Corriere della Sera 24.6.04
GLI ITALIANI Ansioso 1 su 3
Un italiano su tre soffre di ansia o depressione e uno su due ne ha sofferto almeno una volta. Lo rivela un’indagine dello psichiatra Marcello Nardini dell’Università di Bari su un campione di oltre duemila persone
I MODI : Insonnia e fobie. L’ansia si presenta sotto forma di tensione, preoccupazioni, insonnia, difficoltà a concentrarsi, attacchi di panico, fobie
LE CURE: I farmaci. Sono efficaci varie forme di psicoterapia, in particolare la cognitivo comportamentale. I farmaci sono di aiuto, purché sotto stretto controllo
Corriere della Sera 24.6.04
Addio alla paura, il segreto nel cervelletto
Ricerca italiana scopre nei topi la proteina che fa ricordare i traumi. «Potrebbe servire contro l’ansia»
di Margherita De Bac
Un brutto incidente, una violenza sessuale, uno scippo. La reazione a esperienze sgradevoli è la paura. E la paura genera ansia. Quando ci ritroveremo in una situazione che richiama esperienze già vissute, o avremo il timore di riviverle, saremo colti da un senso di angoscia, con ricadute a livello psichico. Colpa della memoria. La «memoria della paura». Uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista internazionale Neuron fa intravedere una cura (tutta da verificare e comunque lontana) per cancellarla. Per impedire che ricordi traumatici vengano immagazzinati, processo che richiede due o tre giorni a partire dall’evento. Scienziati italiani hanno infatti scoperto nel cervelletto del topo la funzione di una proteina la cui assenza determina la rimozione dei ricordi recenti. In parole semplici, gli animaletti geneticamente privi di questa sostanza non imparano la paura. «Sia chiaro, è molto prematuro immaginare una pillolina antiansia - evita ogni tipo di semplificazione Piergiorgio Strata, neurologo di Torino che ha coordinato la ricerca condotta presso la Fondazione ricerca Santa Lucia, a Roma -. Però è molto importante aver individuato il meccanismo che permette di dimenticare». La pasticca, se davvero venisse sintetizzata, funzionerebbe un po’ come la pillola del giorno dopo, che annulla il rischio di gravidanza dopo un rapporto sessuale. Esempio: torno a casa la notte, dall’ombra spunta un uomo che mi aggredisce. Il giorno successivo prendo il farmaco e prevengo l’ansia che mi catturerebbe scorgendo in un’altra occasione un’ombra nella notte, seppur innocua.
Strata si è sempre occupato del cervelletto, una regione cerebrale che, come hanno confermato una serie di studi recenti, non solo sovrintende ai movimenti, ma allo stesso tempo coordina alcune funzioni superiori, psichiche. E’ coinvolto anche nelle emozioni. In questo piccolo organo è stata individuata una sinapsi, cioè il punto di contatto tra due neuroni, che produce una proteina essenziale per la memoria. Di fronte a un evento che innesca paura questa proteina si trasforma e la sua trasformazione resta evidente almeno per le successive 24 ore. I topi che geneticamente non la possiedono hanno la fortuna di rimuovere i traumi, di non immagazzinarli. «In teoria riproducendo lo stesso meccanismo nell’uomo si potrebbe fargli dimenticare le esperienze spiacevoli che sono alla base di ansia, nevrosi, sindromi post traumatiche. In questo caso si cancellerebbe un ricordo molto recente, non le paure innate che costituiscono la nostra difesa contro i pericoli dell’ambiente», spiega Strata. La ricerca, fa notare Carlo Caltagirone, direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia, è stata possibile anche dal fatto che «la Fondazione, attraverso l’Istituto europeo di ricerche sul cervello, l’Ebri, ha stabilito una rete di laboratori con progetti in comune per lo sviluppo di tematiche che difficilmente un unico gruppo potrebbe portare avanti».
Strata sta lavorando con un gruppo giapponese che ha messo a punto una molecola sintetica capace di inattivare la proteina che fa sedimentare la paura. Verrà provata su topi sani per verificare se davvero si riesce a prevenire l’ansia.
Corriere della Sera 24.6.04
IL VALORE DELL’ESPERIENZA
di Massimo Piattelli Palmarini
Puntualmente, le notizie dal mondo della biologia ci ricordano che, grazie alle raffinate tecniche di ingegneria genetica, le specie viventi costituiscono ormai una biblioteca di testi complessi, che i ricercatori più smaliziati riescono non solo a leggere, ma anche a riscrivere, fino nei minuti dettagli. Nell’ultima ricerca pubblicata su Neuron si parla di topi geneticamente manipolati, i quali risultano incapaci di ricordare eventi spaventosi recentemente subìti. Già si sapeva che la memoria duratura di un evento si basa su modificazioni chimiche ed elettriche stabili di alcune connessioni nervose, cioè di alcune sinapsi. Il meccanismo principale di tale modifica consiste nella sintesi e nella fissazione, sulle membrane delle cellule nervose, di particolari proteine. Bersaglio della ricerca del gruppo torinese è la proteina codificata da un gene chiamato GRID2. Modificando questo gene, e quindi il suo prodotto, l’animale impara sul momento la reazione di paura acquisita, ma poi la dimentica. Continuano a funzionare le associazioni paurose innate, come quelle a un colpo di pistola o alla presenza di un serpente, ma gli abbinamenti nuovi, per esempio con uno shock elettrico o un elevato livello di rumore, si disciolgono abbastanza rapidamente nel tempo in questi topi mutanti. Il centro cerebrale specificamente coinvolto è il cervelletto, tradizionalmente ritenuto il direttore d’orchestra per la coordinazione dei movimenti, soprattutto nella marcia e nella corsa, ma recentemente accreditato anche per un controllo di connessioni per svariate altre funzioni, compresi alcuni compiti linguistici. Il suo coinvolgimento nella formazione e la stabilizzazione delle memorie a lungo termine è il risultato scientifico più notevole di questa nuova scoperta.
Il cervelletto dialoga con la cosiddetta amigdala, ben noto centro cerebrale molto profondo, molto antico, che i mammiferi hanno in comune con i rettili. L’amigdala è notoriamente connessa con la paura, l’ansietà, i segnali di pericolo, la reazione ad un animale che si avvicina troppo e, come recentemente mostrato, nell’uomo, anche al dispiacere di perdite economiche. Alcune patologie dell’amigdala inducono, negli esseri umani, autismo, depressione e particolare suscettibilità ad attacchi di ansia. Il gene adesso manipolato dagli studiosi italiani è coinvolto nelle connessioni tra cervelletto ed amigdala e si rivela indispensabile al processo di memorizzazione e apprendimento attraverso esperienze paurose. I film di fantascienza ci hanno abituato ad immaginare situazioni nelle quali memorie particolari vengono impiantate o rimosse chimicamente dall’esterno. Questa scoperta rimuove un po’ del prefisso «fanta» e avvicina tali possibilità almeno di un primo timido passo, verso la scienza vera e propria. Il gene in questione è presente, infatti, anche nell’uomo ed esso assomiglia a quello del topo per ben l’ottanta per cento, nella sua sequenza di Dna, e le sue sregolazioni sono legate a una patologia chiamata atassia cerebellare. Inevitabile domandarsi se si avrebbe il diritto, potendolo fare, di rimuovere selettivamente certe memorie spaventose dal nostro cervello e dalla nostra mente.
Le memorie fanno parte integrante di ciò che costituisce una persona come quella persona e sono parte della nostra privata sensazione di identità. Inoltre, ci serve imparare dalle memorie delle nostre esperienze molto negative. Manipolarle appare, quanto meno, di dubbia legittimità etica, perfino se lo facessimo con il pieno consenso dell’interessato. D’altro canto, i reduci dalle guerre, le prigionie, le torture, i sequestri e altre immense sciagure limitate nel tempo, spesso trovano arduo reinserirsi in un’esistenza normale. In tali casi estremi, si sarebbe tentati, se mai tale tecnologia divenisse veramente accessibile, di rimuovere selettivamente i ricordi spaventosi.
Il professor Strata si dichiara prudentemente favorevole, in linea di principio, a tali interventi, in casi estremi. Una volta di più, l’etica delle manipolazioni genetiche e farmacologiche stenta a seguire il passo delle ricerche. Dovremo procedere caso per caso, soppesando anche le possibili controindicazioni cliniche, per ora del tutto ignote. Chi beveva per dimenticare, forse, inconsapevolmente e goffamente, anticipava solo i tempi.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 24 giugno 2004
cultura tolemaica 1:
alcuni articoli da Repubblica
Repubblica Salute 24.6.04
Sua signoria la Serotonina
La molecola che decide il nostro umore La produzione stimolata dal movimento e dalla digestione. E dallo psicofarmaco più famoso
di Francesco Bottaccioli
LA SEROTONINA, 5-idrossitriptamina (5-HT in sigla), viene prodotta da alcune decine di migliaia di neuroni (pochi rispetto a un contesto fatto di miliardi di cellule) collocati nel tronco dell'encefalo, posto nella parte bassa del cervello (i cosiddetti Nuclei del Rafe), Da qui queste cellule distribuiscono una selva di prolungamenti (assoni ricchi di collaterali) in avanti verso tutte le aree fondamentali del cervello e in basso verso il midollo spinale, dove si connettono sia ai neuroni che comandano il movimento (motoneuroni) sia a quelli che ricevono le sensazioni (neuroni sensitivi) sia ai neuroni del simpatico.
La molecola viene catturata tramite diversi tipi e sottotipi di recettore. Nell'intestino, ad esempio, la stimolazione del recettore 5-HT3 produce una sensazione di pienezza che può arrivare fino alla nausea violenta.
Molto studiato è il recettore che trasporta la serotonina (sert o 5-HTT). Un cattivo funzionamento del trasportatore può non solo ridurre la disponibilità di serotonina nei neuroni, con rabbia e depressione, ma anche un incremento della molecola fuori dai neuroni, con possibile aumento dell'infiammazione e alterazione della coagulazione del sangue. Questa alterazione può dipendere da una variante genetica che sembra diffusa e rilevante soprattutto per le donne. (f. b.)
Repubblica Salute 24.6.04
I "brutti pensieri" causati dai farmaci
Allarme delle Sanità Usa, inglese e canadese
Nelle scorse settimane le autorità sanitarie americane, canadesi e inglesi hanno messo in guardia prescrittori e assuntori di farmaci antidepressivi serotonergici, in particolare per quanto riguarda il loro uso nei giovani con meno di 18 anni di età.
La decisione della Fda, l'ente governativo Usa di controllo sui farmaci, è la più cauta. Da un lato ha chiesto alla Columbia University di riesaminare i 25 studi su questi farmaci, al tempo stesso ha deciso di scrivere sul foglietto delle istruzioni "non è stato provato che causino un incremento del rischio di suicidio". La qual cosa ha suscitato critiche e ilarità di un movimento d'opinione che da anni segnala alle autorità statunitensi il rischio che, in alcuni soggetti, l'inizio della terapia con serotonergici possa aumentare pensieri suicidi.
L'Agenzia governativa inglese (Mhra) ha invece deciso che, al momento, solo un farmaco, la fluoxetina, ha prove tali da essere usato nei giovani sotto i 18 anni. Tutti gli altri, la paroxetina, la sertralina, il citalopram, la fluvoxamina non sono meglio del placebo, e in più potrebbe aumentare il rischio di suicidio o di idee suicide. Recentemente su Lancet un gruppo della Università di Londra ha dimostrato che le aziende non pubblicano tutti i dati a loro disposizione, dai quali emerge un quadro più preoccupante di quello noto.
Gli studiosi denunciano la scarsa o nulla efficacia dei farmaci sopradetti, almeno nei giovani, e gli effetti avversi: l'aumento delle idee e dei propositi suicidi e la possibile sindrome da astinenza nel caso di una loro brusca interruzione. E se non sorprende l'astinenza, comune a altri psicofarmaci, per l'incremento dei propositi suicidi è difficile avanzare spiegazioni. E' noto da tempo solo un meccanismo di desensibilizzazione dei recettori da eccesso extracellulare di serotonina e l'esistenza di una variante genetica che renderebbe meno efficiente il trasporto della molecola, esponendo le persone portatrici a una grave alterazione della trasmissione serotonergica. Ma per ora sono ipotesi.
Resta il fatto che "Lancet" denuncia l'assenza di una ricerca di Stato, indipendente, ed il monopolio di fatto degli studi clinici delle aziende. Cita il caso dell'inglese Biobank, che vuole reclutare mezzo milione di volontari per la sperimentazione dei farmaci. Presidente del comitato scientifico della Biobank è John Bell, che è anche il direttore di Roche, il colosso farmaceutico. È evidente, afferma "Lancet", che il coinvolgimento di interessi è tale da porre sospetti sulla trasparenza e correttezza degli studi da cui poi verranno autorizzati nuovi farmaci. (f. b.)
Repubblica 24.6.04
Ne soffrono 2 milioni d´italiani, colpite le donne
Estate, stagione a rischio per gli attacchi di panico
ROMA - Attacchi di panico per oltre due milioni di italiani, Ed è l´estate la stagione più a rischio. Molte volte la vittima predestinata è donna: due terzi delle persone che ne soffrono, soprattutto tra i 18 e i 40 anni, sono donne, quasi sempre in carriera, in competizione e stressate. Ma sono anche le grandi città, Roma e Milano in testa, a contare il maggior numero di casi. Questi i numeri diffusi dal neurologo Rosario Sorrentino, membro dell´Accademia americana di Neurologia e a capo dell´Uiap, unità italiana contro gli attacchi di panico, presso la clinica Paideia di Roma, Il neurologo ritiene che in estate gli attacchi s´intensifichino. «In questa stagione - dice - si rompe con la quotidianeità e quindi ci si sente meno protetti. Ma soprattutto cambia il clima che incide notevolmente sull´insorgenza del disagio mentale». Almeno un italiano su tre ha vissuto un episodio di attacco di panico, la paura di morire, di respirare e di volare. Il 10% di questi malati è candidato ad avere il disturbo da attacco di panico
Repubblica 24.6.04
L'animale, grazie a una proteina, dimentica i traumi
Si studia un "supertopo" per vincere ansia e paura
ROMA - Si nasconde nel cervelletto uno dei nodi di quella "rete della paura" di cui i neuroscienziati stanno ricostruendo il tracciato. La scoperta, che appare domani sulla prestigiosa rivista "Neuron", è opera di ricercatori dell´università di Torino e della Fondazione Santa Lucia di Roma, coordinati da Piergiorgio Strata. Lo studio riguarda un tipo di sinapsi (il collegamento in cui passano i segnali tra i neuroni) che ha sede nel cervelletto, e che ha una proteina prodotta da un gene detto GRID2. Studiando topi con una mutazione genetica naturale che provoca la mancanza della proteina, i ricercatori hanno scoperto che questi animali non ricordano gli eventi traumatici (ad esempio la scossa elettrica presa passando in un certo punto di una gabbia). Mentre i topi normali imparano a evitare le zone a rischio, i mutanti al momento hanno paura, ma dimenticano lo shock quasi subito. «Lo studio - commenta Strata - conferma che il cervelletto è coinvolto in funzioni superiori complesse. Ed è un importante passo avanti verso terapie per le sindromi fobiche e post-traumatiche». (c.d.g.)
Sua signoria la Serotonina
La molecola che decide il nostro umore La produzione stimolata dal movimento e dalla digestione. E dallo psicofarmaco più famoso
di Francesco Bottaccioli
LA SEROTONINA, 5-idrossitriptamina (5-HT in sigla), viene prodotta da alcune decine di migliaia di neuroni (pochi rispetto a un contesto fatto di miliardi di cellule) collocati nel tronco dell'encefalo, posto nella parte bassa del cervello (i cosiddetti Nuclei del Rafe), Da qui queste cellule distribuiscono una selva di prolungamenti (assoni ricchi di collaterali) in avanti verso tutte le aree fondamentali del cervello e in basso verso il midollo spinale, dove si connettono sia ai neuroni che comandano il movimento (motoneuroni) sia a quelli che ricevono le sensazioni (neuroni sensitivi) sia ai neuroni del simpatico.
La molecola viene catturata tramite diversi tipi e sottotipi di recettore. Nell'intestino, ad esempio, la stimolazione del recettore 5-HT3 produce una sensazione di pienezza che può arrivare fino alla nausea violenta.
Molto studiato è il recettore che trasporta la serotonina (sert o 5-HTT). Un cattivo funzionamento del trasportatore può non solo ridurre la disponibilità di serotonina nei neuroni, con rabbia e depressione, ma anche un incremento della molecola fuori dai neuroni, con possibile aumento dell'infiammazione e alterazione della coagulazione del sangue. Questa alterazione può dipendere da una variante genetica che sembra diffusa e rilevante soprattutto per le donne. (f. b.)
Repubblica Salute 24.6.04
I "brutti pensieri" causati dai farmaci
Allarme delle Sanità Usa, inglese e canadese
Nelle scorse settimane le autorità sanitarie americane, canadesi e inglesi hanno messo in guardia prescrittori e assuntori di farmaci antidepressivi serotonergici, in particolare per quanto riguarda il loro uso nei giovani con meno di 18 anni di età.
La decisione della Fda, l'ente governativo Usa di controllo sui farmaci, è la più cauta. Da un lato ha chiesto alla Columbia University di riesaminare i 25 studi su questi farmaci, al tempo stesso ha deciso di scrivere sul foglietto delle istruzioni "non è stato provato che causino un incremento del rischio di suicidio". La qual cosa ha suscitato critiche e ilarità di un movimento d'opinione che da anni segnala alle autorità statunitensi il rischio che, in alcuni soggetti, l'inizio della terapia con serotonergici possa aumentare pensieri suicidi.
L'Agenzia governativa inglese (Mhra) ha invece deciso che, al momento, solo un farmaco, la fluoxetina, ha prove tali da essere usato nei giovani sotto i 18 anni. Tutti gli altri, la paroxetina, la sertralina, il citalopram, la fluvoxamina non sono meglio del placebo, e in più potrebbe aumentare il rischio di suicidio o di idee suicide. Recentemente su Lancet un gruppo della Università di Londra ha dimostrato che le aziende non pubblicano tutti i dati a loro disposizione, dai quali emerge un quadro più preoccupante di quello noto.
Gli studiosi denunciano la scarsa o nulla efficacia dei farmaci sopradetti, almeno nei giovani, e gli effetti avversi: l'aumento delle idee e dei propositi suicidi e la possibile sindrome da astinenza nel caso di una loro brusca interruzione. E se non sorprende l'astinenza, comune a altri psicofarmaci, per l'incremento dei propositi suicidi è difficile avanzare spiegazioni. E' noto da tempo solo un meccanismo di desensibilizzazione dei recettori da eccesso extracellulare di serotonina e l'esistenza di una variante genetica che renderebbe meno efficiente il trasporto della molecola, esponendo le persone portatrici a una grave alterazione della trasmissione serotonergica. Ma per ora sono ipotesi.
Resta il fatto che "Lancet" denuncia l'assenza di una ricerca di Stato, indipendente, ed il monopolio di fatto degli studi clinici delle aziende. Cita il caso dell'inglese Biobank, che vuole reclutare mezzo milione di volontari per la sperimentazione dei farmaci. Presidente del comitato scientifico della Biobank è John Bell, che è anche il direttore di Roche, il colosso farmaceutico. È evidente, afferma "Lancet", che il coinvolgimento di interessi è tale da porre sospetti sulla trasparenza e correttezza degli studi da cui poi verranno autorizzati nuovi farmaci. (f. b.)
Repubblica 24.6.04
Ne soffrono 2 milioni d´italiani, colpite le donne
Estate, stagione a rischio per gli attacchi di panico
ROMA - Attacchi di panico per oltre due milioni di italiani, Ed è l´estate la stagione più a rischio. Molte volte la vittima predestinata è donna: due terzi delle persone che ne soffrono, soprattutto tra i 18 e i 40 anni, sono donne, quasi sempre in carriera, in competizione e stressate. Ma sono anche le grandi città, Roma e Milano in testa, a contare il maggior numero di casi. Questi i numeri diffusi dal neurologo Rosario Sorrentino, membro dell´Accademia americana di Neurologia e a capo dell´Uiap, unità italiana contro gli attacchi di panico, presso la clinica Paideia di Roma, Il neurologo ritiene che in estate gli attacchi s´intensifichino. «In questa stagione - dice - si rompe con la quotidianeità e quindi ci si sente meno protetti. Ma soprattutto cambia il clima che incide notevolmente sull´insorgenza del disagio mentale». Almeno un italiano su tre ha vissuto un episodio di attacco di panico, la paura di morire, di respirare e di volare. Il 10% di questi malati è candidato ad avere il disturbo da attacco di panico
Repubblica 24.6.04
L'animale, grazie a una proteina, dimentica i traumi
Si studia un "supertopo" per vincere ansia e paura
ROMA - Si nasconde nel cervelletto uno dei nodi di quella "rete della paura" di cui i neuroscienziati stanno ricostruendo il tracciato. La scoperta, che appare domani sulla prestigiosa rivista "Neuron", è opera di ricercatori dell´università di Torino e della Fondazione Santa Lucia di Roma, coordinati da Piergiorgio Strata. Lo studio riguarda un tipo di sinapsi (il collegamento in cui passano i segnali tra i neuroni) che ha sede nel cervelletto, e che ha una proteina prodotta da un gene detto GRID2. Studiando topi con una mutazione genetica naturale che provoca la mancanza della proteina, i ricercatori hanno scoperto che questi animali non ricordano gli eventi traumatici (ad esempio la scossa elettrica presa passando in un certo punto di una gabbia). Mentre i topi normali imparano a evitare le zone a rischio, i mutanti al momento hanno paura, ma dimenticano lo shock quasi subito. «Lo studio - commenta Strata - conferma che il cervelletto è coinvolto in funzioni superiori complesse. Ed è un importante passo avanti verso terapie per le sindromi fobiche e post-traumatiche». (c.d.g.)
a proposito di «radici cristiane»
sul manifesto
il manifesto 24.6.04
EUROPA
Le radici disperse e la sconfitta del Papa
FILIPPO GENTILONI
Le fonti ufficiali del Vaticano hanno parlato di «rammarico» per l'assenza delle «radici cristiane» nel testo della nuova costituzione europea. «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati». Probabilmente rammarico è troppo poco: il Papa ha criticato la costituzione con una certa violenza, parlando in polacco al di là del testo ufficiale. Una irritazione, questa del Vaticano e personalmente del Papa, sulla quale vale la pena di riflettere. Almeno tre gli interrogativi ineludibili. Il primo è storico: sono veramente cristiane le radici dell'Europa? Il secondo è politico: non sarebbe meglio difenderle in altro modo le supposte radici? E ancora: come mai questa insistenza vaticana - insolita, a dir poco - su un tema che lo vede perdente?
La storia è ben nota. Ed è, a dir poco, complessa. Molte le radici della nostra Europa, e fra queste quelle cristiane non sono certamente dominanti. E sono anche «sporche»: i cristiani si sono violentemente combattuti fra di loro mentre cercavano a fatica di affermarsi sulle altre radici. Basti pensare a quelle della cultura greca. In quanto all'Europa moderna, poi, le sue radici si riconoscono molto più nei principi della rivoluzione francese che in quelli del vangelo. La lettura vaticana è, a dir poco, parziale e faziosa.
Ma qui si inserisce il secondo interrogativo. A che cosa gioverebbe la contestata menzione delle presunte radici cristiane? Non sarebbe meglio se il presunto spirito cristiano dell'Europa unita fosse letto nella vita degli europei più che nel testo di una costituzione? E' qui, nella vita, il vero testo. Ma qui si legge tutt'altro. Si legge di un'Europa che negli ultimi secoli si è voluta imporre sugli altri, che si è distinta per le guerre e il potere, non certo per lo spirito delle beatitudini. Lo si chieda, quale è il volto dell'Europa e quali sono le sue radici, a tutti i colonizzati schiacciati, dall'India all'Africa. La loro voce conta molto più di un testo redatto a tavolino dai diplomatici di turno. Per non parlare degli ebrei, ai quali sarebbe bene chiedere quale è la loro presenza e il loro ruolo in un'Europa che si vanta delle sue radici cristiane. Forse addirittura antisemite.
Anche oggi , mentre si parla di globalizzazione e di immigrazione, l'Europa non mostra certamente un volto «cristiano»: si provi a rivolgere il discorso non tanto ai deputati di Strasburgo ma agli immigrati sbattuti sulle coste del Mediterraneo e poi rinchiusi nei lager.
Come mai, allora, nonostante tutto ciò, il Vaticano insiste? Non sarebbe meglio chiedere perdono, come il papa ha fatto con coraggio a proposito dell'Inquisizione? La diplomazia vaticana, d'altronde, non cerca sempre di evitare le sconfitte? Si può cercare di rispondere ricordando quanto il discorso sull'Europa sia caro a Wojtyla. Fin dai primi tempi del pontificato il papa parlava di Europa «dall'Atlantico agli Urali»: unita e cristiana. Il crollo dei muri, però, non favorì quel sogno. Nasceva una Europa unita più dal capitalismo filoamericano che dalle sue presunte radici cristiane. Oggi, con la costituzione dell'Europa a 25 il sogno wojtyliano si è ripetuto, ma se ne sta ripetendo il fallimento. L'Europa a 25 nasce più laica che cristiana: le sue radici non sono certamente nella rivoluzione d'ottobre, come forse qualcuno aveva sperato, ma neppure nelle pagine del vangelo, come ha sperato il Vaticano. Caso mai, piuttosto nelle rivoluzioni borghesi del sette e ottocento. Con i loro vantaggi e i loro limiti.
EUROPA
Le radici disperse e la sconfitta del Papa
FILIPPO GENTILONI
Le fonti ufficiali del Vaticano hanno parlato di «rammarico» per l'assenza delle «radici cristiane» nel testo della nuova costituzione europea. «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati». Probabilmente rammarico è troppo poco: il Papa ha criticato la costituzione con una certa violenza, parlando in polacco al di là del testo ufficiale. Una irritazione, questa del Vaticano e personalmente del Papa, sulla quale vale la pena di riflettere. Almeno tre gli interrogativi ineludibili. Il primo è storico: sono veramente cristiane le radici dell'Europa? Il secondo è politico: non sarebbe meglio difenderle in altro modo le supposte radici? E ancora: come mai questa insistenza vaticana - insolita, a dir poco - su un tema che lo vede perdente?
La storia è ben nota. Ed è, a dir poco, complessa. Molte le radici della nostra Europa, e fra queste quelle cristiane non sono certamente dominanti. E sono anche «sporche»: i cristiani si sono violentemente combattuti fra di loro mentre cercavano a fatica di affermarsi sulle altre radici. Basti pensare a quelle della cultura greca. In quanto all'Europa moderna, poi, le sue radici si riconoscono molto più nei principi della rivoluzione francese che in quelli del vangelo. La lettura vaticana è, a dir poco, parziale e faziosa.
Ma qui si inserisce il secondo interrogativo. A che cosa gioverebbe la contestata menzione delle presunte radici cristiane? Non sarebbe meglio se il presunto spirito cristiano dell'Europa unita fosse letto nella vita degli europei più che nel testo di una costituzione? E' qui, nella vita, il vero testo. Ma qui si legge tutt'altro. Si legge di un'Europa che negli ultimi secoli si è voluta imporre sugli altri, che si è distinta per le guerre e il potere, non certo per lo spirito delle beatitudini. Lo si chieda, quale è il volto dell'Europa e quali sono le sue radici, a tutti i colonizzati schiacciati, dall'India all'Africa. La loro voce conta molto più di un testo redatto a tavolino dai diplomatici di turno. Per non parlare degli ebrei, ai quali sarebbe bene chiedere quale è la loro presenza e il loro ruolo in un'Europa che si vanta delle sue radici cristiane. Forse addirittura antisemite.
Anche oggi , mentre si parla di globalizzazione e di immigrazione, l'Europa non mostra certamente un volto «cristiano»: si provi a rivolgere il discorso non tanto ai deputati di Strasburgo ma agli immigrati sbattuti sulle coste del Mediterraneo e poi rinchiusi nei lager.
Come mai, allora, nonostante tutto ciò, il Vaticano insiste? Non sarebbe meglio chiedere perdono, come il papa ha fatto con coraggio a proposito dell'Inquisizione? La diplomazia vaticana, d'altronde, non cerca sempre di evitare le sconfitte? Si può cercare di rispondere ricordando quanto il discorso sull'Europa sia caro a Wojtyla. Fin dai primi tempi del pontificato il papa parlava di Europa «dall'Atlantico agli Urali»: unita e cristiana. Il crollo dei muri, però, non favorì quel sogno. Nasceva una Europa unita più dal capitalismo filoamericano che dalle sue presunte radici cristiane. Oggi, con la costituzione dell'Europa a 25 il sogno wojtyliano si è ripetuto, ma se ne sta ripetendo il fallimento. L'Europa a 25 nasce più laica che cristiana: le sue radici non sono certamente nella rivoluzione d'ottobre, come forse qualcuno aveva sperato, ma neppure nelle pagine del vangelo, come ha sperato il Vaticano. Caso mai, piuttosto nelle rivoluzioni borghesi del sette e ottocento. Con i loro vantaggi e i loro limiti.
embrione
il prof. Vattimo sul manifesto
il maifesto 24.6.04
PROCREAZIONE
La nuda vita dell'embrione
di GIANNI VATTIMO
Ma i difensori dell'embrione e dei suoi diritti si rendono conto che la loro sacralità della vita è tutto il contrario della dedizione ai valori con cui cercano di giustificare ciò che, alla fine, è solo una vera e propria idolatria spermatico-cellulare? Che cosa hanno da fare i valori con la «nuda vita» (prendo liberamente l'espressione da Giorgio Agamben), che per loro si riduce al grumo di sostanze da cui, in futuro, può venire un essere umano titolare cosciente di diritti ? Un effetto collaterale delle recenti discussioni sulla legittimità della guerra e sugli ideali in nome dei quali può essere giusto morire in battaglia non dovrebbe essere anche la presa d'atto che la nuda vita, priva delle «vivendi causas», non ha alcun senso? I valori - la cultura, lo scambio intersoggettivo, la volontà di lasciare alle generazioni future un mondo più felice, per non parlare della speranza nell'al di là - hanno poco o nulla da fare con la pura e semplice sopravvivenza biologica? Certo, si risponderà che senza questa non ci possono neanche essere quelli. Ma quando i due valori confliggono, o comunque impongono scelte come quelle che si presentano nei casi di eutanasia, aborto, sperimentazione con gli embrioni, proprio lì è il caso di domandarsi che senso ha la difesa della nuda vita a tutti i costi. Si può ragionevolmente sospettare che la troppo spesso untuosa preoccupazione di non danneggiare questa vita non sia un modo di opporsi alla «crisi dei valori», ma ne sia invece la più completa espressione. Come dire che non crediamo più a niente, e allora salviamo almeno la pelle. Se no dovremmo approvare i tanti che rubano «perché tengono famiglia»; e stigmatizzare come fanatici i partigiani ventenni della canzone di Calvino, che si «conquistavano le armi in battaglia» - non certo per farne una collezione da museo.
Già, ma allora il pacifismo? E anche molte giuste e condivisibili ragioni di un minimalismo etico che ci vuole salvare dai fanatismi del passato? Tutto bene, ma meglio sarebbe giustificare queste posizioni con ragioni storiche concrete. Per esempio: oggi non si può più fare una guerra mondiale senza correre il rischio di distruggere il mondo, dunque si può e deve essere pacifisti senza riserve. Ma un ragionamento simile può facilmente volgersi in una accettazione della pax americana, che identifica ogni movimento di liberazione con il terrorismo. Eccetera.
E' chiaro che non ha senso opporre i diritti dell'embrione alle opportunità che, sul piano dei valori - salvezza di esseri viventi in pienezza, amici che stanno morendo o sono bloccati su una carrozzella - derivano dalla ricerca sulle cellule staminali. E si potrebbe essere anche più chiari e radicali: la storia dell'umanità e dei suoi «valori» (ci sono anche le medaglie al valore, ce lo siamo dimenticato?) è passata attraverso il sacrificio di molte vite, ben più che embrionali. Certo preferiamo un mondo in cui non ci sia bisogno di eroi; ma anche sopravvivere in una realtà umbratile dove la nostra sola funzione sia di garantire la nuda sopravvivenza della specie sembra assai peggio.
Qualche biologo molto realista ha suggerito che le galline sono macchine biologiche inventate dalla uova per perpetuarsi. E noi?
PROCREAZIONE
La nuda vita dell'embrione
di GIANNI VATTIMO
Ma i difensori dell'embrione e dei suoi diritti si rendono conto che la loro sacralità della vita è tutto il contrario della dedizione ai valori con cui cercano di giustificare ciò che, alla fine, è solo una vera e propria idolatria spermatico-cellulare? Che cosa hanno da fare i valori con la «nuda vita» (prendo liberamente l'espressione da Giorgio Agamben), che per loro si riduce al grumo di sostanze da cui, in futuro, può venire un essere umano titolare cosciente di diritti ? Un effetto collaterale delle recenti discussioni sulla legittimità della guerra e sugli ideali in nome dei quali può essere giusto morire in battaglia non dovrebbe essere anche la presa d'atto che la nuda vita, priva delle «vivendi causas», non ha alcun senso? I valori - la cultura, lo scambio intersoggettivo, la volontà di lasciare alle generazioni future un mondo più felice, per non parlare della speranza nell'al di là - hanno poco o nulla da fare con la pura e semplice sopravvivenza biologica? Certo, si risponderà che senza questa non ci possono neanche essere quelli. Ma quando i due valori confliggono, o comunque impongono scelte come quelle che si presentano nei casi di eutanasia, aborto, sperimentazione con gli embrioni, proprio lì è il caso di domandarsi che senso ha la difesa della nuda vita a tutti i costi. Si può ragionevolmente sospettare che la troppo spesso untuosa preoccupazione di non danneggiare questa vita non sia un modo di opporsi alla «crisi dei valori», ma ne sia invece la più completa espressione. Come dire che non crediamo più a niente, e allora salviamo almeno la pelle. Se no dovremmo approvare i tanti che rubano «perché tengono famiglia»; e stigmatizzare come fanatici i partigiani ventenni della canzone di Calvino, che si «conquistavano le armi in battaglia» - non certo per farne una collezione da museo.
Già, ma allora il pacifismo? E anche molte giuste e condivisibili ragioni di un minimalismo etico che ci vuole salvare dai fanatismi del passato? Tutto bene, ma meglio sarebbe giustificare queste posizioni con ragioni storiche concrete. Per esempio: oggi non si può più fare una guerra mondiale senza correre il rischio di distruggere il mondo, dunque si può e deve essere pacifisti senza riserve. Ma un ragionamento simile può facilmente volgersi in una accettazione della pax americana, che identifica ogni movimento di liberazione con il terrorismo. Eccetera.
E' chiaro che non ha senso opporre i diritti dell'embrione alle opportunità che, sul piano dei valori - salvezza di esseri viventi in pienezza, amici che stanno morendo o sono bloccati su una carrozzella - derivano dalla ricerca sulle cellule staminali. E si potrebbe essere anche più chiari e radicali: la storia dell'umanità e dei suoi «valori» (ci sono anche le medaglie al valore, ce lo siamo dimenticato?) è passata attraverso il sacrificio di molte vite, ben più che embrionali. Certo preferiamo un mondo in cui non ci sia bisogno di eroi; ma anche sopravvivere in una realtà umbratile dove la nostra sola funzione sia di garantire la nuda sopravvivenza della specie sembra assai peggio.
Qualche biologo molto realista ha suggerito che le galline sono macchine biologiche inventate dalla uova per perpetuarsi. E noi?
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