Corriere della Sera 31.12.04
DIBATTITO
Il documento pubblicato dal «Corriere» testimonia i ritardi clamorosi del Sant’Uffizio nei rapporti con gli ebrei
Battesimi forzati, il male oscuro della Chiesa
Durante l’occupazione nazista a Roma, sulle porte dei collegi religiosi, in italiano e in tedesco, si poteva leggere: «Questo edificio serve a scopi religiosi ed è alle dipendenze dello Stato della Città del Vaticano. Sono interdette qualsiasi perquisizione e requisizione». Gli immobili ecclesiastici erano adibiti a una generale e diffusa ospitalità agli ebrei. Una vicenda di grande interesse, ora studiata anche attraverso ricerche sui singoli conventi che confermano quanto già aveva affermato a suo tempo Renzo De Felice: più di quattromila ebrei rifugiati nelle case dei religiosi. Su 10 mila israeliti iscritti alla comunità romana (non tutti, dunque, quelli presenti nell’urbe), circa 1250 furono rastrellati, 252 rilasciati, un migliaio inviati ad Auschwitz.
Oltre ai dati quantitativi, il carattere straordinario di questa ospitalità fu la modalità gratuita con cui vennero accolti gli ebrei: il clima di queste improvvisate e inedite convivenze religiose. Fantasia e sentimento, secondo i migliori caratteri della natura italiana, furono l’anima vera di questa accoglienza. Gli episodi e le testimonianze superano l’immaginazione di un codice fatto di regole e di disposizioni: perché non venissero scoperti, gli ebrei spesso indossavano abiti religiosi, si insegnava loro il Padre nostro e accadde che in una ispezione tedesca alcuni furono smascherati perché, pur vestiti da preti, non riuscirono ad arrivare alla fine della preghiera. Si costruivano appositi nascondigli per loro, dove potessero continuare a celebrare il loro culto. In molte occasioni i religiosi cattolici, data l’eccezionalità e l’urgenza del momento, cambiavano le abitudini e i ritmi liturgici del proprio convento.
Insomma, pur senza enfatizzare ed esagerare questi episodi, resta vero che, a differenza della Francia, l’aiuto prestato dai cattolici agli ebrei non era condizionato alla conversione o al ricatto economico. Non si è seguita in Italia, almeno non nel periodo della Seconda guerra mondiale, quella pratica di «salvare e convertire», fino alla odiosa requisizione dei bambini ebrei battezzati avvenuta in Francia, su cui sarebbe bene saperne di più. Certo la situazione non è paragonabile. La questione degli ebrei in Francia fu di ben diversa proporzione, per quantità, gravità e durata. La qual cosa rende del tutto convincenti le osservazioni di Giovanni Miccoli - a proposito del documento pubblicato su questo giornale - circa una possibile richiesta di istruzioni a Roma da parte della Chiesa francese. In Francia, probabilmente, gli istituti religiosi furono più rigidi, mentre la vicinanza al Vaticano rendeva quelli romani tradizionalmente più duttili. Del resto, anche se non ci sono a tutt’oggi prove documentarie di un avallo della Segreteria di Stato, è ben difficile continuare ancora a sostenere che Pio XII non sapesse e che l’input non venisse anzi proprio dal Vaticano. Basti pensare all’utilizzo dei palazzi del Laterano per ospitare attività clandestine.
Ma le disposizioni del Sant’Uffizio sugli «ebrei convertiti» sono il retaggio di un lungo passato. I battesimi forzati hanno radici lontane, nell’idea messianica e millenaria della Chiesa di convertire gli ebrei, ma anche nel bisogno di controllo del potere politico, pensiamo al marranesimo in Spagna. La Santa Sede non si preoccupava solo di accaparrarsi più conversioni possibili, ma anche di disciplinare queste contaminazioni. È un tema, quello delle conversioni, simulate o reali, al centro di una ormai collaudata discussione storiografica, che andrebbe estesa fino a includere l’età contemporanea. Ben consapevoli che per gli storici contemporaneisti è assai più difficile tradurre categorie storiografiche come simulazione e dissimulazione, operando nel campo della libertà di coscienza e del concetto di laicità.
Nella sua storia, lo Stato pontificio, in più occasioni, ha concesso protezioni economiche e sociali in cambio di conversioni. È questo un fenomeno che si incrementò in seguito alla sconfitta di Napoleone nel 1814 e al successivo ritorno del Papa a Roma. Il Sant’Uffizio non ammetteva il battesimo senza il consenso dei genitori, ma lo ammetteva e auspicava in caso di pericolo di vita per il bimbo. E così melanconici e struggenti sono questi racconti sui bimbetti gracili e malati, bocconcini prelibati di conversione. Gli uomini ebrei che si facevano «volontariamente» cristiani, finivano per «offrire» alla Chiesa mogli e figli. Interessanti i casi di resistenza femminile e la sorte di tanti bimbi. L’ordine di rientrare nel ghetto colpì soprattutto gli uomini, che ormai godevano della libertà di uscire per cercarsi un lavoro, mentre le donne e i figli dovevano e preferivano restare dentro. Sulla loro condizione, su cui ormai esistono molti studi (David Kertzer,
I Papi contro gli ebrei , Rizzoli 2002; Marina Caffiero,
I battesimi forzati , Viella 2004), si possono trarre i primi bilanci.
Ne emerge una vita vissuta, cangiante e frastagliata, fatta di tante sfumature esistenziali, di una umanità che cercava di sopravvivere nell’anima e nel corpo spesso con identità indistinte, da cui era difficile ritrovare un’appartenenza confessionale pura, quanto piuttosto, addirittura una terza religione. Questa umanità raccontata da tanti storici modernisti - pensiamo agli studi di Anna Foa - dovrebbe essere anche al centro dell’interesse dello storico della religiosità contemporanea, concentrato troppo univocamente sulle decisioni politiche e diplomatiche delle istituzioni.
Della discussione ospitata sulle pagine del
Corriere vorrei accogliere il suggerimento avanzato da Giovanni Miccoli, quello di sollecitare più studi sulla sorte dei bambini ebrei, di tutti i bambini, nelle guerre. Penso al caso più noto, quello delle adozioni dei piccoli slavi biondi, resi orfani dai nazisti perché potessero essere germanizzati.
Il permanere di alcune deprecabili leggi del Sant’Uffizio anche negli anni Quaranta del Novecento, più evocate che rigidamente applicate, è certamente un fatto odioso e indifendibile da ogni punto di vista, là dove «la legge della conversione» supera la legge naturale dell’amore per i genitori. Ma quanto sia davvero indicativa di una tendenza generale del silente Pio XII, ancora una volta inchiodato allo stereotipo del cattivo contrapposto al nunzio Roncalli, è difficile da dedurre, almeno da questa vicenda.