Corriere della Sera 24.6.05
Nel pamphlet «Di nessuna chiesa» l’epistemologo critica le tesi di Benedetto XVI e di Marcello Pera
In nome dell’Illuminismo
Per il filosofo laico anche Dio è relativista
di PIERLUIGI PANZA
Il titolo, Di nessuna chiesa. La libertà del laico, richiama da subito il pasoliniano non sentirsi legato a «nessuna delle religioni che nella vita stanno... istituite a ingannare la luce, a dar luce all'inganno». Il testo è un pamphlet sul laicismo - inteso non come ateismo ma come esperienza di libertà - scritto da Giulio Giorello, filosofo che «senza se» e «senza ma» si è espresso a favore dei «sì» ai referendum, degli Ogm e contro le critiche di Benedetto XVI e del collega Marcello Pera al «relativismo». La «luce», naturalmente, è quella dell’Illuminismo o, meglio, del «fallibilismo» di Peirce e Popper. Giorello ha scritto un libro per chiamare i laici a una controcrociata: «Laici, basta difendersi, è tempo di attaccare», dice. Ma contro chi? «Contro l’assolutismo, che è l’opposto del relativismo. Il relativismo - spiega - non si oppone all’oggettività o alla verità scientifica, ma all’assolutismo. E nella storia umana, i disastri li hanno fatti sempre gli assolutismi e i fondamentalismi. Anche la chiesa, con l’apparato repressivo della Controriforma. Solo liberandosi dalla Controriforma è nata l’Europa moderna e democratica».
La sua tesi è di un «illuminismo estremo»: il vero peccato, anche per le religioni, non sarebbe il relativismo, bensì l’assolutismo. E per dimostrare che la religione «deve essere relativista» Giorello muove da un passo biblico: «Lo Spirito soffia dove vuole». Che cosa vuol dire questo? «Vuol dire che lo Spirito soffia al di sopra di qualsiasi fondamento. L’assolutismo è un peccato contro lo spirito: è ostile all’autentico pensiero cristiano, ebraico e islamico». Insomma, per Giorello, ogni Dio è relativista.
Il filosofo cerca di dimostrarlo dall’interno, partendo dalla storia della chiesa. «I primi esempi di società aperta si realizzarono in Inghilterra quando i rappresentanti delle varie chiese incominciarono a pensare che la loro forma di vita fosse una delle vie possibili da seguire, e non la via, la verità. Così si fondarono le società aperte» e, come conseguenza, la possibilità di una cultura fatta di congetture e confutazioni che la civiltà vaglia e seleziona.
Nel libro traspare poi un forte richiamo al darwinismo, come nocciolo duro del pensiero illuminista. Proprio il contrario di quanto l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse in «Verità cattolica» su MicroMega nel 2002: «La teoria evoluzionistica si è andata cristallizzando come la strada per far sparire definitivamente la metafisica, per rendere superflua l’ipotesi di Dio (Laplace)... è diventata una specie di filosofia prima» che tende a non «consentire più nessun altro livello di pensiero». «Il darwinismo non è il fondamento - sostiene di contro Giorello -, ma la più plausibile chiave di lettura biologica e culturale».
Insomma, come scriveva John Locke, per Giorello siamo costretti a scegliere «non nel chiaro meriggio della certezza, ma nel crepuscolo delle probabilità», in quel crepuscolo dove le teorie, per essere scientifiche, devono essere falsificabili. A scegliere in pieno «relativismo».
Ma che sapere è un sapere senza fondamento? Tanto vale, allora, spendere l’aforisma prêt-à-porter di Wittgenstein: ciò di cui non si può parlare si deve tacere? «Sì, dovremmo tacere - afferma Giorello -, ma possiamo anche riconoscere che il senso della vita è un insieme di congetture ed esperienze, una verità velata». Non rivelata.
Ciò che appare carente, in questo discorso, è l’aspetto etico. Combattere la «dittatura del relativismo» va forse inteso solo come necessità di manifestare con coraggio ciò in cui si crede... «Se uno uccide o fa violenza è sempre in nome di un credo, di un fanatismo. Per me - afferma Giorello - si può essere morali se Dio non c’è; ma, mi chiedo: si può essere morali se Dio c’è? Se Dio vuole imporre qualcosa a chi non crede? Il relativismo ammette che qualsiasi concezione possa avere un difensore pubblico; anche gli assolutisti possono averlo? No».
Il libro sfiora anche temi di attualità, come l’origine della vita, l’embrione. «Per me l’embrione è un aggregato di cellule e la vita inizia con la nascita». Ovvero con l’esperienza. Ma viene in mente, a questo proposito, un interrogativo che arrovellò Sant’Agostino: se muore un feto, il giorno della resurrezione rinascerà come feto o come uomo formato? «Non coltivo l’idea di una rinascita personale - continua Giorello -. È un problema da porre ai cattolici. Bisogna chiedere a loro come rinasceranno l’80 per cento degli embrioni che non vengono portati a buon fine e che, per loro, sono vita. Bisogna chiedere se rinasceranno anche gli spermatozoi, che sono vita potenziale».
È un Illuminismo, questo, che ci porta dritti verso il postumanesimo. Nessuna incertezza signor filosofo? Eppure, era il 1947, Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell’illuminismo già avevano messo in guardia su come la dea Ragione si trasformi, talvolta, in controprassi. «L’Illuminismo migliore è quello che sottolinea i rischi delle scelte. Basta leggere David Hume per capire che l’Illuminismo non è la luce accecante della Ragione. La Ragione assoluta è una caricatura dell’Illuminismo. Qualunque grande cambiamento che agisce sul vivere fa paura. Ma non voler servirsi della scienza per correggere la casualità della natura è stolto».
La storia dell’uomo, del resto, è storia della manipolazione della Natura: il giardino è una manipolazione del bosco, la città è una manipolazione della campagna. E lo sapeva bene l’illuminista Voltaire che, dopo aver letto il Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau gli scrisse: «Signore, vien voglia di camminare a quattro zampe quando si legge la vostra opera».
Il libro «Di nessuna chiesa. La libertà del laico» di Giulio Giorello
è pubblicato da Raffaello Cortina editore (pagine 79, 7,50)
L’autore Giulio Giorello è nato a Milano nel 1945. Insegna Filosofia della scienza all’università degli Studi di Milano
La frase «Troppo spesso si dimentica che il contrario di relativismo è assolutismo»
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 24 giugno 2005
americani & Co.
liberazione.it 24 giugno 2005
Falluja
di Sabina Morandi
Gas, napalm, torture, bombe al fosforo in un film i crimini di guerra americani a Falluja Un cane lupo con la bocca contratta in un ultimo tentativo di respirare. Un bastardino bianco, buttato al margine della strada, che sembra addormentato. E poi gatti, colombe, conigli… Morti nelle loro gabbie, nei recinti, nel giardino di fronte a casa. Morti, tutti, senza un filo di sangue. Non si sa cosa può averli uccisi ma, di certo, non erano né bombe né pallottole. Forse gas?
Le immagini dei filmati girati a Falluja che scorrono davanti agli occhi dei pochi giornalisti presenti alla conferenza stampa organizzata dalle parlamentari Elettra Deiana (Prc) e Silvana Pisa (Ds) nelle sale della Fnsi sono tutte molto eloquenti, e molto, molto peggiori del piccolo esercito di animali addormentati che ti ritrovi davanti in apertura. Perché nei video ci sono donne, uomini, bambini. Ci sono esseri umani resi irriconoscibili da qualche oscuro rogo chimico, armi capaci di staccare la pelle dal corpo in un istante, visto che questi anonimi resti umani sono congelati nell'atto di alzarsi dal letto o di ripararsi il viso con il braccio. Una mano stringe ancora una catenina. Qualcosa che assomiglia a una donna tiene fra le braccia qualcosa che assomiglia a un bambino.
I filmati "amatoriali", riorganizzati con un faticoso quanto presumibilmente straziante lavoro da Barbara Romagnoli, sono stati realizzati il 18 novembre 2004 nella città ribelle di Falluja, a conclusione dell'operazione Al-Fajr (letteralmente, l'alba) che, secondo la Us Army, avrebbe dovuto distruggere definitivamente la resistenza irachena. A operazione conclusa, come di consueto gli americani hanno passato la mano agli iracheni: una squadra di medici volontari è stata autorizzata a entrare per "ripulire" la città e per cercare di dare un nome ai numerosi corpi sepolti in modo approssimativo durante il violentissimo attacco cominciato l'8 novembre. Del gruppo facevano parte anche gli autori delle riprese, Maher Rajab Abdullah (dell'ospedale Yarmouk di Baghdad), Mohammad Hadeed (del Falluja general hospital), che si sono dati da fare per riesumare i corpi e dare un nome alle migliaia di vittime civili che, fino a questo momento, nessuno s'è ancora degnato di contare. Secondo gli americani i dieci giorni di bombardamenti ininterrotti che hanno raso al suolo 36 mila case - praticamente una piccola città - avrebbero prodotto non più di 1.200 vittime, «quasi tutti insorti», rassicurano i generali, mentre secondo fonti non ufficiali i morti sarebbero fra i tre e i cinquemila, dei quali hanno ricevuto riconoscimento e sepoltura soltanto in 700.
Resta il fatto che i dottori Abdullah e Hadeed, una volta dentro la città proibita, hanno pensato bene di filmare l'orrore sia per facilitare i riconoscimenti che per spezzare la pesante censura che argina qualsiasi informazione proveniente dall'Iraq, in particolare le notizie provenienti dalle città rase al suolo nell'ambito di una strategia di punizioni collettive tanto barbara quanto inefficace. Ma, una volta dentro, i medici non si sono soltanto ritrovati di fronte alle immagini della carneficina che si aspettavano - del resto cos'altro può accadere in una città di 350 mila abitanti, chiusa dentro un cordone vietato perfino agli operatori sanitari e bombardata ininterrottamente per giorni? - ma sono stati costretti a porsi una domanda estremamente disturbante, soprattutto per un professionista dotato della formazione scientifica adeguata: di che cosa è morta tutta questa gente? Quali armi possono uccidere nel sonno senza ferire o, come testimoniano i resti carbonizzati, bruciare la pelle di un essere umano senza dargli nemmeno il tempo di contorcersi per il dolore? Gas come quelli che Saddam aveva impiegato contro i curdi? Bombe al fosforo o nuovi tipi di napalm, entrambi proibiti dalle convenzioni internazionali?
Nessuna spiegazione richiede invece il filmato girato a Baghdad che ritrae un altro morto, anch'esso mostrato ai parlamentari italiani da Mohi Al Din Al Obeidi, il rappresentante del consiglio degli Ulema che ha accompagnato i due medici all'incontro organizzato alla Camera da Silvana Pisa e Elettra Deiana, - a cui hanno aderito anche Francesco Martone (Prc), Gianfranco Pagliarulo (Pdci), Pietro Folena (Prc), Famiano Crucianelli (Ds), Roberto Sciacca (Pdci), Giovanni Russo Spena (Prc) e Alfiero Grandi (Ds). Il cadavere è ancora ammanettato, e anche un profano capisce subito cosa significa. Se alle manette si aggiungono le evidenti tracce di tortura, ovvero ferite da trapano sulle spalle e sulla nuca - uno strumento molto in uso, pare, durante gli interrogatori condotti dal nuovo esercito iracheno addestrato dagli americani - le conclusioni sono devastanti quanto inaccettabili. In più l'uomo era un imam - autorità religiosa sunnita - sparito nel nulla da qualche settimana e restituito ai familiari già cadavere. E non si tratta affatto di un caso isolato: altri ottanta imam sono stati prelevati nelle loro case e nelle moschee per sospetta complicità con gli insorti, e di loro non si sa più nulla. Proprio per ottenere la liberazione, o almeno qualche informazione sulla sorte dei desaparecidos, le autorità religiose sunnite hanno indetto un'iniziativa senza precedenti: tre giorni di sciopero di tutte e moschee.
La delegazione composta dai due medici e dal religioso, portata in Italia dall'Associazione Italia-Iraq, sta cercando di dare maggiore diffusione possibile alle raccapriccianti immagini di Falluja e di Baghdad. Tutto il materiale visionato dai parlamentari italiani - gli animali gasati, le persone carbonizzate nella città distrutta e le riprese della ricomposizione del corpo martoriato dell'imam - è stato consegnato a una rappresentante del governo inglese, che non ha rilasciato dichiarazioni. Tornando a Baghdad la delegazione cercherà di parlare con i pochi rappresentanti delle Nazioni Unite ancora presenti nel paese per sollecitare ancora una volta, filmati alla mano, un'indagine indipendente che faccia luce sul tipo di armi impiegate - sperimentate? - contro la popolazione di Falluja. Nel frattempo la ricostruzione della città tarda a partire e i risarcimenti, che secondo i prudentissimi calcoli di Washington, dovrebbero aggirarsi sui 493 milioni di dollari sono ancora soltanto virtuali. A sei mesi di distanza ne sono stati stanziati appena cento milioni, ma le 31 mila persone che aspettano cercando di sopravvivere fra le macerie, non hanno ancora visto niente.
E' questa la guerra di liberazione in cui sono impegnati i nostri soldati? E' questa la missione sul cui ri-finanziamento i parlamentari italiani sono chiamati a pronunciarsi? E su quali informazioni, su quali notizie, su quali rassicuranti immagini, dovrebbe basarsi la loro decisione? «Pensiamo che nell'attuale contesto caratterizzato dal più totale black out sulla vicenda irachena, dall'assenza di notizie da quei luoghi e mentre perdura una drammatica situazione di guerra» conclude Elettra Deiana «ogni occasione che consenta di raccogliere informazioni e materiale documentario sia da considerare positivamente, fermo restando che tutto debba essere vagliato e verificato quando la cortina di ferro che la coalizione anglo-americana ha imposto su quel paese si sarà alleggerita». Peccato che all'agghiacciante proiezione di queste immagini fossero presenti così pochi giornalisti, evidentemente troppo impegnati a partecipare attivamente alla caccia all'immigrato per occuparsi di simili quisquiglie. Peccato perché, anche se le immagini sono troppo agghiaccianti per essere pubblicate, la loro visione sarebbe davvero utile per capire a quale inesauribile sorgente d'odio possono attingere le cosiddette "centrali del terrore" per arruolare i propri martiri, oggi e per gli anni a venire.
Falluja
di Sabina Morandi
Gas, napalm, torture, bombe al fosforo in un film i crimini di guerra americani a Falluja Un cane lupo con la bocca contratta in un ultimo tentativo di respirare. Un bastardino bianco, buttato al margine della strada, che sembra addormentato. E poi gatti, colombe, conigli… Morti nelle loro gabbie, nei recinti, nel giardino di fronte a casa. Morti, tutti, senza un filo di sangue. Non si sa cosa può averli uccisi ma, di certo, non erano né bombe né pallottole. Forse gas?
Le immagini dei filmati girati a Falluja che scorrono davanti agli occhi dei pochi giornalisti presenti alla conferenza stampa organizzata dalle parlamentari Elettra Deiana (Prc) e Silvana Pisa (Ds) nelle sale della Fnsi sono tutte molto eloquenti, e molto, molto peggiori del piccolo esercito di animali addormentati che ti ritrovi davanti in apertura. Perché nei video ci sono donne, uomini, bambini. Ci sono esseri umani resi irriconoscibili da qualche oscuro rogo chimico, armi capaci di staccare la pelle dal corpo in un istante, visto che questi anonimi resti umani sono congelati nell'atto di alzarsi dal letto o di ripararsi il viso con il braccio. Una mano stringe ancora una catenina. Qualcosa che assomiglia a una donna tiene fra le braccia qualcosa che assomiglia a un bambino.
I filmati "amatoriali", riorganizzati con un faticoso quanto presumibilmente straziante lavoro da Barbara Romagnoli, sono stati realizzati il 18 novembre 2004 nella città ribelle di Falluja, a conclusione dell'operazione Al-Fajr (letteralmente, l'alba) che, secondo la Us Army, avrebbe dovuto distruggere definitivamente la resistenza irachena. A operazione conclusa, come di consueto gli americani hanno passato la mano agli iracheni: una squadra di medici volontari è stata autorizzata a entrare per "ripulire" la città e per cercare di dare un nome ai numerosi corpi sepolti in modo approssimativo durante il violentissimo attacco cominciato l'8 novembre. Del gruppo facevano parte anche gli autori delle riprese, Maher Rajab Abdullah (dell'ospedale Yarmouk di Baghdad), Mohammad Hadeed (del Falluja general hospital), che si sono dati da fare per riesumare i corpi e dare un nome alle migliaia di vittime civili che, fino a questo momento, nessuno s'è ancora degnato di contare. Secondo gli americani i dieci giorni di bombardamenti ininterrotti che hanno raso al suolo 36 mila case - praticamente una piccola città - avrebbero prodotto non più di 1.200 vittime, «quasi tutti insorti», rassicurano i generali, mentre secondo fonti non ufficiali i morti sarebbero fra i tre e i cinquemila, dei quali hanno ricevuto riconoscimento e sepoltura soltanto in 700.
Resta il fatto che i dottori Abdullah e Hadeed, una volta dentro la città proibita, hanno pensato bene di filmare l'orrore sia per facilitare i riconoscimenti che per spezzare la pesante censura che argina qualsiasi informazione proveniente dall'Iraq, in particolare le notizie provenienti dalle città rase al suolo nell'ambito di una strategia di punizioni collettive tanto barbara quanto inefficace. Ma, una volta dentro, i medici non si sono soltanto ritrovati di fronte alle immagini della carneficina che si aspettavano - del resto cos'altro può accadere in una città di 350 mila abitanti, chiusa dentro un cordone vietato perfino agli operatori sanitari e bombardata ininterrottamente per giorni? - ma sono stati costretti a porsi una domanda estremamente disturbante, soprattutto per un professionista dotato della formazione scientifica adeguata: di che cosa è morta tutta questa gente? Quali armi possono uccidere nel sonno senza ferire o, come testimoniano i resti carbonizzati, bruciare la pelle di un essere umano senza dargli nemmeno il tempo di contorcersi per il dolore? Gas come quelli che Saddam aveva impiegato contro i curdi? Bombe al fosforo o nuovi tipi di napalm, entrambi proibiti dalle convenzioni internazionali?
Nessuna spiegazione richiede invece il filmato girato a Baghdad che ritrae un altro morto, anch'esso mostrato ai parlamentari italiani da Mohi Al Din Al Obeidi, il rappresentante del consiglio degli Ulema che ha accompagnato i due medici all'incontro organizzato alla Camera da Silvana Pisa e Elettra Deiana, - a cui hanno aderito anche Francesco Martone (Prc), Gianfranco Pagliarulo (Pdci), Pietro Folena (Prc), Famiano Crucianelli (Ds), Roberto Sciacca (Pdci), Giovanni Russo Spena (Prc) e Alfiero Grandi (Ds). Il cadavere è ancora ammanettato, e anche un profano capisce subito cosa significa. Se alle manette si aggiungono le evidenti tracce di tortura, ovvero ferite da trapano sulle spalle e sulla nuca - uno strumento molto in uso, pare, durante gli interrogatori condotti dal nuovo esercito iracheno addestrato dagli americani - le conclusioni sono devastanti quanto inaccettabili. In più l'uomo era un imam - autorità religiosa sunnita - sparito nel nulla da qualche settimana e restituito ai familiari già cadavere. E non si tratta affatto di un caso isolato: altri ottanta imam sono stati prelevati nelle loro case e nelle moschee per sospetta complicità con gli insorti, e di loro non si sa più nulla. Proprio per ottenere la liberazione, o almeno qualche informazione sulla sorte dei desaparecidos, le autorità religiose sunnite hanno indetto un'iniziativa senza precedenti: tre giorni di sciopero di tutte e moschee.
La delegazione composta dai due medici e dal religioso, portata in Italia dall'Associazione Italia-Iraq, sta cercando di dare maggiore diffusione possibile alle raccapriccianti immagini di Falluja e di Baghdad. Tutto il materiale visionato dai parlamentari italiani - gli animali gasati, le persone carbonizzate nella città distrutta e le riprese della ricomposizione del corpo martoriato dell'imam - è stato consegnato a una rappresentante del governo inglese, che non ha rilasciato dichiarazioni. Tornando a Baghdad la delegazione cercherà di parlare con i pochi rappresentanti delle Nazioni Unite ancora presenti nel paese per sollecitare ancora una volta, filmati alla mano, un'indagine indipendente che faccia luce sul tipo di armi impiegate - sperimentate? - contro la popolazione di Falluja. Nel frattempo la ricostruzione della città tarda a partire e i risarcimenti, che secondo i prudentissimi calcoli di Washington, dovrebbero aggirarsi sui 493 milioni di dollari sono ancora soltanto virtuali. A sei mesi di distanza ne sono stati stanziati appena cento milioni, ma le 31 mila persone che aspettano cercando di sopravvivere fra le macerie, non hanno ancora visto niente.
E' questa la guerra di liberazione in cui sono impegnati i nostri soldati? E' questa la missione sul cui ri-finanziamento i parlamentari italiani sono chiamati a pronunciarsi? E su quali informazioni, su quali notizie, su quali rassicuranti immagini, dovrebbe basarsi la loro decisione? «Pensiamo che nell'attuale contesto caratterizzato dal più totale black out sulla vicenda irachena, dall'assenza di notizie da quei luoghi e mentre perdura una drammatica situazione di guerra» conclude Elettra Deiana «ogni occasione che consenta di raccogliere informazioni e materiale documentario sia da considerare positivamente, fermo restando che tutto debba essere vagliato e verificato quando la cortina di ferro che la coalizione anglo-americana ha imposto su quel paese si sarà alleggerita». Peccato che all'agghiacciante proiezione di queste immagini fossero presenti così pochi giornalisti, evidentemente troppo impegnati a partecipare attivamente alla caccia all'immigrato per occuparsi di simili quisquiglie. Peccato perché, anche se le immagini sono troppo agghiaccianti per essere pubblicate, la loro visione sarebbe davvero utile per capire a quale inesauribile sorgente d'odio possono attingere le cosiddette "centrali del terrore" per arruolare i propri martiri, oggi e per gli anni a venire.
insonnia
ANSA 24.6.05
Medicina: insonnia è donna, 12 milioni di italiani ne soffrono
(ANSA) - ROMA, 24 GIU - Gli italiani che soffrono di insonnia sono 12 milioni e 6 volte su 10 a non chiudere occhio è una donna. Anche nel resto d'Europa gli insonni sono il 34% degli adulti. Il sonno è uno stato complesso della vita psichica, con le caratteristiche della veglia. Chi dorme male rischia la depressione. Studi clinici della Società Italiana di Neurofarmacologia e della Società Italiana di Psichiatria esplorano le interazioni tra sonno e equilibrio mentale.
Medicina: insonnia è donna, 12 milioni di italiani ne soffrono
(ANSA) - ROMA, 24 GIU - Gli italiani che soffrono di insonnia sono 12 milioni e 6 volte su 10 a non chiudere occhio è una donna. Anche nel resto d'Europa gli insonni sono il 34% degli adulti. Il sonno è uno stato complesso della vita psichica, con le caratteristiche della veglia. Chi dorme male rischia la depressione. Studi clinici della Società Italiana di Neurofarmacologia e della Società Italiana di Psichiatria esplorano le interazioni tra sonno e equilibrio mentale.
depressione
Yahoo! Salute venerdì 24 giugno 2005
Pediatria
Figli appena nati, papà depressi
Il Pensiero Scientifico Editore
Martino Dell’Angelo
Secondo uno studio appena pubblicato da The Lancet, i bambini i cui padri hanno sofferto di depressione postnatale vanno incontro ad un rischio accresciuto di problemi comportamentali ed emotivi.
Una leggera forma depressiva è piuttosto frequente sia nelle madri, sia nei padri di bimbi appena nati. Compare entro i dodici mesi successivi al parto, anche se l’insorgenza è datata, più frequentemente, tra pochi giorni e le sei settimane dopo il parto. Tende a svilupparsi gradualmente, può persistere per diversi mesi ed essere causata anche da un aborto. In una piccola percentuale di casi può tradursi in depressione cronica o ripresentarsi nelle gravidanze successive. Spesso, a torto, questi sentimenti vengono sottovalutati e considerati normali reazioni allo stress associato al dover prendersi cura di un neonato.
Una percentuale, pari almeno al 10 per cento, di donne che hanno appena avuto un bambino, invece, riceve una diagnosi vera e propria di depressione post-partum; in queste persone la sensazione di tristezza che compare dopo il parto, invece di diminuire nel tempo, si acuisce. E’ noto che la depressione materna disturba la qualità delle cure materne e può causare problemi per lo sviluppo sociale, comportamentale, cognitivo e perfino fisico dei figli. Poco fin qui si sapeva invece dell’influenza della depressione paterna.
Una équipe dell’Università di Oxford ha studiato 13.500 mamme, di cui 12.800 avevano un partner, per le prime 8 settimane seguenti il parto, somministrando ai coniugi un questionario per scoprire episodi di depressione postatale. I padri sono stati poi ricontattati dopo 21 mesi dalla nascita. In seguito, gli stessi ricercatori hanno studiato i comportamenti dei bambini di quelle coppie a 3-5 anni, riscontrando che la depressione paterna era collegata a problemi emotivi e comportamentali nei figli, specialmente se maschi. Gli effetti permanevano anche valutando il peso dell’eventuale, concomitante depressione materna.
Secondo Paul Ramchandani, primo autore dello studio, “la ricerca prova che la depressione paterna ha un effetto negativo persistente sul comportamento e sullo sviluppo emotivo dei figli nella prima infanzia”.
Reuters 24.6.05
Gb, anche i papà possono soffrire di depressione post-natale
Fri June 24, 2005 7:27 AM GMT
LONDRA (Reuters) - Capita più spesso alla mamme, ma anche i papà possono soffrire di depressione post-natale e possono influenzare il comportamento dei propri figli.
Lo hanno riferito oggi alcuni ricercatori inglesi.
I bambini sembrano essere particolarmente colpiti dai padri depressi e hanno il doppio di problemi comportamentali nei loro primi anni di vita rispetto agli altri bambini.
"Le nostre scoperte indicano che la depressione paterna ha uno specifico effetto negativo sul comportamento dei bambini nei primi anni di vita e sul loro sviluppo emotivo", ha detto Paul Ramchandani dell'università di Oxford.
In una ricerca pubblicata sul giornale scientifico The Lancet, Ramchandani e i suoi collaboratori hanno studiato il comportamento e la salute mentale di 12.800 coppie nelle prime settimane dopo la nascita di un figlio e poco prima del secondo compleanno del bambino.
I ricercatori hanno anche analizzato lo sviluppo emotivo dei bambini e il loro comportamento a 3 anni con questionari compilati dalle mamme.
"La relazione tra lo sviluppo comportamentale dei bambini e la depressione dei padri è molto forte", ha detto Ramchandani.
"Potrebbe essere che i bambini sono particolarmente sensibili alle cure parentali paterne, forse per il diverso coinvolgimento dei padri nei confronti dei figli", ha aggiunto.
La depressione postnatale è un fenomeno ben conosciuto, che interessa il 13% di tutte le neo-mamme. I suoi sintomi vanno da moderato a grave.
Un recente studio ha mostrato che circa il 3% dei padri mostra segni di depressione dopo la nascita di un figlio.
Pediatria
Figli appena nati, papà depressi
Il Pensiero Scientifico Editore
Martino Dell’Angelo
Secondo uno studio appena pubblicato da The Lancet, i bambini i cui padri hanno sofferto di depressione postnatale vanno incontro ad un rischio accresciuto di problemi comportamentali ed emotivi.
Una leggera forma depressiva è piuttosto frequente sia nelle madri, sia nei padri di bimbi appena nati. Compare entro i dodici mesi successivi al parto, anche se l’insorgenza è datata, più frequentemente, tra pochi giorni e le sei settimane dopo il parto. Tende a svilupparsi gradualmente, può persistere per diversi mesi ed essere causata anche da un aborto. In una piccola percentuale di casi può tradursi in depressione cronica o ripresentarsi nelle gravidanze successive. Spesso, a torto, questi sentimenti vengono sottovalutati e considerati normali reazioni allo stress associato al dover prendersi cura di un neonato.
Una percentuale, pari almeno al 10 per cento, di donne che hanno appena avuto un bambino, invece, riceve una diagnosi vera e propria di depressione post-partum; in queste persone la sensazione di tristezza che compare dopo il parto, invece di diminuire nel tempo, si acuisce. E’ noto che la depressione materna disturba la qualità delle cure materne e può causare problemi per lo sviluppo sociale, comportamentale, cognitivo e perfino fisico dei figli. Poco fin qui si sapeva invece dell’influenza della depressione paterna.
Una équipe dell’Università di Oxford ha studiato 13.500 mamme, di cui 12.800 avevano un partner, per le prime 8 settimane seguenti il parto, somministrando ai coniugi un questionario per scoprire episodi di depressione postatale. I padri sono stati poi ricontattati dopo 21 mesi dalla nascita. In seguito, gli stessi ricercatori hanno studiato i comportamenti dei bambini di quelle coppie a 3-5 anni, riscontrando che la depressione paterna era collegata a problemi emotivi e comportamentali nei figli, specialmente se maschi. Gli effetti permanevano anche valutando il peso dell’eventuale, concomitante depressione materna.
Secondo Paul Ramchandani, primo autore dello studio, “la ricerca prova che la depressione paterna ha un effetto negativo persistente sul comportamento e sullo sviluppo emotivo dei figli nella prima infanzia”.
Fonte: Ramchandani P et al. Paternal depression in the postnatal period and child development. The Lancet, 365, 9478, 2005:2201-5.
Solantaus T, Salo S. Paternal postnatal depression: fathers emerge from the wings. Ivi, 2158-9.
Solantaus T, Salo S. Paternal postnatal depression: fathers emerge from the wings. Ivi, 2158-9.
Reuters 24.6.05
Gb, anche i papà possono soffrire di depressione post-natale
Fri June 24, 2005 7:27 AM GMT
LONDRA (Reuters) - Capita più spesso alla mamme, ma anche i papà possono soffrire di depressione post-natale e possono influenzare il comportamento dei propri figli.
Lo hanno riferito oggi alcuni ricercatori inglesi.
I bambini sembrano essere particolarmente colpiti dai padri depressi e hanno il doppio di problemi comportamentali nei loro primi anni di vita rispetto agli altri bambini.
"Le nostre scoperte indicano che la depressione paterna ha uno specifico effetto negativo sul comportamento dei bambini nei primi anni di vita e sul loro sviluppo emotivo", ha detto Paul Ramchandani dell'università di Oxford.
In una ricerca pubblicata sul giornale scientifico The Lancet, Ramchandani e i suoi collaboratori hanno studiato il comportamento e la salute mentale di 12.800 coppie nelle prime settimane dopo la nascita di un figlio e poco prima del secondo compleanno del bambino.
I ricercatori hanno anche analizzato lo sviluppo emotivo dei bambini e il loro comportamento a 3 anni con questionari compilati dalle mamme.
"La relazione tra lo sviluppo comportamentale dei bambini e la depressione dei padri è molto forte", ha detto Ramchandani.
"Potrebbe essere che i bambini sono particolarmente sensibili alle cure parentali paterne, forse per il diverso coinvolgimento dei padri nei confronti dei figli", ha aggiunto.
La depressione postnatale è un fenomeno ben conosciuto, che interessa il 13% di tutte le neo-mamme. I suoi sintomi vanno da moderato a grave.
Un recente studio ha mostrato che circa il 3% dei padri mostra segni di depressione dopo la nascita di un figlio.
farmacologi e stress
invece della cannabis
ANSA Venerdì 24 Giugno 2005, 17:30
MEDICINA: MOLECOLE ANTISTRESS SCOPERTE DALL'UNIVERSITÀ DI URBINO
(ANSA) - URBINO, 24 GIU - Due nuove molecole che potrebbero essere utilizzate nella preparazione di farmaci antistress non a base di cannabinoidi, e più selettivi, sono state sintetizzate nei laboratori dell'Istituto di chimica dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", nell'ambito di una ricerca internazionale pubblicata dall'ultimo numero della rivista scientifica Nature. La ricerca è stata condotta insieme all'Università di Parma e agli atenei statunitensi di Georgia, California e Brown University.
I risultati conseguiti sono stati illustrati questo pomeriggio a Urbino dal preside della facoltà di farmacia Giorgio Tarzia, dal prorettore Mauro Magnani, e da un gruppo di docenti e ricercatori (Andrea Duranti e Andrea Tontini quelli che hanno collaborato allo studio).
Lo stress è notoriamente una reazione di adattamento del corpo a un cambiamento fisico o psichico, una risposta biologica specifica ad una richiesta ambientale. La ricerca è scaturita da alcune evidenze sperimentali che facevano supporre che l'inibizione del dolore in condizioni di stress poteva dipendere anche dal rilascio di sostanze non oppioidi di natura non accertata. Lo studio pubblicato su Nature ha dimostrato che nell'analgesia da stress sono coinvolti due derivati dell'acido arachidonico - 2-arachidonilglicerolo (2-AG) e anandamide (AEA) - che, prodotti naturalmente dal nostro organismo, esercitano un' azione di tipo cannabinoidico per interazione con specifici recettori.
Nei laboratori dell'Istituto di chimica farmaceutica dell'ateneo feltresco sono state sintetizzate due nuove molecole (URB602 e URB597) che si sono dimostrate in grado di prevenire selettivamente la degradazione dei due derivati da parte di enzimi specifici. E quindi di prolungare l'assenza di dolore.
Una scoperta che potrà portare a produrre dei farmaci capaci di trattare il dolore e i disordini collegati allo stress senza dover ricorrere ai cannabinoidi. I risultati della ricerca sono stati inclusi in una nuova domanda di brevetto presentata negli Usa e in altri paesi, compresi Giappone, Cina e Corea, premessa di un accordo interistituzionale fra gli atenei che hanno preso parte alla ricerca.
''I cannabinoidi - ha spiegato il prof. Tarzia - imitano l'azione di sostanze già presenti nel nostro organismo e che agiscono come antidolorifici e antistress. Noi abbiamo scoperto la componente finora ignota che serve per sintetizzare gli analgesici, per poter arrivare a farmaci che possano contrastare il dolore e lo stress solo dove e quando si manifestano, senza effetti collaterali su altre parti del nostro organismo''.
''Un risultato molto importante - ha concluso il prorettore - che dimostra sia l'importanza del lavoro di squadra nella ricerca scientifica, sia che l'Università di Urbino continua a svolgere attività eccellenti e riconosciute in ambito internazionale''. (ANSA).
MEDICINA: MOLECOLE ANTISTRESS SCOPERTE DALL'UNIVERSITÀ DI URBINO
(ANSA) - URBINO, 24 GIU - Due nuove molecole che potrebbero essere utilizzate nella preparazione di farmaci antistress non a base di cannabinoidi, e più selettivi, sono state sintetizzate nei laboratori dell'Istituto di chimica dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", nell'ambito di una ricerca internazionale pubblicata dall'ultimo numero della rivista scientifica Nature. La ricerca è stata condotta insieme all'Università di Parma e agli atenei statunitensi di Georgia, California e Brown University.
I risultati conseguiti sono stati illustrati questo pomeriggio a Urbino dal preside della facoltà di farmacia Giorgio Tarzia, dal prorettore Mauro Magnani, e da un gruppo di docenti e ricercatori (Andrea Duranti e Andrea Tontini quelli che hanno collaborato allo studio).
Lo stress è notoriamente una reazione di adattamento del corpo a un cambiamento fisico o psichico, una risposta biologica specifica ad una richiesta ambientale. La ricerca è scaturita da alcune evidenze sperimentali che facevano supporre che l'inibizione del dolore in condizioni di stress poteva dipendere anche dal rilascio di sostanze non oppioidi di natura non accertata. Lo studio pubblicato su Nature ha dimostrato che nell'analgesia da stress sono coinvolti due derivati dell'acido arachidonico - 2-arachidonilglicerolo (2-AG) e anandamide (AEA) - che, prodotti naturalmente dal nostro organismo, esercitano un' azione di tipo cannabinoidico per interazione con specifici recettori.
Nei laboratori dell'Istituto di chimica farmaceutica dell'ateneo feltresco sono state sintetizzate due nuove molecole (URB602 e URB597) che si sono dimostrate in grado di prevenire selettivamente la degradazione dei due derivati da parte di enzimi specifici. E quindi di prolungare l'assenza di dolore.
Una scoperta che potrà portare a produrre dei farmaci capaci di trattare il dolore e i disordini collegati allo stress senza dover ricorrere ai cannabinoidi. I risultati della ricerca sono stati inclusi in una nuova domanda di brevetto presentata negli Usa e in altri paesi, compresi Giappone, Cina e Corea, premessa di un accordo interistituzionale fra gli atenei che hanno preso parte alla ricerca.
''I cannabinoidi - ha spiegato il prof. Tarzia - imitano l'azione di sostanze già presenti nel nostro organismo e che agiscono come antidolorifici e antistress. Noi abbiamo scoperto la componente finora ignota che serve per sintetizzare gli analgesici, per poter arrivare a farmaci che possano contrastare il dolore e lo stress solo dove e quando si manifestano, senza effetti collaterali su altre parti del nostro organismo''.
''Un risultato molto importante - ha concluso il prorettore - che dimostra sia l'importanza del lavoro di squadra nella ricerca scientifica, sia che l'Università di Urbino continua a svolgere attività eccellenti e riconosciute in ambito internazionale''. (ANSA).
giochi di ruolo
La Stampa 24.6.05
LE STORIE
QUELLE CHE SIMULANO
«Con mio marito fingo da una vita»
La simulazione di Meg Ryan nel film «Harry ti presento Sally» è impressa nella memoria di noi tutte. Ma non sempre le finzioni sono così allegre, anzi. Sprofondata in una vecchia poltrona del suo salotto, quasi alla ricerca di una protezione fisica, Annalisa - 43 anni, commercialista - accende una sigaretta dietro l’altra. «È una vita che recito a letto. Non so perché. Ho avuto una brutta delusione d’amore a 16 anni, tre anni fa ho iniziato una psicoterapia, spero mi aiuti». E intanto? «Cambio uomo in continuazione, alla ricerca di quel piacere che nessuno finora, a parte quella primissima esperienza da adolescente, mi ha regalato».
Slanciata, mani curate, sguardo bruno e appassionato, Annalisa non ha nulla in apparenza che tradisca la sua frustrazione. Difficile immaginarla in una condizione di costante insoddisfazione. Lo sguardo, la voce sono sensuali: «La mia carta vincente per ingannare gli uomini», sorride, solo con le labbra però. Perché è un inganno che la ferisce e l’annoia. «Vengono confusa con una mangiauomini. Invece mi chiedo: possibile che nessuno di loro si accorga che non provo piacere? La verità è che gli uomini sono noiosi. Io avrò pure il mio problemino, ma da parte loro mai un guizzo creativo».
Decisamente più ironica e spiritosa è Carla, 51 anni, insegnante. «Quella bellissima vignetta di Ellekappa, la ricorda? Recitava così: “Vedi cara, l’amore è una cosa, il sesso un’altra” “E la roba che facciamo noi come si chiama?”. Come vede, il piacere per noi donne non è ancora un diritto ma un optional». Carla ha una carica di simpatia che certo l’aiuta anche in un luogo così delicato come la zona notte. «Conosco mio marito da 36 anni - dice - ci vado a letto da 33, permetterà che non mi senta ancora assalita dal fuoco sacro della passione. Per lui è diverso, ancora mi desidera, anche se non è un grandissimo amante, e io non posso negarmi sempre». Quindi? «Quindi fingo. Non ho altra scelta, lui la finisce di stressarmi, in fondo non mi costa tantissimo. Mi tengo il marito al quale voglio bene e con cui ormai sono diventata un’attrice perfetta. E per convincerlo, prima dei rapporti uso un gel vaginale. Lui è contento, e io non patisco troppo».
All’amor proprio del suo fidanzato è destinata la simulazione di Sandra, 28 anni, cameriera in una pizzeria al taglio, aspirante architetto. «Lo so che non è bello fingere a letto, soprattutto alla mia età, ma non voglio ferire il mio ragazzo: credo si sentirebbe responsabile, invece lui non c’entra per niente». Come fa ad esserne così sicura? «Per due motivi. Uno di carattere fisico, nel senso che per un po’ ho sofferto di vaginismo. Sono stata seguita da un bravo sessuologo, che mi ha aiutata a superare i sensi di colpa che avevo a causa dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia».
E l’altro motivo? «Negli ultimi due anni sono stata molto sotto stress perché ho deciso di finire l’università e intanto lavoravo, anzi ancora lavoro, come cameriera. Arrivo a letto stanca morta, per il lavoro e per lo studio. Per questo, quando il mio ragazzo mi cerca a letto faccio finta di stare bene anch’io. Ne ho parlato con alcune amiche e mi hanno detto di farmi furba, perché la stanchezza non c’entra, e che forse lui dovrebbe essere più attento ai preliminari. Ma io sinceramente non me la sento di perderlo, ho paura che se mi metto a fargli quei discorsi va a finire che mi molla. Chissà, forse davvero sono solo troppo stanca per concentrarmi sul mio corpo, sul mio piacere. Vedremo come andrà al mare».
La Stampa 24.6.05
Non lo fo per piacer mio
Elena Loewenthal
Quante parole per il dire il sesso delle donne: liberato, dichiarato. Mai più represso. Esigente. Insoddisfatto. Confuso. Sdoganato, insomma, nel suo ruolo dentro la vita, al di là della procreazione e dei doveri coniugali. Soprattutto e più che mai, argomento di chiacchiera e discussione: di sesso si parla.
Eppure c'è anche, e c'è ancora, un sesso delle donne sottaciuto. Quasi un tabù, in un'epoca come la nostra di strenua consumazione dei tabù. E' il sesso doloroso. Non - o non necessariamente - quello reduce dal trauma di una violenza subìta magari tanti anni addietro. E nemmeno il sesso rifiutato per gravi patologie dell'animo e del fisico. E' invece un sesso più banale, che in fondo non dovrebbe fare notizia: condito di disturbi piccoli ma tenaci, trasforma il desiderio in un fastidio, il piacere in una immancabile frustrazione.
Ne parla Alessandra Graziottin in un libro appena uscito, intitolato «Il dolore segreto. Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali» (Mondadori editore, pp. 295, euro 17,00). L'autrice, forte di una lunga esperienza nel campo della sessuologia, parte da una lunga serie di casi «clinici» per raccontarci questo dolore di fare l'amore. Vi sono donne giovani e altre mature, ragazze alle prime esperienze e madri reduci da parti difficoltosi: «Sei una piaga! Possibile che un rapporto che alle altre dà solo piacere a te faccia venire un male cane per tre giorni?». Racconta Marianna (26 anni) esasperata dal sentirsi dare dell'isterica. Invece è «espareunia», cioè «persistente o ricorrente dolore genitale associato al rapporto sessuale»: non un’inibizione né una forma di rifiuto inconscio. Un male fisico, da curare. Perché nella sofferenza sessuale, ci spiega Graziottin, succede una cosa davvero singolare. Il dolore non è (quasi) mai psicogeno: ha solide basi biologiche, di competenza medica. Però dalle donne viene spesso confuso e considerato «semplicemente» alla stregua di una sorta di risonanza fisica della psiche.
Lo si ritiene un fenomeno psicosomatico, insomma, mentre è esattamente il contrario: il dolore sessuale ha cause fisiche, ma nella coscienza delle donne - che ne parlano di rado e ancor più di rado decidono di rivolgersi agli specialisti - viene avvertito come un disagio psicologico. Una fisima. Diana, 33 anni: «Mi aspettavo che far l'amore fosse una cosa meravigliosa. Invece ho provato sempre dolore, fin dalla prima volta. Passerà, mi dicevo. Invece il dolore è peggiorato negli anni». Prima di pensare che c'è qualcosa che non funziona nel corpo, in casi come questi si chiamano in causa la testa, i sentimenti.
Disapreunia, vaginismo, cicatrici retraenti, anomalie anatomiche, sono invece alcuni fra i nomi di questo dolore, la cui componente fisica è stata per tanto tempo trascurata. Vi è un motivo ben chiaro, in tutto questo: la sessualità femminile è stata sempre vista come un'espressione psicologica e affettiva. Come qualcosa di assai meno fisico della sessualità maschile: le ragioni del corpo di lui sono riconosciute da sempre, mentre quello di lei ha appena acquisito la dignità di soggetto. E ha, a dire il vero, ancora tanta, tanta strada da fare.
Angelicato, vocato soltanto a quella specie di miracolo che è la procreazione, il corpo della donna non ha quasi mai avuto voce in capitolo; la sua sessualità è stata per millenni ignorata e poi, a emancipazione in corso, confinata alla sfera psicologica e agli impulsi della volontà. Il corpo, ridotto al silenzio.
Oggi, uno studio condotto dal Primary Care Sciences Research Centre della Keele University (Gran Bretagna), ci spiega che per una donna su tre l'orgasmo si configura come una specie di chimera pressoché irraggiungibile. Ben poco di nuovo, si dirà, in questa ricerca. Se non che, la responsabile di questo studio, Kate Dunn, rivela che il 34-45 per cento della variazione individuale nella capacità di raggiungere l'acme del piacere dipende dalla variabilità genetica individuale. Questa specie di determinismo tale per cui nasciamo condannate o no ad appagarci facendo l'amore, non deve però diventare il pretesto per gettare la spugna.
Perché tanto il dolore sessuale quanto questa presunta vocazione genetica al piacere sono il segno che il nostro corpo chiede rispetto. Anche soltanto un poco di attenzione prima di rivolgerci prontamente, con una specie di automatismo indotto, alla tanto coccolata psiche.
LE STORIE
QUELLE CHE SIMULANO
«Con mio marito fingo da una vita»
La simulazione di Meg Ryan nel film «Harry ti presento Sally» è impressa nella memoria di noi tutte. Ma non sempre le finzioni sono così allegre, anzi. Sprofondata in una vecchia poltrona del suo salotto, quasi alla ricerca di una protezione fisica, Annalisa - 43 anni, commercialista - accende una sigaretta dietro l’altra. «È una vita che recito a letto. Non so perché. Ho avuto una brutta delusione d’amore a 16 anni, tre anni fa ho iniziato una psicoterapia, spero mi aiuti». E intanto? «Cambio uomo in continuazione, alla ricerca di quel piacere che nessuno finora, a parte quella primissima esperienza da adolescente, mi ha regalato».
Slanciata, mani curate, sguardo bruno e appassionato, Annalisa non ha nulla in apparenza che tradisca la sua frustrazione. Difficile immaginarla in una condizione di costante insoddisfazione. Lo sguardo, la voce sono sensuali: «La mia carta vincente per ingannare gli uomini», sorride, solo con le labbra però. Perché è un inganno che la ferisce e l’annoia. «Vengono confusa con una mangiauomini. Invece mi chiedo: possibile che nessuno di loro si accorga che non provo piacere? La verità è che gli uomini sono noiosi. Io avrò pure il mio problemino, ma da parte loro mai un guizzo creativo».
Decisamente più ironica e spiritosa è Carla, 51 anni, insegnante. «Quella bellissima vignetta di Ellekappa, la ricorda? Recitava così: “Vedi cara, l’amore è una cosa, il sesso un’altra” “E la roba che facciamo noi come si chiama?”. Come vede, il piacere per noi donne non è ancora un diritto ma un optional». Carla ha una carica di simpatia che certo l’aiuta anche in un luogo così delicato come la zona notte. «Conosco mio marito da 36 anni - dice - ci vado a letto da 33, permetterà che non mi senta ancora assalita dal fuoco sacro della passione. Per lui è diverso, ancora mi desidera, anche se non è un grandissimo amante, e io non posso negarmi sempre». Quindi? «Quindi fingo. Non ho altra scelta, lui la finisce di stressarmi, in fondo non mi costa tantissimo. Mi tengo il marito al quale voglio bene e con cui ormai sono diventata un’attrice perfetta. E per convincerlo, prima dei rapporti uso un gel vaginale. Lui è contento, e io non patisco troppo».
All’amor proprio del suo fidanzato è destinata la simulazione di Sandra, 28 anni, cameriera in una pizzeria al taglio, aspirante architetto. «Lo so che non è bello fingere a letto, soprattutto alla mia età, ma non voglio ferire il mio ragazzo: credo si sentirebbe responsabile, invece lui non c’entra per niente». Come fa ad esserne così sicura? «Per due motivi. Uno di carattere fisico, nel senso che per un po’ ho sofferto di vaginismo. Sono stata seguita da un bravo sessuologo, che mi ha aiutata a superare i sensi di colpa che avevo a causa dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia».
E l’altro motivo? «Negli ultimi due anni sono stata molto sotto stress perché ho deciso di finire l’università e intanto lavoravo, anzi ancora lavoro, come cameriera. Arrivo a letto stanca morta, per il lavoro e per lo studio. Per questo, quando il mio ragazzo mi cerca a letto faccio finta di stare bene anch’io. Ne ho parlato con alcune amiche e mi hanno detto di farmi furba, perché la stanchezza non c’entra, e che forse lui dovrebbe essere più attento ai preliminari. Ma io sinceramente non me la sento di perderlo, ho paura che se mi metto a fargli quei discorsi va a finire che mi molla. Chissà, forse davvero sono solo troppo stanca per concentrarmi sul mio corpo, sul mio piacere. Vedremo come andrà al mare».
La Stampa 24.6.05
Non lo fo per piacer mio
Elena Loewenthal
Quante parole per il dire il sesso delle donne: liberato, dichiarato. Mai più represso. Esigente. Insoddisfatto. Confuso. Sdoganato, insomma, nel suo ruolo dentro la vita, al di là della procreazione e dei doveri coniugali. Soprattutto e più che mai, argomento di chiacchiera e discussione: di sesso si parla.
Eppure c'è anche, e c'è ancora, un sesso delle donne sottaciuto. Quasi un tabù, in un'epoca come la nostra di strenua consumazione dei tabù. E' il sesso doloroso. Non - o non necessariamente - quello reduce dal trauma di una violenza subìta magari tanti anni addietro. E nemmeno il sesso rifiutato per gravi patologie dell'animo e del fisico. E' invece un sesso più banale, che in fondo non dovrebbe fare notizia: condito di disturbi piccoli ma tenaci, trasforma il desiderio in un fastidio, il piacere in una immancabile frustrazione.
Ne parla Alessandra Graziottin in un libro appena uscito, intitolato «Il dolore segreto. Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali» (Mondadori editore, pp. 295, euro 17,00). L'autrice, forte di una lunga esperienza nel campo della sessuologia, parte da una lunga serie di casi «clinici» per raccontarci questo dolore di fare l'amore. Vi sono donne giovani e altre mature, ragazze alle prime esperienze e madri reduci da parti difficoltosi: «Sei una piaga! Possibile che un rapporto che alle altre dà solo piacere a te faccia venire un male cane per tre giorni?». Racconta Marianna (26 anni) esasperata dal sentirsi dare dell'isterica. Invece è «espareunia», cioè «persistente o ricorrente dolore genitale associato al rapporto sessuale»: non un’inibizione né una forma di rifiuto inconscio. Un male fisico, da curare. Perché nella sofferenza sessuale, ci spiega Graziottin, succede una cosa davvero singolare. Il dolore non è (quasi) mai psicogeno: ha solide basi biologiche, di competenza medica. Però dalle donne viene spesso confuso e considerato «semplicemente» alla stregua di una sorta di risonanza fisica della psiche.
Lo si ritiene un fenomeno psicosomatico, insomma, mentre è esattamente il contrario: il dolore sessuale ha cause fisiche, ma nella coscienza delle donne - che ne parlano di rado e ancor più di rado decidono di rivolgersi agli specialisti - viene avvertito come un disagio psicologico. Una fisima. Diana, 33 anni: «Mi aspettavo che far l'amore fosse una cosa meravigliosa. Invece ho provato sempre dolore, fin dalla prima volta. Passerà, mi dicevo. Invece il dolore è peggiorato negli anni». Prima di pensare che c'è qualcosa che non funziona nel corpo, in casi come questi si chiamano in causa la testa, i sentimenti.
Disapreunia, vaginismo, cicatrici retraenti, anomalie anatomiche, sono invece alcuni fra i nomi di questo dolore, la cui componente fisica è stata per tanto tempo trascurata. Vi è un motivo ben chiaro, in tutto questo: la sessualità femminile è stata sempre vista come un'espressione psicologica e affettiva. Come qualcosa di assai meno fisico della sessualità maschile: le ragioni del corpo di lui sono riconosciute da sempre, mentre quello di lei ha appena acquisito la dignità di soggetto. E ha, a dire il vero, ancora tanta, tanta strada da fare.
Angelicato, vocato soltanto a quella specie di miracolo che è la procreazione, il corpo della donna non ha quasi mai avuto voce in capitolo; la sua sessualità è stata per millenni ignorata e poi, a emancipazione in corso, confinata alla sfera psicologica e agli impulsi della volontà. Il corpo, ridotto al silenzio.
Oggi, uno studio condotto dal Primary Care Sciences Research Centre della Keele University (Gran Bretagna), ci spiega che per una donna su tre l'orgasmo si configura come una specie di chimera pressoché irraggiungibile. Ben poco di nuovo, si dirà, in questa ricerca. Se non che, la responsabile di questo studio, Kate Dunn, rivela che il 34-45 per cento della variazione individuale nella capacità di raggiungere l'acme del piacere dipende dalla variabilità genetica individuale. Questa specie di determinismo tale per cui nasciamo condannate o no ad appagarci facendo l'amore, non deve però diventare il pretesto per gettare la spugna.
Perché tanto il dolore sessuale quanto questa presunta vocazione genetica al piacere sono il segno che il nostro corpo chiede rispetto. Anche soltanto un poco di attenzione prima di rivolgerci prontamente, con una specie di automatismo indotto, alla tanto coccolata psiche.
streghe
il manifesto 24.6.05
Streghe allo specchio della modernità
Dal celebre classico di Jules Michelet, appena riproposto in una nuova traduzione da Stampa Alternativa, a una serie di romanzi per adulti e per ragazzi ambientati nella Salem dei processi o nel Salento della taranta, ritorna una delle più emblematiche figure della femminilità. Ma forse non era mai scomparsa
LAURA PUGNO
Le streghe son tornate. O meglio, erano già tornate negli anni Settanta, immagini di pensiero e pratiche femminili da sempre represse, ormai decise ad esprimersi, e a farlo alla luce del sole. Ma oggi non hanno più bisogno di andare e tornare, oggi, in un tempo storico che da una parte pensa il magico e il sovrannaturale come l'estrema provincia della ragione e della scienza ai confini del mondo conosciuto, come qualcosa che forse non immediatamente, ma di certo un giorno sarà spiegato, e che dall'altra alimenta di nutrimenti magici e sovrannaturali (proprio in quanto estranei alla logica del Logos con tutto quello che gli sta intorno e accanto) un'amplissima produzione di contenuti letterari, grafici e visivi per bambini, adolescenti e adulti. Oggi, in un tempo storico che non pensa tanto a cercarsi nella politica e nella protesta quanto a specchiarsi - come nello specchio della strega matrigna di Biancaneve? - nell'entertainment e nella fiction, le streghe e streghette sono dappertutto: dalla secchiona Hermione, fedele amica dell'Harry Potter seriale di J.K. Rowling, al successo nostrano del fumetto «Witch», dalla piccola alchimista Nina, la «bambina della Sesta Luna» di Moony Witcher alias Roberta Rizzo, fino a Serafina Pekkala comprimaria della trilogia Queste oscure materie di Philip Pullman, passando per la serie televisiva «Streghe» con Shannen Doherty e Alyssa Milano, di cui sono da poco usciti sul mercato italiano i primi due dvd. Ancora simbolo di libertà e potere femminile, le streghe si sono trasformate anche in prodotto. Per capire le mutazioni moderne della sorcière attraverso antiche radici, si può partire da un classico come La strega di Jules Michelet, edito per la prima volta a Parigi nel 1862 e successivamente ripubblicato, con varianti, sia nello stesso anno che l'anno successivo. A un quarto di secolo di distanza dall'edizione Einaudi negli Struzzi (1980), lo ristampa oggi, col sottotitolo «La rivolta delle donne nel romanzo-verità dell'Inquisizione», Stampa Alternativa, nella traduzione di Stefano Lanuzza, che mira dichiaratamente a una contemporanea leggibilità. Molti ricorderanno l'incipit di questo libro a suo tempo scandaloso, e considerato il più interessante tra le opere «minori» dell'impetuoso storico della Histoire de France e dell'Histoire de la Revolution Française: «Alcuni autori affermano che, poco prima della vittoria del cristianesimo, una voce misteriosa percorresse le rive del mare Egeo dicendo: "Il grande Pan è morto"... Del resto, non era una novità che gli dèi dovessero morire».
Se la strega - protagonista e vittima di una tragedia storica che dal Medioevo al Settecento avrebbe fatto, dicono gli studiosi, più di un milione di morti - è per i suoi persecutori la fidanzata del diavolo, il diavolo di Michelet, quel principio del male a cui la Chiesa cattolica ancora concretamente e non simbolicamente dichiara di credere, è l'erede degli dèi morti, di Pan, di Priapo e di Dioniso e al contempo, come ricorda Lanuzza nella prefazione, del Satana ragionatore e vitalistico di John Milton: «Il paganesimo, religione potente e vitale», per Michelet, «comincia con la sibilla e finisce con la strega».
La scoperta del Nuovo Mondo e la colonizzazione europea delle Americhe importò la fede nell'esistenza della stregoneria di là dell'Atlantico (intorno a questo tema fra l'altro ruotano due romanzi di Celia Rees usciti nel 2001 e nel 2003 per Salani, Il viaggio della strega bambina e Se fossi una strega), e così oggi chi dice strega dice Salem, la cittadina americana del Massachusetts dove nel 1692, a duecento anni di distanza dallo sbarco di Cristoforo Colombo, con i processi e la messa a morte di una ventina di persone, si consumò un vero e proprio episodio di isteria collettiva, di cui sopravvive una ricca documentazione. Proprio nei dintorni di Salem, a Windale, un piccolo centro che su quegli episodi di più di tre secoli fa ha costruito una certa fortuna turistica, è ambientato Wither di John G. Passarella, che ha vinto il Bram Stoker Award 2000 nella categoria opere prime ed è pubblicato in Italia dalla Gargoyle Books, casa editrice specializzata nell'horror, nella traduzione di Tiziana Lo Porto. Protagonista è Wendy Ward, studentessa di psicologia del locale Danfield College, figlia del preside e appassionata di Wicca e New Age varia, costretta a fronteggiare l'oscura presenza di Elisabeth Wither, strega di più di cinquemila anni. La vicenda di Wither è il primo atto di una trilogia - gli altri due titoli sono Wither's Rain e Wither's Legacy - che Gargoyle pubblicherà successivamente.
A una stregoneria mediterranea in cui si muovono «masciare» capaci di temibili fatture, turcinieddhri d'interiora d'agnello o carne umana, e legamenti d'amore, si ispira invece il romanzo d'esordio di Clara Nubile, Io ti attacco nel sangue, uscito a marzo per Fazi. La vicenda di Laura, studentessa a Bologna che al ritorno da un viaggio in India si ritrova afflitta da un mal di testa che sfida ogni diagnosi, è il pretesto per un viaggio nel Salento delle nonne e delle madri, «tarantate» che si liberano dal veleno e dalle passioni nel ballo furioso della pizzica. La «terra del rimorso» investigata alla fine degli anni Cinquanta da Ernesto de Martino si mescola nel libro di Nubile al Salento di oggi, portato sullo schermo da Edoardo Winspeare in Sangue vivo ed epicentro della voga del neotarantismo. Termine, quest'ultimo, diffuso dalla giornalista salentina Anna Nacci, autrice di vari saggi sull'argomento tra cui, di nuovo per Stampa Alternativa, Neotarantismo. Pizzica transe e riti dalle campagne alle metropoli. Dalle campagne alle metropoli è anche il percorso della «Notte della Taranta» di Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti che nei prossimi giorni, il 29 giugno, torna per la seconda volta a Roma, all'Auditorium. Una data che forse non a caso cade a poca distanza dalla Midsummer Night, la festa di San Giovanni, che proprio oggi si celebra e che segna la Notte delle Streghe più famosa dell'anno.
Streghe allo specchio della modernità
Dal celebre classico di Jules Michelet, appena riproposto in una nuova traduzione da Stampa Alternativa, a una serie di romanzi per adulti e per ragazzi ambientati nella Salem dei processi o nel Salento della taranta, ritorna una delle più emblematiche figure della femminilità. Ma forse non era mai scomparsa
LAURA PUGNO
Le streghe son tornate. O meglio, erano già tornate negli anni Settanta, immagini di pensiero e pratiche femminili da sempre represse, ormai decise ad esprimersi, e a farlo alla luce del sole. Ma oggi non hanno più bisogno di andare e tornare, oggi, in un tempo storico che da una parte pensa il magico e il sovrannaturale come l'estrema provincia della ragione e della scienza ai confini del mondo conosciuto, come qualcosa che forse non immediatamente, ma di certo un giorno sarà spiegato, e che dall'altra alimenta di nutrimenti magici e sovrannaturali (proprio in quanto estranei alla logica del Logos con tutto quello che gli sta intorno e accanto) un'amplissima produzione di contenuti letterari, grafici e visivi per bambini, adolescenti e adulti. Oggi, in un tempo storico che non pensa tanto a cercarsi nella politica e nella protesta quanto a specchiarsi - come nello specchio della strega matrigna di Biancaneve? - nell'entertainment e nella fiction, le streghe e streghette sono dappertutto: dalla secchiona Hermione, fedele amica dell'Harry Potter seriale di J.K. Rowling, al successo nostrano del fumetto «Witch», dalla piccola alchimista Nina, la «bambina della Sesta Luna» di Moony Witcher alias Roberta Rizzo, fino a Serafina Pekkala comprimaria della trilogia Queste oscure materie di Philip Pullman, passando per la serie televisiva «Streghe» con Shannen Doherty e Alyssa Milano, di cui sono da poco usciti sul mercato italiano i primi due dvd. Ancora simbolo di libertà e potere femminile, le streghe si sono trasformate anche in prodotto. Per capire le mutazioni moderne della sorcière attraverso antiche radici, si può partire da un classico come La strega di Jules Michelet, edito per la prima volta a Parigi nel 1862 e successivamente ripubblicato, con varianti, sia nello stesso anno che l'anno successivo. A un quarto di secolo di distanza dall'edizione Einaudi negli Struzzi (1980), lo ristampa oggi, col sottotitolo «La rivolta delle donne nel romanzo-verità dell'Inquisizione», Stampa Alternativa, nella traduzione di Stefano Lanuzza, che mira dichiaratamente a una contemporanea leggibilità. Molti ricorderanno l'incipit di questo libro a suo tempo scandaloso, e considerato il più interessante tra le opere «minori» dell'impetuoso storico della Histoire de France e dell'Histoire de la Revolution Française: «Alcuni autori affermano che, poco prima della vittoria del cristianesimo, una voce misteriosa percorresse le rive del mare Egeo dicendo: "Il grande Pan è morto"... Del resto, non era una novità che gli dèi dovessero morire».
Se la strega - protagonista e vittima di una tragedia storica che dal Medioevo al Settecento avrebbe fatto, dicono gli studiosi, più di un milione di morti - è per i suoi persecutori la fidanzata del diavolo, il diavolo di Michelet, quel principio del male a cui la Chiesa cattolica ancora concretamente e non simbolicamente dichiara di credere, è l'erede degli dèi morti, di Pan, di Priapo e di Dioniso e al contempo, come ricorda Lanuzza nella prefazione, del Satana ragionatore e vitalistico di John Milton: «Il paganesimo, religione potente e vitale», per Michelet, «comincia con la sibilla e finisce con la strega».
La scoperta del Nuovo Mondo e la colonizzazione europea delle Americhe importò la fede nell'esistenza della stregoneria di là dell'Atlantico (intorno a questo tema fra l'altro ruotano due romanzi di Celia Rees usciti nel 2001 e nel 2003 per Salani, Il viaggio della strega bambina e Se fossi una strega), e così oggi chi dice strega dice Salem, la cittadina americana del Massachusetts dove nel 1692, a duecento anni di distanza dallo sbarco di Cristoforo Colombo, con i processi e la messa a morte di una ventina di persone, si consumò un vero e proprio episodio di isteria collettiva, di cui sopravvive una ricca documentazione. Proprio nei dintorni di Salem, a Windale, un piccolo centro che su quegli episodi di più di tre secoli fa ha costruito una certa fortuna turistica, è ambientato Wither di John G. Passarella, che ha vinto il Bram Stoker Award 2000 nella categoria opere prime ed è pubblicato in Italia dalla Gargoyle Books, casa editrice specializzata nell'horror, nella traduzione di Tiziana Lo Porto. Protagonista è Wendy Ward, studentessa di psicologia del locale Danfield College, figlia del preside e appassionata di Wicca e New Age varia, costretta a fronteggiare l'oscura presenza di Elisabeth Wither, strega di più di cinquemila anni. La vicenda di Wither è il primo atto di una trilogia - gli altri due titoli sono Wither's Rain e Wither's Legacy - che Gargoyle pubblicherà successivamente.
A una stregoneria mediterranea in cui si muovono «masciare» capaci di temibili fatture, turcinieddhri d'interiora d'agnello o carne umana, e legamenti d'amore, si ispira invece il romanzo d'esordio di Clara Nubile, Io ti attacco nel sangue, uscito a marzo per Fazi. La vicenda di Laura, studentessa a Bologna che al ritorno da un viaggio in India si ritrova afflitta da un mal di testa che sfida ogni diagnosi, è il pretesto per un viaggio nel Salento delle nonne e delle madri, «tarantate» che si liberano dal veleno e dalle passioni nel ballo furioso della pizzica. La «terra del rimorso» investigata alla fine degli anni Cinquanta da Ernesto de Martino si mescola nel libro di Nubile al Salento di oggi, portato sullo schermo da Edoardo Winspeare in Sangue vivo ed epicentro della voga del neotarantismo. Termine, quest'ultimo, diffuso dalla giornalista salentina Anna Nacci, autrice di vari saggi sull'argomento tra cui, di nuovo per Stampa Alternativa, Neotarantismo. Pizzica transe e riti dalle campagne alle metropoli. Dalle campagne alle metropoli è anche il percorso della «Notte della Taranta» di Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti che nei prossimi giorni, il 29 giugno, torna per la seconda volta a Roma, all'Auditorium. Una data che forse non a caso cade a poca distanza dalla Midsummer Night, la festa di San Giovanni, che proprio oggi si celebra e che segna la Notte delle Streghe più famosa dell'anno.
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