mercoledì 28 gennaio 2004

la voce "Massimo Fagioli"
come è pubblicata sulla Garzantina Cinema

Fagioli Massimo sceneggiatore e regista italiano. Laureato in medicina e specializzato in neuropsichiatria, esercita la professione di psicanalista. Nel 1971 il suo libro Istinto di morte e conoscenza suscita un acceso dibattito che si conclude con la sua uscita dalla Società psicanalitica italiana. Il regista M. Bellocchio lo consulta durante la lavorazione di Il diavolo in corpo (1986), ispirato all’omonimo film di C. Autant-Lara, a sua volta tratto dal famoso romanzo di R. Radiguet. La collaborazione con Bellocchio si fa più stretta e nel 1991 firma la sceneggiatura di La condanna (Orso d’argento a Berlino), che esplora i tormentati rapporti tra consapevolezza e inconscio nell’animo di una donna dopo una notte d’amore con uno sconosciuto. La componente lirica e onirica si accentua con Il sogno della farfalla (1994), sempre di Bellocchio, in cui la sua sceneggiatura accantona le comuni convenzioni narrative per raccontare la storia di un giovane che rifiuta di parlare. Nel 1998 passa dietro la macchina da presa con Il cielo della luna, film su una donna socialmente e professionalmente realizzata, ma insoddisfatta della sua perfetta esistenza borghese, che nella sua ricerca di un fondamento più saldo abbandona tutto e tutti, anche l’amico clochard, interpretato da Fagioli stesso.

l'ideologia della destra

Repubblica 28.1.04
Quei futuristi rivoluzionari che detestano le virtù borghesi

Si conclude l´inchiesta sulla cultura della destra
Schmitt non è un reazionario: sa perfettamente che la sua teologia politica è solo un grimaldello
Musil, facendo la parodia di Rathenau nell´"Uomo senza qualità" criticava il capitalismo senz'anima
Nella formazione originaria del fascismo l'apporto marinettiano ha un ruolo importantissimo
di ANTONIO GNOLI


Venezia. Fu sul finire degli anni Settanta che Massimo Cacciari, un po´ a sorpresa, aprì una linea di credito nei riguardi della cultura di destra e in particolare di alcuni suoi protagonisti che la sinistra aveva emarginato. Quello sdoganamento - per cui improvvisamente ci si trovava di fronte ad autori (soprattutto tedeschi) come Schmitt e Jünger o in parte come Evola, usciti da un lungo oblio se non proprio da una clandestinità - era anche il frutto delle difficoltà teoriche in cui il marxismo aveva finito con il trovarsi. Dice Cacciari: «Quell´esigenza partiva anche dal desiderio di capire che la destra non era soltanto violenza bestiale. Ma c´era un sostrato di idee e questioni di indiscutibile portata che andava affrontato».
E quell´esigenza è rimasta?
«Diciamo che oggi le cose vanno affrontate con maggiore analiticità rispetto a trent´anni fa. Anche perché le conoscenze di quelle correnti della cultura di destra europea sono infinitamente cresciute» .
Ma la sua curiosità di allora da che cosa era motivata?
«Sia io che altri provammo a riattraversare quelle culture, servendoci di una idea diversa della politica».
Ossia?
«Rispetto allo schema assiale classico, per cui i lati opposti sono occupati da sinistra e destra e poi c´è un centro che rappresenta la posizione virtuosa, adottammo uno schema ortogonale della politica. Nella convinzione che ci sono aspetti del pensiero della destra che interessano la politica in generale e in particolare la sinistra».
È possibile che l´elemento trasversale dipendesse dalla medesima reazione critica che sinistra e destra ebbero tra le due guerre di fronte al liberalismo?
«È senz´altro l´elemento principale, anche se non avrei difficoltà a retrodatarlo. A cavallo fra l´Otto e il Novecento emerge sia a sinistra che a destra una critica non tanto alla democrazia liberale quanto a un liberalismo in cui predomina l´elemento di scambio e di mercato. È un prendere le distanze dal contrattualismo che in Carl Schmitt si riassumerà nel concetto di critica all´età della neutralizzazione».
Ossia di critica all´età liberale classica?
«Sì, e quel liberalismo produce, come reazione, una specie di reciproca attrazione fra socialismo e destra. È un fenomeno che avrà particolare rilievo in Italia».
Pensa al passaggio di Mussolini dalle posizioni socialiste alla destra nazionalista e poi al fascismo?
«È senz´altro un aspetto. Ma solo all´interno di questo contesto si spiega il richiamo originario di Gentile al Marx delle tesi su Feuerbach, o la formazione stessa di Gramsci. Ed è questo che trent´anni fa ci ha interessato: una cultura di destra che criticando l´età liberale della neutralizzazione incrociava obiettivamente un elemento filosofico portante della critica socialista alla democrazia liberale».
Quali effetti ebbe questo bisogno di voler superare l´individualismo liberale?
«Sul piano della destra europea produsse due filoni abbastanza in contraddizione fra loro. Uno propriamente statalista che si conclude con l´affermazione di una potenza autonoma della politica la quale, tuttavia, per avere effettiva sovranità, autorità, legittimità, si deve configurare eticamente».
Cioè deve dar vita a uno Stato etico.
«Sì. A uno Stato che alla lontana troviamo più in Fichte che in Hegel e in seguito sarà teorizzato da Gentile. L´altro filone è quello organicistico, che ha dentro di sé un forte richiamo alla comunità originaria. Lo sfondo qui è determinato in primo luogo dai romantici tedeschi, ed è fortemente polemico nei confronti della tradizione statalista».
E queste due destre avranno un differente atteggiamento nei riguardi della tradizione socialista?
«Inevitabilmente. Le correnti organiciste si contrapporranno frontalmente al socialismo. Perché a differenza della loro, la visione socialista è cosmopolita, internazionale, universale. Più vicina in questo alla tradizione statalista».
Fino a un certo punto.
«È vero, nel senso che nella concezione marxiana e socialista lo Stato deve essere superato. Lo stato non è la casa, la dimora, come lo è nella concezione gentiliana».
Schmitt che è il grande critico della neutralizzazione che posto occupa?
«Lui non è riconducibile né ai romantici né a Hegel, proviene da Weber. Il suo problema è costruire uno stato con criteri hobbesiani, fuori dagli equivoci organicistici ed etici».
E per questo si mette agli ordini dei nazisti?
«Lavora per loro, convinto di poter creare un processo decisionale nuovo. Cade in un abbaglio, quello della costruzione politica attraverso meccanismi plebiscitari. Ma direi che in generale sono tutte le culture di destra di quel momento, organicistiche, statalistiche, plebiscitarie, a illudersi di imbrigliare il nazismo e il fascismo. Invece accade il contrario. E Schmitt a un certo punto se ne rende conto. Ma è troppo tardi, perché la prepotenza politica del nazismo ingabbia tutto».
Chi si sottrae a questa morsa politica è l´esperienza della rivoluzione conservatrice.
«Armin Mohler, che sull´argomento scrisse nel 1950 un libro importante, definì gli esponenti della rivoluzione conservatrice come "i trotzkisti del nazionalsocialismo" e come tali furono perseguitati. Ma è bene precisare che con questo movimento non hanno nulla a che fare un apocalittico come Spengler e uno come Schmitt».
Qual è il nucleo del loro pensiero?
«Gli autori della rivoluzione conservatrice hanno come denominatore comune il rigetto dell´eredità francese. Sono antigiacobini ma non reazionari. Non si confondono con il grande pensiero controrivoluzionario della restaurazione».
Non si confondono con de Maistre?
«Non solo, neppure con Bonald, Donoso Cortés, che sono, come è noto, i grandi autori studiati da Schmitt».
E nei quali il cattolicesimo ha una funzione non indifferente.
«Appunto. Mentre nella rivoluzione conservatrice gli elementi cattolici sono scarsi. Tutto è svolto in una prospettiva molto tedesca: reinterpretano l´età liberale in una chiave estetico aristocratica. Per questo movimento la democrazia liberale fallisce perché a un certo punto diventa democrazia in senso negativo».
Diventa democrazia di massa.
«Diventa oclocrazia, ossia dominio politico delle masse ma anche individualismo economico. Dunque non rigettano la democrazia, ma ritengono che la democrazia debba essere governata elitariamente».
Chi sono i maggiori rappresentanti?
«Il nome che mi viene in mente è Hugo von Hofmannsthal. C´è un suo saggio del 1927 sulla letteratura austriaca - che è la grande teorizzazione della rivoluzione conservatrice - in cui confluiscono elementi organicistici, negazione di ogni individualismo sradicato, legame con la lingua e il territorio, rifiuto di ogni cosmopolitismo liberale e socialista, di ogni giacobinismo, ma al tempo stesso di ogni forma autoritaria totalitaria».
Il mantello dell´estetica copre tutto.
«Diciamo che è la valorizzazione dell´elemento estetico aristocratico. Secondo me la figura in cui la rivoluzione conservatrice si esprime con la massima nettezza e insuperabile ironia, fino a dissolversi, è l´Arnheim di Musil. La parodia che fa di Rathenau in L´uomo senza qualità mostra come Musil al fondo criticasse il capitalismo senza anima».
Chi invece insiste sullo stile è Gottfried Benn.
«In lui si fa evidente l´apprezzamento del bello, del carattere estetico dell´esperienza. Ai suoi occhi, come a quelli degli altri esponenti della rivoluzione conservatrice, l´aristocrazia deve governare lo stato liberale, deve guidare la democrazia. Occorre perciò formare un governo dei migliori, non un governo del führer, del dittatore».
In quegli anni, parliamo del periodo a cavallo fra il dieci e il venti, assistiamo a delle letture piuttosto singolari di Platone che vanno nella direzione del governo dei migliori.
«Sono soprattutto le letture dei grandi professori tedeschi di greco - la grande scuola filologica dei Wilamowitz - a porre le basi perché si formi questa idea di un governo aristocratico dalle forme democratiche. Ma, ripeto, il testo fondamentale è L´uomo senza qualità che può essere letto come un grande affresco in cui viene dissacrata la visione della rivoluzione conservatrice».
Perché Musil descrivendola la dissacra?
«Perché è consapevole che il moderno va nella direzione opposta dall´estetizzazione della politica».
Un fenomeno simile lo abbiamo con d´Annunzio.
«Simile fino a un certo punto. Anzi, distinguerei nettamente il suo atteggiamento da quello degli esponenti della rivoluzione conservatrice. Anche se va tenuto presente che d´Annunzio è forse l´ultimo grande fatto culturale e antropologico che l´Italia dona all´Europa».
L´ultimo di quale serie?
«Dal Rinascimento in poi l´Italia ha per lungo tempo fornito modelli culturali all´Europa. E d´Annunzio è appunto l´ultimo di questi doni. Ma la rivoluzione conservatrice ha poco a che fare con lui. Musil e Hofmannsthal che di lui amano il lato letterario detestano l´elemento demagogico e populistico che ritengono intrinsecamente autoritario. Così come rifiutano un aspetto nuovo e assolutamente diverso della cultura di destra, cioè l´esperienza futurista».
Che si incarna nella destra rivoluzionaria.
«Non a caso. Lotta contro le degenerazioni della democrazia, ma non è a favore di una restaurazione aristocratica. Sostiene che il capitalismo abbia già un anima, la sua, ed è inutile cambiargliela, come pretendono letterati, esteti e filologi. Del capitalismo esalta la macchina, il sistema, la potenza. E questo sarà un elemento formidabile nella formazione agli inizi del Novecento di una destra europea».
L´aspetto più evidente, almeno in Italia, è una qualche coincidenza fra il programma futurista e una certa idea del fascismo.
«Il futurismo è una componente essenziale del fascismo. Che poi finisca con l´imborghesirsi, con l´istituzionalizzarsi, valga per tutti il Marinetti che finisce all´Accademia d´Italia, fa parte di una logica quasi inevitabile delle avanguardie. Però nella formazione originaria del fascismo l´elemento futurista e rivoluzionario ha un ruolo importantissimo. Tra l´altro Gramsci lo comprende perfettamente. E De Felice non farà che recuperare quella intuizione, per cui il futurismo è essenziale sia per spiegare la nascita del fascismo che alcune parti del pensiero gentiliano».
Questa sua ultima affermazione è meno chiara.
«Intendo futurismo come l´equivalente di rivoluzione. L´attualismo di Gentile è in qualche modo futurismo, cioè atto rivoluzionario. Si tratta dell´interpretazione delle tesi di Marx, che Gentile fa sue. Critica il lato economicistico e sociologistico che del contemporaneo fa Marx e sposta l´elemento rivoluzionario sul piano del pensiero come atto. Agli occhi di Gentile il pensiero è tale non solo quando riflette e pensa il mondo, ma quando s´invera nel trasformarlo».
E questa è la filosofia di Marx?
«Per Gentile sì. Ed è un punto che Del Noce e altri hanno messo in evidenza. Per cui questo aspetto è fondamentale per spiegare la genesi del movimento fascista. E si tratta di una riflessione completamente estranea al nazismo».
Dalle cose dette fin qui vediamo delinearsi due destre, una moderna e l´altra antimoderna.
«E questa distinzione è fondamentale perché di solito quando si parla del suo lato critico del moderno, non si vede l´altra faccia, quella che fa l´apologia del rischio, dell´innovazione, del progressismo capitalista e industrialista, che denuncia l´imborghesimento, che rifiuta i compromessi con le burocrazie statali, che si rammarica della perdita dello slancio vitale della fase eroica. A fronte di questa destra c´è quella organicistica, comunitaria che, abbiamo visto, denuncia l´individualismo che non ha più radici».
Lei accennava anche alle destre in cui l´aspetto culturale si intreccia col pensiero religioso.
«Mi riferivo alla destra cattolica reazionaria e ai suoi grandi maestri della restaurazione: de Maistre, Bonald, Donoso Cortés. Il loro pensiero per certi versi è il meno attuale ma anche il più inquietante».
Quando dice inquietante intende pericoloso?
«Intendo che è talmente drastico da andare alla questione essenziale: o, con la morte di dio e la perdita di tutti i valori, finiremo travolti dall´ateismo, oppure occorrerà scegliere la strada opposta. Ma il punto vero è che per questi pensatori, il dilemma non riguarda tanto la coscienza religiosa del singolo, il sentimento di credenza, bensì va posto all´autorità politica».
L´alternativa è o cristianesimo o ateismo?
«Non ci sono vie di mezzo. Ed è una scelta di cui non si può fare carico la democrazia liberale, perché costoro la considerano del tutto impotente a contenere questa deriva anarchica e nichilista».
Ma questa critica alla democrazia da dove nasce?
«Dalla considerazione che la sua legittimità è messa in crisi dalla sua stessa rappresentanza. Il problema della democrazia è come ridurre il potere sovrano senza distruggerlo. E questo per de Maistre è una contraddizione in termini».
A quale modello politico si richiamano?
«La forma politica che adottano è la Chiesa. E questo vale tanto per i pensatori come de Maistre, quanto per Schmitt».
Ma come convive in Schmitt il suo aspetto weberiano, di consapevolezza del processo di secolarizzazione, con la teologia politica?
«Ma Schmitt non è un reazionario. Sa perfettamente che la sua teologia politica non ha nessuna valenza propositiva. È solo un grimaldello ermeneutico per rappresentare concettualmente il politico contemporaneo. I grandi maestri della restaurazione avanzano l´esigenza di una teologia politica costruttiva, costituente. In Schmitt questo elemento è assente. È un pensatore totalmente disincantato. Non è un reazionario che guarda con nostalgia alla figura del Papa, è uno che si chiede come si può costruire un nuovo artificio statuale nell´epoca della crisi della democrazia liberale, della crisi del diritto internazionale e dell´espandersi dei mercati finanziari».
L´impressione è che questi tentativi di sistemare concettualmente una materia così contrastata, e al suo interno conflittuale, oggi siano del tutto tramontati. C´è una spiegazione plausibile?
«Mi sta chiedendo se quelle destre culturali di cui abbiamo parlato hanno ancora senso?».
Sì.
«Le diverse tradizioni della destra europea - da quella organicistica a quella della rivoluzione conservatrice eccetera - avevano un fine che era tentare di stabilire una identità europea. Ora questa ambizione è del tutto collassata nel secondo dopoguerra. Se prescindiamo dall´esperienza dei totalitarismi, possiamo anche spingerci a riconoscere che nella prima parte del secolo la destra ha tentato di pensare un´idea di Europa. E quando oggi il Papa sottolinea le radici cristiane dell´Europa, non fa che riproporre in piccolo il dilemma: o ateismo o cristianesimo. Se vuole è tutto qui quello che oggi è rimasto delle destre culturali».
(5 - fine. Le puntate precedenti sono uscite il 14 e il 23 dicembre, il 15 e il 20 gennaio)