mercoledì 18 febbraio 2004


a proposito delle scelte culturali di Repubblica:

(una segnalazione di Sergio Grom)
oggi mercoledì 18.2.04, si può leggere sul giornale un articolo di Umberto Galimberti dal titolo "IL DESERTO DEI DEPRESSI DOVE SI È PERSO PANTANI" (pagg 1 e 15)
chi volesse vederlo può richiederlo a questo indirizzo; lo riceverà per e-mail

Sandra Mallone ha segnalato anche una risposta del filosofo di Repubblica su "D" di sabato 14 u.s.

storia dell'uomo:
«almeno tremila anni fa»

Le Scienze 16.02.2004
Una nuova datazione di antiche pitture rupestri
Studi precedenti attribuivano alle immagini soltanto mille anni


Alcune delle più celebri pitture rupestri del mondo sono almeno tre volte più antiche di quanto si ritenesse in precedenza. Lo sostengono ricercatori di università britanniche e australiane dopo aver utilizzato le più recenti tecnologie di datazione al radiocarbonio.
Studi precedenti sui dipinti rupestri di uKhahlamba-Drakensberg, in Sud Africa, un sito della World Heritage, avevano attribuito loro meno di 1000 anni di età. Ma il nuovo studio, effettuato da archeologi dell'Università di Newcastle upon Tyne e dell'Australian National University di Canberra, stima che le immagini furono create almeno 3000 anni fa.
La scoperta, pubblicata sulla rivista "South African Humanities", presenta forti implicazioni per la studio della vita degli artisti e dei cambiamenti sociali avvenuti nel corso degli ultimi tre millenni. Quando gli europei si trovarono di fronte per la prima volta ai dipinti rupestri nella regione montuosa di uKhahlamba-Drakensberg, circa 150 anni or sono, li considerarono primitivi e rozzi. Oggi gli esperti ritengono l'area una delle più importanti nel mondo per quanto riguarda l'arte rupestre, con la maggior concentrazione di pitture a sud del Sahara. I dipinti, opera di cacciatori-raccoglitori San che si stabilirono nella regione quasi 8000 anni fa, sono stati realizzati usando principalmente pigmenti neri, bianchi, rossi e arancioni. Raffigurano scene con animali e uomini che rappresenterebbero le credenze religiose dei San.

A.D Mazel & A.L. Watchman, Dating rock paintings in the uKhahlamba-Drakensberg and the Biggarsberg, KwaZulu-Natal, South Africa. South African Humanities, Vol. 15, pagg. 59-73.


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Marco Muller sarà il direttore del Festival di Venezia?
invitò "Il cielo della luna" a Locarno

La Stampa 18 Febbraio 2004
LA DECISIONE SARÀ PRESA LA PROSSIMA SETTIMANA
La mostra di Venezia fa la corte a Muller
di Fulvia Caprara


ROMA. Dovrebbe fermarsi entro la prossima settimana il girotondo di pettegolezzi sul nome del nuovo direttore della Mostra del cinema di Venezia. Dell’argomento si parlerà durante la riunione del consiglio d’amministrazione della Biennale presieduta da Davide Croff che ha preso il posto di Franco Bernabè.
L’incontro dovrebbe svolgersi, appunto, negli ultimi giorni di questo mese. D’altra parte il tempo stringe, l’elenco dei film che potrebbero essere selezionati per la rassegna del Lido si assottiglia, mentre gli altri Festival, Cannes in testa, si danno da fare per accaparrarsi i titoli migliori. Alla Berlinale appena conclusa, il nome più ricorrente per la direzione della kermesse era quello di Marco Muller, ex-direttore dei Festival di Pesaro, Rotterdam, Locarno, produttore di film premiati a Cannes, Venezia e Berlino. Con l’affermarsi dell’ipotesi Muller iniziava a diventare meno probabile quella del duetto formato da Giancarlo Giannini e da Moritz De Hadeln che ha diretto la Mostra nelle ultime due edizioni.
Fino a ieri Giannini non aveva ricevuto comunicazioni di nessun tipo e il suo agente faceva notare che, in ogni caso, prima di pronunciarsi, l’attore dovrebbe valutare due fattori fondamentali: la possibilità di coniugare il nuovo impegno con il mestiere di sempre e gli spazi reali d’azione alla guida della Biennale. Insomma, Giannini non sembra proprio essere il tipo di persona che si accontenta di una nomina di facciata. E’ anche vero che l’interprete di tanti, applauditissimi film risponde a quella che sembra essere la caratteristica più ricercata nella figura del nuovo direttore: un italiano, sì, ma di fama internazionale.
Dagli uffici veneziani della Biennale, intanto, dove le persone che si occupano della Mostra attendono di poter finalmente ricominciare a lavorare, si fa notare che il neo-eletto presidente Croff farà comunque sentire la sua voce nella decisione finale, senza accontentarsi di soluzioni pre-stabilite: «Di sicuro darà segnali di autonomia».
A questo fine sembra che Croff abbia fatto, proprio in queste ultime ore, degli incontri che potrebbero perfino preludere a possibili colpi di scena. Quanto a Moritz De Hadeln, il quale a Berlino, durante il FilmFest, ha passato la maggior parte del tempo a respingere attacchi di giornalisti italiani che gli chiedevano quali erano le sue intenzioni, se avrebbe accettato il famoso duetto e via così, finora non ha dichiarato formalmente la sua indisponibilità. Certo, dopo le violente polemiche legate al verdetto dell’ultima Mostra (per il mancato Leone d’oro a «Buongiorno notte» di Marco Bellocchio), una parte, molto istituzionale, del cinema italiano gli ha giurato odio eterno. E, a distanza di mesi, le parole del Ministro Urbani non hanno fatto che confermare la volontà di cambiamento: «Il nuovo progetto ha bisogno di forze fresche».
Eppure non sono tante le persone in grado di prendere in mano, in tempi così stretti, le redini di una manifestazione che quest’anno rischia già di partire con il piede sbagliato. Troppo in ritardo. Con troppi film importanti già opzionati da altri Festival. Sempre da Venezia si fa notare che, durante la riunione della prossima settimana, dovranno essere affrontati anche altri punti importanti, dalle linee direttive di Davide Croff al nuovo statuto della Biennale, alle date della Mostra 2004 che ancora non sono state ufficialmente annunciate.

Cina

Corriere della Sera 17.2.04
Il dibattito promosso da Fondazione Italia-Cina e Aspen.
Romiti: il Paese nel G7? Via percorribile
«Pechino? Più un’occasione che un rischio»
Urso: inutile presentarsi regione per regione


MILANO - Molto «realista» il dibattito che si è tenuto ieri all’Assolombarda di Milano sul «Tempo della Cina». Lasciate da parte paure e richieste di dazi, nella sede degli industriali milanesi si è discusso di come giocare al meglio la sfida economica che viene dall’Impero di Mezzo. Con concretezza: il viceministro per il Commercio Estero Adolfo Urso, per dire, ha sottolineato la necessità di muoversi non in ordine sparso ma come Italia. «E’ inutile presentarsi a Pechino regione per regione, i cinesi ragionano per grandi numeri - ha detto -. Che senso ha andare come Lombardia, come Molise o come singoli ministeri se già l’Italia rischia di essere troppo piccola?». Il dibattito era promosso dalla Fondazione Italia-Cina e dall’Aspen Institute Italia, che nell’occasione ha presentato l’apprezzatissimo ultimo numero della rivista Aspenia (distribuita dalle edizioni Sole-24 Ore) interamente dedicato alla Cina. Unanimità, sin dai saluti del presidente di Assolombarda Michele Perini, sul fatto che la Cina sia più un’occasione che un rischio, anche per l’Italia, il Paese europeo che sembra più preoccupato dall’aggressività della sua industria. La radice di questa nostra paura - ha sostenuto Cesare Romiti, presidente della Rcs Quotidiani (che pubblica il Corriere della Sera ) e della giovane Fondazione Italia-Cina - «sta nel fatto che nel mondo industrializzato l’Italia è oggi più debole degli altri, più debole verso la Cina ma anche più debole nei confronti dei Paesi di vecchia industrializzazione». Su questa analisi di Romiti e sulla necessità di vedere la Cina come un’occasione hanno concordato tutti.
L’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis ha addirittura parlato di una Cina in fondo benigna anche in politica. A suo parere, Pechino è avviata sulla strada di una reale democratizzazione: non è lontano il giorno «in cui il parlamento voterà contro una proposta del governo», si va verso uno stato di diritto, la «borghesia imprenditoriale» è sempre più rappresentata e tra il 2012 e il 2017 arriverà una nuova generazione di leader «che sarà la vera svolta».
La sinologa Maria Weber ha raccontato di come quello cinese non sia più uno sviluppo a bassa qualità: il 25% dell’export del Paese è ormai in prodotti hi-tech, Pechino investe molto in ricerca e i cervelli che hanno studiato all’estero stanno rientrando. (A proposito di cervelli e di approccio intelligente alla Cina, il moderatore del convegno, l’ex ambasciatore Sergio Romano, ha sottolineato come in Irlanda ci siano oltre 40 mila studenti cinesi; e il viceministro Urso ha segnalato che in Italia ce ne sono solo 600). E il presidente dell’Ice Beniamino Quintieri ha detto che le richieste di protezionismo verso i prodotti cinesi che si sono sentite in Italia negli ultimi tempi «non giovano a nessuno», anzi.
Ovviamente, non mancano i problemi, a cominciare dalle regole che non sempre in Cina sono rispettate. Una ragione in più «perché l’Europa punti a integrarla al più presto» nel sistema di governo del mondo, ha detto Marta Dassù, la curatrice della rivista Aspenia : «L’Europa dovrebbe lavorare affinché Pechino entri nel G8». Una «strada percorribile», ha detto Romiti, da seguire in tempi brevi.

Cina: il palazzo dei piaceri celesti

La Gazzetta di Parma 17.2.04
«Il palazzo dei piaceri celesti» di Adam Williams
Dalla Cina con amore
di Carlo Bocchialini


Qualche attempato lettore ormai prossimo alla pensione, potrà trovare similitudini e richiami della memoria in questo corposo libro di Adam Williams («Il palazzo dei piaceri celesti» Longanesi, pagine 752, Euro 19,00). Discendente da una famiglia inglese vissuta in Cina fino agli inizi del Novecento, educato a Oxford, l'autore vive e lavora a Pechino per una società commerciale e questo suo esordio letterario è già stato tradotto in sette lingue.
In realtà, l'ambiente attorno al quale si dipana la contorta e affascinante vicenda ha solo una vaga somiglianza con le nostrane case di tolleranza. Ambientato nella Cina di fine Ottocento, «dove un debole imperatore teneva ancora nelle sue fragili mani il mandato celeste» e le potenze occidentali conquistavano concessioni commerciali e porzioni di territorio sempre maggiori, il racconto ruota intorno al sontuoso bordello di Shishan, a nord di Pechino, il Tian Le Yuan, il Palazzo dei piaceri celesti. Paradiso dei sensi, riservato solo a ricchi e stranieri, brulicava di ragazze bellissime, accuratamente educate all'arte amatoria, al massaggio, al ballo, alla poesia ed alla conversazione. Il raffinato rifugio, annebbiato dall'oppio che circolava generoso tra i clienti, disponeva di terme, bagni turchi, ottima cucina e perfino una biblioteca per i più esigenti.
Mentre fuori cresceva il malcontento e la rivolta serpeggiava nelle campagne, all'interno, protetti dalla discrezione del piacere, fremevano intrighi politici, congiure e affari tra spregiudicati mercanti e mafie locali.
Su questo sfondo, lui, cupo e affascinante ufficiale dal passato tenebroso, schiuderà a lei, giovane formosa appena giunta dall'Inghilterra carica di sogni esotici, i misteri del sesso, del vizio e della trasgressione senza limiti, sconvolgendo le loro esistenze.
La rivolta dei Boxer, inasprita da conflitti ideologici e culturali tra l'idealismo europeo ed il pragmatismo orientale, metterà la comunità inglese in grave pericolo e il bordello di Shishan diventerà per alcuni l'unico rifugio per non essere uccisi, la prima tappa di una lunga ed avventurosa fuga verso la salvezza. La figura del medico missionario dottor Airton, attorno al quale si raccoglie la legazione britannica, è ispirata a vicende familiari dell'autore il cui nonno David Muir svolse la sua attività in Manciuria proprio in quel periodo.
Pennellata su un mondo misterioso ed intrigante, l'autore confessa che la realtà storica ha superato la sua immaginazione: dietro al fascino esotico questi santuari del piacere erano veri e propri luoghi di tortura e crudeltà verso le donne, vendute giovanissime dai genitori (consuetudine divenuta illegale solo nel 1929), la loro vita valeva poco più di niente e le brutalità nei loro confronti superavano quelle descritte nel romanzo.
Chiuse nel '47, quando la Cina entrò a far parte dell'Onu, queste «case» vantavano tradizioni secolari: già Marco Polo parlava estasiato delle donne cinesi («gli stranieri che le hanno sperimentate una volta rimangono come stregati e non riescono più a togliersele dalla testa»), mentre durante la colonizzazione inglese furoreggiavano i «battelli fioriti», bordelli galleggianti situati nei porti marittimi e fluviali.
Un libro interessante, giocato sul dinamismo dell'azione, tra tempeste di polvere, alcove e atmosfere pittoriche, che mantengono vivo l'interesse fino all'ultima pagina

il cattolico Tolkien

Corriere della Sera 18.2.04
DIBATTITI
Tolkien: cattolico o pagano? Si riapre la disputa
di Cesare Medail


Che Tolkien si dichiarasse cattolico è cosa nota; ma i lettori comuni del "Signore degli anelli" (e ora il pubblico del cinema) non ravvisano segni biblici nella saga, evocatrice semmai di quei miti e poemi nordici (Edda , Kalevala) così amati dal professore oxoniano. Cristiano o pagano, dunque? Dalla disputa, per la verità tutta italiana, è uscito un libro ("Paganesimo e cristianesimo in Tolkien", edizioni il Minotauro, pag. 210, 14,50) dove due studiosi, Errico Passaro (tesi pagana) e Marco Respinti (tesi cri stiana) si affrontano, anche se sovente gli argomenti tendono più a integrarsi che a respingersi. Per la loro ambivalenza. Una volta, per esempio, Tolkien dichiarò: «L’Evangelium non ha abrogato le leggende; ma le ha santificate nel lieto fine». Ciò può deporre a favore della tesi cristiana, del senso religioso celato nelle pieghe del racconto; ma suona anche di critica agli anatemi ecclesiali che, a partire dalla Chiesa costantiniana, hanno rigettato i miti, le credenze e le cosmogonie dell’umanità cosiddetta pagana; che Tolkien, invece, accoglie come grandioso preambolo dell’era cristiana.
Una via per dirimere la questione è cercare nella saga valori affini o estranei al cristianesimo: impresa ardua perché la solidarietà, il perdono, la lealtà, il sacrificio, la stessa provvidenza non si trovano solo nella Bibbia. Altra, e più utile via è consi derare l’insieme, l’impianto della creazione tolkeniana a partire dal Silmarillon, dal creatore Iluvatar agli Ainun fino agli Elfi, agli Uomini e agli Hobbit. "Il signore degli anelli" si ferma alla fine della Terza Era, quando gli Elfi si ritirano su altri piani dell’essere e comincia l’era degli Uomini. L’incarnazione di Cristo, dunque, si manifesta in un’era a venire rispetto alla saga e quindi non vi figura, anche se tutto scorre entro un’aura di sacralità non sapremmo dire quanto «profetica».
Per capire il nesso fra paganesimo e cristianesimo in Tolkien è utile, piuttosto, la vicenda del suo amico Clive S. Lewis, grande scrittore fantastico e studioso di mitologie nordiche: perché, si chiedeva da buon ateo, non considerare la storia di Gesù alla stregua di altre remote letterature?
Nel 1931, però, ebbe luogo una storica riunione in casa Tolkien: e prima dell’alba, pressato dall’amico, Lewis si convertì e si convinse che «in quei racconti pagani era sempre Dio ad esprimersi attraverso voci ispirate. Erano l’intuizione poetica di un mito a venire: quello narrato in forma meravigliosa da Isaia e dai profeti biblici, non diverso dagli altri, ma che divenne fatto nella nascita di Cristo». Il cattolico Tolkien non abrogò, quindi, ma fece amare i miti precristiani; e volle scrivere il Pater Noster in Sindarin , la lingua elfica.