. E’ un dramma vero, un impegno enorme per i Servizi sociali. Eppure di tutto questo si parla poco, è raro che diventi ribalta : si preferisce spazzare via, lasciare nel retroscena la faccia meno presentabile di questa città. Magari nel nome di un diritto alla privacy che, tante volte, finisce per penalizzare proprio loro, i bambini più deboli, meno fortunati.

il libro di Enrico Bellone tra scienza e filosofia

Avanti! 22.5.05
LA DISASTROSA SITUAZIONE DELLA NOSTRA RICERCA SCIENTIFICA NEL LIBRO DI ENRICO BELLONE
L’Italia dei torturatori di Galileo
Piero Flecchia

La non facile congiuntura che l’Italia attraversa è figlia di molti padri incerti, tra la classe dirigente e l’economia globale, via passando per l’euro, la crisi demografica e quant’altro, ma di una sola madre ben certa: la struttura industriale non più competitiva. E questa mancanza di competitività, ci spiega Enrico Bellone, “La scienza negata” (Codice Edizioni, pp. 124, € 15) è a sua volta la conseguenza inevitabile e annunciata della disastrosa situazione della nostra ricerca scientifica; disastro effetto dell’egemonia di una cultura convinta della natura subalterna della ricerca scientifica, perché irrilevante nella formazione della persona umana. Enrico Bellone, che insegna Storia della scienza presso la facoltà di Matematica dell’Università di Milano e dirige i periodici “Le scienze” e “Mente e cervello”, autore di numerose pubblicazioni, ne “La scienza negata” ricostruisce un veridico quadro etnografico delle ragioni dell’arretratezza scientifica italiana: “Più di trent’anni or sono si disse che l’Italia era un Paese in via di sottosviluppo per la povertà delle risorse umane e finanziarie destinate alla ricerca e del nostro sistema educativo”. L’inascoltato profeta di sventura degli anni ‘70 era uno dei nostri maggiori scienziati, Toraldo di Francia. Per non averlo ascoltato oggi il nostro sistema produttivo è ormai endemicamente afflitto da nanismo, mentre l’indice di competitività ci colloca al 46° posto e al 50° quello tecnologico nella classifica delle nazioni, e tutto indica che continueremo a perdere posti, visto che continua la politica di bassi investimenti nella ricerca; rimasta circa quella di trent’anni or sono la percentuale annua di Pil, investita nella ricerca: l’1%, quantità che ci votava allora, e a maggior ragione oggi, al sottosviluppo. Perché, malgrado la vigorosa denuncia di molti scienziati, il Paese ha continuato la sua deriva verso il disastro annunciato, mentre il ceto dirigente e il popolo si sono cullati nella convinzione che in ogni caso lo stellone nazionale avrebbe trovato una via d’uscita? Enrico Bellone individua la causa principale del disastro nella cultura egemone delle classi dirigenti, che considerano meccanica e di minore importanza la ricerca scientifica, rispetto a quella umanistica. Da qui la pretesa di controllare e tenere subalterna rispetto a quella metafisico-teologica la cultura scientifica, anche con episodi davvero esilaranti, a una indagine razionale, come appunto la pretesa di Benedetto Croce di insegnare i principi della matematica a Enriquez, uno dei maggiori matematici del suo tempo. Questa bizzarra pretesa filosofica, poi sempre Bellone ci mostra, non è una prerogativa dell’idealismo italiano. Nella sua autobiografia Max Born (premio Nobel per la fisica nel 1954): “Racconta anche di aver seguito alcune lezioni del filosofo Edmund Husserl, che stava sviluppando una ricerca sulla matematica … Il suo giudizio (di Born) è tranciante: ‘Se la scienza significa qualche cosa, non può certo servirsi della filosofia di Husserl’; che pretende di giungere a una dimostrazione conclusiva sulla natura della matematica per mezzo ‘dell’introspezione, della contemplazione e dell’analisi verbale’. Il che costituisce ‘un atteggiamento inconciliabile con la scienza, perché chi ha raggiunto una simile dimostrazione diventa facilmente un fanatico, un credente mistico, non più avvicinabile con il ragionamento e la discussione’”. (E. Bellone, op. cit. pp. 29-30). La pretesa della metafisica di governare la scienza è una costante, ricostruisce Bellone, diffusa in tutta la filosofia continentale del XX secolo di matrice hegeliana, e ancora egemone in quella contemporanea, tra il nostro Severino e i vari Deleuze, Feyrabend. Che cosa determina questa pretesa egemonica della metafisica sulla scienza? Bellone lo ascrive a un residuo dogmatico della metafisica, per poi volgersi allo studio del rapporto ragione-fede e alle pretese della fede di guidare la ragione scientifica, attraverso una pseudometafisica teologizzante, i cui primi gravi guasti risalgono al processo Galileo; sul quale il libro ritorna più volte, come esempio di quali danni conseguano, quando a guidare la linea di ricerca della ragione si impongono i dogmi di una fede. Sul rapporto ragione-fede Piero Martinetti, filosofo definito dal Gentile, “senza importanza” pubblicò un breve (pp.63) saggio illuminante, compreso e che dà il titolo alla sua raccolta di saggi religiosi: “Ragione e fede, Einaudi, Torino 1942”, libro che andrebbe rieditato, perché poco presente anche nelle grandi biblioteche nazionali. Nel breve saggio Martinetti spiega la fede come la forma fossile di momenti della ricerca della ragione in evi trascorsi, ma anche come l’intuizione ulteriore della ragione impegnata nella ricerca. La fede si svela nella riflessione martinettiana di duplice valenza. Come sentimento collettivo condiviso è l’espressione di un atteggiamento conservatore, che può assumere tratti regressivi per quanto veicola modelli di pensiero superati dall’indagine della ragione, mentre come sentimento individuale realizza una costante mediazione tra le ricerche della ragione e la coscienza dei suoi limiti. La fede è dunque anche un aspetto della ragione, e non meno della ragione uno strumento pratico, ma “questa natura eminentemente pratica della fede ci spiega infine un altro suo carattere: la sua relativa stabilità, per cui sembra opporsi al sapere, che è in una trasformazione ed in un progresso continuo”. (Op. cit. pp. 64-65). In un punto non così remoto nel tempo e nello spazio, la cultura italiana, attraverso la riflessione di una delle sue maggiori personalità, raggiunse chiara coscienza della natura autonoma della ricerca scientifica, non subordinabile a dogmi vuoi teologici vuoi metafisici, ma l’azione di rimozione prima del fascismo e poi del cattomarxismo ha emarginato questa limpida affermazione di metodo, che vede nell’autonomia della scienza un postulato anche a difesa della salute della metafisica. E forse nulla quanto l’assenza di questo contributo della riflessione martinettiana nelle pagine che il libro di Bellone dedica alla ricostruzione del nesso ragione-fede, a definire il ruolo e sostenere l’autonomia della ricerca scientifica, misura e descrive lo scacco della grande cultura positivista dell’Italia post unitaria, che fu alla base del rilancio del paese. Fu liquidando questa cultura che si incominciarono a recidere le radici della scienza come valore cardine del rinnovamento spirituale del Paese, un cui momento decisivo si ha con la riforma della scuola di Gentile; che educherà a una pseudo-cultura umanistica, i cui disastri sono oggi davanti a tutti, perché da questa educazione scolastica, anche dopo la Liberazione e la liquidazione dei gerarchi fascisti, emerge il ceto dirigente politico cattomarxista del Paese, che affosserà, negli anni Settanta, con vergine innocenza, la ricerca scientifica italiana, tagliandole i fondi con una strategia che non sanziona soltanto la fine della scienza italiana, ma inaugura quella di tecnica di lotta politica attraverso lo strumento giudiziario che finirà per portare al disastro la stessa classe politica. Con precisa documentazione Enrico Bellone ricostruisce, anche se sinteticamente, i tre grandi processi attraverso i quali, a metà degli anni Sessanta l’Italia liquida la ricerca nucleare, quella chimica e quella biomedica, buttando così le fondamenta dell’attuale arretratezza industriale italiana. Nella prima metà degli anni Sessanta: “Felice Ippolito si stava prodigando per dotare il paese di autonomia energetica, Adriano Buzzati Traverso poneva le fondamenta per un laboratorio internazionale di genetica e biofisica, Domenico Marotta era al vertice dell’Istituto superiore di sanità e indirizzava studi che avrebbero consentito all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista nel settore dei farmaci. Sembrava insomma che fosse finito il lunghissimo inverno della scienza e della tecnica” (op. cit. pag 11), ma questo sviluppo ledeva interessi internazionali e a un tempo sottraeva al controllo della classe politica grandi flussi di capitale. Scatta la trappola giudiziaria. Nel marzo del 1964 arresto di Ippolito, processato e incarcerato fino al 1968, mentre Marotta, arrestato nell’aprile ‘64, dopo una campagna di diffamazione dell’Unità, sarà scarcerato per ragioni di età: “Le cosiddette prove contro Ippolito e Marotta erano al di là del ridicolo. Tali furono giudicate sia all’estero che da grandi giuristi nostrani come Jemolo e Galante Garrone”. (Op. cit. pag.12). A buon intenditor poche parole: Buzzati Traverso emigrò, e con lui altri ricercatori, dopo che una sua iniziativa per portare in Italia un finanziamento di circa un milione di dollari a sostenere le ricerche di biologia molecolare era stato attaccato dai comunisti come azione di connivenza con la scienza capitalista. Era infine venuto il tempo dell’elettrone proletario del Sessantotto. Il collasso sessantottesco della scienza, ci spiega poi Bellone nella seconda parte del suo aureo pamphlet, non è che la conseguenza della tenace svalutazione del suo ruolo nella società, anche per una meditata volontà di chi detiene il potere di emarginare e mantenere subalterna una comunità scientifica la cui azione si è rivelata, dal Rinascimento in poi, determinante non soltanto per dare un diffuso benessere alla società, ma ancor più per garantirle quella base razionale senza la quale, o all’allentarsi della quale, poi esplodono le grandi pesti psichiche collettive, come appunto furono il nazismo e/o il comunismo, le cui ascese sono state la conseguenza, l’effetto nefasto della grande spinta irrazionalista neoromantica tra fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando il nazionalismo, il razzismo, l’utopismo più inverificabile dilagarono, scatenando due guerre mondiali. I presupposti per nuove esplosioni di irrazionalità ci sono tutti, insegna Bellone, fin quando permangono una metafisica e una teologia decise a ridurre la scienza, ovvero il solo modo dato all’uomo per conoscere il mondo, a strumento subalterno da usare come mezzo al servizio del potere. Soltanto se la scienza si autogoverna, rigettando ogni pretesa egemonica del pensiero metafisico e teologico, una società può ritenere sodamente fondata la sua libertà. E una battaglia politica per la difesa della libertà scientifica sono oggi i quattro referendum abrogativi della legge braghettona sulla fecondazione assistita. Lo leggiamo nella filigrana della polemica, quando i braghettonari affermano che la libertà di fecondazione assistita, soprattutto quella eterologa, significa di fatto introdurre in forma surrettizia i progetti eugenetici del nazismo. Nulla di più assurdo e falso: dai torturatori di Galileo fino ai demistificatori della fisica giudaica heinsteiniana, i persecutori dell’umanità sono sempre stati teologi e politici, dunque gente esterna alla comunità scientifica, che invece ha sempre difeso, nella sua azione complessiva, un progetto umanistico razionale, con al centro la cura dell’uomo. E anche la fecondazione assistita ha ubbidito a questo disegno. Nel limitarla, falsificandone il senso con l’azione legislativa, la classe politica del nostro Paese ci dà l’inquietante conferma di quanto tenace nel suo seno permanga la volontà di tenere sotto controllo le spinte progressive razionali. Se il disastro della scienza italiana, voluto per il proprio egoismo dalla nostra classe dirigente, ha ormai forse irreversibilmente condannato il nostro Paese a diventare una terra di albergatori, di agricoltori di nicchia, ergo con sacche sempre più grandi di povertà e sottosviluppo, oggi la comunità scientifica planetaria ha ormai raggiunto una tale massa critica che i vari dogmatismi e il complex di veri credenti impegnati a difendere la fede dalla ragione non riusciranno comunque più a sopraffare e strumentalizzare la scienza, ridurla a strumenti tecnici al servizio delle loro voglie deliranti di massacri, dopo aver criminalizzato gli scienziati davanti alle loro comunità locali, come appunto fu fatto con Galileo. Questa è la conclusione rassicurante del libro di Bellone, assolutamente imprescindibile per chi voglia riflettere sul nostro presente di italiani nel mondo, oltre i dogmi e le demagogie.

referendum: una lettera all'Unità

L'Unità 24 Maggio 2005
La preoccupante campagna per l’astensione

Il calcolo del Vaticano per una vittoria sul referendum mi appare fondato ed ad esso favorevole. L'afflusso degli elettori nelle consultazioni si attesta intorno al 70/75%. Nei referendum diminuirebbe.
Una campagna forte per l'astensione: la chiesa, il centrodestra, salvo eccezioni anche significative, possono influenzare facilmente un 20/25% di elettori per il non voto, raggiungendo quindi facilmente un 50%+1 di non votanti.
Sarà bene quindi intensificare l'impegno per smontare le tesi e la loro presa sui cittadini degli antireferendari:
1) i seguaci di un dogma o un'etica di parte non possono invocare una legge per imporli a tutti gli altri.
2) l'esercizio del voto, per l'art. 48 della Cost. è un dovere civico, anche se la sua non osservanza non è più pregiudizievole per la c.d. “buona condotta civile”:
3) l'astensione è decisione individuale e libera, l'organizzazione del voto in tal senso è scorretta e dovrà interessare il legislatore ed anche il giudice penale, perchè la scelta dell'elettore sarà non più segreta, ma individuabile e quindi condizionabile, ricattabile.
4) I sostenitori del No e dell'astensione hanno già pronto un argomento per invalidare il referendum e la portata dell'eventuale vittoria del Sì, presentandola come una anomalia, la sopraffazione di una minoranza sulla maggioranza degli elettori e sul legislatore;
5) Gli antireferendari riconoscono che la legge va migliorata, ma continuano a presentare il ricorso al referendum sbagliato e pericoloso.
Buon lavoro, puntando al miglior risultato.
Giacomo Grippa

Niguarda: prevenzione delle psicosi

Ansa 23/05/2005 - 18:18
Sanità: schizofrenia, attivo a Milano 'Programma 2000'
Progetto volto a individuare e trattare malattie psicotiche

(ANSA) - MILANO, 23 MAG -Attivo all'ospedale Niguarda di Milano il 'Programma 2000' operante nell'individuazione preventiva e nel trattamento di malattie psicotiche. A rischiare di più sono i giovani fra i 17 e i 30 anni, ha detto oggi a Milano Anna Meneghelli, psichiatra responsabile scientifico del XIII Congresso dell' Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento (AIAMC), svoltosi di recente a Milano. In Italia sono 600 mila le persone con schizofrenia e comportamenti psicotici.

copyright @ 2005 ANSA

mogli, mariti, e Cassazione

Il Mattino 23.5.05
Quando la moglie è trascurata


Il principe di Salina, protagonista del celebre romanzo «Il Gattopardo», nel corso di una conversazione con amici, confessa, pur avendo avuto numerosi figli, di non avere mai visto l’ombelico della moglie. La Corte di Cassazione, con due recenti sentenze, espressamente riconosce anche alle donne il diritto alla sessualità. Con la decisione n. 6276 del 2005, i giudici di legittimità hanno, infatti, affermato che il rifiuto, protrattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con la moglie, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner. Tale oggettiva situazione, provocando nella donna un senso di frustrazione e disagio nonché irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psico-fisico, legittima la pronuncia di separazione con addebito al marito. La decisione n. 9801 del 2005 determina ancora, in maniera più puntuale, il contenuto di tale diritto. Essa riconosce la responsabilità civile di un marito, il quale, prima del matrimonio, aveva omesso di informare la moglie delle proprie disfunzioni sessuali, che impedivano l’assolvimento dell’obbligo coniugale. Tale condotta, secondo la Cassazione, comportando la lesione del diritto fondamentale del coniuge a realizzarsi pienamente nella famiglia, nella società ed, eventualmente, come genitore, integra un illecito fonte di danni. La sessualità della donna - si legge nella motivazione - rappresentando uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, configura una posizione soggettiva tutelata dalla Costituzione, da inquadrare tra i diritti inviolabili che l’articolo 2 impone di garantire. Il diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali, anche nella sua proiezione verso la procreazione, costituisce, quindi, una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità del matrimonio. Pertanto, il comportamento del marito, che ometta di informare la moglie delle proprie disfunzioni sessuali, concretizza una violazione della persona umana intesa nella sua totalità, nella sua libertà-dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli artt. 2,3, 29 e 30 della Costituzione.

in Italia, oltre alla chiesa cattolica

Redattore Sociale
PLAGIO
Circa 1000 le sette in Italia, con quasi un milione di adepti.
Se ne parla domani a Rimini nel convegno "Il plagio. Un menticidio impunito", promosso dall'associazione di familiari Favis


RIMINI – Secondo un rapporto del Ministero degli Interni, sarebbero circa 1000 le sette in Italia, con quasi un milione di adepti. Si va da gruppi più piccoli formati da 30-40 persone, fino a culti che contano oltre 100mila adepti. Se ne parlerà domani a Rimini, sabato 21 maggio, in occasione dell’incontro “Il plagio. Un menticidio impunito. Viaggio tra sette e manipolazione psicologica”, promosso dalla Fa.vi.s., Associazione nazionale familiari vittime delle sette, in collaborazione con il Comune e la Provincia e il sostegno della Banca Popolare Valconca. L’incontro inizierà alle 16 nella sala Manzoni, in via IV novembre 35. La battaglia della Fa.vi.s – a cui si sono rivolte per chiedere aiuto, nell’arco di due anni, ben 463 famiglie – nasce dalla drammatica, personale esperienza del suo fondatore e attuale presidente, Maurizio Alessandrini: dopo aver visto il figlio scappare di casa plagiato da una “santona”, ha dato vita nel 2003 all’associazione insieme ad altri familiari, organizzando incontri di informazione e sensibilizzazione per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle amministrazioni sul fenomeno del plagio.
La Fa.vi.s è inoltre impegnata nella battaglia “per colmare – spiegano dall’associazione – l’attuale vuoto normativo sulla manipolazione mentale (determinato nel 1981 dalla pronuncia di incostituzionalità per difetto di determinatezza dell’art. 603 del codice penale), che impedisce allo Stato e alle forze dell’ordine di poter intervenire”. Un passo in avanti “è stato fatto nel 2004, quando la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all’unanimità un decreto legge che intende introdurre nel codice penale il nuovo articolo 613-bis che definisce il ‘reato di manipolazione mentale’”. In due anni d’attività sono state dunque 463 le famiglie che hanno bussato alla Fa.vi.s per chiedere aiuto; l’associazione, oltre a fare informazione, offre infatti consulenza, patrocinio legale e recupero con esperti del campo psicoterapeutico per coloro che riescono ad uscire da esperienze drammatiche, dalle dimensioni impressionati. “Anche nella provincia di Rimini – segnalano dalla Fa.vi.s – la Digos ha classificato un alto numero fra organizzazioni e sette che perpetrano il condizionamento psicologico o plagio”.
All’incontro di domani interverrà Francesco Bruno, criminologo e psicopatologo, docente di Psicopatologia Forense all’Università La Sapienza di Roma, parlando di “Manipolazione psicologica distruttiva della personalità, riforma del pensiero e dipendenza psicologica degli adepti. La certezza scientifica del plagio”. Seguirà Emanuele Nacci, avvocato ed ex docente di Diritto Costituzionale e Diritto Penale all’Università degli studi di Bari, con “Riflessioni su problematiche e danni rivenienti dall’abrogazione dell’ex articolo 603 del codice penale”. Mary Grossi, psicologa studiosa della manipolazione e del condizionamento, interverrà su “I metodi di persuasione e condizionamento psicologico e fisiologico nelle sette”; infine Giorgio Gagliardi, psicofisiologo e psicoterapeuta d’aiuto per i fuoriusciti da sette a controllo mentale degli adepti, parlerà de “I bambini nei nuovi movimenti magico e pseudo religiosi”. Sono inoltre previsti interventi del senatore Antonino Caruso, presidente della commissione Giustizia del Senato, e dei testimonial Orietta Berti e Leo Gullotta.

sinistra
Pietro Folena

Corriere della Sera 24.5.05
L’EX DIESSE
Folena: da giugno al via nuovo soggetto di sinistra

«Stiamo lavorando per la costruzione di un nuovo movimento politico trasversale, che abbracci esponenti dei Ds, di Rifondazione, rappresentanti di area sindacale e del mondo che fa capo ad associazioni e movimenti no global, nella prospettiva della costruzione di un nuovo soggetto politico, chiamiamolo pure un partito, che possa rappresentare l'anima di sinistra dell'Unione, anche in vista di un governo Prodi». Pietro Folena rilancia il progetto che aveva annunciato all'indomani delle elezioni regionali, quando aveva lasciato il gruppo dei Ds alla Camera per confluire da indipendente nel gruppo di Rifondazione comunista.
«L'obiettivo è quello di dare vita a un movimento che sulle prime non sarà un partito ma nemmeno solo una corrente e che avrà una duplice funzione: quella di fare da ponte fra radicali e riformisti, ma avrà anche, e soprattutto, il compito, di lavorare per spingere l'Unione un po' più a sinistra"
«Contiamo di far partire quest'idea entro la fine di giugno», aggiunge Folena che dice anche di essersi già sentito con Fausto Bertinotti, «che mi pare guardi al progetto con grande favore».