venerdì 31 dicembre 2004

«PETIZIONE CONTRO LA GUERRA
Ciampi non risponde»

da Liberazione del 31.12.04

Numerosissime le firme raccolte. Verranno comunque consegnate al Quirinale

L'appello per far rispettare l'articolo 11 della Costituzione, lanciato da "Liberazione",
il cui primo firmatario è

PIETRO INGRAO

ha avuto un grande successo


Adesso la raccolta delle firme è terminata e Liberazione e il comitato promotore hanno fatto per due volte richiesta formale per essere ricevuti dal Presidente Ciampi per consegnare quelle raccolte, senza ricevere però alcuna risposta.
Le firme verranno comunque recapitate al Quirinale sperando che vengano prese in considerazione da parte del Presidente.
Magari già in occasione del discorso di fine anno che terrà stasera.


Paolo Izzo segnala l'uscita del romanzo di

Annio Gioacchino Stasi
L'Ospite e l'Arlecchina

con immagini di
Mery Tortolini

Ibiskos editrice

È in vendita presso Amore e Psiche e quella che segue è una recensione da poco uscita su
il manifesto:



L'AMBIZIONE
"L'Ospite e l'Arlecchina" di Annio Gioacchino Stasi (Ibiskos editrice. tel. 0571994144) è un romanzo poetico e ambizioso che induce il lettore a correre o a vagare per sentieri di immagini e suoni. La storia è l'intreccio di tante storie infinitesime e infinite: la resistenza e l'esilio di un popolo che non vuole morire, le oscillazioni funamboliche di un medico che cerca di tradurre i linguaggi della follia, la partita a scacchi tra il Re e la Regina, l'Ospite e l'Arlecchina. L'Ospite è un viandante appesantito da uno strano fardello di storie, storie di "uomini senza dimora, che spingono le donne a rischiare". Lei, l'Arlecchina, per giocare con l'Ospite ha "estratto dalle mura le pagine di un libro non scritto. Era di un uomo che non riuscì mai a scrivere del suo oggetto d'amore perché si perse nel silenzio". Saprà farlo ora l'Ospite, senza volere nulla in cambio, senza pudore o punti d'approdo? Saprà farlo il lettore, saprà farlo l'autore?
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psicofarmaci
un crimine della Eli Lilly

Yahoo Notizie Venerdì 31 Dicembre 2004, 14:13
Eli Lilly accusata di aver nascosto documenti sull'antidepressivo Prozac
Di Medicina-Online.net


(Xagena Psichiatria) - Il British Medical Journal ha ricevuto documenti "confidenziali" che proverebbero che Eli Lilly era a conoscenza fin dal 1980 che l'antidepressivo Prozac poteva causare gravi disturbi del comportamento, tra cui ideazione suicidaria ed ideazione omicida.
Questi documenti, che sono ora al vaglio dell'FDA (Food and Drug Administration), l'Agenzia USA per il Controllo dei Farmaci, erano mancanti durante il processo Wesbecker.
Joseph Wesbecker nel 1989 uccise 8 colleghi di lavoro, ne ferì altri 12, prima di suicidarsi.
Wesbecker, che soffriva di depressione, stava assumendo Prozac ( Fluoxetina ).
La sentenza, emessa nel 1994, scagionò Eli Lilly da ogni responsabilità.
La comparsa di questi documenti farà probabilmente riaprire il processo.
Inoltre fornisce ulteriore dimostrazione della scarsa sicurezza dei farmaci antidepressivi SSRI ( inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina ).
(Xagena)

Adnkronos Salute
Venerdì 31 Dicembre 2004, 12:42
Farmaci: Il British Medical Journal riapre Il 'Caso Prozac'


New York, 31 dic. (Adnkronos Salute) - L'ultimo numero del British Medical Journal (Bmj) riapre il 'caso Prozac'. Sul 'banco degli imputati' il principio attivo del farmaco, la fluossetina cloridrato, sospettata di cambiare la personalità aumentando aggressività e tendenze suicide. A tornare sull'argomento è una giornalista freelance di New York, Jeanne Lenzer, che ha esaminato i documenti spediti al Bmj e intervistato sull'argomento diversi esperti. I documenti facevano parte delle prove d'accusa contro la Lilly, l'azienda farmaceutica produttrice del farmaco, presentate dalla famiglia di Joseph Wesbecker, un uomo che nel 1989 si suicidò dopo avere ucciso con un fucile otto colleghi di lavoro. L'uomo soffriva di depressione e si stava curando con il Prozac. Secondo la famiglia, a spingerlo a commettere la strage era stato il farmaco. I documenti indicavano che la casa farmaceutica Eli Lilly era a conoscenza, dal 1980, che il Prozac aveva ''drammatici effetti collaterali, ma non rese pubblica questa informazione''. Durante il processo, nel 1994, questi documenti erano misteriosamente scomparsi. Ora sono riapparsi, spediti da un mittente sconosciuto nella cassetta delle lettere del Bmj. E diversi esperti li stanno esaminando per stabilire eventuali responsabilita' della Lilly. Infatti, uno dei documenti, datato 1988, rivela che la Lilly era a conoscenza delle alterazioni comportamentali indotte dal Prozac ma non comunicò i dati alla Food and Drug Administration Usa (Fda). In particolare, questo documento, specificava che il farmaco provocava 'agitazione, aggressivita' e aumento delle tendenze suicide. Secondo Richard Kalpit, il medico della Fda incaricato di esaminare i dati clinici necessari all'approvazione dei farmaci: ''se la Lilly era in possesso di questi dati, aveva la responsabilita' di comunicarli''. I documenti sono stati sottoposti anche a un deputato democratico, Maurice Hinchey di New York, che sul Bmj commenta ''la vicenda dimostra che è necessario rendere obbligatoria, per le ditte farmaceutiche, la consegna di tutti i dati ricavati dagli studi clinici''. Infatti, la legge attuale lascia alla ditta la possibilità di scegliere i risultati da presentare. La Lilly si è rifiutata di rilasciare interviste, limitandosi a dichiarare: ''Il Prozac ha significativamente migliorato milioni di vite. È uno dei farmaci più studiati ed è stato prescritto a oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo. La sua sicurezza ed efficacia sono state ben studiate, documentate ed accertate''. (Red-Pac/Adnkronos Salute)

week end
i cubisti a Ferrara

Il Messaggero Venerdì 31 Dicembre 2004
La sfida cubista tra Platone e Einstein
di SILVIA PEGORARO


L’ARTE non ha altro fine che allietarci con la sua bellezza, ha detto Oscar Wilde. Il Novecento lo ha contraddetto, creando un'arte che in molti casi mira soprattutto a farci conoscere le leggi della nostra mente. Il cubismo ne è esempio eccellente, ed è anche una delle sfide più complesse per i neuroscienziati. La rappresentazione che il nostro cervello si costruisce, per categorizzare le cose che ci circondano, pare sia dovuta a gruppi di cellule che riconoscono gli oggetti senza far riferimento a un punto di vista privilegiato. Questa rappresentazione funzionerebbe, insomma, come una rappresentazione cubista. Possiamo rifletterci visitando la mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (fino al 9 gennaio), organizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo. Circa novanta opere, dagli albori del movimento, nel primo decennio del '900, sino alla fine della Grande Guerra e al cosiddetto “ritorno all'ordine”. Opere dei protagonisti, Picasso e Braque, ma anche Juan Gris, e di comprimari come Gleizes, Metzinger, Marcoussis, Le Fauconnier... Una mostra utilissima a farci percepire il cubismo come veramente fu: una folla di personalità diverse, di varianti, di eccezioni. Ma ci sono alcuni punti fermi. A un primo sguardo sulle tele esposte, ci accorgeremo che vi sono oggetti rappresentati, ma sono aboliti gli effetti luminosi (che identificano un particolare istante nel tempo) e la prospettiva (legata a un'unica posizione nello spazio). A distanza di tanti secoli, i cubisti rispondono a Platone, che nel X libro de La Repubblica aveva lamentato l'incapacità dell'arte di catturare l'oggetto da più di un punto di vista, cogliendo solo una sfaccettatura dell’“idea”. L'etichetta di “pittura concettuale”, proposta per il cubismo da Apollinaire, assume alla luce della teoria platonica un nuovo senso: quello di pittura dell'idea e dell'essenza. La rappresentazione cubista ritrae ormai gli oggetti come se fossero guardati simultaneamente da punti di vista diversi. Ecco la grande risposta all'istanza conoscitiva reclamata da Platone: il lavoro fondamentale dei cubisti è quello di trovare la soluzione al problema di come dipingere non solo ciò che si vede di un oggetto, ma anche tutto ciò che di esso si sa. Cézanne è il loro più vicino precursore. Una vita di ricerca estenuante, la sua, volta a conciliare gli opposti: il plein air luminoso e pulsante degli impressionisti e l'essenza “platonica”, ideale, geometrica delle cose. Proprio riferendosi a un suo quadro, un paesaggio, Matisse aveva detto che era «fatto di piccoli cubi». Il critico Louis Vauxcelles si era ricordato di quest'affermazione, quando in un suo articolo aveva forgiato il termine “cubismo”, a proposito di alcuni lavori di Braque, il maggiore protagonista, insieme a Picasso, di quello che sarebbe diventato uno stile, e un movimento artistico. La ricerca disperata di un impossibile equilibrio tra “aria” e “struttura” aveva portato Cézanne quasi alle follia. «Io non cerco, trovo», è invece la nota affermazione di Pablo Picasso. Con Les Demoiselles d'Avignon, nel 1907 sembra in effetti aprirsi improvvisamente un nuovo universo visivo, che manda in frantumi la concezione classica dello spazio. E' stato detto che la nascita del cubismo fu influenzata dalla teoria einsteiniana della relatività, proponendo l'equivalente dello sviluppo in fisica di un continuum spazio-temporale non-euclideo. In realtà, tale formulazione non venne completata in fisica sino al 1915-16. L'assenza del termine “quarta dimensione” dalla teoria della relatività fino al 1908 e l'assenza di una geometria non-euclidea fino a circa il 1916, fanno piuttosto pensare che l'arte abbia in qualche modo anticipato la scienza. Eppure, c'è anche un forte aspetto “conservatore”, nel cubismo: una scorsa ai titoli delle opere, e vedremo che sono perfettamente rispettati i tradizionali generi artistici: la natura morta (è presente la formidabile “Bottiglia di Bass, chitarra e asso di fiori” di Picasso, 1912 o 1914); il ritratto (c'è uno dei rari ritratti di Braque, La ragazza con la croce, del 1911); il paesaggio (dove spicca uno degli splendidi paesaggi di Braque, Il vecchio castello - La Roche Guyon, 1909); il nudo... Anche se il corpo umano diventa una lattescenza indistinta, un gioco di dissolvenze incrociate tra frammenti di spazio, nell'incredibile Nudo di Picasso,1910, in cui l'artista dimostra di aver completato il processo di rottura della forma chiusa. Ma è evidente che Picasso ha rinunciato all'aria viva e colorata di Cézanne. Paul Eluard definiva i suoi quadri «spogli di colore come ciò che si è abituati a vedere, come ciò che ci è familiare». È proprio lavorando questo non-colore (grigio, ocra, bruno) che, in pittura, il cubismo fa vedere la neutralizzazione dei colori che operiamo sugli oggetti che abitano la quotidianità della nostra esistenza. In questo, ci restituisce la realtà meglio di qualsiasi realismo naturalistico.

i comportamenti criminali del Vaticano
ancora sui battesimi forzati

Corriere della Sera 31.12.04
DIBATTITO
Il documento pubblicato dal «Corriere» testimonia i ritardi clamorosi del Sant’Uffizio nei rapporti con gli ebrei
Battesimi forzati, il male oscuro della Chiesa


Durante l’occupazione nazista a Roma, sulle porte dei collegi religiosi, in italiano e in tedesco, si poteva leggere: «Questo edificio serve a scopi religiosi ed è alle dipendenze dello Stato della Città del Vaticano. Sono interdette qualsiasi perquisizione e requisizione». Gli immobili ecclesiastici erano adibiti a una generale e diffusa ospitalità agli ebrei. Una vicenda di grande interesse, ora studiata anche attraverso ricerche sui singoli conventi che confermano quanto già aveva affermato a suo tempo Renzo De Felice: più di quattromila ebrei rifugiati nelle case dei religiosi. Su 10 mila israeliti iscritti alla comunità romana (non tutti, dunque, quelli presenti nell’urbe), circa 1250 furono rastrellati, 252 rilasciati, un migliaio inviati ad Auschwitz.
Oltre ai dati quantitativi, il carattere straordinario di questa ospitalità fu la modalità gratuita con cui vennero accolti gli ebrei: il clima di queste improvvisate e inedite convivenze religiose. Fantasia e sentimento, secondo i migliori caratteri della natura italiana, furono l’anima vera di questa accoglienza. Gli episodi e le testimonianze superano l’immaginazione di un codice fatto di regole e di disposizioni: perché non venissero scoperti, gli ebrei spesso indossavano abiti religiosi, si insegnava loro il Padre nostro e accadde che in una ispezione tedesca alcuni furono smascherati perché, pur vestiti da preti, non riuscirono ad arrivare alla fine della preghiera. Si costruivano appositi nascondigli per loro, dove potessero continuare a celebrare il loro culto. In molte occasioni i religiosi cattolici, data l’eccezionalità e l’urgenza del momento, cambiavano le abitudini e i ritmi liturgici del proprio convento.
Insomma, pur senza enfatizzare ed esagerare questi episodi, resta vero che, a differenza della Francia, l’aiuto prestato dai cattolici agli ebrei non era condizionato alla conversione o al ricatto economico. Non si è seguita in Italia, almeno non nel periodo della Seconda guerra mondiale, quella pratica di «salvare e convertire», fino alla odiosa requisizione dei bambini ebrei battezzati avvenuta in Francia, su cui sarebbe bene saperne di più. Certo la situazione non è paragonabile. La questione degli ebrei in Francia fu di ben diversa proporzione, per quantità, gravità e durata. La qual cosa rende del tutto convincenti le osservazioni di Giovanni Miccoli - a proposito del documento pubblicato su questo giornale - circa una possibile richiesta di istruzioni a Roma da parte della Chiesa francese. In Francia, probabilmente, gli istituti religiosi furono più rigidi, mentre la vicinanza al Vaticano rendeva quelli romani tradizionalmente più duttili. Del resto, anche se non ci sono a tutt’oggi prove documentarie di un avallo della Segreteria di Stato, è ben difficile continuare ancora a sostenere che Pio XII non sapesse e che l’input non venisse anzi proprio dal Vaticano. Basti pensare all’utilizzo dei palazzi del Laterano per ospitare attività clandestine.
Ma le disposizioni del Sant’Uffizio sugli «ebrei convertiti» sono il retaggio di un lungo passato. I battesimi forzati hanno radici lontane, nell’idea messianica e millenaria della Chiesa di convertire gli ebrei, ma anche nel bisogno di controllo del potere politico, pensiamo al marranesimo in Spagna. La Santa Sede non si preoccupava solo di accaparrarsi più conversioni possibili, ma anche di disciplinare queste contaminazioni. È un tema, quello delle conversioni, simulate o reali, al centro di una ormai collaudata discussione storiografica, che andrebbe estesa fino a includere l’età contemporanea. Ben consapevoli che per gli storici contemporaneisti è assai più difficile tradurre categorie storiografiche come simulazione e dissimulazione, operando nel campo della libertà di coscienza e del concetto di laicità.
Nella sua storia, lo Stato pontificio, in più occasioni, ha concesso protezioni economiche e sociali in cambio di conversioni. È questo un fenomeno che si incrementò in seguito alla sconfitta di Napoleone nel 1814 e al successivo ritorno del Papa a Roma. Il Sant’Uffizio non ammetteva il battesimo senza il consenso dei genitori, ma lo ammetteva e auspicava in caso di pericolo di vita per il bimbo. E così melanconici e struggenti sono questi racconti sui bimbetti gracili e malati, bocconcini prelibati di conversione. Gli uomini ebrei che si facevano «volontariamente» cristiani, finivano per «offrire» alla Chiesa mogli e figli. Interessanti i casi di resistenza femminile e la sorte di tanti bimbi. L’ordine di rientrare nel ghetto colpì soprattutto gli uomini, che ormai godevano della libertà di uscire per cercarsi un lavoro, mentre le donne e i figli dovevano e preferivano restare dentro. Sulla loro condizione, su cui ormai esistono molti studi (David Kertzer, I Papi contro gli ebrei , Rizzoli 2002; Marina Caffiero, I battesimi forzati , Viella 2004), si possono trarre i primi bilanci.
Ne emerge una vita vissuta, cangiante e frastagliata, fatta di tante sfumature esistenziali, di una umanità che cercava di sopravvivere nell’anima e nel corpo spesso con identità indistinte, da cui era difficile ritrovare un’appartenenza confessionale pura, quanto piuttosto, addirittura una terza religione. Questa umanità raccontata da tanti storici modernisti - pensiamo agli studi di Anna Foa - dovrebbe essere anche al centro dell’interesse dello storico della religiosità contemporanea, concentrato troppo univocamente sulle decisioni politiche e diplomatiche delle istituzioni.
Della discussione ospitata sulle pagine del Corriere vorrei accogliere il suggerimento avanzato da Giovanni Miccoli, quello di sollecitare più studi sulla sorte dei bambini ebrei, di tutti i bambini, nelle guerre. Penso al caso più noto, quello delle adozioni dei piccoli slavi biondi, resi orfani dai nazisti perché potessero essere germanizzati.
Il permanere di alcune deprecabili leggi del Sant’Uffizio anche negli anni Quaranta del Novecento, più evocate che rigidamente applicate, è certamente un fatto odioso e indifendibile da ogni punto di vista, là dove «la legge della conversione» supera la legge naturale dell’amore per i genitori. Ma quanto sia davvero indicativa di una tendenza generale del silente Pio XII, ancora una volta inchiodato allo stereotipo del cattivo contrapposto al nunzio Roncalli, è difficile da dedurre, almeno da questa vicenda.

sui giornali di oggi

Liberazione a pagina 1 e 21:
Sinistra, perché hai tante correnti?
di Alberto Asor Rosa


Liberazione a pagina 15:
Roma, dove il disagio psichico si cura al bar
(il X Municipio)
di Valeria Rey

L'Unità a pagina 27:
Garin, la gioia della filosofia come Rinascimento
di Michele Ciliberto

L'Unità stessa pagina:
Un eretico che sognava il riscatto civile italiano
di Corrado Stajano