domenica 17 ottobre 2004

legge sulla fecondazione e movimenti celesti

Il Sole 24ore Domenica 17.10.04
Filosofia minima
Il referendum assistito da Dio
di Armando Massarenti

Secondo il presidente del Comitato nazionale per la bioetica, Francesco D'Agostino, è assurdo fare un referendum per abrogare la legge sulla fecondazione assistita. «Nella scienza non c'è democrazia - dice -. Tocca alla scienza e non ai politici dire quando c'è un embrione e cos'è». Come dargli torto? Se una cosa è vera dal punto di vista scientifico, davvero è assurdo sottoporla a un voto. Se è vero che la terra gira intorno al sole, che senso ha metterlo ai voti?
Ma c'è qualcosa che non quadra. È il fatto, per nulla secondario, che la legge sulla fecondazione assistita ha generato sconcerto, prima che tra i cittadini, proprio tra gli scienziati. Difficile che, tra di loro, si senta qualcuno dire che l'«embrione è una persona», e tantomeno che va salvaguardato anche a danno di un essere umano fatto e finito. E sono proprio loro, gli scienziati, a chiedersi, come si sia potuto immaginare di arrivare a una tale legge su questa materia con un voto parlamentare. Il che conferma ciò che dice D'Agostino. Certe cose andrebbero sottratte al voto: fin dall'inizio, però. È non solo le acquisizioni scientifiche, ma anche alcuni diritti fondamentali, che sono dei vincoli che impediscono che un giorno il parlamento si svegli e pensi di mettere ai voti - per esempio - l'abolizione della libertà di parola. O la libertà di provare ad avere un figlio, possibilmente sano. Che è esattamente quello che la legge sembra calpestare.
Si racconta che, all'inizio del secolo scorso, un consiglio comunale avesse avuto l'idea di mettere ai voti l'esistenza di Dio. Il quale ne è uscito perdente. Ora, in un certo senso, la cosa potrebbe ripetersi, e su scala molto più vasta. Ci rendiamo conto dell'imbarazzo da parte di qualcuno che aveva fatto male i suoi conti. Per fortuna non è così sicuro che Dio sia dalla sua parte.
[...]
a.massarenti@ilsole24ore.com

insonnia

Corriere della Sera 17.10.04
Una ricerca americana ha sostituito la psicoterapia ai sonniferi
L’insonnia? Ecco le lezioni per dormire
di GIUSEPPE REMUZZI

C’è una regola inventata nel Quattrocento: «Sex horis dormire sat est juvenique, senique; septem vix pigro, nulli concedimus octo». Ad un giovane e anche a un vecchio sei ore di sonno bastano. Sette si possono concedere a un pigro, ma nessuno dorma più di otto ore. A dispetto della Scuola Medica Salernitana (1479), oggi le persone che non dormono sono tantissime (soltanto in Italia, otto milioni, forse di più). Quasi tutti sentono un medico. Che quasi sempre dà un farmaco con cui si dorme, certo, specialmente i primi giorni, ma a lungo andare ci si abitua. Allora si aumentano le dosi. Qualcuno continua a non dormire, altri, che comunque di notte dormono male, qualche volta dormono di giorno. Fra l’altro i sonniferi danno assuefazione e certe volte disturbi anche più gravi, ma si continuano a prescrivere. Possibile che non ci siano alternative? Forse sì.
Gregg D. Jacobs, dell’Università di Harvard, si è chiesto se non si potesse «insegnare» a dormire, come si insegna a guidare, per esempio. Lui e i suoi collaboratori - il lavoro è pubblicato su Archives of Internal Medicine di questi giorni - hanno confrontato una terapia psicocognitiva (è fatta per capire i nostri comportamenti) con un ipnotico. La psicoterapia era impegnativa: quattro sedute alla settimana di trenta minuti per tre settimane, poi altre due chiacchierate al telefono per altre due settimane. In queste conversazioni si aiutavano gli insonni a capire le ragioni del loro non dormire e in più si insegnavano certe regole: non stare troppo a letto, alzarsi sempre alla stessa ora al mattino (anche se si è dormito poco). Usare la camera da letto solo per dormire (ed eventualmente per fare l’amore). Se non si dorme, alzarsi e fare qualcosa d’altro finché non viene sonno. Lo studio ha dimostrato che la psicoterapia da sola era più efficace del farmaco. Tutto risolto allora? Non è detto.
Anche se questo studio è molto ben fatto, meglio di qualunque altro studio sull’insonnia, ha dei limiti. Sono state studiate soltanto 63 persone, forse non abbastanza per trarre conclusioni definitive. Chi ha partecipato allo studio lo ha fatto in risposta ad un annuncio che c’era sul giornale (chissà, forse erano i più disponibili ad imbarcarsi in una psicoterapia e non è detto che rappresentino la popolazione generale). E poi le rilevazioni sono state fatte solo per qualche mese: è un po’ poco. Se però la psicoterapia cognitiva si dimostrasse davvero meglio dei sonniferi, i vantaggi sarebbero enormi. A cominciare dai costi, visto che oggi in Italia si spendono per l’insonnia quasi tre miliardi di euro.
Su Nature di queste settimane c’è un bellissimo lavoro: da 25 anni in qua si dorme sempre meno, ma se si dorme poco aumentano i costi sociali, diminuisce la produttività, aumentano gli incidenti (muoiono in Italia a causa di «colpi di sonno» 8.000 persone all’anno, senza contare i feriti) e aumentano le malattie (soprattutto malattie infettive e malattie del sistema immune).
Chissà se è vero che Dimitri Ivanovic Mendeleev - il grande scienziato russo -, la tavola periodica degli elementi l’ha concepita nel sonno. Forse no. Ma che dal sonno possano venire idee geniali è confermato da un altro bel lavoro pubblicato ancora su Nature, ancora quest’anno. Se è così, vale la pena di fare tutto per non mettere a repentaglio queste straordinarie funzioni del cervello. (Cominciando dall’evitare quei farmaci che, alla lunga, le possono compromettere).

Marco Bellocchio

La Sicilia - Agrigento 17.10.04
Bellocchio a caccia di talenti
di Giuseppe Patti

Oggi e domani per molte ragazze licatesi potrebbe avverarsi il sogno di entrare nel mondo dorato del cinema. La Models and Hostess Agency di Licata, infatti, è stata incaricata da un'agenzia di Roma, di segnalare un casting di ragazze da mandare domani a Roma per una selezione. Una sola delle ragazze segnalate avrà la parte di coprotagonista di una produzione italiana che verrebbe girata tra Roma e la Sicilia, la cui regia è stata affidata a Marco Bellocchio, regista conosciuto per aver vinto l'orso d'argento al cinema di Berlino nel 1994 con «Il sogno della farfalla» e il «David» di Donatello nel 1999 con «La balìa» tratto liberamente dall'omonimo romanzo di Pirandello. Il titolo del film in questione è «Il regista dei matrimoni», ambientato, come detto, in Sicilia. A parte il ruolo di coprotagonista, la produzione sta cercando anche dei volti per ricoprire ruoli di secondo piano e marginali, che saranno cercati esclusivamente tra ragazze siciliane. Le selezioni si svolgeranno a Roma domani, tra le 12 e le 16 in un luogo che verrà reso noto al momento della presentazione del curriculum presso l'agenzia licatese entro, e non oltre, oggi. Le ragazze dovranno avere un'età compresa tra i 18 e i 24 anni, e dovranno presentarsi con una foto ed il proprio curriculum vitae. Non necessariamente le ragazze che vorranno presentarsi alla selezione dovranno avere alle spalle un'esperienza cinematografica o nello spettacolo, ma almeno dovranno esser portate per le pubbliche relazioni ed avere una belle presenza. Non è la prima volta che ragazze licatesi partecipano a produzioni più o meno importanti, è successo, appena un anno fa con «Il sole tra le tenebre» film girato quasi per intero in città, o con «Piove al Sole», un lungometraggio autoprodotto da un associazione culturale di Ravanusa che fu girato lungo le spiagge licatesi e nel cuore della vecchia Marina. Anche in quel caso, i protagonisti, per la quasi totalità risultarono essere licatesi. Nel caso de «Il regista dei matrimoni» si tratterebbe di una produzione importante diretta da un regista che ha già avuto molti successi di critica nella sua carriera e che ha già dimostrato, nonostante sia piacentino, di amare la nostra terra.

il libro del papa
il male e il bene e dio...

Repubblica 17.10.04
LE IDEE
Il Dio di Wojtyla tra nazismo e comunismo
Hitler, Stalin e la Provvidenza
alcune riflessioni dopo l´anticipazione del libro di Giovanni Paolo II
Anche il bene assoluto produce un male assoluto. E non necessario
È impossibile per i laici leggere la storia come un disegno di Dio
di MARIO PIRANI

Le brevi anticipazioni del libro del Papa, Memoria e identità, credo abbiano suscitato, particolarmente in tutti coloro che gli sono più o meno coetanei, un sentimento di coinvolgimento diretto ed un´attesa per il testo integrale. Giovanni Paolo parla, infatti, in prima persona e, proprio nella veste di testimone superstite, fornisce la sua deposizione sul secolo terribile che abbiamo attraversato. L´incipit del brano pubblicato recita: «Mi è stato dato di fare esperienza personale della realtà delle ideologie del male. E´ qualcosa che resta incancellabile nella mia memoria. Prima ci fu il nazismo. Quello che in quegli anni si poté vedere era già cosa terribile...».
Un inizio folgorante, da grande romanzo autobiografico. Poi il discorso s´intreccia alle sofferte e dubbiose riflessioni sulle due grandi tragedie attraversate soprattutto dai popoli europei, il nazismo e il comunismo. Ma, mentre il primo sembra condannato in assoluto, per il secondo Wojtyla si chiede se «quel male fosse in qualche modo necessario al mondo e all´uomo».
Egli tocca qui un tema - la sperequazione di giudizio tra le due dittature, in questi anni lamentata da molti, storici e no - che ha diviso le opinioni pubbliche, riverberandosi su un ampio arco di questioni: dal difficile riconoscimento reciproco tra destra e sinistra fino alla legittimità dello Stato di Israele, per chi lo percepisce come esito riparatore del Genocidio.
Certo, ha ragione Barbara Spinelli (La Stampa del 10 ottobre), nel ricordarci che questa «è una distinzione che concedono a se stessi i sopravvissuti... gli uccisi e i martoriati non hanno parola in questo nostro opinare e catalogare... i morti dei Lager e dei Gulag non parlerebbero del proprio dolore e della propria morte come di un male necessario e tanto meno utile».
Eppur tuttavia la distinzione operata dal Papa va valutata secondo un metro che a noi portatori di un pensiero laico non appartiene, il metro di una concezione cattolica che legge la Storia come disegno della Divina Provvidenza. Solo un «credo quia absurdum» può, infatti, tradurre in articolo di fede quel che per noi suona insopportabile e incomprensibile: «Il Signore Dio ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza e dopo dodici anni quel sistema è crollato. Si vede che quello era il limite imposto dalla Divina Provvidenza a una simile follia... la Divina Provvidenza concesse solo quei dodici anni allo scatenarsi di quel furore bestiale». Da questa affermazione il credente dovrebbe evincere che Auschwitz e l´annientamento degli ebrei d´Europa rientrino, comunque, in un disegno della Provvidenza di cui Hitler sarebbe stato semplicemente l´esecutore predeterminato entro quei dodici anni concessi, più che bastevoli tuttavia per completare l´opera assegnatagli. In questo quadro persino il libero arbitrio di fare o non fare il male si riduce ad un fittizio simulacro. Una concezione in qualche modo apparentata a quella di alcuni rabbini dell´ortodossia giudaica secondo cui la Shoah ha rappresentato la punizione per il popolo di Dio sempre più tentato dal processo di assimilazione ai gentili. Una via terribile per far recuperare ai sopravvissuti una identità in pericolo di estinzione.
Peraltro assai più confortante per quei credenti che non si accontentano di un Dio punitivo o «incomprensibile» è l´elaborazione teologica di quei mistici e filosofi ebrei che hanno affrontato con ben altro spirito «il concetto di Dio dopo Auschwitz» (vedi il libro di Hans Jonas, ed. il Melangolo). Una straordinaria meditazione imperniata sul concetto secondo cui «concedendo all´uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza... dopo Auschwitz una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile... ma se Dio può essere compreso... allora la sua bontà, cui non possiamo rinunciare, non deve escludere l´esistenza del male; e il male c´è in quanto Dio non è onnipotente». È anche questa la conclusione indicibile del Papa polacco? Possiamo per ora solo dedurlo non tanto dalle parole scritte quanto da atti altamente simbolici come la sua preghiera al Muro del Pianto e l´invocazione del perdono rivolta agli ebrei, atti che riflettono una revisione radicale, anche sul piano teologico, dell´accusa di deicidio che ha giustificato duemila anni di antigiudaismo. Una revisione che coglie il motivo essenziale della unicità della Shoah, non riducibile a una delle tante crudeltà della Storia ma individuabile nell´eterno riproporsi di una persecuzione, risalente alla comparsa del monoteismo nell´epoca pagana e perpetuatasi da quando il cristianesimo messianico delle origini si trasforma in religione dell´impero e trova attraverso i secoli nei testi della predicazione cattolica e nelle maledizioni luterane l´impianto accusatorio di una condanna perenne. Chi spezza il vincolo perverso che costringe la patristica a rispecchiarsi nei lager è stato Giovanni Paolo, sul cammino aperto da Giovanni XXIII. Il rovesciamento del vincolo porta al riconoscimento della unicità della Shoah, da cui consegue la definizione del nazismo come Male assoluto, «furore bestiale» come esclama nel suo ultimo scritto il Pontefice. Questa «bestialità», più volte ribadita, non segna, però, solo l´orrore per il Genocidio ma anche la conclusione di un percorso teologico che ha portato la Chiesa a concepire «la singolarità della Shoah in rapporto con la singolarità del Sinai», il luogo sacro dove, secondo la Bibbia, Dio si rivela e dà al popolo testimone le Tavole della Legge. Come ha scritto in un suo saggio in proposito il cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi: «La rivelazione del Sinai illumina il tesoro etico, comune a tutta l´umanità. Ecco perché lo sterminio del testimone dell´Unico è, anche sotto questo aspetto, un crimine contro l´umanità... La Shoah è la nera luce che rende possibile dare un nome agli orrori commessi in Bosnia o in Ruanda, ai crimini di Pol Pot, al genocidio armeno e agli infiniti altri massacri che si dissimulano sotto la veste menzognera delle giustificazioni politiche... per questo il significato orribile della Shoah non banalizza affatto le altre ferite del secolo».
Sul comunismo il giudizio è qualitativamente altro e più problematico. Si sovrappongono in esso, a render complessa la comprensione del pensiero papale, piani diversi che vanno individuati per capire quando è la politica che spiega la condanna (come, ad esempio, nella denuncia giustificatissima delle pretese sovietiche sulla Polonia e sull´Europa) e quando, invece, il discorso spazia fra teoria della storia e teologia ed investe il comunismo come ideale. Anche la stessa nozione di tempo muta: una cosa è prevedere - come scrive Karol Wojtyla - che dopo la vittoria della seconda guerra mondiale e dopo Yalta il potere sovietico «sarebbe durato per un periodo molto più lungo di quello nazista», altra cosa è immaginare che la durata del comunismo si sarebbe prolungata «per un tempo difficile da prevedere» in quanto «male necessario al mondo e all´uomo». E per spiegare il paradosso il Papa cita il Faust, laddove Goethe qualifica il diavolo come «quella forza che vuole sempre il male e produce sempre il bene». Sembra legittimo dedurre che in questo caso non si tratti solo di comunismo come regime statale e neppure come ideologia ordinatrice delle dittature ma altresì come idealità animatrice, ancorché fallace, di milioni di persone nell´universo mondo. Così come è legittimo chiedersi se quella idealità, in mutate spoglie contestatrici, non seguiti anche oggi in qualche modo ad alimentare movimentismi di vario segno.
Ciò detto si resta pur sempre ad una constatazione del paradosso papale, non ad una spiegazione. La più facile - ma non per questo erronea - è quella di chi individua nel forte afflato sociale di questo pontificato, punteggiato da Encicliche come la Laborem Exercens (1981), la Sollecitudo Rei Socialis (1987), la Centesimus annus (1991), il terreno su cui la condanna cristiana del capitalismo ateo, del profitto senza limiti, della legge sovrana del mercato può ibridarsi (e viceversa) con l´ideologia marxista e le sue proiezioni classiste, pur rigettandole in linea di principio.
Questo approccio, abbastanza scontato, mi sembra, peraltro, individui solo parzialmente le radici della riflessione sul «male» del comunismo. Vi è un passo, fra quelli pubblicati, che apre invece a una visione meno meccanicistica e più profonda, laddove Giovanni Paolo sostiene: «Se la libertà cessa di essere collegata con la verità e comincia a rendere la verità dipendente da sé, pone le premesse logiche di conseguenze morali dannose, le cui dimensioni sono a volte incalcolabili». Questo principio si attaglia perfettamente al comunismo se per esso intendiamo quella grande corrente di pensiero e di azione che nel XIX e nel XX secolo si è posta come compito di trasformare «il socialismo dalla utopia alla scienza». Con ciò assumendosi quale meta possibile e raggiungibile la costruzione di una società impregnata di assoluta giustizia ed eguaglianza, libera da ogni sfruttamento privato del lavoro, perfetta nella distribuzione dei beni («da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni»), pacificata nei suoi rapporti, spoglia di contraddizioni, pianificata negli sviluppi futuri. La pretesa «scientifica» di realizzare questo «paradiso in terra», attraverso la liberazione del lavoro salariato dalla schiavitù capitalistica, spogliava il sogno dal carattere utopico che aveva contraddistinto il socialismo evangelico delle origini. Trasferito nell´azione politica e teorica dei partiti comunisti si inverava nel convincimento dei militanti e dei «credenti» di essere depositari di una razionalità storica finalizzata a un Bene comune, il cui raggiungimento giustificava lacrime e sangue, violenza, dittatura, repressione, censura, annullamento dei diritti individuali e collettivi. E quando gli esiti perversi del grande esperimento «scientifico» di costruire la Storia e di riplasmare l´Uomo cominciarono ad emergere con la forza della realtà, si disse che i mezzi usati erano forse sbagliati, non i fini.
L´ambizione luciferina di costruire comunque una Gerusalemme terrena, contrapposta alla Gerusalemme celeste della religione trascendentale ha seguitato così ad alimentare sogni, speranze, utopie e azioni politiche. La sua potenzialità utopica appare, infatti, tanto naturalmente radicata negli ambiti del malessere sociale e politico, da sembrare destinata a riprodursi continuamente indebolendo ogni soluzione riformista, la cui specificità risulta pur sempre dimezzata, parziale, provvisoria. Neppure la fine dell´Urss è bastata, infatti, a far comprendere a tutti che non solo i mezzi ma anche le finalità «buone» del comunismo e il suo bisogno di assoluto, così impermeabili alla eterogenesi della Storia, estranei alla natura dell´individuo, ignare delle infinite contraddizioni dell´essere sociale e della natura umana, proprio quelle finalità «buone» sono la causa dei crimini commessi e degli errori politici che l´ispirazione da quelle idealità ha comportato e continua a comportare.
In questo contesto si colloca, dunque, la differenza non solo tra nazismo e comunismo ma quella, ancor più netta, fra i nazisti che combattevano ed opprimevano in nome della superiorità razzista dell´ariano germanico e quei comunisti che vi si opponevano difendendo la libertà e illudendosi di realizzare una società più giusta. Se è vero che per le vittime dei due totalitarismi la differenza è nulla, il giudizio storico e morale dei sopravvissuti e dei posteri non può essere lo stesso. Ci soccorre a comprenderlo la parola del Pontefice romano quando dice: «Mediante la libertà l´uomo è chiamato a scegliere e a realizzare la verità sul bene. Scegliendo e attuando un bene vero nella vita personale e familiare, nella realtà economica e politica, nell´ambito nazionale e internazionale, l´uomo realizza la propria libertà nella verità...». Forse si può concludere con un paradosso speculare a quello del Papa: anche il bene assoluto produce un male assoluto. E non necessario.
apertura sabato 16.10.04
fino al 30.1.05

KANDINSKY e l'anima russa
Verona - Galleria d'Arte di Palazzo Forti

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