lunedì 8 settembre 2003

Libertà

Libertà 8.9.03
Sconfitto a Venezia, “Buongiorno, notte” tra venerdì e sabato ha già incassato 350mila euro
Per Bellocchio partenza sprint
Il pubblico in fila. Rai: mai più nostri film a Venezia
di Alfredo Tenni

Gioie e dolori il giorno dopo la beffa a Venezia. Per Marco Bellocchio, “gratificato” di un premio minore alla Mostra del cinema per il suo Buongiorno, notte è già ora di girare pagina e di guardare altrove. Incombe il laboratorio Farecinema nella sua Bobbio che comincerà domani e fino al 20 settembre nel borgo dell'alta Val Trebbia, sarà una fucina di incontri, proiezioni e lezioni di cinema pilotate dal regista piacentino. Ma prima, c'è ancora tempo per togliersi qualche sassolino.
«E' un destino. Io sono irrimediabilmente un non riconciliato. Un isolato. C'è qualcosa che mi rende estraneo, eppure stimo e sono stimato, ma estraneo: incapace di fare famiglia col cinema italiano». In un'intervista a Repubblica Bellocchio commenta il verdetto della giuria della Mostra che ha assegnato il Leone d'oro al film russo Il ritorno, preferito al suo Buongiorno, notte. «Ho avuto una reazione di amarezza - dice il regista che non ha presenziato alla premiazione per asssistere alla proiezione del suo film all'Eden di Roma - non ho avuto voglia di vedere attorno a me facce dolenti. Volevo un po' di contentezza».
Bellocchio non risparmia qualche battuta rivolta al presidente della giuria, Mario Monicelli: «Monicelli è simpatico. E poi ognuno ha la sua testa. Si può amare un film oppure no. Aveva detto che a parità di condizioni si dovevano premiare film italiani. Noi italiani siamo imbattibili a non difendere le nostre cose».
Ma intanto il premio più bello per Bellocchio arriva dal pubblico. Il film infatti va molto bene al botteghino ed ha incassato in due giorni, venerdì e sabato, 350.000 euro, secondo i dati resi noti dalla 01 Distribution.
Nella classifica dei film più visti è terzo, dopo due colossi Usa come Hulk e La maledizione della prima luna. Ne sono state distribuite 170 copie, il che porta a una media per copia di 2187,5 euro, che, affermano alla 01 Distribution, è superiore a quella di Hulk
. In casa Rai intanto proclami di fuoco nei confornti della Mostra del cinema, con gran dispiacere del direttore De Hadeln. Giancarlo Leone, amministratore delegato di RaiCinema, prende carta e penna per scrivere al presidente della Biennale Bernabè una lettera in cui si annuncia la decisione di non portare più i film prodotti da RaiCinema a Venezia.
«Il caso Bellocchio è la goccia che ha fatto traboccare il vaso - dice Leone - questa decisione non riguarda soltanto Buongiorno, notte, ma in generale non crediamo ci siano alcune garanzie sui criteri della selezione dei film, sulla composizione delle giurie e in generale verso quell'attenzione all'industria cinematografica italiana che vorremmo».
Leone, che sottolinea la stima verso Bernabè, aggiunge che «per evitare anche in futuro polemiche, meglio essere con i nostri film altrove, come a Montreal, a Cannes o a Berlino, dove queste garanzie sembra ci siano».
(c) 1998-2002 - LIBERTA'

Corriere della Sera

Corriere della Sera 8.9.03
L’ATTORE
Lo Cascio: troppe anomalie nel verdetto
«Il premio per la sceneggiatura? Solo una beffa, Monicelli e Accorsi potevano battersi per noi»
di M.Po

VENEZIA - Luigi Lo Cascio, l’attore italiano del momento, protagonista dei Cento passi e dell’amatissimo La meglio gioventù , sabato sera ha affrontato la sua più difficile interpretazione. E’ salito compìto sul palco del Palazzo del cinema a Venezia, dove due anni fa aveva conquistato la Coppa Volpi come migliore attore per il film di Piccioni, per ritirare a nome di Marco Bellocchio, tra gli applausi, il premio alla sceneggiatura non originale di Buongiorno, notte .
«L’ho fatto volentieri per Marco, per risparmiargli una ferita, un’amarezza, un momento doloroso, anche se avrei perferito stare alla prima del film a Roma. Ma Bellocchio ci teneva a dare un segno civile: i premi, anche i minori, si ritirano».
Se fosse venuto di persona, chissà che applausi..
«Sì, ma forse troppo amaro».
Perchè proprio lei?
«Me lo ha chiesto l’autore, era contento che fossi io a rappresentarlo, forse perché ho fatto molta atletica, corro, sono uno sportivo, in tutti i sensi».
Morale: le regole di una Mostra si rispettano.
«Certo, con tutti i rischi che comporta la gara. Ma mi lasci dire che qui ci sono state alcune anomalie».
Per esempio?
«La prima è nel dare un premio alla sceneggiatura, tratta da un libro, ad un autore che notoriamente parla per immagini, col montaggio, col ritmo del racconto, insomma fa dei film che sono profondamente di regìa».
E poi?
«L’impressione è che si sia trattato quasi di una beffa. A questo punto era meglio niente se proprio i giurati non capivano i fatti e lo spirito dell’opera».
Monicelli dice che il film risultava incomprensibile ai più.
«Credo comunque che Monicelli, ed anche Accorsi, avrebbero potuto lottare di più: se no, che ci stavano a fare? Potevano comunque risparmiarsi la fatica di un premio di consolazione».
Altre anomalie?
«Il film russo, che non ho visto e sarà di sicuro molto bello, si è preso due premi, Marco è stato dimenticato, eppure c’erano altri trofei a disposizione».
Il caso Moro risultava, pare, poco chiaro ai giurati stranieri.
«Non mi convince. Il ragionamento varrebbe se il film fosse un documentario su fatti di casa nostra, ma il film pesca invece nel profondo, è un’invenzione e una variazione drammatica sul rapporto tra prigioniero e carceriere; ed è anche una storia su padri e figli, il più possibile allargata. Era proprio così difficile?».
Qual è la sua opinione?
«Nel mio piccolo, ho fatto anch’io il giurato e so che è troppo poco appellarsi all’incomprensione. Monicelli forse doveva difendere Bellocchio con le armi della comunicazione e anche della retorica, che non gli mancano».
E allora, un complotto?
«No, la verità è che probabilmente il film non è piaciuto neppure ai nostri giurati».
Ci sono vittorie obbligate?
«No. Però bisogna comprendere l’amarezza di Bellocchio che aveva messo in campo molti valori importanti e complessi. Inoltre siamo stati tutti sorpresi perché l’accoglienza al Lido sia del pubblico che della stampa era stata, me lo lasci dire, trionfale, perciò ci siamo stupiti».
Ma in sala piace, e molto.
«E’ il terzo incasso del weekend dopo i due colossi USA».
E adesso Lo Cascio, cosa farà?
«Parto subito per Sofia dove vado a finire, nel ruolo di un detective, un thriller nero di Eros Puglielli, Occhi di cristallo . E qui sono di fronte a un complotto vero».

La Repubblica

Repubblica 8.9.03
IL DIRETTORE
De Hadeln, carica in bilico
"Ma il film è stato difeso dagli stranieri"
di ALDO LASTELLA

VENEZIA - «Il caso Bellocchio si poteva tranquillamente evitare se solo qualche regista avesse avuto più sensibilità... Certi stranieri hanno difeso il film più di quanto abbiano fatto gli italiani». Il direttore della Mostra, Moritz De Hadeln, lo dice a mezza voce ma convinto. L´esclusione di "Buongiorno, notte" dal palmarès di Venezia va tutta sulle spalle dei due italiani in giuria.
Monicelli ha detto però che il film di Belloccchio non è stato capito dagli stranieri, che era un racconto troppo italiano.
«In giuria c´erano anche persone che provengono da paesi che hanno vissuto il dramma del terrorismo nello stesso periodo delle Brigate Rosse in Italia: penso ad Action Directe in Francia o alla Raf in Germania».
A lei il film di Bellocchio è piaciuto?
«Sì, mi pare che Bellocchio abbia fatto un passo avanti rispetto a certe sue opere precedenti. Bellocchio conosce bene il suo mestiere e non si discute la bellezza del suo film, la cui importanza va al di là del caso Moro. Anche se, come ha scritto "Le Monde", i film di Bellocchio e Benvenuti per gli italiani sono importanti, ma è difficile che abbiano risonanza internazionale».
Si è sentito offeso dalla sua assenza alla premiazione?
«No, mi dispiace solo che con il suo gesto abbia sbagliato mira. All´annuncio del suo premio c´è stato un applauso in platea che aveva un certo sapore polemico. Ma ci sono stati anche molti applausi al Leone d´oro per il film russo. Il comportamento di Bellocchio mi ha ricordato la stizza con cui Anghelopoulos accolse qualche anno fa un premio minore a Cannes, invece della Palma che si aspettava. Per quanto riguarda la freddezza dei dirigenti Rai, coproduttrice del film, mi dispiace. Ma sono anche sicuro che la polemica gioverà al successo nelle sale».
A proposito della cerimonia di premiazione e della conduzione di Chiambretti ci sono state molte critiche.
«Forse per il pubblico italiano lo spettacolo ha funzionato, ma gli stranieri hanno usato termini come vergogna. Il francese Pierre Jolivet, uno dei giurati, mi ha detto che possiamo dimenticarci di competere con Cannes se proseguiamo con queste fesserie».
La sua riconferma è stato uno dei tormentoni di questi ultimi giorni: Bernabè l´ha riconfermata o no?
«Premesso che non c´è stato alcun annuncio ufficiale, trovo gentile che Bernabè mi confermi la fiducia, ma voglio anche capire come. Ho sentito in tv persone come Marina Cicogna e Squitieri definirmi un direttore di transizione o non adatto. Ecco, io non voglio essere l´alibi di chi lavora per portare qui qualcun altro».

(Repubblica, Cronaca di Roma, stessa data)
BELLOCCHIO È BOOM IN SALA
di Franco Montini

Emozione, commozione, occhi lucidi, voglia di approfondire l´argomento, conoscere e saperne di più su quello che resta il massimo mistero della recente storia italiana e poi una valanga di applausi stanno accompagnando ogni singola proiezione di «Buongiorno, notte». Fra venerdì e domenica, il fenomeno si è registrato quasi regolarmente in ognuno dei quattordici cinema romani dove il film di Bellocchio è in programmazione. E se all´Eden sabato sera, grazie alla presenza del regista, che ha preferito essere fra i normali spettatori, piuttosto che al Palazzo del cinema di Venezia a ritirare il riconoscimento per la sceneggiatura (un premio che suona falso per un film dove ciò che conta è soprattutto la regia), era facilmente prevedibile che si registrassero scene di autentico entusiasmo ed ovazioni da stadio, è assai più inusuale che normalissime proiezioni si concludano con gli applausi.
Ma, in particolare a Roma, i risultati che sta ottenendo «Buongiorno notte» sono eccezionali anche in termini numerici. Un´uscita così ampia era sembrata ad alcuni esperti assolutamente esagerata per un film d´autore ed invece il dimostra il contrario. Nella giornata di sabato «Buongiorno notte» ha stabilito il record assoluto d´incassi per film con quattro spettacoli in tutte e quattro le sale del Circuito Cinema, che, specializzate nel cinema d´autore e forti di un pubblico attento ed affezionato, hanno fatto registrare le maggiori presenze. Al Quattro Fontane l´incasso di sabato è stato di 7.200 euro; all´Eden 6.600; al Greenwich 5.800; al Tibur 4.500. Nelle proiezioni serali, i cinema appena citati hanno fatto registrare il tutto esaurito, con gli esercenti costretti a dirottare gli spettatori su altri schermi. Ma al Greenwich ieri, domenica, il tutto esaurito si è registrato, fatto eccezionale, già dal primo spettacolo.
Inoltre il film di Bellocchio ha funzionato alla grande anche in sale non specializzate come Atlantic, Antares, Galaxy, Trianon con incassi attorno ai 2.000 euro ed anche oltre. E, a conferma di un successo che rischia di assumere caratteristiche da film natalizio, anche negli schermi multiplex, come al Cineland di Ostia, è stato è pieno.
«Un risultato di questo tipo - commenta Fabio Fefè, amministratore delegato di Circuito Cinema - fa particolarmente piacere perché sembra una sorta di riparazione allo sconcertante verdetto della giuria veneziana, che ha quasi completamente ignorato un film unanimemente apprezzato dalla critica e dal pubblico tutto».

La replica del Grande Accusato dopo le critiche sulle scelte della giuria alla Mostra del cinema
"Bellocchio? Non mi ha convinto la sua tesi sulle Br e su Moro"
di MARIA PIA FUSCO

VENEZIA - Il grande Accusato, il giorno dopo. Mario Monicelli sempre più sotto tiro. Le pomeniche sul Leone non si placano, anzi RaiCinema sdegnata decide di non mandare più i suoi film alla Mostra, con un´accusa indiretta alla direzione di De Hadeln, che, a sua volta, insinua che non sarebbero responsabili i giurati stranieri del mancato Leone a Bellocchio, bensì lo scarso impegno degli italiani. Forse il caso Bellocchio è diventato un pretesto per altre battaglie che superano Venezia 60 e riguardano il futuro della Mostra. Dall´alto dei suoi 88 anni, Monicelli non perde la calma né quel modo ironico di sfumare, di non prendere sul serio neanche se stesso. «Sono stato in altre giurie, una volta si crearono due fronti, da una parte io, Pontecorvo e Tarkovski a favore di Wenders, dall´altra Carné pro-Fassbinder e poiché vincemmo noi, Carné si ritirò clamorosamente».
Pontecorvo, Carné, Tarkovski, oggi Montgomery, Jolivet, Ballahaus... Non le sembra di aver guidato una giuria tutt´altro che eccezionale?
«Non l´ho messa insieme io, è gente nel cinema da parecchio, gente del mestiere».
Aveva detto di voler scegliere un film per il pubblico. Sa che "Buongiorno, notte" sta facendo ottimi incassi?
«Sono contento, forse tutto quello che è successo aiuta gli incassi».
Pensa che "Il ritorno" andrà bene in sala?
«Secondo noi ha la qualità preziosa della semplicità e contenuti emotivi che possono coinvolgere il pubblico. Un altro film che è stato impossibile non premiare è "L´aquilone", che con toni delicati racconta il rapporto d´amore tra una musulmana e un israeliano senza esasperare il problema dell´intolleranza, ci è sembrato un piccolo contributo alla pace, una Mostra ha anche questa funzione».
Ma lei ha difeso veramente Bellocchio?
«Io sono un suo forte ammiratore, "I pugni in tasca" fu uno degli esordi più importanti, "L´ora di religione" è un capolavoro indiscutibile. Mi dà fastidio fare il critico, ma ci siamo trovati di fronte a un film - tutti concordi sulla bellezza del cinema - con un gruppetto di terroristi insicuri, confusi, impauriti, dominati da un sequestrato che è quasi il burattinaio, una specie di glorificazione - forse oggi giusta - e sembra che a farlo morire non siano quei ragazzi spaventati ma un establishment di destra e di sinistra. Stefano ed io sappiamo e abbiamo vissuto il film con tensione. Ma gli altri chiedevano "chi sono?", potevano essere comparse, non hanno capito, forse senza le implicazioni politiche sarebbe andata meglio».
Anche "L´aquilone" che ha avuto il Gran Premio è un film politico...
«Ma va oltre, fa parte dell´attualità di oggi, è un film coraggioso che tenta di comporre una cosa impossibile da comporre, supera la politica. La Mostra è internazionale, non è provinciale non riuscire a staccarsi dai problemi nazionali?».
Bellocchio a parte, lei è stato durissimo con gli altri film di Venezia 60...
«Non capivano un film su Moro, figuriamoci una storia di 50 anni fa. Di Winspeare avevo amato gli altri film, erano ritratti d´ambiente, ma "Il miracolo" è un racconto che potrebbe essere ovunque, è scialbo, non incide mai. Abbiamo provato a parlare di Taranto, della sua importanza territoriale e sociologica, non abbiamo convinto nessuno. Non vuol dire che il cinema italiano bello e vitale non ci sia, anzi i registi di qualità sono tanti, Giordana, Crialese, Sorrentino, Marra, Garrone, autori che vivono nell´Italia di oggi e ne sanno raccontare i mutamenti».
Ma lei ha fatto cinema della memoria, "La grande guerra", "I compagni"...
«Volevo smitizzare gli eroismi e fu un grande scandalo. E "I compagni" l´ho fatto quando c´erano pochi film sugli operai, ho raccontato uno sciopero nel modo più semplice, gli operai hanno fatto avanzare l´Italia, anche con il coraggio si scendere in piazza e fare rumore. Si può perdere, ma è sempre un passo avanti».
Ha avuto sollecitazioni come presidente di giuria?
«No, ho solo capito da lontano che sarebbero stati contenti di un premio a un attore americano, e del resto Sean Penn lo meritava. Io avrei voluto premiare le 500 donne coraggiose di "Rosenstrasse", ma per De Hadeln erano troppe. Ne abbiamo premiata una come simbolo, era importante. Anche se nel cinema niente è importante, a parte la verità della vita».
Lei dovrebbe firmare un contratto con la Rai per il film "L´omonero"...
«Volevo fare una commedia sull´Italia di oggi, con la sua classe politica da vaudeville, grottesca proprio perché tragica. La commedia è l´unica cosa che so fare. Diciamo che forse non la so fare più, così Giancarlo Leone è contento».

Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione: una lettera per Marco Bellocchio

Il Resto del Carlino 8.9.03
La grazia di inventare il vero
di Sergio Zavoli


Caro Bellocchio,
le scrivo per «fatto personale», com'è in uso dire: il suo film Buongiorno, notte mi ha portato a riflettere su qualche creduta certezza del mio mestiere. Forse lo ricorderà: ho dedicato molto lavoro a un programma televisivo intitolato La notte della Repubblica, al quale seguì C'era una volta la Prima Repubblica. Li cito perché proprio da lì parte il ragionamento che lei, con il suo film — bello, sottile, suggestivo — mi induce a fare. Non si aspetti un discorso di critica cinematografica, materia cui sono estraneo, né un'analisi storica, anch'essa non di mia stretta pertinenza; vorrei dire soltanto che il buon cinema, come il buon teatro e la buona letteratura, si disfa della realtà quand'anche la sua legittima sopraffazione finisca per andare ben oltre la ragione stessa da cui nasceva. Il dato iniziale del film, infatti, è la premessa oggettiva per fare di una «storia vera» un'invenzione, che è la bellezza della sua opera, ma non può svincolarsi dal messaggio che pure aveva in animo di superare.
Questo percorso, di per sé, non avrebbe nulla di contestabile se il film, d'impianto straordinariamente civile, non ci emozionasse a tal punto proprio in rapporto a una storia da cui non può prescindere. Il cinema, quando recentemente si è messo in mani diverse dalle sue, non a caso ha prodotto il peggio che su una vicenda come il «caso Moro» si potesse immaginare. Ma lei è un intellettuale rigoroso, oltre che un artista. Ecco, dunque, perché le scrivo: per sottoporle un problema che certamente considerò quando decise di affrontare una tale impresa. Mi riferisco a una questione che coinvolge chiunque si occupi, in qualsiasi modo, della storia. A che serve, se la si può ricreare? Anzi, se il ricrearla risulta così emozionante? Non è più tempo di memoria, si sente dire. A questa sentenza ha messo mano chi, avendo della storia un sentimento quotidiano e indistinto, vorrebbe liberarsi di ogni precedente responsabilità civile, morale, persino psicologica. Non lei, consapevole che toglierci la memoria significherebbe non soltanto privarci di gran parte dell'identità, ma anche offrire alla storia l'alibi di un'innocenza che non ha mai avuto, non ha e non avrà neppure domani. Le dobbiamo semmai gratitudine per averle dedicato una pagina alta del suo cinema, senza pretendere di nascondersi dietro le impunità cui oggi si aspira da ogni parte. Fino a concepire, rivado al caso Moro, dietrologie degne dei «gialli» più spericolati e corrivi.
Adesso, lei lo sa bene, la storia non trascina più le cose con l'antica lentezza, ma sembra farle correre insieme con noi, tutti i giorni. Ricorda i tempi in cui nelle case si parlava della stessa cosa per settimane e per mesi? Aveva ragione Biagio De Giovanni quando disse che, per effetto della velocità impressa dalla comunicazione, il nostro futuro sarebbe stato di continuo nell'attualità, fino a concepire di poter assistere alla nostra storia, vivendola e criticandola, diciamo, dal vivo. Cioè ipotizzando che l'avremmo trovata sempre più nella cronaca, destinata a diventare la nostra storia stessa. Ma a lei basterà, in ogni caso, la benedizione di Nietzsche, secondo il quale «non esistono i fatti, ma le loro interpretazioni». Fellini è andato oltre dicendo che «l'immaginazione è il modo più alto di pensare!». Collabora anche la psicologia, e persino la psichiatria, azzardando che l'uomo d'oggi non ha più in sé lo spazio né mentale né etico per contenere i suoi «mea culpa» generazionali. E allora si rifugia nelle metafore, i veri simboli della realtà.
* * *
Lei, Bellocchio, ha ridato dignità a questo spazio, sempre meno occupato da una memoria sempre più spodestata. Tuttavia, per rioccuparlo, si è servito non della storia, ma dell'introspezione, dell'intimismo. Cercando dentro «quella» storia il solo aspetto congeniale alla sua creatività: quello che Calvino chiamava «la natura irreale del vero», grande matrice di parabole e allegorie, drammaturgie e catarsi. Lei, dunque, potrà capire perché un giornalista che ha speso nella presunta ricerca del vero tutta la sua forza, personale e professionale, esce dalla sala cinematografica domandandosi se la funzione del proprio lavoro non possa apparire accessoria e ininfluente, marginale e superflua. Eppure, in una società la cui scuola sta coltivando il disegno di contrarre al massimo il Novecento, per approfondire quanto più è possibile l'Ottocento — con la pretesa che le spigolatrici di Sapri rappresentino la nostra continuità storica assai più, poniamo, delle donne partigiane di L'Agnese va a morire — mi sorprendo a riflettere sul dovere, direi etico, di far passare anche nelle drammaturgie la lezione della storia.
* * *
Lei, Bellocchio, ha giustamente aspirato al «Leone d'oro». E credo, con sincerità, che l'avrebbe meritato. Ma al di fuori del suo ambito più specifico, dubito che il riconoscimento avrebbe potuto aggiungere alle qualità del film quella di contribuire a una comprensione ontologicamente meno rarefatta e parziale della più grande tragedia politica del nostro tempo. Lei mi dirà che non era nelle sue intenzioni uno scopo del genere. È vero, non spettava a un artista, specie del suo rango, supplire a una storia non detta, anzi tenuta nascosta dall'inconfessabilità proprio della politica. Sciascia e Petri, forse, avrebbero volto il racconto in questo senso. Nel suo film ci ha stupito e commosso un'altra lettura dell'affaire più crudele del secolo scorso; tale da superare, per la complice ragnatela del «contesto», anche il complotto per l'uccisione di John Fitzgerald Kennedy. Quella nostra, disperata viltà ha oscurato mezzo secolo di Repubblica. E non se n'è giovato nessuno, neppure chi fece aggiungere nel disperato messaggio del Papa agli «uomini delle Brigate Rosse» quel definitivo «rilasciatelo senza condizioni» che decretò la morte di Aldo Moro. Fu lo stesso Mario Moretti a confermarmelo: «Quando Moro lesse quelle parole si fermò e, puntando il dito sulla frase, disse: "Ecco, qui tutto è finito!"».
* * *
La storia, così come la intendiamo comunemente, a mio avviso non ha motivo di esserle grata, ma quella del cinema ha già accolto la sua intelligenza e la sua sensibilità nei posti d'onore. Io stesso, che ho trascorso con i carcerieri di Moro ore e ore per ricostruire e approfondire, nei limiti del possibile, tutte le fasi del rapimento, della prigionia e dell'esecuzione di Moro, ne sono uscito come spaesato, con una vaga ricchezza in più.
Ho ancora davanti agli occhi la brigatista Laura Braghetti, oggi protagonista ispirata e disadorna di Buongiorno, notte, quando mi confessò: «Io dico che la più grave malattia di questo secolo, fra le tante, è l'ideologia. Noi siamo stati resi ottusi dall'ideologia! Essa ci ha fatto perdere le dimensioni della ricchezza dell'uomo. Questa, secondo me, è la nostra tragedia personale!». Dentro tutto ciò vive un grande rimpianto: di come non dovevamo consentire all'ideologia di renderci guerrieri, di farci soldati di una guerra che poi era solo nostra. Alla richiesta di dire se provava qualche rimorso rispose: «No, più semplicemente provo dolore». Perché più semplicemente?
Perché secondo me — fu la risposta — il rimorso assolve! Mentre il dolore è un compagno di questa esistenza. Ho perso il senso di felicità piena. Oggi sono una persona serena, però non ho felicità, perché questa mia vita io l'ho segnata facendo in modo che fosse tragica. E la tragedia mi accompagna. Il rimorso mi lascerebbe altri spazi, io invece... E poi il rimorso lo trovo molto cristiano e io non sono cristiana, sono una persona laica, che pensa di poter saldare i debiti, anche morali, attraverso l'impegno, la disponibilità, il sapere quanto male si è fatto, averne coscienza; e riparare, razionalmente, civilmente
* * *
So bene che lei, per il suo film, aveva bisogno di cancellare ogni traccia di verismo, sostituendolo con un apparato immaginativo che conferisse al racconto una narratività filtrata dalla disperazione e dal sogno di una donna.
Il suo film, che raccomanderei a tutti di vedere, ha ricevuto un consenso pressoché unanime; e quanto alle mie sommesse considerazioni sul rapporto che viene a crearsi — nei casi più nobili, non nella routine — tra storia e immaginazione lei può attingere anche a questo bellissimo, paradossale, inaccettabile giudizio: «insegnare la storia è pericoloso. Essa è scritta col sangue. In fondo, tutto ciò che impariamo è come dimenticare. Ai giovani dobbiamo insegnare a usare più l'immaginazione e meno la memoria». Ammiro la costruzione dialettica, ma non posso essere completamente d'accordo.
Lei, peraltro, non doveva fare della cronaca, mettendo insieme dei documentari, ma costruire un film che prendesse dalla storia l'unico dato non opinabile: quello di essere la fonte di un'ispirazione che — con «l'imprecisione della grazia», direbbe ancora Fellini — riflettesse un recondito percorso di quella tragedia.
Non è in discussione, dunque, il vero, che sarebbe una pretesa fuori luogo, ma neppure la verosimiglianza, sciocca, brutale, oscena parola per un film come Buongiorno, notte. È in gioco soltanto la mia sensazione di essere un cronista attardato, per i più giovani, dalla pretesa di aver voluto e volere ancora spiegare una storia che, reinventata da lei, sembrerà più vera del vero.
Con stima.

La Stampa

La Stampa 8.9.03
CONTINUANO LE POLEMICHE PER IL MANCATO LEONE A BELLOCCHIO. LA RAI DICE: «NON MANDEREMO PIÙ NOSTRI FILM AL FESTIVAL»
Venezia, il giorno dopo è tutto al veleno
Accusato anche Monicelli: «Dovevo minacciare i giurati?»
Simonetta Robiony


VENEZIA. Coda velenossisima questa fine della Mostra senza premi per i cinque film italiani in concorso tra «Venezia 60» e «Controcorrente», ma soprattutto senza il Leone d’oro a Marco Bellocchio dato fino all’ultimo come vincitore.

LA RAI E IL MANCATO LEONE.
Marco Bellocchio, appreso che per lui c’era solo una menzione speciale alla sceneggiatura (ma non era meglio niente?) aveva già abbandonato il Lido lasciando a Lo Cascio il compito di salire sul palco. Decisione discutibile ma personale, personalissima. Assai più grave, invece, quella presa da Giancarlo Leone, direttore di Raicinema: alla Mostra la Rai non manderà più i suoi film. «Il caso Bellocchio è la goccia che ha fatto traboccare il vaso - ha detto Leone - non crediamo che a Venezia ci siano le garanzie sui criteri della selezione né su quelli della formazione delle giurie. Meglio mandarli a Cannes, a Berlino, a Montreal. Alla Mostra non c’è attenzione per l’industria cinematografica italiana». Un siluro inatteso che scatenerà nuovi malumori e nuovi pettegolezzi, visto che fino a pochi giorni fa, pareva che tra la Rai e la Mostra di De Hadeln ci fosse pieno accordo. Cinque film italiani in concorso, Bernardo Bertolucci accolto come un dio, Stefano Accorsi giurato, Mario Monicelli presidente: che altro poteva fare lo svizzero Maurice De Hadeln per dimostare che il cinema italiano è in ripresa, va bene e soprattutto a lui piace tanto?

DE HADELN SÌ O NO?
Sembra incredibile ma questo benedetto mancato Leone a Bellocchio e al suo «Buongiorno notte» ha scatenato una bufera sul direttore della Mostra De Hadeln accusato di non aver usato la sua autorevolezza per convincere la giuria a premiare il film italiano. E siccome Moritz De Hadeln attende per fine anno la riconferma dell’incarico, avversari e concorrenti, da destra, hanno cominciato a scatenarsi contro di lui. Sede prescelta: la trasmissione di Marzullo dell’altra notte dedicata alla chiusura della Mostra dove Marina Cicogna ha dichiarato che ce ne sarebbero tanti direttori di festival bravi e italiani e Squitieri più platealmente che De Hadeln se ne deve andar via. Tutto ciò nonostante il presidente Franco Bernabè più volte abbia ripetuto alla stampa che intendeva riproporre in consiglio la sua candidatura. Lo farà ancora dopo la presa di posizione di questa Rai? Chissà. De Hadeln, intanto, mette le mani avanti e chiede rassicurazioni: la certezza che il mercato al Lido si potrà allargare, che cominceranno i lavori per una nuova sala, che ci sarà più spazio per i giovani cinefili con o senza un campeggio e meno biglietti omaggio a notabili e politici per le serate di gala. Ma lei, direttore, Bellocchio l’avrebbe premiato? «A me il film è piaciuto molto, alla giuria no. Non posso farci niente». E il film russo «Il ritorno» che ha vinto il Leone come lo giudica? «Importante. È il segno che gli autori russi ripartono dalla loro tradizione». È vero che è un accentratore? «La Mostra è fatta da un gruppo di lavoro troppo esiguo. Se faccio più del dovuto è perché mancano dirigenti capaci di decidere». Di che cosa è soddisfatto? «Dell’atmosfera serena che c’è stata, almeno fino al verdetto. E del doppio concorso che comincia ad affermarsi».

MONICELLI SOTTO ACCUSA
Sarcastico, sereno, a modo suo perfino pratico, Mario Monicelli, il grande vecchio del nostro cinema, è l’uomo che tutti accusano di non aver saputo difendere Marco Bellocchio e il suo film. Perfino De Hadeln si fa scappare che ha fatto poco, non ci ha creduto. Monicelli scuote le spalle. «Che ci posso fare? Noi italiani in giuria eravamo due: Accorsi ed io, presidente. Gli stranieri cinque. Loro il film non l’hanno capito. Ho provato a difenderlo. Non c’è stato niente da fare. Il film russo invece ci ha trovato tutti d’accordo e ha vinto. D’altra parte i giurati sono persone adulte: non potevo minacciarli per portarli dalla mia parte». Ma a lei piaceva «Buongiorno notte»? «Non è un capolavoro come “L’ora di religione”, ma è un buon film». È il sospetto che sia un film «cerchiobottista» ad avergli fatto perdere il Leone? «Sciocchezze. E poi potevo mai invitare i giurati stranieri a guardare il film con gli occhi di “Libero” o con quelli de “Il manifesto”? Suvvia. Ragioniamo». E gli altri film italiani? «Non mi parevano all’altezza del nostro cinema». Di chi è l’idea di dare a Bellocchio una menzione? «Mia. Volevo fosse almeno fatto il suo nome tra i premiati. Marco l’ha presa come un‘offesa. Ne sono addolarato. Visconti per quattro volte non ha avuto niente alla Mostra e non ha gridato al complotto. A me è successo che “I compagni” e “I soliti ignoti” fossero ignorati». Lei aveva detto che a parità di merito si sarebbe battuto per far vincere un italiano. «Non c’è stata parità di merito». Sa che la Rai è infuriata con lei? «Vuol dire che non finanzierà il mio nuovo film. Pazienza. Ne ho fatti sessanta. Aspetto».

Repubblica on line

Repubblica
Bagno di folla per il regista al cinema Eden per la prima del film
"Non dico nulla su Venezia. Ma abbiamo preferito essere qui"
Bellocchio, applausi a Roma
"Il premio non mi rappresenta"


ROMA - Venezia lo snobba, il pubblico lo premia. Un grande applauso ha accolto Marco Bellocchio a Roma, al cinema Eden, dove il regista di Buongiorno, notte insieme a parte del cast, ha partecipato ad una prima del suo film, uscito nelle sale italiane. Una scelta polemica per Bellocchio, quella di non ripartire per il Lido, dopo che le prime indiscrezioni cominciavano a dare per certa la vittoria del film Il ritorno, del regista russo Andrej Zvjagintsev. E di fronte alla folla, che gli ha tributato un'ideale standing ovation di dieci minuti al grido di "Avete vinto voi", il regista ha commentato con un distaccato "Il premio della Mostra del cinema è un premio dignitosissimo che però in qualche modo non mi e non ci rappresenta".

Intanto, a Venezia, a Bellocchio (di fatto a Luigi Lo Cascio, uno dei protagonisti del film) veniva consegnato il premio "per un contributo individuale di particolare rilievo" ("Vuol dire tutto e non vuol dire niente" ha commentato il critico cinematografico Tullio Kezich, che ha annunciato il premio), in questo caso quello per la sceneggiatura. Premio, in un certo senso, di consolazione, per un regista e un film che i pronostici avevano dato per favoriti nelle categorie principali.

Ma se la giuria della Mostra del Cinema ha snobbato Bellocchio, Bellocchio ha snobbato la Mostra. Ed ha preferito il bagno di folla, dopo il successo già registrato nelle sale italiane (170 quelle in cui il film è in programmazione): da ieri, giorno d'uscita di Buongiorno, notte, il film ha incassato 135 mila euro.

All'ingresso del regista, di parte del cast e della troupe, il pubblico nella sala del cinema Eden è scattato in piedi. Solo dopo quasi dieci minuti Bellocchio è riuscito a prendere la parola. "Noi - ha spiegato al pubblico - siamo qui per un motivo molto semplice, una scelta. Non voglio dire nulla sugli addetti di Venezia. Però vorrei spiegarvi che noi, d'istinto, abbiamo preferito essere qui con voi". Poi, il regista ha ricordato il riconoscimento arrivato anche dalla giuria di ragazzi dell'Agi scuola, "Abbiamo avuto da parte di giovanissimi questa emozione - ha detto - e se il film ha provocato anche in loro tutta questa emozione, vorrà dire pure qualcosa. E' venuto il momento di rivedere le cose - ha aggiunto - e di farla finita con questo annullamento della tragedia".

"Il film, ha concluso Bellocchio, ha avuto un avvio straordinariamente bello e se noi siamo qui - ha ripetuto - è per comunicarvi il piacere e l'affetto di essere con voi qui e non là". Ancora applausi, poi una battuta del regista per spezzare l'emozione: "E' inutile dirvi - ha detto rivolgendosi al pubblico - che ora, quando voi sarete usciti, io tornerò fuori ad aspettare l'arrivo del pubblico del prossimo spettacolo, e ripeteremo tutta la scena".

L'Aldo Moro di Bellocchio
è una lezione di sguardi
"Buongiorno, notte", un'opera riuscita e piena di sensibilità
Il regista ha scelto la triplice strada dell'infedeltà ai fatti
di ROBERTO NEPOTI


Ci voleva una bella dose di coraggio per portare sullo schermo una volta di più la vicenda Moro. Se il film è - com'è - una grande riuscita, dipende da tutta una serie di scelte compiute da Bellocchio: giuste e, in più, coraggiose. Contariamente alle versioni docu-drammatiche del "Caso Moro" o del recente "Piazza delle Cinque Lune", che aspiravano a rivelare la verità nascosta, Bellocchio ha scelto la triplice via dell'infedeltà (ai fatti), della fabulazione e dello sguardo personale.

La prima gli ha permesso di introdurre un personaggio femminile; ispirato, sì, ad Adriana Faranda, ma protagonista di una metamorfosi intima che dà il senso agli eventi, tutti filtrati attraverso i suoi occhi. Perché Buongiorno, notte è un film di linguaggio, interamente inquadrato attraverso lo sguardo, gli sguardi: l'osservazione di chi vede senza essere visto (i carcerieri di Moro), il divieto di guardare, l'occhio della nazione, e dei media, puntato sul rapimento e altri sguardi ancora. Bellocchio traduce rigorosamente tutto ciò in termini visivi, dai mascherini attraverso cui Chiara spia il prigioniero al variare delle luci di scena sul primo piano di Maya Sansa; fino a che il suo sguardo - appunto - cambia, si muta in uno sguardo diverso (che è lo sguardo condiviso dal regista).

Altra scelta felice quella d'introdurre nel racconto la sceneggiatura del giovane amico di Chiara: che, da un certo punto in poi, fa interferire la realtrà storica con l'immaginazione della donna, regalando al film il suo bel finale "sognato".