giovedì 11 marzo 2004

Marco Bellocchio:
A NEW YORK!

Repubblica 11.3.04
NEGLI USA
Ed esce "Buongiorno, notte"
Rassegna omaggio a New York


NEW YORK - Marco Bellocchio è al centro di una serie di celebrazioni americane, che vanno da una importante retrospettiva al Brooklyn Academy of Music organizzata da Cinecittà e dall´Istituto Italiano di Cultura, alla prossima uscita su dvd dei "Pugni in tasca" per la Criterion Collection, alla distribuzione nelle sale di "Buongiorno, notte", acquistato dalla Wellspring, che ha portato in passato in America i film di Rohmer e Truffaut. Sono due anni consecutivi che Bellocchio viene scelto a rappresentare il cinema italiano nel New York Film Festival e sia nel caso dell´"Ora di religione" che di "Buongiorno, notte" le presentazioni hanno ottenuto un esito eccellente. In occasione della retrospettiva, i curatori del Brooklyn Academy hanno ripubblicato una serie di articoli, usciti in America sui film passati e recenti del regista, che celebrano l´ammirazione per il «magnifico talento visionario» e l´originalità della «voce più incisiva e appassionata che ha raccontato gli sconvolgimenti politici, culturali e spirituali avvenuti recentemente in Italia» ("New York Times"). (a.m.)

Marco Bellocchio e il suo nuovo Rigoletto /2

Repubblica 11.3.04
Il regista cinematografico debutta nella lirica mettendo in scena l'opera verdiana al teatro di Piacenza, la sua città. La "prima" il 19 marzo
"Il mio Rigoletto tra i vitelloni anni 50"

l'ambientazione Provocazione? No, sposto i personaggi nei miei ricordi
l'opera è perfetta, equilibrata, il mio orecchio si è formato lì
di NATALIA ASPESI


PIACENZA - Prima o poi i registi cinematografici arrivano all´opera, e l´evento diventa una specie di medaglia solenne nella loro carriera, una sfida, un gioco, una pausa per riflettere sul loro mestiere. Tocca adesso a Marco Bellocchio che per la prima volta affronta l´adorato Verdi per le celebrazioni del bicentenario del bel teatro municipale della sua città, dove è nato 64 anni fa e ha vissuto sino ai 15 anni. «Verdi per forza, qui, si sa, sono tutti verdiani e io stesso non potrei avventurarmi nella musica di altri compositori. Nel mio documentario "Addio del passato" c´era qualche battuta su questa nostra passione, sul contrasto molto giocoso tra Piacenza e Parma per impossessarsi del Maestro, e qui gli si attribuisce una sostanziale piacentinità, per quel suo carattere chiuso, riservato, parsimonioso». Il Rigoletto l´ha scelto lui, «perchè è un´opera perfetta, equilibrata, anche breve, e l´italiano di Piave può far ridere ma non è insopportabile. Poi il mio orecchio musicale si è formato, dopo gli inni in chiesa, su "Caro nome", su "Tutte le feste al tempio", che mia madre canticchiava leggera». All´opera non lo portavano, «perché noi eravamo una famiglia di benessere recente, mio padre era avvocato ma veniva dalla campagna, non avevamo insomma il palco come le famiglie aristocratiche o antiche. Però l´opera la seguivo al cinema, c´era sempre nei primi anni ?50 un film su Verdi, o su Puccini».
Ha diretto, in teatro, spettacoli che definisce «medi, non mediocri», un "Simone d´Atene" con Salvo Randone, un "Macbeth" con Michele Placido, ma questa è la sua prima opera. «E´ un lavoro che mi ha consentito di riprendere i fili con la mia città, dove non sarei mai tornato solo per passeggiare sul corso o sedermi in un bar. Ed è una esperienza nuova, una rinascita. Qui le competenze sono doppie, del direttore d´orchestra e del regista, anche se forse il regista alla fine ha più responsabilità. Certo è molto diverso che col cinema: per un film riesco a strappare dieci settimane di lavorazione, qui le tre stabilite mi sembravano assurdamente brevi, ma mi ci sto adattando. Mi è difficile mettermi nei panni dello spettatore, decidere a quale distanza creare la scena, mi mancano molto i primi piani. Temevo anche di non riuscire a superare la gestualità convenzionale dei cantanti, e invece ci stiamo riuscendo, sino a un certo punto».
Però i cantanti sono giovani e belli (Alberto Gazale, Rigoletto, Gladys Rossi, Gilda, David Miller, il duca di Mantova) e anche il direttore, Gunter Neuholt, è giovane e disponibile. Non ha fiatato per esempio su un Rigoletto ambientato negli anni ?50, con un Duca di Mantova elegante come Amedeo Nazzari e una Gilda immaginata come una commessina alla Brunella Bovo. Dentro a un grande albergo di stile mussoliniano, ci sarà una gran festa di Carnevale alla Fellini, si ballerà il valzer. Ci sarà anche un lieve riferimento a "L´ora di religione" con la presenza di una Madonna simile a quella che i frati di San Sisto vendettero al re di Polonia. «Non è una bizzarria né una provocazione, ho ricordi adolescenti di una Piacenza molto provinciale e chiusa, con vari tipi di vitelloni appostati in diversi bar. Io ci passavo davanti e sentivo i loro discorsi, parlavano di conquiste femminili e di verginità, allora fondamentale virtù delle donne e roccaforte da espugnare. C´era sempre il più ricco e il più bello, e quello che per entrare nel gruppo si faceva servo, buffone».
C´erano quindi le Gilde e i duchi di Mantova e i Rigoletti, in quella Piacenza del dopoguerra come nell´opera ambientata nel XVI secolo. «Ricordo le due fazioni contrapposte, i bianchi e i rossi, i cattolici e i comunisti. Riempivano le piazze, si scontravano, mio fratello Piergiorgio, più grande di me, nel ?48 andava con i ragazzi dell´Azione cattolica ad attaccare manifesti, a prelevare le suore di clausura per portarle a votare. Mio padre era stato un fascista molto riservato, mia madre era molto religiosa, mia nonna era terrorizzata dai comunisti e quando vinsero i democristiani pianse di felicità. Nelle scuole arrivavano preti e frati a incitare a un´eventuale guerra civile se mai il Pci avesse vinto le elezioni. Io studiavo dai barnabiti e ci spaventavano a morte: forse per quello, anni dopo e per pochi mesi, mi iscrissi all´Unione dei comunisti marxisti leninisti».
Il Rigoletto andrà in scena per tre sere, il 19, 21 e 23 marzo, poi Bellocchio tornerà a casa, a Roma, a rioccuparsi di cinema. Intanto, il suo ultimo film, il Leone d´Oro mancato alla Mostra di Venezia, "Buongiorno notte", sta avendo molto successo in Francia e andrà anche negli Stati Uniti. «Ormai sono passati mesi, ma allora mi era spiaciuto davvero molto. È chiaro che un riconoscimento ufficiale gli avrebbe facilitato la strada. Poi è andato bene. Alla fine sarà anche un´operazione commerciale positiva, pagheremo tutti i debiti. Mi fa piacere il riconoscimento che i francesi danno non solo al mio film ma anche a quelli di Giordana e di Bertolucci, per aver saputo affrontare in modo nuovo i nostri anni difficili, mentre loro ancora non l´hanno fatto». In un prossimo film tornerà «sulla dimensione rivoluzionaria, con radici cattoliche, della politica, non sul terrorismo. Anche sul presente voglio fare un film, su quel disastro che è Berlusconi, su cosa è la sinistra oggi». Intanto ha già il titolo del prossimo copione "Il regista dei matrimoni", storia di un regista importante che dovrebbe girare una reinterpretazione dei "Promessi sposi", ma non ce la fa e scappa in un paesino del sud: dove incontra un vero regista di matrimoni, quelli che filmano gli sposi a pagamento. Un ricco signore chiede al regista importante lo stesso servizio e lui lo farà riuscendo a mandare a monte le nozze previste e facendo fuggire Lucia Mondella con don Rodrigo. Autobiografico? «In parte sì, ma sarà una storia grottesca, simbolica, sul momento di angoscia in cui si decide di sposarsi senza necessità, solo per rientrare nell´ordine».

Marco Bellocchio e il suo nuovo Rigoletto

Correre della Sera 11.3.04
Bellocchio, dopo il caso Moro un Rigoletto storico-politico
Il regista debutta nella lirica con l’opera di Verdi: «Sullo sfondo le tensioni a Piacenza negli anni ’50»
di Giuseppina Manin


La prima Gilda che ricorda aveva le fattezze di sua madre. «Lei amava l’opera, ci andava spesso. Poi a casa accennava le arie... Tutte le feste al tempio , Caro nome , erano le sue preferite». Forse l’amore per il melodramma di Marco Bellocchio è nato lì, in quei momenti di tenerezza domestica. Certo non occorre scomodare Freud per capire perché il celebre regista ha scelto, per il suo debutto lirico, proprio Rigoletto. «E’ l’opera della mia fanciullezza, una storia a forti tinte, una musica trascinante. L’impatto emotivo era inevitabile», spiega lui in una pausa delle prove a Piacenza, la sua città, dove, al Teatro Municipale, lo spettacolo andrà in scena il 19 marzo (repliche il 21 e il 23) con l’Orchestra della Fondazione Toscanini diretta da Gunter Neuhold. Nel cast Alberto Gazale (Rigoletto), Gladys Rossi (Gilda), David Miller (il Duca), Riccardo Zanellato (Sparafucile). «Rigoletto - prosegue Bellocchio - non mi ricordava solo la mia educazione lirica ma anche la mia Piacenza d’allora, anni Cinquanta. Una città molto provinciale, molto isolata, molto chiusa. Avvolta nei nebbioni della bassa e in un clima politico molto teso. Era il momento delle grandi lotte tra comunisti e democristiani. La paura serpeggiava tra i possidenti del posto, terrorizzati di perdere tutto. I "rossi", assicuravano, avrebbero espropriato le terre, portato via le case, sottratto i bambini alle famiglie, obbligato i credenti a rinunciare alla fede...»
Uno scenario a fosche tinte che ora Bellocchio fa rivivere come sfondo per l’opera verdiana, ambientata proprio in quegli anni piacentini. Dopo l’Italia del caso Moro raccontata nell’applauditissimo Buongiorno notte , un’altra personalissima esplorazione nella nostra storia del Novecento.
«Sfogliando il libretto, quelle atmosfere, quelle angosce inculcate allora, mi sono tornate davanti. Le ingiustizie e la protervia di quei ricchi padani nei confronti di una classe di piccoli borghesi, impiegatucci, artigiani, non sono troppo lontane dal dramma di un poveraccio, buffone per divertire i potenti e sbarcare il lunario, la cui unica figlia viene sedotta e poi ammazzata per il piacere crudele di quegli stessi potenti su cui lui credeva di trovar appoggio. Un dramma dell’800 credibile anche in quegli anni. Gettare un ponte tra la Piacenza della mia infanzia e quel mondo a forti tinte verdiano, per me è stato naturale».
Così il Duca di Mantova qui somiglierà, svela il regista, a «un Vitellone di Fellini, bello e arrogante» e la festa mascherata del primo atto, anziché in una corte secentesca, si svolgerà «in uno di quegli alberghi di finto lusso anni ’50, tutto lampadarioni, marmi, vetri colorati». E a rendere più evidenti le allusioni, una tv potrebbe rimandare immagini in bianco e nero dell’epoca. Ma su questo Bellocchio non ha ancora deciso. Come ancora non è certo, ma probabile sì, un altro Rigoletto per il cinema. Con Muti come direttore.
Di certo, ancora una volta la musica di Verdi lo riporta alle sue radici. Dopo Addio al passato , il filmato sulla Traviata trasformato in omaggio alla sua città, adesso è Rigoletto a spingerlo di nuovo verso la piacentinità, categoria dello spirito con cui continua a fare i conti dai tempi de I pugni in tasca , il suo primo film. «La lirica compariva già lì - ricorda -. Lou Castel moriva cantando Sempre libera . Ne La Cina è vicina invece Glauco Mauri intonava Dormirò so l nel manto da Don Carlos ». Arie che Bellocchio conosce benissimo. «Da ragazzo avevo una discreta voce tenorile. Poi invece, con la crescita, la voce è cambiata. Le porte del canto mi si sono chiuse e anche quelle della recitazione. A quel punto non mi restava che fare il regista».

LA CARRIERA
il personaggio


REGISTA Studi filosofici
Marco Bellocchio è nato a Piacenza il 9 novembre 1939. Studia Filosofia a Milano e nel 1959 si trasferisce a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Studia cinema anche a Londra
LA FILMOGRAFIA
Dal 1965 a oggi
Nel 1965 il suo esordio con I pugni in tasca . Poi arrivano, tra gli altri, La Cina è vicina (1967), Nel nome del padre (1972), Diavolo in corpo (1986), La balia (1999), L’ora di religione (2002). Il suo ultimo film è stato Buongiorno, notte sul caso Moro