sabato 6 novembre 2004

una segnalazione di Annalina Ferrante e di molte altre compagne e compagni

Oggi e domani c'è da comprare
LIBERAZIONE
giornale comunista

Oggi a pagina 7: una fotografia dell'incontro tra Pietro Ingrao e Fausto Bertinotti davanti a numerose compagni e compagne, all'interno della struttura di Villa Piccolomini di Roma dove si è svolta la serata sulla non volenza di ieri, inquadrata dal testo che trascivo di seguito, in corpo grande e in grassetto [ndr].

Duemila persone alla villa Piccolomini di Roma
Nonviolenza, gran folla al dibattito Bertinotti-Ingrao

Applausi a scena aperta ieri per il segretario di Rifondazione comunista e per Pietro Ingrao (qui nella foto Eidon). Duemila persone, giovani e meno giovani, hanno accolto con raro calore e con entusiasmo i due politici chiamati dalla libreria "Amore e Psiche" a discutere sul tema della nonviolenza. Nel centro Dionysia della villa Piccolomini a Roma, Bertinotti e Ingrao hanno parlato, in un dialogo serrato con gli uomini e le donne presenti, di guerra, pace, politica, filosofia.
Ma anche di attualità: la vittoria di Bush negli Usa, dell'uomo che ha teorizzato e realizzato la guerra preventiva. «Una vittoria - ha sottolineato l'anziano leader della sinistra - che mi spaventa, mi angoscia. Questo uomo ha messo in atto il rilancio grave e terrificante della guerra». «Bush - ha detto il segretario del Prc - non vince per il programma o per la leadership. Vince per l'operazione ideologica che mette in campo. Bush e i suoi messaggi raggiungono il profondo della società».
La nonviolenza, da questo ponto di vista, rappresenta una risposta. Un'alternativa.. Soprattutto in un momento così drammatico. «La guerra preventiva - è stato l'augurio finale di Ingrao - noi, voi, i popoli del mondo non la faranno passare». «Se anche noi non costruiamo un sogno da offrire - ha chiuso Bertinotti - non ce la possiamo fare. Sia la nonviolenza l'inizio di questo sogno».

Domani su "LIBERAZIONE" un ampio resoconto della serata.

inoltre, in prima pagina di oggi:
Domani su Liberazione

INGRAO E LA NON VIOLENZA
inserto speciale

__________________________

chi desiderasse vedere la pagina di "Liberazione" di Sabato 6.11 con la foto dell'incontro di villa Piccolomini e non fosse riuscito a trovare il giornale nelle edicole, se crede può richiederne l'immagine con una e.mail a "segnalazioni"
(cliccando su "scrivi una e.mail", qui a sinistra)
e riceverà un pdf nella propria casella di posta elettronica.

in alternativa si puo vedere la stessa pagina
cliccando sul seguente indirizzo
http://www.liberazione.it/giornale/041106/pdf/XX_7-POL-01.pdf


(
questa comunicazione è stata inserita nel blog dopo la chiusura delle edicole)


Marco Bellocchio
finalmente Buongiorno, notte è uscito nei cinema inglesi

http://www.brain-damage.co.uk/news/0411044.html
(con una foto)
ITALIAN FILM WITH FLOYD SOUNDTRACK GETS UK CINEMA RELEASE

GOOD MORNING, NIGHT
(Buongiorno, Notte)
Marco Bellocchio’s powerful film GOOD MORNING, NIGHT (Buongiorno, Notte), which features a soundtrack almost exclusively made up of Pink Floyd's Wish You Were Here album, is finally getting a UK cinema release this month.

The film, at selected cinemas from 19th November, is based on the true story of the kidnapping of Italy’s former Prime Minister Aldo Moro in 1978. Bellocchio’s screenplay won the Prize for Outstanding Individual Contribution at the Venice Film Festival and the film won the European Film Academy Fipresci Prize in 2003.

The film was released in Italy last year, and appeared on DVD in that country in February this year. A mix of colour and black & white, the film is in Italian with English subtitles, and has been critically acclaimed for its powerful portrayal of the subject matter.

Synopsis:

Rome, 1978. A young woman, Chiara (Maya Sansa) moves into a large apartment in a quiet suburb with her husband, Ernesto (played the director’s son, Pier Giorgio Bellocchio). She works as a librarian for the government and has a colleague, Enzo. He asks her about her private life but she gives him no straight answers... in secret she is a member of the extreme terrorist underground, the Red Brigade. Her quiet life masks one of the biggest kidnaps in Italian history, the kidnap of Aldo Moro, who is imprisoned in the apartment.

Our thanks to Jason Pyke for letting us know about this film release.

un ragazzo su cinque ha disagi mentali

il messaggero 6 novembre 2004
Oms/Psicofarmaci in aumento tra gli adolescenti: nel 2020 in Europa disturbi comportamentali per il 50% dei ragazzi
«Un giovane su 5 ha disagi mentali»
Telefono Azzurro: violenza in tv e genitori assenti sono tra i principali fattori scatenanti

ROMA Cresce il disagio mentale tra bambini e adolescenti. Un minore su 5, in Europa, soffre di disturbi emotivi o comportamentali, uno su otto ha un problema psichico conclamato. Nel 2020 questo tipo di patologie aumenterà, nel vecchio continente, del 50 per cento. Per correre ai ripari si tende a prediligere la terapia più comoda ma anche, spesso, più inefficace: lo psicofarmaco, che rimuove il sintomo lasciando inalterate le cause. E’ il grido d’allarme lanciato da Telefono Azzurro che da domani a Modena studierà le possibili terapie per aiutare i ragazzi in difficoltà. Il neuropsichiatra Bollea: «Aiutare gli altri è un’ottima cura». In Danimarca nasce la clinica per giovani affetti da “dipendenza da sms”.

il messaggero 6 novembre 2004
Un ragazzo su cinque con disagi mentali
Bollea: hanno perso la speranza, dovrebbero dedicarsi agli altri. Allarme psicofarmaci: troppi abusi
di LUIGI PASQUINELLI

ROMA Se il buongiorno si vede dal mattino il futuro dell’umanità è circoscritto in un orizzonte buio. Gli adulti di domani sono i ragazzi di oggi e stando alle ultime ricerche europee il loro malessere esistenziale avanza a passo di carica. Si aggrappa agli organismi, come un parassita vegetale al virgulto, producendo disagio e dolore. Paure, ansie, ribellioni, agitazioni, mutismi, talvolta suicidi: i bubboni della mente crescono tra le nuove leve, si riflettono sulle famiglie, diventano problema collettivo. Forse una patologia di oggi corrisponde a un’intemperanza giovanile di ieri. La novità dei nostri giorni, però, sta nel modo in cui le società tendono a reagire al problema, invece di estirpare le cause tamponano gli effetti con le drastiche soluzioni della chimica. Nel vecchio continente, come ha appurato la Commissione europea e l’Organizzazione mondiale della sanità, un minore su 5 soffre di problemi dello sviluppo, dell’emotività o del comportamento e uno su 8 presenta una sindrome mentale conclamata. Il 4 per cento dei 12-17enni e il 9 per cento dei 18enni è vittima della depressione. Si stima che il disagio mentale aumenterà complessivamente tra gli europei del 50 per cento entro il 2020. L’istituto di ricerche farmacologiche ”Mario Negri” ha accertato invece che 11,49 femmine e 7,51 maschi su mille, tra 14 e 17 anni, assumono psicofarmaci mentre tra 6 e 13 anni sono 1,91 bambine e 2,77 bambini su mille a domare il cervello con pillole a effetto immediato. Ernesto Caffo, neuropsichiatra infantile e presidente di Telefono Azzurro, da domani a mercoledì a Modena, guiderà un congresso per riflettere sui sistemi di cura in neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. «Oggi non esistono osserva psicofarmaci per bambini, si usano quelli per adulti in dosi ridotte. Salvo casi estremi il ricorso alla terapia farmacologica è un modo di semplificare, quindi di non riconoscere, un problema complesso come quello della salute mentale».
Ma da quali fonti sgorgano, sulle guance dei teen-ager, così tante lacrime? Risponde ancora Caffo, attingendo ai dati di Telefono Azzurro: «Bambino e adolescente sono sottoposti molto precocemente a spinte verso la crescita. Conoscono il disagio della famiglia, sono aggrediti tramite la tv da scene di violenza e di morte, assediati dagli stimoli sessuali della pubblicità. Senza la mediazione degli adulti, che dovrebbe funzionare da filtro, tali messaggi possono diventare contundenti se bersagliano sistemi psichici in via di formazione. Manca il dialogo. Tra i giovani che ci telefonano il 35,8 per cento lamenta insoddisfacenti relazioni con padre e madre. Segue a distanza, con il 16,3, la sofferenza per la separazione dei genitori». La fotografia della famiglia scattata recentemente dall’Istat parla di un’istituzione che, anche in Italia, si trasforma: crescono i single, aumentano le unioni libere e i nuclei allargati, sono un milione i minori italiani coinvolti attualmente in separazioni».
Il decano della neuropsichiatria italiana, Giovanni Bollea, 91 enne, professore emerito della Sapienza, ha partecipato ieri telefonicamente, nella sede di Telefono Azzurro, alla presentazione del convegno di Modena. Il grande professore, per spiegare la crescita del disagio psichico (che spesso è anche cerebrale e viceversa) tra i ragazzi non ricorre a un termine medico, non parla di depressione, parla di tristezza. «Dietro tanta allegria c’è una profonda tristezza, questi ragazzi vivono nell’incertezza, nel declino della speranza, il futuro è pieno di nubi, cercano il divertimento a tutti i costi per stordirsi». C’è una soluzione? «Sì: compiere il proprio dovere, studiare, non sprecare tempo, sviluppare la creatività, aiutare gli altri, sentirsi utili. E’ una ricetta adottata in Italia da tantissimi giovani che non sentono il bisogno di stordirsi perché hanno stima di se stessi. Basti pensare all’esercito dei volontari, in continua crescita».

saluteeuropa.it 6 novembre 2004
Preoccupante aumento del disagio mentale in età evolutiva

In Europa e in Italia, su 100 giovani, 80 vivono una buona condizione di benessere mentale mentre i rimanenti 20 possono presentare, accanto a problematiche familiari, ambientali, sociali e relazionali, sintomatologie depressive e psicotiche. E' da sottolineare il dato relativo alla depressione dell'età evolutiva, secondo il quale soffrirebbe di depressione il 4% dei ragazzi tra i 12 ed i 17 anni: lo rilevano i dati presentati nel rapporto recentemente pubblicato dalla Comunità Europea e dall'OMS dopo una pre-conferenza tenutasi a Lussemburgo sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti.
I problemi di salute mentale nell'infanzia sono più frequenti di quanto non si pensi e molti disturbi sono ricorrenti o cronici, spesso rilevanti precursori dei disturbi mentali dell'età adulta: infatti, 1/3 degli adulti clinicamente depressi ha sperimentato il primo episodio prima dei 21 anni. Il bambino e l'adolescente di oggi vivono in un'epoca di tristezza, vedono frantumarsi la propria famiglia poiché la famiglia italiana si trasforma ed è quasi irriconoscibile rispetto a quella di un tempo, più stabile e più numerosa. Ora c'è una famiglia fatta di singoli, di nuove coppie, nate dopo divorzi e separazioni, di figli e figliastri, comunque molto pochi: al massimo due e spesso nessuno.
L'aumento dei disturbi mentali nel bambino e nell'adolescente è legato, quindi, alla forte trasformazione sociale che ha portato ad una altrettanto forte frantumazione e fragilità della famiglia. Le famiglie ricostruite dopo una separazione o un divorzio sono il 4,8 del totale. Sempre secondo l'Istat, nel 2002 il numero delle separazioni con almeno un figlio minorenne affidato è stato di 41.176 (pari al 51,7% del totale delle separazioni), mentre quello dei divorzi è stato di 15.288 (pari al 36,5% del totale dei divorzi). In particolare, i figli minorenni affidati nel 2002 in seguito a separazione sono stati 59.480 mentre per i casi di divorzio sono stati 19.356, per un totale di 78.836 minori che hanno vissuto una situazione di disagio familiare. Sono un milione i figli minori coinvolti in separazioni in corso.
Nel 2002 su cento figli, 85 sono stati affidati alla madre in caso di separazione o di divorzio. Su cento bambini, 11 sono i figli in affidamento congiunto. In questa realtà c'è lui: il bambino, tremendamente solo che vede intorno un alternarsi di adulti, quasi mai parenti e deve affrontare una grande e continua solitudine poiché non ha più la rete parentale, non ha più un colloquio con la mamma o con il padre. E sono questi i pilastri del disagio dell'età evolutiva che può sfociare al di sotto dei 10-11 anni non solo in piccoli disturbi anche di comportamento (insonnie, crisi d'ansia, irritabilità e tristezza) ma anche in vere e proprie depressioni e psicosi che richiedono un intervento psico-educativo e sociale.
"Il disagio mentale nel bambino e nell'adolescente aumenta perché viviamo un momento pieno di tristezze e di incertezze - ha affermato Giovanni Bollea, Neuropsichiatra Infantile, Professore Emerito dell'Università La Sapienza di Roma - Le notizie che arrivano a raffica non sono più comunicate dalla famiglia ai bambini e agli adolescenti ma, in tutte le maniere possibili ed immaginabili, dalla TV, dalla radio e dai giornali. E' necessario quindi che il bambino sia confortato dalle parole della madre che possano infondergli quella sicurezza andata perduta".
Il numero sempre crescente di prescrizioni di psicofarmaci in Italia a bambini e adolescenti conferma l'aumento del disagio dell'età evolutiva come risulta dai dati di una ricerca condotta nel 2002 dall'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" (Laboratorio per la Salute Materno-Infantile) e da Cineca-Consorzio Interuniversitario.
L'indagine rivela il numero di prescrizioni di psicofarmaci per classe di età, sesso e classe di farmaci e Il tasso di prevalenza è calcolato come numero di trattati con psicofarmaci ogni mille assistibili. Il campione è costituito da 568.770 soggetti di età inferiore ai 18 anni, residenti in 18 ASL di Veneto, Liguria e Toscana che partecipano al Progetto Arno. I dati sono ripresi dal 4° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza di Telefono Azzurro e Eurispes.
L'indagine rivela una situazione allarmante che nasconde una realtà ancor più grave perché la ricerca ha preso in esame solo la prescrizione di farmaci rimborsabili dal SSN e non è possibile, quindi, stimare la prescrizione delle benzodiazepine in classe C.
I dati hanno evidenziato nel 2002 che l'1,91 per mille delle ragazze tra 6 e 13 anni assume psicofarmaci; quando l'età va da 14 a 17 anni c'è un'impennata fino all'11,49 per mille. Tale incremento è riscontrabile anche nei dati sugli antidepressivi che dall'1,55 per mille nella fascia d'età da 6 ai 13 anni, sempre per quanto riguarda le ragazze, passa al 10,59 per mille nella fascia tra 14 e 17 anni. Per quanto riguarda la prescrizione di psicofarmaci, per i maschi c'è una prevalenza sulle femmine tra i 6 e i 13 anni (l'indice è del 2,77 per mille rispetto all'1,91 delle femmine) mentre è netto il distacco tra i 14 e i 17 anni: 11,49 per mille nelle femmine rispetto al 7,51 nei maschi.
In particolare da zero a cinque anni assumono antidepressivi 0,71 ogni mille soggetti maschi e 0,68 femmine; antipsicotici 0,15 maschi e 0,20 femmine; litio 0,01 maschi e 0,02 femmine; psicofarmaci 0,88 maschi e 0,87 femmine.
Da 6 a 13 anni assumono antidepressivi 1,92 ogni mille soggetti maschi e 1,55 femmine; antipsicotici 0,93 maschi e 0,42 femmine; litio 0,07 maschi e 0,02 femmine; psicofarmaci 2,77 maschi e 1,91 femmine.
Da 14 a 17 anni assumono antidepressivi 5,89 ogni mille soggetti maschi e 10,59 femmine; antipsicotici 2,40 maschi e 1,56 femmine; litio 0,16 maschi e 0,13 femmine; psicofarmaci 7,51 maschi e 11,49 femmine. I dati si riferiscono a numero di soggetti trattati ogni mille assistibili.
"Se in qualche caso il farmaco può essere necessario, dopo attenta, scrupolosa, ponderata valutazione, di per sé non risolve il problema - ha affermato oggi a Roma il prof. Ernesto Caffo, Ordinario di Psichiatria Infantile all'Università di Modena e Reggio Emilia, fondatore e Presidente del Telefono Azzurro, nel corso di un incontro per la presentazione del Congresso "Sistemi di Cura in Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza" in programma a Modena da domenica 7 novembre a mercoledì 10, promosso dalla Cattedra di Neuropsichiatria Infantile dell'Università di Modena e Reggio Emilia e dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (SINPIA).
"C'è tuttavia un pericolo - ha continuato Caffo - già evidente negli USA. E' quello di trasformare un problema complesso come quello della salute mentale in uno più semplice: il rischio di trasformare la sofferenza mentale del bambino e dell'adolescente in sintomi che possono essere trattati con i farmaci. Una pillola diventa l'unica soluzione del disagio mentale. Il domani è ancor più preoccupante. Oggi non esistono psicofarmaci per i bambini, in realtà sono molto pochi i farmaci in generale per i bambini: si ricorre a quelli per gli adulti a dosi ridotte.
L'industria farmaceutica sta lavorando alla messa a punto di psicofarmaci "mirati" all'età evolutiva. A questo proposito si studiano nuove sostanze per affrontare la salute mentale nei bambini e negli adolescenti con farmaci scientifici. L'approccio farmacologico deve essere considerato insieme ad altre forme di intervento per dare cure ma anche qualità di vita al paziente. Sarebbe un grave errore considerare l'approccio farmacologico come la soluzione magica al posto di altri interventi. Non basta la pillola, bisogna agire sulle cause del disturbo mentale. La pillola distrae o meglio sottrae l'attenzione dalle cause del disturbo e dallo studio dell'ambiente e della cultura in cui il paziente è calato. Questo, purtroppo, si sta cominciando a notare in Italia dove c'è un certo disinteresse nei confronti del disagio mentale nel bambino e nell'adolescente. La mancanza di cifre ufficiali, risultato di un progetto a largo respiro, approfondito, la dice lunga."

Good Bye Kant

il manifesto 5 novembre 2004
Fare i conti con Kant ai confini del reale
Dietro l'ultimo libro di Maurizio Ferraris, titolato per Bompiani Goodbye, Kant! Cosa resta oggi della «Critica della ragion pura», un intento filosofico preciso. Mostrare la necessità di affrancarsi dal soggettivismo secondo cui il mondo e la sua percezione dipendono dalla nostra mente e dalla nostra interpretazione
di VINCENZO COSTA

Una lunga tradizione ha voluto insegnarci come la nostra esperienza sia strutturata dai pensieri che proiettiamo su di essa: vediamo ciò che le nostre categorie concettuali ci consentono di organizzare mentalmente. È una impostazione che può essere declinata nei modi più svariati. Così, se uno storico della scienza come Thomas Kuhn ha sostenuto che con il mutamento di un paradigma scientifico ci troviamo a vivere in un mondo percettivo diverso, un linguista come Benjamin Whorf era convinto che «il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato... in larga misura dal sistema linguistico delle nostre menti». Il mondo che si offre alla nostra sensibilità è dunque una sorta di caos inorganizzato, un teatro di sensazioni prive di nessi, e solo nella misura in cui applichiamo su di esse uno schema concettuale, può emergere qualcosa di definito, un oggetto dai contorni precisi, dotato di una propria identità. Un modo di pensare che coinvolge anche l'ermeneutica, non di rado presentata, per esempio da Josef Bleicher, come una teoria secondo la quale «ogni percezione di ciò che ci circonda è preformata dalla nostra comprensione del mondo».
È un modo di pensare che, a partire da questi motivi, ha potuto elaborare una visione del rapporto tra uomo e mondo saturo di implicazioni di ampia portata. Così, proprio a partire dall'idea secondo la quale senza i nostri schemi concettuali il mondo sarebbe privo di regole e di significati, Nietzsche ha potuto ridurre l'intera conoscenza all'esigenza di ordine e di semplificazione che caratterizza l'animale umano, notando che «noi abbiamo proiettato le nostre condizioni di conservazione come predicati dell'essere in generale». Dicendo questo, Nietzsche non fa altro che sviluppare, da un punto di vista nuovo, una strada aperta dalla filosofia critica di Immanuel Kant, e che si riassume nella nota affermazione secondo cui «le intuizioni senza concetto sono cieche, i concetti senza intuizioni sono vuoti». Prima di essere inserite in una rete categoriale, le intuizioni non mostrano niente. Nel suo ultimo libro (Goodbye, Kant! Cosa resta oggi della «Critica della ragion pura», Bompiani, pp. 153, Euro 6,50), Maurizio Ferraris intende contestare proprio questo assunto, argomentando che l'esperienza si struttura, sulla base di regole interne, prima dell'intervento degli schemi concettuali. E poiché questa idea kantiana non ha cessato di produrre effetti e filiazioni, la sua decostruzione assume il senso di un commiato da tutte quelle impostazioni filosofiche che proprio sull'idea di schema concettuale si sono costruite e sviluppate, e che tendono a dissolvere la nozione stessa di «reale». Assumendo l'idea kantiana secondo cui l'esperienza è messa in forma dagli schemi concettuali, non si può infatti che giungere a una versione più o meno velata di idealismo soggettivo, dato che l'oggetto non ha consistenza propria, e la deve invece interamente alla strutturazione categoriale e soggettiva.
Se da un lato il libro intende introdurre, senza presupporre alcunché, alla lettura di un'opera difficile quale la Critica della ragion pura, dall'altro manifesta un intento filosofico assai preciso: fare i conti con la rivoluzione copernicana operata dal filosofo di Königsberg significa per Ferraris mostrare la necessità di riprendere una concezione realistica, di tornare a interrogarsi sulle strutture intrinseche all'oggetto come tale. E da questo punto di vista, rifiutando il soggettivismo kantiano, Ferraris prende certamente anche le distanze dall'ermeneutica, che pure aveva caratterizzato il suo modo di pensare sino ad alcuni anni fa. Ora, se Ferraris avesse mutato la sua prospettiva sull'onda di fatti biografici, questo percorso non sarebbe granché interessante da un punto di vista filosofico. Diventa invece significativo perché, e questo libro lo articola dispiegatamente, l'autore mostra, sulla base di ragioni, la necessità di abbandonare una prospettiva soggettivista secondo cui il mondo e la maniera in cui esso appare dipendono dalla nostra mente e dalla nostra interpretazione. Di contro a questa prospettiva, Ferraris attira l'attenzione sul fatto che «la maggior parte della nostra esperienza, per sofisticata che possa diventare, poggia su un suolo opaco e inemendabile, in cui gli schemi concettuali contano ben poco».
Il problema che il libro di Ferraris ci pone ha dunque un carattere eminentemente teoretico, che ci riporta non tanto ai problemi di due secoli fa, ma a quelli con cui ci troviamo impegnati oggi: il rapporto tra esperienza e pensiero. Secondo Ferraris, Kant può esasperare l'importanza degli schemi concettuali solo perché confonde sistematicamente una teoria della scienza con una teoria dell'esperienza e, invece di descrivere l'esperienza che abbiamo del mondo, prende a prestito i concetti scientifici della sua epoca, convinto che essi strutturino la nostra stessa esperienza percettiva. E in questo modo dà fiato a quelle commistioni che porteranno Kuhn a sostenere che con il cambiamento di un paradigma scientifico si modifica anche il mondo della nostra percezione.
Quello di Ferraris non è, tuttavia, un Good bye all'intera tradizione degli ultimi due secoli, quanto un tentativo di riallacciarsi all'oggettivismo che si è dispiegato, in funzione antikantiana, in autori come Bolzano, Meinong, Frege, cui spetta il merito di avere indicato la via per costruire un realismo non ingenuo; e soprattutto lo si trova in Husserl, che ha «indicato la strada giusta», distinguendo nettamente tra esperienza e pensiero: così, a suo parere, Einstein modifica il modo in cui pensiamo lo spazio, ma non la nostra esperienza dello spazio. Riprendendo questi temi, Ferraris ci invita allora a riconsiderare una concezione consolidata quasi come un luogo comune: ossia che l'oggettivismo fenomenologico sia una fase superata dagli sviluppi della svolta linguistica. E dunque ci offre molte ragioni per tornare a interrogarci sulla fenomenologia, intesa non tanto come una teoria della soggettività, bensì come una teoria dell'esperienza, delle sue regole e delle tendenze che, passivamente, agiscono in essa.

Arvid Carlsson, Nobel 2000 per la medicina...
una intervista

tempomedico.it 6 novembre 2004
La chimica che aiuta il cervello
Un nuovo approccio sul cervello: parla il premio Nobel Arvid Carlsson
di Nicola Nosengo - Tempo Medico n. 785

Fino a che punto la chimica consentirà di comprendere il funzionamento del cervello umano e di curarne i disturbi? Difficile trovare una persona più adatta di Arvid Carlsson a cui porre questa domanda. Premio Nobel per la medicina nel 2000, questo ottantunenne scienziato svedese ha avuto un ruolo chiave in tutte le principali tappe della neurofarmacologia dell'ultimo mezzo secolo. Negli anni cinquanta chiarì il ruolo del neurotrasmettitore dopamina nella regolazione delle funzioni motorie, sviluppando in seguito il trattamento con levodopa (un sostituto della dopamina) contro il morbo di Parkinson. In seguito fu il primo a spiegare il meccanismo di azione degli inibitori selettivi della serotonina (SSRI), la classe di antidepressivi cui appartiene il Prozac. Negli ultimi anni ha lavorato soprattutto sulla schizofrenia, contribuendo a sviluppare una nuova classe di antipsicotici, gli stabilizzatori del sistema dopamina-serotonina, che in questi mesi stanno arrivando sul mercato. Tempo Medico lo ha intervistato.
Le sue ricerche sulla dopamina contribuirono a un vero e proprio cambiamento di approccio negli studi sul cervello, dimostrando che a livello neuronale la trasmissione chimica è più importante di quella elettrica. Ma nel suo discorso di accettazione del Nobel, ha detto che è tempo di capire che il cervello è "qualcosa più di uno stabilimento chimico". Cosa intendeva?
Credo che presto assisteremo a un nuovo cambiamento di paradigma in questo campo, e che alcuni aspetti del funzionamento del cervello che finora sono stati trascurati torneranno al centro dell'interesse dei ricercatori. In particolare, lo studio dell'attività elettrica, la neuroanatomia, e la stessa anatomia cerebrale, che era passata di moda all'inizio del secolo scorso. Questo non significa che le scoperte nell'area chimica non saranno ancora fondamentali, ma verranno integrate dalle altre conoscenze che avremo sul cervello, soprattutto grazie alle tecniche di imaging cerebrale come risonanza magnetica e PET.
Le neuroscienze fanno sempre più affidamento sulle tecniche di imaging. Eppure sappiamo che esiste una grande variabilità individuale nelle strutture cerebrali, e questi studi sono spesso condotti su campioni molto ristretti. Non è rischioso usarli per trarre conclusioni generali?
Questo è vero, dobbiamo sempre tenere presente che queste tecnologie sono ancora in una fase iniziale, ed è indubbio che a volte siano usate per trarre conclusioni premature. Ma il loro potenziale futuro è immenso, e sono convinto che nel giro di dieci anni diventeranno realmente affidabili e ci permetteranno di leggere le funzioni cerebrali come non si era mai fatto prima. Credo anche che l'elettroencefalografia diventerà sempre più importante.
Il cambiamento di paradigma di cui parla comprenderà anche un maggiore sviluppo di terapie non farmacologiche, per esempio il trapianto di cellule staminali che si vorrebbe sperimentare per curare il morbo di Parkinson?
La mia opinione è che il cervello non sia adatto a interventi di questo tipo, perché è troppo complicato. Trapiantare nuove cellule nervose in un cervello già formato, e aspettarsi che vengano integrate in una rete così complessa di trasmissione e feedback di segnali senza creare problemi, mi sembra impensabile. È vero, sono stati fatti alcuni tentativi con neuroni dopaminergici che hanno avuto parziali successi. Ma hanno provocato effetti collaterali legati in particolare alla discinesia. Il che è perfettamente prevedibile, quando si va a stimolare la produzione di dopamina in condizioni non controllabili.
Rimaniamo ai farmaci allora. Alle sue ricerche si devono gli antidepressivi attualmente più usati, gli inibitori selettivi della serotonina. Come valuta il dibattito in corso sull'uso troppo disinvolto di questi farmaci, in particolare su bambini e adolescenti?
Il problema è descritto molto bene nel libro Listening to Prozac di Peter Kramer. L'autore racconta di pazienti che non rientrano nei criteri diagnostici della depressione, ma che per qualche motivo assumono antidepressivi e ne ricavano effetti molto positivi. Al tempo stesso, altri pazienti nella stessa zona grigia possono avere effetti collaterali molto pesanti, che superano di gran lunga i benefici. La questione è ancora più grande quando si parla di bambini e adolescenti, il cui umore è naturalmente instabile, esposto al rischio di grandi oscillazioni. Occorre una grande cautela prima di estendere ai minorenni le conclusioni di studi compiuti sugli adulti. Ma questo non cancella il fatto che gli antidepressivi possano rivelarsi molto utili anche per queste categorie di pazienti.
Il suo più recente contributo è legato a una nuova classe di antipsicotici che sta arrivando sul mercato, gli stabilizzatori della dopamina, che derivano dalle sue ricerche sulla schizofrenia.
Perché sono innovativi rispetto ai farmaci attuali?
I farmaci antipsicotici oggi utilizzati, come l'apomorfina o i cosiddetti antipsicotici atipici, bloccano i recettori della dopamina e della serotonina, e in questo modo permettono di controllare le crisi psicotiche acute. Ma tra una crisi e l'altra i pazienti soffrono di carenza di dopamina, che è fondamentale per molte funzioni. Per questo, gli attuali farmaci hanno importanti effetti collaterali, come disturbi del movimento e sessuali, sonnolenza, aumento di peso. Alcuni anni fa, ebbi l'opportunità di formare un gruppo con medici e chimici per sviluppare agonisti della dopamina con migliori proprietà farmacocinetiche rispetto all'apomorfina. Invece trovammo casualmente un agonista parziale che si rivelò essere uno stabilizzatore. Aveva cioè la proprietà di mantenere la dopamina a livelli normali, bloccando i recettori solo quando il livello di dopamina passava una certa soglia. Quella molecola però aveva un'attività intrinseca troppo alta, e l'effetto antipsicotico non durava più di due o tre settimane. Con il mio gruppo prevedemmo che con un'attività intrinseca più bassa l'efficacia antipsicotica sarebbe stata più prolungata. In seguito è stata individuata una molecola, l'aripiprazolo, con un effetto più prolungato nel tempo, che ha confermato le nostre previsioni. Ma questo è solo il primo farmaco di questo tipo a essere immesso sul mercato, molti altri sono in arrivo. E la mia previsione è che avranno anche altre applicazioni oltre a quelle legate alla schizofrenia.
Può fare qualche esempio?
Non faccio che basarmi su principi elementari di neuroanatomia. Gli stessi circuiti di neuroni coinvolti nel controllo della cognizione o dell'ostilità che si trovano nella schizofrenia, hanno un ruolo anche nel controllo dell'umore, o nei disturbi compulsivo-ossessivi. Per questo prevedo che uno stabilizzatore della dopamina o di altri neurotrasmettitori potrebbe essere molto utile anche in questi casi. Inoltre c'è già qualche indizio di un'efficacia di questi farmaci per i disturbi motori. Nei malati di Parkinson, per esempio, che dopo anni di trattamento con levodopa sviluppano problemi di discinesia. Se li trattiamo con uno stabilizzatore della dopamina riusciamo ad alleviare i problemi motori senza interferire con l'effetto della levodopa. Anche nella coréa di Huntington ci sono indizi di miglioramenti sia per i sintomi motori che per quelli cognitivi. Non sono ancora vere e proprie prove, ma aprono grandi prospettive.

un convegno per
«l'attuazione di un partito a leadership femminile»

una comunicazione ricevuta da Gabriella Cetroni:

"Un Convegno nazionale per il primo progetto politico volto all'attuazione di un partito a leadership femminile
è indetto da "Donne d'Europa art. 51 della Costituzione",
Si terrà
DOMENICA 7 NOVEMBRE
dalle 9.30 alle 13.30 al Teatro Sistina
via Sistina 129, Roma
sul tema:
"Per l'equilibrio nelle istituzioni"

- ingresso gratuito -

L'intero documento può essere letto su SPAZI
cliccando qui
_______________________