Corriere della Sera 17.3.03
Il celebre direttore inglese e i Wiener hanno registrato in cinque cd i capolavori del compositore
«Beethoven, un dovere per noi musicisti»
Rattle: oggi più che mai è giusto eseguire le Sinfonie, inno alla pace e alla libertà
Giuseppina Manin
VIENNA - «E’ un momento molto difficile per uno come me diviso nel lavoro e negli affetti tra Londra e Berlino. Come tutti sono molto preoccupato. Penso però che proprio adesso sia giusto più che mai eseguire Beethoven, il suo è un inno alla pace e alla libertà. E’ un dovere per tutti noi musicisti». Sir Simon Rattle risponde così a chi gli chiede che cosa pensa di Tony Blair. La domanda coglie d’improvviso il direttore d’orchestra, «suddito» di Sua Maestà Britannica, promosso baronetto per meriti artistici, ma da settembre di casa in Germania, alla guida dei Berliner Philhamoniker. Due Paesi della stessa Europa oggi lontanissimi sul problema della guerra.
Di passaggio a Vienna, dove ha presentato a una platea internazionale di addetti ai lavori l’edizione completa delle Sinfonie di Beethoven registrate in 5 cd per la Emi insieme con i Wiener Philharmoniker, il 48enne riccioluto maestro inglese racconta con passione questa sua ultima avventura musicale.
Dunque, le Sinfonie di Beethoven...
«Quando me l’hanno proposto, ho detto: siete pazzi? Un altro album Beethoven? Naturalmente però, come ogni direttore, anch’io sognavo di inciderle. Anche per cogliere quel vento di novità che circola in Europa da qualche anno. L’aver detto sì, inoltre, mi ha dato l’opportunità di lavorare con questi meravigliosi orchestrali che considero la mia famiglia».
Veramente risulta che lei si sia appena sposato altrove, da settembre tiene famiglia alla Philharmonie di Berlino...
«Certo, la mia vera casa è lì. Ma anche con Vienna i legami restano stretti. Il mio lungo viaggio nelle Sinfonie è cominciato nel ’96 e si è concluso lo scorso maggio. Sette anni in compagnia di Beethoven stabiliscono legami profondi tra un direttore e gli strumentisti».
Che differenze tra il suono dei Wiener e quello dei Berliner?
«Le stesse che ci sono tra l’Austria e la Germania. Ufficialmente parlano la stessa lingua, ma all’orecchio risultano molto diverse. Inoltre, tra i Berliner siedono molte belle orchestrali, il che non guasta. Scherzi a parte, al di là delle famiglie musicali, la mia vera sta a Birmingham, dove mia moglie Candice ha scelto di tener casa. Appena posso torno da lei e anche dalla mia vecchia orchestra, con cui continuo a collaborare. La mia vita ormai è tutta un viaggio, adesso per 10 anni il punto fermo sarà Berlino. In futuro? Chi lo sa».
Certo, affrontare monumenti come le Nove Sinfonie deve dare i brividi. Il timore è che tutto sia già stato detto.
«In questi anni di lavoro, di studio, mi è tornata spesso in mente una frase di Samuel Beckett: "Ogni volta che provi a far qualcosa sbagli, provaci ancora, sbaglierai meno". L’ho sperimentato sulla mia pelle: quando pensi di aver capito tutto, non hai capito niente. Il segreto sta nel cercare. Il suono giusto esce dalla pratica, dal quotidiano stringere i denti tutti insieme. E osare. Anche quando le idee sembrano venire da Marte o da Giove. Beethoven rivela sempre mondi diversi, bisogna lasciar parlare lo spirito dello spartito».
E come parla lo spartito?
«Quando mi siedo nella mia stanza a studiare, ogni tanto succede che le indicazioni della partitura coincidano magicamente con gli stessi tempi che ho in testa io. Pensi di aver trovato, ma non è così. Prendiamo la Terza , l’ Eroica . Ci sono dei passaggi così forti che i dettami del metronomo non bastano più. Allora devi avere il coraggio di buttarti, di lasciarti trascinare da quei flutti. Beethoven ti spinge a seguire la sua musica con la musica, non con il metronomo».
Dopo Vienna?
«Birmigham, Berlino, Salisburgo. In Italia verrò a dicembre, il 19 al Lingotto di Torino con i Berliner. Sarà la mia prima volta nel vostro Paese. Questo è un anno di prime volte, a Salisburgo debutterò come direttore del Festival di Pasqua. Ancora con Beethoven, Fidelio (prossimamente nel catalogo Emi, ndr ). Altro inno alla libertà e alla giustizia. Speriamo che per quella data lo si possa eseguire con la gioia nel cuore».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 17 marzo 2003
Il Mattino di Padova, lunedì 17 marzo 2003
Un autoritratto di Schönberg. Le sue opere sono in mostra a Torino
Una selezione di opere del musicista-pittore in mostra alla Galleria d'Arte Moderna di Torino
Schönberg, sguardi e visioni
I ritratti del compositore che inventò la dodecafonia
di Virginia Baradel
Fu nel corso degli anni Novanta che il mondo della cultura si accorse che esisteva anche uno Schonberg pittore: il grande compositore che inventò la dodecafonia non era affatto un pittore dilettante. Non fu, infatti, una sorpresa il fatto che dipingesse ma destò interesse la consistenza di questa produzione e la considerazione in cui egli stesso la teneva negli anni che vanno dal 1906 al 1912. Addirittura ci fu un momento in cui pensò di affermarsi come pittore e di promuoversi anche sul mercato, fosse anche nelle vesti di ritrattista. In realtà ciò non accadde e la sua pittura rimase un episodio circoscritto assai importante non solo per i risultati ottenuti ma anche perché riuscì ad assorbire l'eccesso di investigazione spirituale, le tensioni, i brividi dell'accanimento introspettivo, proprio di quegli anni, lasciando una soggettività più libera e dissodata alla ricerca musicale.
Tale divaricazione era ben percepita da Kandinsky il quale da un lato era ammirato e catturato dall'assonanza tra la ricerca musicale di Schönberg e la sua arte astratta, dall'altro cercava di trovare un modo per valorizzare anche la pittura del musicista ponendo l'accento su un carattere di fisiologica inadeguatezza della pittura a esprimere temi di per sé insondabili. Egli infatti la definì "pittura del soltanto" intendendo per esso quell'aspetto di inquieta difettosità implicita nel tentativo di esteriorizzare l'"occhio interiore" poggiato sulla "bocca dell'anima". Sono gli anni in cui l'artista russo scrive "Lo spirituale nell'arte" e la dimensione della ricerca oltre il visibile e il sensibile affratella in un unico orizzonte ermetico la nascente arte astratta e la disposizione simbolista-espressionista.
La stagione di Schönberg pittore durò pochi anni e produsse un numero limitato di opere che appartengono in massima parte agli eredi. Sino al 1998 la collezione di oltre 160 opere era conservata all'Istituto Arnold Schönberg di Los Angeles. A quella data essa è stata trasferita a Vienna nel nuovo Centro che porta il nome del musicista e dunque da allora la figura di Schönberg pittore è stata approfondita sia per quel che riguarda la sua singolarità che il contesto in cui si è manifestata. Ora una selezione di dipinti, disegni e bozzetti di scena è in mostra alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino (sino al 16 marzo) nell'ambito del programma "Sintonie" che vede in scena musica, arti figurative, cinema e teatro in una combinazione pluriennale che arriverà sino all'appuntamento olimpico del 2006. Da gennaio a marzo di quest'anno la concertazione si muove intorno alle figure di Beethoven e Schönberg e la mostra si è inaugurata con l'esecuzione all'Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto della Kammersynphonie n02 op.38 eseguita dalla Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding.
Dunque la pittura del compositore viennese si accorda ad una catena di eventi che ruotano intorno alla musica - "Sintonie" nasce da un'idea di Claudio Abbado - anche se non è più tempo di orientare la riflessione cercando rimandi tra la sua musica e la sua pittura, bensì di leggere questa avventura come capitolo a sé. E' evidente che negli occhi sbarrati degli autoritratti e dei ritratti di Schönberg si registra l'eco di un sisma che agita il profondo, l'abisso interiore dove trovano luogo non solo l'inconscio (dirompente novità freudiana) ma anche quegli stati remoti e misteriosi frequentati dalla letteratura simbolista e dalla Teosofia.
Il clima era propizio a questi affondi irrazionali che trovano una via di sofferta e originale evidenza nel solco tra la Secessione e l'Espressionismo, più esattamente nell'esperienza del Blaue Reiter intrisa programmaticamente di spiritualismo. Sulla strada di Schönberg pittore contarono certo Kokoschka e Gerstl non meno di Van Gogh, Munch e Kubin. Contò molto anche Kandinsky ma più come interlocutore che venerava il compositore che come collega e critico. Questo dell'approvazione da parte degli altri artisti fu un terreno scosceso che fece penare e arrabbiare il musicista. Gli stessi artisti del Cavaliere Azzurro, con i quali Schönberg espose in occasione della prima esposizione del gruppo, erano perplessi e Macke non risparmiò strali sarcastici. Cosa c'era che non andava? L'eccesso di rovello introspettivo, l'urgenza emotiva non governata da una sicura padronanza espressiva. La ricerca dell'essenziale, pur professata e condivisa con lo stesso Kandinsky, non riguardava tanto i mezzi linguistici quanto l'enucleazione del centro ribollente di un "io" che abitava i piani sotterranei della coscienza. Dunque un investimento di significato recondito rischiava di sovraccaricare una dotazione espressiva che non sembrava in grado di sopportarne il peso.
Gli autoritratti e i ritratti di Schönberg si guardano, infatti, più rapiti per la testimonianza che ammirati per la prova d'arte; mentre le cosiddette "Visioni" sono molto più interessanti e riescono a riverberare il mistero che si annida alla radice dell'uomo con i mezzi di una pittura povera, volutamente larvale, certamente incline al Simbolismo. Il tema delle "Visioni" è lo "Sguardo" che rivela mondi indicibili e non negoziabili dalla mente. Al confronto con questi sguardi visionari, con queste pupille dilatate come fuochi non più regolabili e cerchiate da una veggente insonnia, l'occhio-satellite di Odilon Redon sembra piuttosto appartenere ad una preziosa e surreale fantascienza. E' certamente a questa altezza, tra le pieghe forse ancora avviluppate e non mai del tutto dispiegate di un inquieto spiritualismo che l'inflessibile autoanalisi di Schönberg trova modo di manifestarsi e perciò stesso, in qualche modo, di placarsi.
Un autoritratto di Schönberg. Le sue opere sono in mostra a Torino
Una selezione di opere del musicista-pittore in mostra alla Galleria d'Arte Moderna di Torino
Schönberg, sguardi e visioni
I ritratti del compositore che inventò la dodecafonia
di Virginia Baradel
Fu nel corso degli anni Novanta che il mondo della cultura si accorse che esisteva anche uno Schonberg pittore: il grande compositore che inventò la dodecafonia non era affatto un pittore dilettante. Non fu, infatti, una sorpresa il fatto che dipingesse ma destò interesse la consistenza di questa produzione e la considerazione in cui egli stesso la teneva negli anni che vanno dal 1906 al 1912. Addirittura ci fu un momento in cui pensò di affermarsi come pittore e di promuoversi anche sul mercato, fosse anche nelle vesti di ritrattista. In realtà ciò non accadde e la sua pittura rimase un episodio circoscritto assai importante non solo per i risultati ottenuti ma anche perché riuscì ad assorbire l'eccesso di investigazione spirituale, le tensioni, i brividi dell'accanimento introspettivo, proprio di quegli anni, lasciando una soggettività più libera e dissodata alla ricerca musicale.
Tale divaricazione era ben percepita da Kandinsky il quale da un lato era ammirato e catturato dall'assonanza tra la ricerca musicale di Schönberg e la sua arte astratta, dall'altro cercava di trovare un modo per valorizzare anche la pittura del musicista ponendo l'accento su un carattere di fisiologica inadeguatezza della pittura a esprimere temi di per sé insondabili. Egli infatti la definì "pittura del soltanto" intendendo per esso quell'aspetto di inquieta difettosità implicita nel tentativo di esteriorizzare l'"occhio interiore" poggiato sulla "bocca dell'anima". Sono gli anni in cui l'artista russo scrive "Lo spirituale nell'arte" e la dimensione della ricerca oltre il visibile e il sensibile affratella in un unico orizzonte ermetico la nascente arte astratta e la disposizione simbolista-espressionista.
La stagione di Schönberg pittore durò pochi anni e produsse un numero limitato di opere che appartengono in massima parte agli eredi. Sino al 1998 la collezione di oltre 160 opere era conservata all'Istituto Arnold Schönberg di Los Angeles. A quella data essa è stata trasferita a Vienna nel nuovo Centro che porta il nome del musicista e dunque da allora la figura di Schönberg pittore è stata approfondita sia per quel che riguarda la sua singolarità che il contesto in cui si è manifestata. Ora una selezione di dipinti, disegni e bozzetti di scena è in mostra alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino (sino al 16 marzo) nell'ambito del programma "Sintonie" che vede in scena musica, arti figurative, cinema e teatro in una combinazione pluriennale che arriverà sino all'appuntamento olimpico del 2006. Da gennaio a marzo di quest'anno la concertazione si muove intorno alle figure di Beethoven e Schönberg e la mostra si è inaugurata con l'esecuzione all'Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto della Kammersynphonie n02 op.38 eseguita dalla Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding.
Dunque la pittura del compositore viennese si accorda ad una catena di eventi che ruotano intorno alla musica - "Sintonie" nasce da un'idea di Claudio Abbado - anche se non è più tempo di orientare la riflessione cercando rimandi tra la sua musica e la sua pittura, bensì di leggere questa avventura come capitolo a sé. E' evidente che negli occhi sbarrati degli autoritratti e dei ritratti di Schönberg si registra l'eco di un sisma che agita il profondo, l'abisso interiore dove trovano luogo non solo l'inconscio (dirompente novità freudiana) ma anche quegli stati remoti e misteriosi frequentati dalla letteratura simbolista e dalla Teosofia.
Il clima era propizio a questi affondi irrazionali che trovano una via di sofferta e originale evidenza nel solco tra la Secessione e l'Espressionismo, più esattamente nell'esperienza del Blaue Reiter intrisa programmaticamente di spiritualismo. Sulla strada di Schönberg pittore contarono certo Kokoschka e Gerstl non meno di Van Gogh, Munch e Kubin. Contò molto anche Kandinsky ma più come interlocutore che venerava il compositore che come collega e critico. Questo dell'approvazione da parte degli altri artisti fu un terreno scosceso che fece penare e arrabbiare il musicista. Gli stessi artisti del Cavaliere Azzurro, con i quali Schönberg espose in occasione della prima esposizione del gruppo, erano perplessi e Macke non risparmiò strali sarcastici. Cosa c'era che non andava? L'eccesso di rovello introspettivo, l'urgenza emotiva non governata da una sicura padronanza espressiva. La ricerca dell'essenziale, pur professata e condivisa con lo stesso Kandinsky, non riguardava tanto i mezzi linguistici quanto l'enucleazione del centro ribollente di un "io" che abitava i piani sotterranei della coscienza. Dunque un investimento di significato recondito rischiava di sovraccaricare una dotazione espressiva che non sembrava in grado di sopportarne il peso.
Gli autoritratti e i ritratti di Schönberg si guardano, infatti, più rapiti per la testimonianza che ammirati per la prova d'arte; mentre le cosiddette "Visioni" sono molto più interessanti e riescono a riverberare il mistero che si annida alla radice dell'uomo con i mezzi di una pittura povera, volutamente larvale, certamente incline al Simbolismo. Il tema delle "Visioni" è lo "Sguardo" che rivela mondi indicibili e non negoziabili dalla mente. Al confronto con questi sguardi visionari, con queste pupille dilatate come fuochi non più regolabili e cerchiate da una veggente insonnia, l'occhio-satellite di Odilon Redon sembra piuttosto appartenere ad una preziosa e surreale fantascienza. E' certamente a questa altezza, tra le pieghe forse ancora avviluppate e non mai del tutto dispiegate di un inquieto spiritualismo che l'inflessibile autoanalisi di Schönberg trova modo di manifestarsi e perciò stesso, in qualche modo, di placarsi.
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