sabato 11 ottobre 2003

la mostra di Parma:
parla Marco Bellocchio

Libertà 11.10.03

«Una pratica che mi serve per catturare le immagini che ho in mente»
Tra gli schizzi anche quelli per un film sul Rigoletto mai girato: «Ma potrebbero servirmi per la regia teatrale al Municipale»


(o. m.) La sera dell'inaugurazione della sua mostra Quadri. Il pittore, il cineasta nella Galleria delle Colonne del parmense Centro Culturale Edison, Marco Bellocchio ha conversato con noi della sua precoce vocazione di pittore «continuata con altri mezzi» fra le pieghe della sua carriera cinematografica. Che lei avesse dipinto in gioventù, e che avesse realizzato di suo pugno i quadri attribuiti al protagonista di «L'ora di religione», era risaputo. Non tutti sapevano, però, che lei ha lavorato alla preparazione di tutti i suoi film stendendo disegni e bozzetti anche molto accurati come quelli esposti in questa mostra. «Quando sto progettando un film lavoro meglio disegnando che scrivendo: attraverso il disegno catturo le immagini che ho in mente, le elaboro, le sviluppo. E' un lavoro che finisco poi per dimenticare nel momento del ciak, nel senso che le sequenze girate possono discostarsi anche notevolmente dalle immagini fissate sulla carta, ma che mi è molto utile». In questi «cartoni» di pellicole future colpisce, comunque, l'evoluzione del segno e dell'invenzione attraverso gli anni: si va dagli schizzi elementari fatti per «I pugni in tasca» alle elaborate scene a colori che preparano «Il sogno della farfalla» e «Il principe di Homburg», fino alla fantasia a briglie sciolte dei disegni per «Buongiorno, notte». «E' vero. Il fatto è che, accostandomi al cinema, avevo dato un taglio netto alla pittura: era stato praticamente un rifiuto. Per questo, ai tempi di I pugni in tasca, disegnavo i bozzetti in fretta, quasi di malavoglia. Più avanti, invece, avrei riscoperto il piacere del disegno e della pittura. Anche se non mi considero un pittore e so benissimo che l'organizzazione di questa mostra dedicata ai miei lavori si deve precisamente al fatto che io non sono un pittore, ma un'altra cosa». Alla fine di questa piccola galleria di schizzi per film ci sono due disegni a penna intitolati «Rigoletto». Sono stati fatti per il film mai girato che voleva trarre dall'opera di Verdi o per la sua prossima regia teatrale a Piacenza? «Non lo so. O meglio, forse, per tutt'e due. Ho accarezzato a lungo l'idea di un film ispirato a questo “'melodramma della paternità”'. E in marzo, come sa, porterò in scena l'opera stessa al Municipale: può darsi che del mio film mai fatto, di questo Rigoletto solo schizzato su pochi fogli, qualcosa si veda in teatro».
(c) 1998-2002 - LIBERTA'

Marco Bellocchio - Inaugurata a Parma una interessante mostra di dipinti e disegni del regista piacentino
Autoritratto dell'artista da giovane
Quelle opere lievito segreto delle sue visioni cinematografiche
di Oliviero Marchesi


Parma. «Da adolescente ho cominciato a dipingere, la cosa era grande ed era un modo di isolarmi ed esprimermi, solitariamente. Non ero il primo in famiglia, anche mia madre dipingeva da ragazza in modo molto diligente, poi smise, non so quando, certamente prima di sposarsi (suonava anche il pianoforte sempre prima di sposarsi). Ed anche Paolo, il fratello primogenito, si era diplomato al Liceo artistico di Piacenza, aveva facilità e gusto a dipingere, ma, dopo i vent'anni, non dipinse più. E anch'io smisi quando a vent'anni andai a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia. A Roma non portai il necessario per dipingere, lasciai tutto a Piacenza, dove ritornavo spesso. Ma, come mia madre e mio fratello Paolo, non toccai più un pennello, anche se poi la mia vita fu completamente diversa dalla loro». Sono estratti dallo scritto, pudicamente ma intensamente autobiografico come molte “confessioni” di questo artista, con cui il regista piacentino Marco Bellocchio (oggi sugli scudi con Buongiorno, notte, il suo fortunatissimo film ispirato al caso Moro) presenta la mostra intitolata Marco Bellocchio. Quadri. Il pittore, il cineasta, inaugurata l'altra sera a Parma nella Galleria delle Colonne del Centro Culturale Edison (“officina culturale” parmense che ospita l'omonimo cinema d'essai e il Teatro Cinghio). Promossa dalla Fondazione Edison e dal Comune di Parma, questa esposizione è dedicata al Bellocchio pittore (e poeta) adolescente e al sorprendente Bellocchio disegnatore degli anni a venire: un lato minore e “oscuro” della creatività di questo maestro, che ha agito però negli anni - un importantissimo merito di questa mostra è quello di offrirne dimostrazione - come il lievito segreto delle sue visioni cinematografiche (una vena che è venuta alla luce, nel modo più discreto, in un film del Nostro, L'ora di religione: i quadri che intravediamo nell'atelier del pittore Ernesto Picciafuoco, interpretato da Sergio Castellitto, sono dipinti dal regista).
Le 11 tele dipinte a olio (i cui numi ispiratori, chiaramente leggibili, sono dichiarati dallo stesso Bellocchio quarant'anni dopo: da Chagall - c'è pure un violinista verde - a Grosz, da Munch - l'influenza più evidente - al mondo letterario dell'amatissimo Pascoli) sono, nella loro acerba bellezza, un “autoritratto dell'artista da giovane” che già anticipa molte cose del genio che verrà. Introversione e autobiografismo: ecco la malinconica figuretta blu affacciata alla finestra di Il collegiale e i tre funerei Gruppi di famiglia, uno dei quali - un figlio che reclina la testa sulla spalla della madre con un gesto di innaturale violenza - ha suggerito al critico cinematografico Tullio Masoni (curatore del catalogo della mostra pubblicato da Falsopiano e moderatore l'altra sera dell'incontro pubblico con Bellocchio al cinema Edison di Parma che ha inaugurato l'esposizione) l'analogia con una scena famosa di I pugni in tasca, folgorante debutto bellocchiano.
Ma a far la parte del leone, nella mostra, sono gli schizzi preparatori dei film: I pugni in tasca, Nel nome del padre, Gli occhi, la bocca (che introduce una magnetica scansione “fumettistica” destinata a tornare), Enrico IV, Diavolo in corpo, La visione del Sabba, La condanna, Il sogno della farfalla, Il Principe di Homburg, La balia, L'ora di religione e soprattutto Buongiorno, notte (di cui la mostra espone ben 50 tavole preparatorie, che spesso superano le immagini del film per barocchismo e crudezza visionaria: politici che accarezzano prostitute vestite da suore, cani-giornalisti alle conferenze stampa). Nel caldo e complice incontro col pubblico (in prima fila il suo attore-feticcio, il bobbiese Gianni Schicchi), Bellocchio si è lasciato andare a una confessione illuminante: «Fare cinema ti spinge a un continuo scontro col mondo esterno per superare le difficoltà pratiche, ti dà un certo coraggio umano.
La pittura, invece, si esercita in solitudine. E io, che sono sempre stato incline all'introversione, a un certo punto ho decisamente ripudiato la pittura per il cinema anche per paura che la solitudine esercitasse su di me un'attrazione eccessiva. A Roma ho conosciuto molti grandi pittori che hanno finito per autodistruggersi, da Schifano a Festa: non volevo finire come loro».
La mostra parmense del Bellocchio pittore e disegnatore resterà aperta alla Galleria delle Colonne, in Largo 8 Marzo, fino a venerdì 7 novembre, dal lunedì al venerdì (orari: 9.30-13 e 15.30-18.30) e al termine delle proiezioni del cinema d'essai Edison. informazioni: 0521/964803 o info@edisonline.org.
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Quadri, disegni e bozzetti alla Galleria delle Colonne fino al 5 novembre
«Volevo fare il pittore»
Marco Bellocchio ha inaugurato la sua mostra
M. S.


«Mi è sempre piaciuto disegnare, dipingere. Mi rilassa mentre trovo molto faticoso scrivere. Da ragazzo pensavo che mi sarebbe piaciuto fare il pittore e quando sono andato a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia ne ho conosciuti e frequentati molti. Poi il cinema ha assorbito tutte le mie energie perché penso sia un'arte più completa, che richiede coraggio, ti costringe a lavorare insieme ad altri, ti fa essere più umano, mentre dipingere è un'attività solitaria». Così si è presentato Marco Bellocchio l'altra sera all'Edison d'essai, in occasione dell'inaugurazione alla Galleria delle Colonne della mostra «Visioni pittoriche e Cinema», che rimarrà aperta fino al 5 novembre.

Del pittore mancato - e cineasta affermato, di passaggio a Parma prima di partire per New York in compagnia di Buongiorno, notte il film che tra mille polemiche sta ottenendo straordinari risultati al botteghino ed è invitato a numerosi festival internazionali - sono esposti quadri giovanili (se ne vedevano anche in L'ora di religione, come se fossero opera di Ernesto Picciafuoco) assieme a bozzetti, disegni, studi di inquadrature dei suoi film.

«Non faccio veri e propri story-board - ha detto Bellocchio - ma piuttosto fisso con i disegni delle suggestioni particolari, dei momenti fondamentali della storia che ho in mente. E poi non li porto sul set, sono dei divertimenti che mi aiutano a creare delle atmosfere. E anche ad occupare i tempi morti che nel cinema sono spesso lunghi: tra l'ideazione e la realizzazione di un film possono passare molti mesi. E a volte l'idea rimane solo sulla carta…»

La conduzione dell'incontro col pubblico nella sala stracolma (presenti anche alcuni amici d'infanzia del regista, tra cui Gianni Schicchi che compare in quasi tutti i film di Bellocchio, arrivati appositamente da Bobbio), è stata affidata a Tullio Masoni, critico e saggista, curatore del volume Marco Bellocchio. Quadri, Il pittore, il cineasta (edizioni Falsopiano, pagg. 112, euro 15), davvero molto ben realizzato, con riproduzioni fedelissime agli originali. Masoni ha ricordato come il regista sia arrivato al cinema dopo aver frequentato non solo la pittura ma anche la poesia ed ha poi riversato sulla pellicola le sue metafore, le sue tensioni e le sue rivolte che, come ha scritto Stefano Spagnoli, assessore alla Cultura del Comune di Parma, «sono in fondo ancora le nostre, anche se l'istituzione totale controlla più scientificamente le nostre vite». Una coerenza anche stilistica riconoscibile in tutte le tappe del suo percorso artistico.

Ma poteva un incontro con Marco Bellocchio non toccare il tasto di Buongiorno, notte? Ovviamente non e così, dopo che Masoni ha riferito un'obiezione-desiderio di Adriano Aprà - che avrebbe voluto un film ancora più sognato, al che il regista ha replicato di non aver fatto un film sognato ma piuttosto visionario - l'artista piacentino ha risposto ad alcune domande arrivate dal pubblico, ribadendo il carattere «non storico né cronachistico» dell'opera, spiegando il perché di alcune citazioni da classici muti sovietici, le intenzioni del canto partigiano, mostrandosi sorpreso di fronte all'accostamento tra il suo film e La caduta degli dei di Luchino Visconti.

Ha concluso lanciando un messaggio ai giovani aspiranti registi («Oggi per un ventenne è più facile fare un film rispetto ai miei tempi: la tecnologia era più complessa, più costosa… ma ovviamente occorre sempre avere una personalità, la voglia di raccontare») e ringraziando la Fondazione culturale Edison per aver allestito questa mostra, «che è più ricca e completa" di quella organizzata alcuni anni fa a Locarno».