Ankronos 27.12.04
STORIA: MUSSOLINI-VATICANO, INTESA SEGRETA PER LOTTA AL COMUNISMO
Roma, 27 dic. - (Adnkronos) - Il Vaticano e Benito Mussolini "alleati segreti" in nome della lotta al comunismo. Il dittatore fascista, su richiesta della Santa Sede, autorizzò, in via eccezionale e riservata, l'arrivo in Italia, di documentazione riguardante il comunismo, destinato ad essere studiato a Roma presso il Segretariato Speciale sull'Ateismo, ubicato nel Pontificio Istituto Orientale. La rigida censura, istituita dallo Stato fascista per impedire l'introduzione di materiale sovversivo in Italia, fu aggirata in via informale con un accordo personale, nel novembre 1934, con uno scambio di lettere tra padre Pietro Tacchi Venturi, il gesuita incaricato di tenere contatti con le gerarchie del fascismo, e il capo della Polizia, Arturo Bocchini. La vicenda è rivelata, con una serie di documenti inediti dell'Archivio Centrale dello Stato, dallo storico Giorgio Petracchi, autore di un saggio per il volume ''La Chiesa cattolica e il totalitarismo'' (Olschki editore).
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 28 dicembre 2004
Vaticano
i piccoli ebrei ce li teniamo noi!
Corriere della Sera 28.12.04
IL DOCUMENTO
«I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un’educazione cristiana»
Pubblichiamo la traduzione dall’originale francese del documento, datato 20 ottobre 1946, che fu trasmesso dal Sant’Uffizio al nunzio apostolico Angelo Roncalli. L'originale si trova presso gli Archivi della Chiesa di Francia.
A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:
IL DOCUMENTO
«I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un’educazione cristiana»
Pubblichiamo la traduzione dall’originale francese del documento, datato 20 ottobre 1946, che fu trasmesso dal Sant’Uffizio al nunzio apostolico Angelo Roncalli. L'originale si trova presso gli Archivi della Chiesa di Francia.
A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:
- 1) Evitare, nella misura del possibile di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche, ma farlo oralmente
- 2) Ogni volta che sarà necessario rispondere, bisognerà dire che la Chiesa deve fare le sue indagini per studiare ogni caso particolare
- 3) I bambini che sono stati battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l’educazione cristiana
- 4) I bambini che non hanno più i genitori e dei quali la Chiesa s’è fatta carico, non è conveniente che siano abbandonati dalla Chiesa stessa o affidati a persone che non hanno alcun diritto su di loro, a meno che non siano in grado di disporre di sé. Ciò evidentemente per i bambini che non fossero stati battezzati
- 5) Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo.
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citato al Lunedì
Roma: la Provincia vara un archivio dedicato a Ingrao
ricevuto da Dina Battioni
l'Unità cronaca di Roma 24.12.04
La Provincia vara un archivio dedicato a Ingrao
Aprirà entro il 30 marzo 2005, per i 90 anni del presidente. Gasbarra: «È uno degli italiani più illustri»
La Giunta Gasbarra ha approvato la creazione di un fondo archivistico dedicato a Pietro Ingrao. «L'archivio del presidente Ingrao - spiega in una nota l'assessore provinciale alle Politiche Culturali, Vincenzo Vita - viene recuperato dal patrimonio documentale depositato presso la sede del Centro per la Riforma dello Stato. È costituito dalle corrispondenze, dagli scritti e da una preziosa e consistente sezione fotografica.
L'obiettio - continua Vita - è di inaugurare l'archivio in occasione della manifestazione per i 90 anni del presidente Ingrao che si svolgerà il 30 marzo 2005. Alla sezione documentale si aggiungerà il materiale conservato pressso i suoi uffici parlamentari, o in archivi preesistenti, come la Camera dei Deputati, la Fonazione Gramsci e l'Archivio Centrale dello Stato. Il progetto prevede - aggiunge Vita - lo sviluppo di una terza ed ulteriore fase dedicata alla ricerca, catalogazione e acquisizione in copia di materiale audivisivo, ora in possesso dell'Istituto Luce, degli archivi radio e televisivi della Rai r dell'Archivio audiovisivo del Movimento Operaio. Il progetto - precisa l'assessore provinciale - si avvale della supervisione di un comitato scientifico, presieduto da Maria Luisa Boccia e composto da Umberto Coldagelli, Giuseppe Cotturri, Alberto Olivetti, Alessandro Portelli, Gianpasquale Santomassimo e Mario Tronti, con il coordinamento di Giovanni Cerchia. Con questa iniziativa l'amministrazione Gasbarra rende omaggio ad una della figure più illustri della democrazia italiana, e intende salvaguardare e rendere accessibile attraverso le nuove tecnologie un patrimonio documentale importantissimo della storia italiana del Novecento.
l'Unità cronaca di Roma 24.12.04
La Provincia vara un archivio dedicato a Ingrao
Aprirà entro il 30 marzo 2005, per i 90 anni del presidente. Gasbarra: «È uno degli italiani più illustri»
La Giunta Gasbarra ha approvato la creazione di un fondo archivistico dedicato a Pietro Ingrao. «L'archivio del presidente Ingrao - spiega in una nota l'assessore provinciale alle Politiche Culturali, Vincenzo Vita - viene recuperato dal patrimonio documentale depositato presso la sede del Centro per la Riforma dello Stato. È costituito dalle corrispondenze, dagli scritti e da una preziosa e consistente sezione fotografica.
L'obiettio - continua Vita - è di inaugurare l'archivio in occasione della manifestazione per i 90 anni del presidente Ingrao che si svolgerà il 30 marzo 2005. Alla sezione documentale si aggiungerà il materiale conservato pressso i suoi uffici parlamentari, o in archivi preesistenti, come la Camera dei Deputati, la Fonazione Gramsci e l'Archivio Centrale dello Stato. Il progetto prevede - aggiunge Vita - lo sviluppo di una terza ed ulteriore fase dedicata alla ricerca, catalogazione e acquisizione in copia di materiale audivisivo, ora in possesso dell'Istituto Luce, degli archivi radio e televisivi della Rai r dell'Archivio audiovisivo del Movimento Operaio. Il progetto - precisa l'assessore provinciale - si avvale della supervisione di un comitato scientifico, presieduto da Maria Luisa Boccia e composto da Umberto Coldagelli, Giuseppe Cotturri, Alberto Olivetti, Alessandro Portelli, Gianpasquale Santomassimo e Mario Tronti, con il coordinamento di Giovanni Cerchia. Con questa iniziativa l'amministrazione Gasbarra rende omaggio ad una della figure più illustri della democrazia italiana, e intende salvaguardare e rendere accessibile attraverso le nuove tecnologie un patrimonio documentale importantissimo della storia italiana del Novecento.
Ivan Illich
la "cattiveria" cattolica
La Stampa 27 Dicembre 2004
ILLICH E I PARADOSSI DELLA MEDICINA
PIÙ SANI, PIÙ TRISTI
Eugenia Tognotti
IN nessun momento storico l'umanità ha potuto disporre di tante possibilità di essere in buona salute come in questo che stiamo vivendo. E il futuro sembra annunciare uno scenario ancora più rico di promesse. La medicina molecolare sta spingendo la comprensione delle cause di malattia fino ai dettagli più minuti, consentendo di rintracciare un rimedio per ogni possibile malanno. La medicina «predittiva» sfiora il mondo della profezia, individuando i mali prima che si manifestino. La medicina, insomma, sembra aver appagato le speranze più profonde in termini di benessere mentale e fisico, esaudendo il desiderio di una vita meno minacciata o meno compromessa dalle sofferenze fisiche, dalle infermità, dalle menomazioni della vecchiaia e dalla morte. Il suo campo d'azione si è allargato «verticalmente» e «orizzontalmente», come ha scritto l'autorevole bioeticista americano Daniel Callahan, ora vi si comprendono anche il perseguimento del benessere fisico ed emozionale e il miglioramento dell'aspetto attraverso la chirurgia estetica. Ma ai nuovi poteri della medicina si ricorre anche per problemi sociali - l'abuso di droghe, lo stress psicologico legato al lavoro e alla vita quotidiana, le nuove paure - di cui nel passato si occupavano movimenti, partiti, sindacati. Eppure, la percezione soggettiva di benessere fisico non corrisponde alla realtà del fatto che la gente vive effettivamente più a lungo e in migliori condizioni di salute che nel passato. Eppure - è un fatto - la socializzazione della medicina e la medicalizzazione della società sembrano aver fallito lo scopo. Non ci sentiamo affatto più sani, più felici, più liberi da sofferenze rispetto al passato. È il cosiddetto «paradosso della salute».
Il numero di malesseri, di disturbi, di sintomi fisici e motivi d'invalidità cresce anzi di anno in anno e nonostante i portentosi successi conseguiti nella lotta alla malattia e alla morte, dominano un'inquietudine e un'ansia generalizzate. Le cause sono diverse. Lo stesso proporsi orizzonti illimitati (come quello di cancellare la vecchiaia e la morte e perfino di garantire la felicità) da parte della medicina e l'idea di dominare la natura, prima considerata una barriera insuperabile, hanno creato nuovi problemi e tante illusioni. Prima dell'avvento della medicina moderna uno sforzo di secoli aveva portato a dare significato al dolore e alla sofferenza, e ad accettare l'idea della morte come parte della condizione umana. La spietata battaglia per cancellarla, porta quasi a considerare un anacronismo storico il modello del ciclo di vita che comprende il declino, l'invecchiamento, la fine della vita. Sono i temi al centro del libro Nemesi medica. L'espropriazione della salute (Bruno Mondadori), scritto dal filosofo e antropologo Ivan Illich, scomparso due anni fa. A quasi trent'anni di distanza dalla sua prima edizione, quest'ultima, arricchita da due nuovi saggi - tra cui la bella prolusione tenuta nel 1998 a Bologna al Convegno «Malattia e salute come metafore sociali» - offre materia di riflessione anche a chi non condivide la furia iconoclasta di Illich contro la medicina occidentale, di cui si devono pur tenere in conto i valori applicativi, conoscitivi e morali. Del resto gli ultimi saggi lasciano intravedere una meditazione più distesa, rispetto alle corrosive analisi della stagione culturale e ideologica che fece da sfondo alla prima edizione e ad alcune sue clamorose prese di posizione. Le cronache ricordano la provocatoria divulgazione di dati statistici, in seguito a uno sciopero ospedaliero in Francia, con cui si proponeva di dimostrare che senza medici c'era stata una sensibile diminuzione di decessi, a conferma della tesi da lui sostenuta che tra salute della gente e assistenza medica non esiste nessuna correlazione.
Ma all'alba del XXI secolo, la sua denuncia non ha come obiettivo prioritario i medici, «non più al timone della biocrazia» e parte di un ingranaggio più grande e complesso. La sua denuncia coglie invece le aberrazioni di un sistema sanitario che produce senza tregua nuovi bisogni terapeutici. Tanto che la ricerca della salute appare esso stesso un fattore patogeno, e anzi «il fattore patogeno predominante». La medicina ha davanti a sé il compito di assegnarsi, come bussola morale e propositiva, un limite all'interno del quale conviene affrontare la sofferenza e accogliere la morte, anziché respingerla. «Visto l'intasamento dei non morti prodotto dalle cure - osserva caustico Illich - e considerata la loro miseria modernizzata, è ormai tempo di rinunciare a voler guarire la vecchiaia».
ILLICH E I PARADOSSI DELLA MEDICINA
PIÙ SANI, PIÙ TRISTI
Eugenia Tognotti
IN nessun momento storico l'umanità ha potuto disporre di tante possibilità di essere in buona salute come in questo che stiamo vivendo. E il futuro sembra annunciare uno scenario ancora più rico di promesse. La medicina molecolare sta spingendo la comprensione delle cause di malattia fino ai dettagli più minuti, consentendo di rintracciare un rimedio per ogni possibile malanno. La medicina «predittiva» sfiora il mondo della profezia, individuando i mali prima che si manifestino. La medicina, insomma, sembra aver appagato le speranze più profonde in termini di benessere mentale e fisico, esaudendo il desiderio di una vita meno minacciata o meno compromessa dalle sofferenze fisiche, dalle infermità, dalle menomazioni della vecchiaia e dalla morte. Il suo campo d'azione si è allargato «verticalmente» e «orizzontalmente», come ha scritto l'autorevole bioeticista americano Daniel Callahan, ora vi si comprendono anche il perseguimento del benessere fisico ed emozionale e il miglioramento dell'aspetto attraverso la chirurgia estetica. Ma ai nuovi poteri della medicina si ricorre anche per problemi sociali - l'abuso di droghe, lo stress psicologico legato al lavoro e alla vita quotidiana, le nuove paure - di cui nel passato si occupavano movimenti, partiti, sindacati. Eppure, la percezione soggettiva di benessere fisico non corrisponde alla realtà del fatto che la gente vive effettivamente più a lungo e in migliori condizioni di salute che nel passato. Eppure - è un fatto - la socializzazione della medicina e la medicalizzazione della società sembrano aver fallito lo scopo. Non ci sentiamo affatto più sani, più felici, più liberi da sofferenze rispetto al passato. È il cosiddetto «paradosso della salute».
Il numero di malesseri, di disturbi, di sintomi fisici e motivi d'invalidità cresce anzi di anno in anno e nonostante i portentosi successi conseguiti nella lotta alla malattia e alla morte, dominano un'inquietudine e un'ansia generalizzate. Le cause sono diverse. Lo stesso proporsi orizzonti illimitati (come quello di cancellare la vecchiaia e la morte e perfino di garantire la felicità) da parte della medicina e l'idea di dominare la natura, prima considerata una barriera insuperabile, hanno creato nuovi problemi e tante illusioni. Prima dell'avvento della medicina moderna uno sforzo di secoli aveva portato a dare significato al dolore e alla sofferenza, e ad accettare l'idea della morte come parte della condizione umana. La spietata battaglia per cancellarla, porta quasi a considerare un anacronismo storico il modello del ciclo di vita che comprende il declino, l'invecchiamento, la fine della vita. Sono i temi al centro del libro Nemesi medica. L'espropriazione della salute (Bruno Mondadori), scritto dal filosofo e antropologo Ivan Illich, scomparso due anni fa. A quasi trent'anni di distanza dalla sua prima edizione, quest'ultima, arricchita da due nuovi saggi - tra cui la bella prolusione tenuta nel 1998 a Bologna al Convegno «Malattia e salute come metafore sociali» - offre materia di riflessione anche a chi non condivide la furia iconoclasta di Illich contro la medicina occidentale, di cui si devono pur tenere in conto i valori applicativi, conoscitivi e morali. Del resto gli ultimi saggi lasciano intravedere una meditazione più distesa, rispetto alle corrosive analisi della stagione culturale e ideologica che fece da sfondo alla prima edizione e ad alcune sue clamorose prese di posizione. Le cronache ricordano la provocatoria divulgazione di dati statistici, in seguito a uno sciopero ospedaliero in Francia, con cui si proponeva di dimostrare che senza medici c'era stata una sensibile diminuzione di decessi, a conferma della tesi da lui sostenuta che tra salute della gente e assistenza medica non esiste nessuna correlazione.
Ma all'alba del XXI secolo, la sua denuncia non ha come obiettivo prioritario i medici, «non più al timone della biocrazia» e parte di un ingranaggio più grande e complesso. La sua denuncia coglie invece le aberrazioni di un sistema sanitario che produce senza tregua nuovi bisogni terapeutici. Tanto che la ricerca della salute appare esso stesso un fattore patogeno, e anzi «il fattore patogeno predominante». La medicina ha davanti a sé il compito di assegnarsi, come bussola morale e propositiva, un limite all'interno del quale conviene affrontare la sofferenza e accogliere la morte, anziché respingerla. «Visto l'intasamento dei non morti prodotto dalle cure - osserva caustico Illich - e considerata la loro miseria modernizzata, è ormai tempo di rinunciare a voler guarire la vecchiaia».
archeologia
tra 3000 e 1800 anni fa, in Perù, visse una cività complessa
L'Unità 27.12.04
SCOPERTA IN PERÙ LA PIÙ ANTICA CIVILTÀ "COMPLESSA"
di Francesca Conti
La più antica civiltà complessa nell'emisfero occidentale è stata scoperta in tre valli a nord della capitale peruviana Lima.
La scoperta, pubblicata sulla rivista "Nature", è frutto del lavoro di un team di archeologi del Field Museum di Chicago, coordinati da Jonathan Haas.
Gli esperti sapevano gjà da tempo dell'esistenza, in queste valli, di un popolo noto come Norte Chico. Fino a oggi però non si pensava che si trattasse di una cultura particolarmente sofisticata. Anche perché, nel corso deli anni '70 e '80 del Novecento era stata sostenuta con vigore dagli archeologi la teoria che le prime grandi civiltà Amerinde fossero fiorite sulle rive del mare e non all'interno del continente.
Gli scavi peruviani dei mesi scorsi hanno però inaspettatamente portato alla luce sistemi architettonici raffinati che comprendono piramidi in pietra e strutture cerimoniali risalenti a un periodo compreso tra il 3000 e il 1800 avanti Cristo. Ben prima di altre civiltà complesse vissute nel Nuovo Mondo. Durante gli scavi sono stati individuati circa 20 centri residenziali, di varie forme e dimensioni con un'estensione variabile tra i 10 e più di 100 ettari.
Secondo quanto emerso dalle ricerche, sembra si possa ipotizzare l'esistenza di un certo grado di competizione tra i centri abitati. Ciascuno, infatti, mirava alla realizzazione degli edifici più alti. Il record assoluto era stato raggiunto da una struttura di circa 26 metri, paragonabile in altezza a un moderno palazzo di 8 piani.
Alcuni edifici sembrano inoltre presentare alla loro sommità quelle che sembrano vere e proprie terrazze.
Le costruzioni erano disposte intorno a grandi piazze circolari e forse dalle terrazze se ne godeva la vista. Oltre ai grandi edifici, gli archeologi hanno portato alla luce anche statuine e altri oggetti che avevano un valore religioso o cerimoniale.
Secondo lo studio, il popolo di Norte Chico praticava una agricoltura basata essenzialmente sulla produzione di cotone, che poi veniva scambiato con il pesce proveniente dai villaggi costieri. Il cotone prodotto nelle valli era prezioso per i pescatori che lo utilizzavano per la fabbricazione delle reti da pesca.
Per la coltivazione del cotone il popolo di Norte Chico aveva realizzato una serie di canali d'irrigazione molto articolati, anche quelli rinvenuti grazie agli scavi. Misteriosamente dopo il 1800 avanti Cristo, questi insediamenti vennero abbandonati e la cività si spostò altrove, portando probabilmente con sé le conquiste culturali ottenute.
Non è ben chiaro perché ci sia stata questa migrazione, ma forse il motivo va ricercato nella maggiore produttività dei suoli delle valli situate a Nord o a Sud del Norte Chico.
SCOPERTA IN PERÙ LA PIÙ ANTICA CIVILTÀ "COMPLESSA"
di Francesca Conti
La più antica civiltà complessa nell'emisfero occidentale è stata scoperta in tre valli a nord della capitale peruviana Lima.
La scoperta, pubblicata sulla rivista "Nature", è frutto del lavoro di un team di archeologi del Field Museum di Chicago, coordinati da Jonathan Haas.
Gli esperti sapevano gjà da tempo dell'esistenza, in queste valli, di un popolo noto come Norte Chico. Fino a oggi però non si pensava che si trattasse di una cultura particolarmente sofisticata. Anche perché, nel corso deli anni '70 e '80 del Novecento era stata sostenuta con vigore dagli archeologi la teoria che le prime grandi civiltà Amerinde fossero fiorite sulle rive del mare e non all'interno del continente.
Gli scavi peruviani dei mesi scorsi hanno però inaspettatamente portato alla luce sistemi architettonici raffinati che comprendono piramidi in pietra e strutture cerimoniali risalenti a un periodo compreso tra il 3000 e il 1800 avanti Cristo. Ben prima di altre civiltà complesse vissute nel Nuovo Mondo. Durante gli scavi sono stati individuati circa 20 centri residenziali, di varie forme e dimensioni con un'estensione variabile tra i 10 e più di 100 ettari.
Secondo quanto emerso dalle ricerche, sembra si possa ipotizzare l'esistenza di un certo grado di competizione tra i centri abitati. Ciascuno, infatti, mirava alla realizzazione degli edifici più alti. Il record assoluto era stato raggiunto da una struttura di circa 26 metri, paragonabile in altezza a un moderno palazzo di 8 piani.
Alcuni edifici sembrano inoltre presentare alla loro sommità quelle che sembrano vere e proprie terrazze.
Le costruzioni erano disposte intorno a grandi piazze circolari e forse dalle terrazze se ne godeva la vista. Oltre ai grandi edifici, gli archeologi hanno portato alla luce anche statuine e altri oggetti che avevano un valore religioso o cerimoniale.
Secondo lo studio, il popolo di Norte Chico praticava una agricoltura basata essenzialmente sulla produzione di cotone, che poi veniva scambiato con il pesce proveniente dai villaggi costieri. Il cotone prodotto nelle valli era prezioso per i pescatori che lo utilizzavano per la fabbricazione delle reti da pesca.
Per la coltivazione del cotone il popolo di Norte Chico aveva realizzato una serie di canali d'irrigazione molto articolati, anche quelli rinvenuti grazie agli scavi. Misteriosamente dopo il 1800 avanti Cristo, questi insediamenti vennero abbandonati e la cività si spostò altrove, portando probabilmente con sé le conquiste culturali ottenute.
Non è ben chiaro perché ci sia stata questa migrazione, ma forse il motivo va ricercato nella maggiore produttività dei suoli delle valli situate a Nord o a Sud del Norte Chico.
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