Corriere della Sera 9.2.05
Arriva al cinema «Un silenzio particolare»: le vacanze di un giovane di 26 anni, tra momenti sereni e aggressività
«Mio figlio schizofrenico, la sua vita è un film»
Il regista Rulli: uno sguardo sulla malattia, eppure prima mi vergognavo di lui
di Valerio Cappelli
ROMA - Matteo ha occhi indifesi, dolcissimi. Ma lo sguardo può cambiare presto, e gli occhi diventano quelli di un gatto di notte, rossi, come in una foto col flash, e comunicano uno smarrimento diverso, un felino che sta per aggredirti con un balzo improvviso. Matteo, 26 anni, è schizofrenico. E’ il protagonista del diario di una famiglia diversa dalle altre. Non c’era l’idea di farne un film.
Un silenzio particolare esce l’11 febbraio, distribuito da Nanni Moretti. Si raccoglieranno fondi per aiutare il casale in Umbria fondato dal padre di Matteo, Stefano Rulli, uno degli sceneggiatori italiani più ispirati. Il casale, nella campagna tra Orvieto e Todi, è in vendita e si rischia di vanificare un lavoro cominciato cinque anni anni fa. Rulli ha scritto
La Piovra,
Meri per sempre,
Ladro di bambini,
La meglio gioventù. Tanti film in coppia spesso con Sandro Petraglia.
Un silenzio particolare era nato come una promozione del casale «La città del sole» e ospita chi ha in famiglia portatori di handicap ma anche turisti. Il primo giorno ognuno siede al proprio tavolo, il secondo giorno i tavoli si uniscono, la terza sera si balla tutti insieme. Qui Rulli è il regista della sua vita. Le vacanze sono per quelle famiglie il momento più difficile. «Molti alberghi - dice Rulli - ti rifiutano. E se prendi la casa in affitto non hai più l’assistenza degli psichiatri, sei completamente solo. Matteo era fuori campo, ha deciso lui di entrare nelle immagini, di diventare protagonista e lasciare che si raccontasse la sua storia. E’ cominciato tutto un po’ per scherzo, una cinepresina digitale, non oppressiva, l’operatore che era suo amico. Matteo si è fidato».
Nel film, Matteo non ha alcun rapporto con la madre, Clara Sereni, una donna con un forte impegno civile. «C’era un problema di aggressività di Matteo, un elemento di confusione, come se non ci fosse la capacità di distinzione della madre, che era un prolungamento di sé. C’era una forma di autolesionismo. L’aggressività è l’ultimo livello di una comunicazione mancata, è il tentativo di comunicare un’emozione». Ecco però un abbraccio finale tra loro due, madre e figlio. «E’ stata una conquista degli ultimi anni. L’abbraccio, che è una delle cose più istintive, è stato un processo complesso, è difficile per Matteo stringere e farsi stringere, e in quell’unico abbraccio rimane un che di sgraziato, di poco naturale».
La società ha le sue regole, le sue griglie, le sue convenzioni. Loro hanno sperimentato gli sguardi impauriti degli altri, la fuga degli amici, il bisogno di normalità. «La società ha le sue paure, ma io non ho mai colpevolizzato nessuno. Col film non volevo lanciare un messaggio ma provare a dare un nuovo sguardo su cose che la gente conosce per sentito dire. Trent’anni fa con
Bellocchio avevo realizzato
Matti da slegare sullo stesso tema, ma lì c’era un eccesso ideologico, i buoni di qua e i cattivi di là. Mancava il mistero».
La sua prima reazione, quando scoprì la malattia del figlio, fu «una incomprensibile vergogna, non riesci a dire "mio figlio è handicappato", se questo è il sentimento che hai, non ce la fai». In una scena cruda Matteo ha una crisi. «A una festa aveva dato un regalo a un amico, davanti a tutti. E a me non bastava, gli avevo chiesto di ballare, di essere normale. Lui ha reagito con violenza... Aveva 3 anni quando mi sono accorto del suo problema. A 7 ho capito che la normalità potevo metterla nel cassetto. Quando ti scatta il meccanismo dell’ora X è il momento più disperato, quando ti domandi: imparerà a leggere e a scrivere? C’è una linea di demarcazione tra normalità e diversità: la supera o no? Se pensi che la supera, se aspetti l’ora x dei miglioramenti che non vedi...».
Nel film è un padre paziente, premuroso, sensibile. «In realtà ho commesso tanti errori. Ho avuto gli anni delle rabbie, delle aspettative eccessive, ho combattuto l’impotenza, la vergogna». Ripensa a quella volta che Matteo durante una crisi prese a testate il vetro di un’edicola romana, l’edicolante protestò per il danno e quella volta esplose lui, Stefano, il padre.
Come mai il titolo richiama un aggettivo inflazionato, usurato: «particolare»? «E’ vero, è una parola consumata, ma l’ha pronunciata Matteo in un giorno di forte vento che lo stordiva, c’era in lui un desiderio di silenzio. C’era una verità dietro quella parola».
Matteo oggi vive in casa con amici che stanno come lui, aiutato da una coppia. Quando si è rivisto si è aperto in un sorriso. Gli occhi non erano da gatto nella notte. Erano solo dolci.
La Stampa 9.2.05
Il rispetto e l’angoscia per il figlio da slegare
PRIME CINEMA
«Un silenzio particolare» racconta un mondo speciale, insegna a conoscere il modo di vivere delle persone con problemi psichici
di Lietta Tornabuoni
UN silenzio particolare» di Stefano Rulli è un film non soltanto intenso e bello, ma prezioso: insegna a conoscere il modo di vivere delle persone con problemi psichici (affetti da autismo, parrebbe; ma nessuna malattia viene nominata); insegna la maniera rispettosa, affettuosa e attiva con cui queste persone debbono essere trattate per sentire meno il vuoto, l'abbandono, l'angoscia; insegna il coraggio, l'intelligenza, la tenerezza e la pazienza con cui i genitori possono affrontare il destino proprio e del figlio. La scrittrice Clara Sereni e lo sceneggiatore Stefano Rulli hanno avuto un figlio ora ragazzo, Matteo, con problemi psichici: con grande forza d'animo, generosità e bravura, mettono in scena la loro piccola famiglia e gli amici in difficoltà, spesso giovani, che si ritrovano per le vacanze, le feste, i matrimoni, nei casali della Country House nella campagna perugina della Fondazione «La città del sole» da loro ideata.
Raccontano un mondo speciale, dove per fortuna mancano il buon senso, la ragionevolezza, l'egocentrismo, mentre non mancano la musica, la gaiezza, l'estro. Persone dalle facce alterate si lamentano, recitano versetti, cantano, ballano, ridono incongruamente, parlano spesso in modo incomprensibile oppure tacciono. C'è sempre qualcuno che si stringe in un angolo, muto, con gli occhi vuoti. Matteo Rulli, che non abita con i genitori ma con due amici, appare all'inizio nei film domestici piccolino con lo sguardo già nebbioso, poi cresciuto: sta sempre solo da una parte, dentro l'automobile o all'aperto. È davvero bello. Gli càpita di prendere a pugni il padre, di rifiutare la madre; contempla e tocca la faccia paterna trovandola invecchiata; sente male al collo o al cuore, piange, non arriva ad addormentarsi; ha repentine crisi di violenza. Poi si addolcisce, canta se stesso bambino («pioveva e tirava/un forte vento/il bimbo Matteo/era abbastanza contento»): l'ultima immagine lo mostra, con la dolcezza di un lieto fine, abbracciato alla madre sempre respinta.
Senza trama, senza effetti nella fotografia e nelle riprese di Ugo Adilardi, «Un silenzio particolare» è il racconto più eloquente di una condizione umana che si potrebbe avere l'orgoglio fiero di saper vivere.
La Stampa 9.2.05
PARLA IL REGISTA CHE HA FIRMATO CON PETRAGLIA UNA TRENTINA DI SCENEGGIATURE, DA «MATTI DA SLEGARE» ALLE «CHIAVI DI CASA» DI AMELIO
Rulli: il mio Matteo aiutato dal cinema
«Non dobbiamo temere i disagi mentali, un film può aiutare»
ROMA. UNA macchina da presa digitale, una troupe minuscola, un budget «superpovero». Ma soprattutto un coraggio grandissimo. Quello di un padre che decide di raccontare in un film la vita difficile di un figlio malato. Sceneggiatore dagli Anni ‘80, dopo aver scritto su note riviste di critica cinematografica e dopo aver girato, nel ‘75, con Silvano Agosti,
Marco Bellocchio e Sandro Petraglia, il documentario «Matti da slegare», Stefano Rulli ha girato «Un silenzio particolare» (nelle sale da venerdì distribuito dalla Sacher Film) perché è sempre utile far sapere. Parlare di un’esperienza complessa, su cui grava spesso «un atteggiamento di paura e di chiusura», mostrare le diverse dinamiche di famiglie che, pur vivendo una grande tragedia, conoscono «l’intensità di emozioni straordinarie».
All’inizio, nel ‘98, il film doveva essere una testimonianza sulle attività della «Città del sole», la fondazione creata da Rulli e da sua moglie, la scrittrice Clara Sereni, per «sperimentare progetti di vita con persone che hanno problemi mentali più o meno gravi». A mano a mano che le riprese andavano avanti, il loro figlio, Matteo, 26 anni, anche lui ospite della struttura, ha iniziato a mostrare interesse per l’esperimento: «Entrava in campo mentre giravamo, era come se volesse partecipare al gioco. Ho provato a vedere se aveva voglia di stare davanti alla macchina da presa, e così l’asse del racconto si è spostato, il documentario è diventato un film su di noi».
Davanti a quelle immagini Matteo è rimasto assorto: «Ha seguito la proiezione fino in fondo, senza mai alzarsi, e alla fine ci ha detto: “voglio rivedere Matteo che piange”. Il fatto che lui avesse accettato la prova mi ha spinto a credere che fosse giusto mostrare il film anche agli altri». Intorno ai mutismi, alle tristezze, alle ribellioni del protagonista, si muovono gli altri personaggi della storia, ospiti della speciale casa di vacanza, intervistati dal regista, ritratti mentre parlano con gli amici e con i parenti: «Loro avvertono il senso del rifiuto, sentono di essere percepiti come problema, perciò raccontarli e mostrarli, anche con orgoglio, è qualcosa che migliora i rapporti».
Per tutti i genitori che vivono il dramma di un figlio con disagi psichici, racconta ancora Rulli, «esiste il sogno dell’ora x. Quella in cui il figlio diventa finalmente normale». Ma l’ora x non arriva e allora bisogna ripensare una vita con traguardi diversi: «Prima di arrivare a vestirsi da solo Matteo ha compiuto un percorso lungo e difficile, riuscire ad abbottonarsi una camicia è stata per lui una conquista». E così per tante altre cose. L’importante, come dice nel film Clara Sereni (sono suoi «Casalinghitudine» e «Passami il sale»), è dare «tempo e fiducia». Abituarsi a ritmi differenti: «Quando facciamo una domanda ci aspettiamo una risposta in un certo spazio di tempo. Con Matteo, e con le persone che soffrono come lui di malattie mentali, le risposte arrivano in un altro modo. Bisogna saperle aspettare, senza imporre tempi “normali”». Per Matteo che soffriva molto del «problema della separazione, anche da una stanza all’altra», l’esistenza, con gli anni, è cambiata profondamente: «Oggi lavora, fa l’assistente cuoco, vive con ragazzi fuori sede che non hanno i suoi problemi. E di recente è stato in viaggio in Chiapas, per un mese, con due amici. Quando è tornato era contentissimo».
Stefano Rulli ha firmato con Sandro Petraglia circa una trentina di sceneggiature. Tra queste quella del film di Gianni Amelio «Le chiavi di casa» di cui, come si sa, è protagonista un ragazzo disabile: «Ho partecipato come a tutti gli altri film, il mio apporto non è stato diverso. Il lavoro straordinario lo ha fatto Amelio, realizzando un film dalla valenza universale, sul dolore della vita. La ricchezza principale delle “Chiavi di casa” sta nella regia, in quello che lui è riuscito a fare sul set. In quel caso la scrittura non poteva prevedere più di tanto».
Ora Rulli sta scrivendo di nuovo: «Ho quasi finito la sceneggiatura del nuovo film di Daniele Luchetti, tratto dal libro di Antonio Pennacchi ”Il fasciocomunista”. Al centro della storia, ambientata tra Latina, Roma e Milano, un personaggio che prima è fascista e anche picchiatore, e poi diventa comunista. Nel valutare l’insieme di questa esperienza politica si avverte il senso del pericolo del vivere imprigionati dentro gli schemi».
Il Messaggero Mercoledì 9 Febbraio 2005
LA RECENSIONE
“Un silenzio particolare”, ritratto privato: Rulli sfida le nostre certezze
di FABIO FERZETTI
ROMA Matteo di fronte a se stesso bambino, in braccio alla mamma in un vecchio superotto. Matteo oggi, a 24 anni, che implora di abbassare il volume. Matteo che resta chiuso in auto mentre gli altri fanno festa alla Città del Sole, un agriturismo aperto dai suoi perché «tutte le diversità e tutte le vite hanno diritto di essere ospitate e rispettate», ma lui vuole restarsene a casa sua, altro che storie. Matteo di colpo aggressivo che strattona la madre ma subito si preoccupa («Ti ho fatto male?»), che piange pentito col padre, che si dispera perché anche segare un ramo per lui è un’impresa.
E poi Matteo che ascolta felice la madre cantare alla chitarra il giorno della sua nascita. Matteo che fa le rime a una festa di nozze («E bravi Spizzichini, ma quando li fate altri bambini?»). Matteo che si vede mettere in braccio una neonata gesto imprevedibile e abbagliante, dimostrazione di amore e fiducia totali e dopo un attimo di esitazione se la culla, se la coccola come se fosse sua. O chissà, come se in quella creaturina inerme rivedesse se stesso.
Certi film sono una sfida. Per chi li fa, innanzitutto, e poi per chi li vede. Una sfida al senso comune, alle nostre certezze, alla nostra capacità di affrontare ciò che in genere escludiamo dal nostro sguardo. Un silenzio particolare , il toccante documentario di Stefano Rulli visto a Venezia che da venerdì sarà al Nuovo Sacher di Roma, è uno di questi lavori. Duro perché dura è la condizione di Matteo, il figlio disabile psichico di Rulli e della scrittrice Clara Sereni, che qui ha dovuto rinunciare al filtro della pagina scritta. Tenero perché con Matteo, che parla, capisce, ragiona e a volte canta, addirittura, ma è chiuso in un mondo tutto suo, dare e ricevere amore è una lotta quotidiana. Inflessibile perché di fronte alla psiche insondabile di Matteo l’unica arma è la fermezza.
E ferma, ma vibrante di pudore, è anche la mano di Stefano Rulli, sceneggiatore e regista; che quasi trent’anni dopo il memorabile
Matti da slegare, documentario girato con Agosti,
Bellocchio e Petraglia sui degenti di una casa di cura “liberati” da Basaglia, ha affrontato la diversità dall’interno. Da testimone costretto a trovare, dopo quello di vivere, il coraggio di rappresentare la sua storia. Che significa cercare i silenzi e le parole, le immagini e le pause per raccontare la fatica e insieme il dubbio, la pietà, la sorpresa continua. Perché in una vita così è sempre l’alba, sempre l’infanzia, ogni giorno bisogna ridare un nome alle cose e ai sentimenti fondamentali. Ma è proprio questo, forse, a rendere l’esperienza di Matteo e dei suoi genitori, oltre che vera e straziante, così preziosa.
Repubblica 9.2.05
Il film, da venerdì nelle sale, è la storia della "Città del sole" che accoglie persone problematiche
La dolce voce del silenzio
Rulli diventa regista per raccontare il figlio Matteo
il senso Mi sono reso conto degli errori che faccio normalmente Finalmente il mio lavoro ha acquistato un senso per lui
MARIA PIA FUSCO
ROMA - L'intenzione iniziale di Stefano Rulli - lo sceneggiatore che, con Sandro Petraglia, è oggi un punto di riferimento essenziale per tanto cinema bello e per la tv di qualità (
"La meglio gioventù") - era di girare un documento sulle attività della Fondazione "La città del sole", l'agriturismo sorto in Umbria per accogliere tutti, persone con problemi e persone cosiddette normali. Poi la presenza di Matteo, il figlio di Rulli e della scrittrice Clara Sereni, s'è imposta, sempre più forte, sempre più significativa, e il documentario, Un silenzio particolare (esce l'11 a Roma al Sacher e in altre città) è diventato una storia di famiglia, un film privato di Matteo, Clara e Stefano.
Matteo è un ragazzo con problemi psichici. In
Un silenzio particolare appare bambino in un vecchio superotto sgranato, lo sguardo assorto, vacuo, un'insolita inerzia tra le braccia della madre. Oggi ha vent'anni, è bello, l'espressione lontana, chiusa in un mondo a tratti impenetrabile, che però a tratti si apre in un sorriso dolcissimo, disarmate, un messaggio d'amore. «Avevo cominciato a girare alla fine del 2001, ho continuato a raccogliere materiale fino a poco tempo fa. Ci sono le interviste agli ospiti della "Città del sole", c'è il matrimonio di due amici di Matteo, ci sono i momenti di festa e di malinconia, ma in montaggio è venuto naturale lo spostamento dell'attenzione su mio figlio», dice Rulli.
Quando hanno rivisto il film, con sua moglie Clara, «è stato un momento di grande disagio, una testimonianza d'imbarazzo. Ma anche, per me, un momento di conoscenza importante, ho colto cose che non sapevo, mi sono reso conto di errori che commetto con Matteo, quando insisto nelle richieste, quando non rispetto i suoi tempi e gli chiedo di fare cose senza aspettare che lui le abbia elaborate». Ma quando hanno rivisto insieme il film, genitori e figlio, «ho capito di aver fatto una cosa giusta. Matteo si è osservato, ha chiesto di rivedere alcune sequenze, e finalmente il mio lavoro, che lui non ama, non vuole sentirne parlare, ha acquistato un senso».
Da sempre Rulli e sua moglie hanno cercato di rompere un tabù, quello «del pudore di tanti genitori di figli handicappati, in un mondo così pieno di pregiudizi ci si vergogna a dichiararlo. Ho un figlio con problemi è più facile da dire piuttosto che "handicappato"». Il film di Rulli - il titolo viene da Matteo che in una notte di vento furioso implora che smetta e arrivi un "silenzio particolare" - è un film da vedere perché è un grido contro ogni tabù, perché, dice Rulli, «non ho voluto raccontare i problemi ma le persone, con i loro sogni, le paure, il bisogno d'amore. Sono emozione che non passano per le parole, ma in un altrove di sguardi, di gesti, di silenzi, di esitazioni. Se solo imparassimo la pazienza di rispettare i loro tempi, sarebbe facile capire e comunicare».