domenica 17 aprile 2005

il libro di Chiara Ingrao

L'Unità 17 Aprile 2005
Laura e Pietro, della politica e dell’amore
La storia della moglie di Ingrao raccontata dalla figlia Chiara nel libro “Soltanto una vita”

Renzo Cassigoli
La storia d’Italia vista dagli Ingrao
FIRENZE “Soltanto una vita” è il titolo del libro in cui Chiara Ingrao ha raccontato la lunga esistenza di sua madre, Laura Lombardo radice, moglie di Pietro Ingrao. Il libro sarà presentato domani pomeriggio a Firenze nel ciclo “leggere per non dimenticare” dalla stessa autrice e dal giornalista, scrittore e critico letterario Bruno Schacherl che arrivò alla clandestinità e alla Resistenza attraverso Romano Bilenchi.
FIRENZE Chissà perché, leggendo “Soltanto una vita” (Ballini Castoldi 2005) - il libro in cui Chiara Ingrao ha raccolto la lunga e bellissima esistenza di sua madre, Laura Lombardo Radice - viene in mente l’ultimo verso di “Differenze”, la poesia che Pietro Ingrao ha pubblicato in “Variazioni serali”": «Nessun cielo sarà uno». Credo di averlo capito leggendo l’orgogliosa risposta di Laura alla giornalista che chiedeva se avesse fatto qualche passo “fuori dall’ombra” del marito: «Io passi fuori dall’ombra li ho sempre fatti in prima persona - replicò - non mediata da mio marito, ma dalla mia stessa vita nel Partito Comunista, nel movimento femminile, dalla clandestinità alla lotta antifascista, alla Liberazione».
La lettura di un libro è sempre soggettiva, ma quella risposta fa capire meglio come quelle di Laura e di Pietro siano esistenze unite dall’amore e dalla passione politica, eppure, proprio per questo, distinte. In questo libro, quasi un dialogo postumo fra due generazioni di donne che hanno tentato un percorso di libertà per sé stesse e per gli altri, Chiara Ingrao racconta la madre, attraverso le lettere, gli articoli, le interviste, gli appunti che segnano i capitoli, tutti aperti da un “prologo”, fatto di ricordi e di riflessioni, che colloca la testimonianza nel momento storico, politico, o semplicemente di vita, in cui si avevano gli eventi di cui Laura parla.
“Soltanto una vita” sarà presentato domani a “Leggere per non dimenticare” da Rita Guerricchio e da Bruno Schacherl, giornalista, scrittore (ha tradotto Stenghal, Balzac, Proust) critico letterario, che arrivò alla clandestinità e alla resistenza fiorentina, attraverso Romano Bilenchi.
Nel libro Chiara Ingrao ricorda l’incontro avvenuto all'inizio degli anni ‘40 a casa Lombardo Radice, tra il “fiumano” Bruno e Laura la “bellissima cugina” (lo testimonia la foto di copertina) per parte della madre Gemma Harasim.
«Fu Laura - ricorda Bruno - a farmi capire che amare i poeti nuovi, il Novecento di Saba, di Montale, di Ungaretti, sui quali preparavo allora la mia tesi , ma anche di Vittorini e di Bilenchi, piuttosto che la retorica del dannunzianesimo e della falsa romanità, era già ormai un atto politico».
Nel libro, pagina dopo pagina, percorriamo un secolo di storia italiana, europea, dal fascismo all'antifascismo, alla resistenza, alla liberazione e, attraverso un dopoguerra faticoso e difficile, ai giorni vicini a noi quando Laura, che proviene da una grande famiglia di pedagogisti, ormai in pensione non abbandona l’insegnamento, (l’altra grande passione della sua vita) ma entra nelle carceri per portarlo, assieme al teatro, fra i detenuti. Affiorano in queste pagine volti, nomi, conosciuti e sconosciuti, ricordato o dimenticati: Vittorini, Aldo Natoli, Lucio Lombardo Radice, Gianfranco Mattei, Gioacchino Gesmundo (fucilato alle Ardeatine) e Giaime, l'indimenticato amico saltato giovanissimo su una mina, e ancora, Alicata, Jemolo, Visconti.
Ma non sono solo i volti noti o ricordati a riaffiorare. Chiara Ingrao, attraverso la madre riporta a noi figure straordinarie di donne sepolte nella memoria. Irma Bandiera fucilata nel suo vestitino bianco a pallini rossi, Giuditta Levato la contadina calabrese, comunista, uccisa da un massaro mentre rivendicava un lavoro più equo e Teresa Gullace. Ricordate la scena finale di “Roma città aperta” con Anna Magnani uccisa mentre insegue il camion che le porta via il marito? Ebbene quella donna, madre di cinque figli, è esistita davvero si chiamava Teresa Gullace uccisa mentre tentava di passare uno sfilatino al marito arrestato dai fascisti. Nomi e volti di una folla anonima di donne che hanno lottato per il pane e per i loro diritti. Non solo la resistenza armata, ma la resistenza diffusa, l'humus da cui fiorirà la Liberazione, e con essa la Costituzione. Un esercito infinito che Chiara Ingrao disegna con le parole della madre. Non la solita rappresentazione tra il mito e l’oleografia, ma la testimonianza del dolore e della sofferenza di migliaia di madri che fa della Costituzione - spiega Mario Luzi - «non un patto qualsiasi, ma il risultato di un percorso di lotte, di sommosse, delle sofferenze di un intero Paese».
Poi venne il dopoguerra. «Tra il ‘45 e il ‘52, ho avuto quattro figlie. Ho lavorato sempre, ho insegnato. Ho abitato un paio di stanze con tutta la famiglia nella non grande casa materna. Per dieci anni mio marito ha lavorato all’Unità, dormiva dalle 3-4 di notte alle 11 di mattina, se tutto andava bene».
È stata “soltanto una vita” quella di Laura Lombardo Radice, ma così bella e intensa da riempirne un decina.

intuizione

Corriere della Sera 17.4.05
Quando c’è l’intuizione
L’intuizione ha qualcosa di magico, ma è un dono che tutti possiedono. Chi più, chi meno. Questa straordinaria abilità - che forse deriva dall'ancestrale istinto destinato a salvarci la vita di fronte alla necessità di prendere una rapida decisione - è diventata oggetto di studio da parte degli psicologi, desiderosi di comprenderne i meccanismi, soprattutto quelli connessi alla valutazione "immediata" delle altre persone. Tanto che la rivista Monitor, dell'American Psychological Association, le ha recentemente dedicato un intero numero. Chiarendo qualche dubbio.
Secondo Seymour Epstein, psicologo dell'University of Massachusetts, l'intuizione potrebbe essere definita come «La cosa che abbiamo imparato senza renderci conto di averla imparata. E che alle volte risulta utile, alle volte è invece disadattiva». Cioè inutile. L'utilizzo dell'intuizione per valutare gli altri a prima vista è diventato oggi di moda con il fenomeno, di importazione americana, degli "speed-dating", incontri organizzati da apposite agenzie, nei quali single aspiranti a incontrare l'anima gemella parlano per due-tre minuti con una sfilza di persone, indicando quelle che intuitivamente valutano più compatibili con se stessi. Alla base del fenomeno c'è la reale esistenza di strumenti di valutazione impressionistici e non verbali. Diverse ricerche sperimentali hanno infatti dimostrato che è abbastanza facile rilevare alcune caratteristiche psicologiche degli altri, come il livello di estroversione e l'abilità nel socializzare. Secondo Nalini Ambady, psicologo sociale della Tuft University, la personalità è fatta a strati, un po' come una cipolla, e non c'è da meravigliarsi se l'estroversione e la capacità di socializzare risultano essere qualità facilmente rilevabili. «Gli strati vicino alla superficie - dice lo psicologo - sono i più facili da cogliere».
Aspetti nascosti
Altri aspetti di un individuo, anche decisivi per la possibilità di instaurare un rapporto duraturo, possono invece essere quasi impossibili da rilevare e c'è per forza bisogno di tempo perché possano emergere. Senza contare che caratteristiche personali, come un aspetto fisico gradevole o il carisma personale (in gran parte fatto proprio di estroversione) possono rendere ancora più difficile andare in profondità utilizzando solo lo strumento dell'intuizione.
Infine, bisogna considerare le variabili collegate a chi valuta. Alcune persone sono più dotate della cosiddetta "intelligenza sociale" e hanno antenne affinate che consentono loro di cogliere aspetti della personalità altrui. Altre sono meno dotate. Poi conta anche lo stato d'animo in cui ci si trova. Secondo i risultati delle ricerche di Nalini Ambady, più una persona si trova in uno stato d’animo allegro, maggiore è la sua capacità di intuire le caratteristiche degli altri; più il suo umore è depresso, maggiore sono le indecisioni e i tentennamenti.
Un'altra difficoltà può sorgere in chi è decisamente entusiasta della propria capacità di giudicare "a prima vista" : quando si vuole utilizzare l'intuizione bisogna infatti essere pronti a farla funzionare, ma, nello stesso tempo, a sottoporla a valutazione critica.

Corriere della Sera 17.4.05
Percezioni extrasensoriali
La seconda vista
NOI E GLI ALTRI
Più si è allegri, maggiore è la capacità di intuire le caratteristiche altrui

È stata chiamata "mindsight": la vista della mente. E’ un'abilità straordinaria, sulla cui esistenza giura lo psicologo e scienziato informatico Ronald Rensink, dell'University of British Columbia, che l'ha scoperta, individuandola come l'abilità che avrebbe la mente di percepire anche senza vedere con gli occhi. Alla scoperta Rensink è giunto dopo essersi reso conto che alcuni soggetti da lui studiati mostravano di non riuscire a cogliere che cosa fosse cambiato in una scena che veniva posta sotto i loro occhi per la seconda volta, anche quando i cambiamenti erano stati significativi. I soggetti affermavano che qualcosa era cambiato, ma non sapevano dire cosa. Rensink ha ulteriormente esplorato il fenomeno, arrivando alla conclusione che in circa il 30% degli individui potrebbe esistere una specifica abilità nel cogliere l'esistenza di un cambiamento anche quando non hanno "visto" cosa è cambiato. Questa sarebbe la mindsight, una sorta di sistema visivo secondario utilizzato in parallelo a quello usuale.
Secondo altri, il fenomeno esiste, ma in realtà la rilevazione del "qualcosa è cambiato, ma non so cosa" sarebbe solo il primo gradino, precedente di pochi millisecondi l’acquisizione visiva del cambiamento d’immagine.

il Nobel Dulbecco non sa distinguere, sembra, tra "vita" e "vita umana"...

L'Unità 17 Aprile 2005
Dulbecco: «Vita 10 giorni dopo fecondazione»

ROMA «La vita di una persona, secondo me, comincia dal momento in cui l'ovulo si impianta nell'utero, ovvero a una decina di giorni dalla fecondazione». Lo
ha affermato il Nobel Renato Dulbecco, intervenuto alla trasmissione di Raitre «Che tempo fa».
La vita di un individuo, ha affermato Dulbecco, «per me inizia dunque nel momento in cui l'ovulo fecondato si impianta nell'utero». Il premio Nobel ha quindi affrontato il tema della ricerca sulle cellule staminali e a proposito del dibattito tra i ricercatori circa l'opportunità di incentivare la ricerca sulle cellule staminali embrionali piuttosto che quella sulle staminali adulte, il Nobel ha sottolineato come la ricerca vada sviluppata su entrambi

l'Unità di oggi
su Islam e religioni

L'Unità 17 Aprile 2005

Molti si stupiscono della vitalità, anche negativa, che l’Islam sta dimostrando in questi anni: aggressività, radicalismo, violenza. Sembrava che tale religione, non diversamente del resto un po’ da tutte la altre, fosse stata messa alle corde dall’avanzare della cosiddetta Modernità, intesa soprattutto come progresso scientifico, sociale, intellettuale e politico.
Tali quattro aggettivi sembravano sufficienti a circoscrivere il campo della fine del “Bisogno di Dio”. Figlia della paura, del bisogno, dell’intolleranza, della violenza, dell’ignoranza, la religione sarebbe stata cancellata dalla marcia del progresso. Evidentemente non era così: un po’ tutte le religioni sembrano invece esser tornate in auge, accompagnate da fenomeni “irrazionali”, nuove religioni come quelle delineate all’interno del New Age.
Altri osservano però che l’Islam, in apparenza addormentato, si è limitato a riprendere un antico cammino di aggressioni: i musulmani hanno assalito l’Occidente fra VII e X secolo, poi di nuovo tra XIV e XVIII. Siamo ora alla terza ondata.
Tutte visioni astratte e antistoriche. L’Islam è una realtà complessa e policentrica, caratterizzata da culture che, pur conoscendo la rivelazione del profeta Mohammed come centro dell’esperienza religiosa, sono diversissime fra loro.
C’è un Islam tradizionale, ma che non può non tenere conto della modernità con cui si confronta; un Islam radicale di tipo atavico e minoritario (per esempio in Arabia Saudita); uno fatto di una straordinaria carica di politicità rivoluzionaria (il modello iraniano); un Islam occidentalizzato (il caso turco, quel che resta del “socialismo arabo”, il regime monarchico giordano ecc.). Infine molti ed eterogenei tipi di cosiddetto fondamentalismo, che a volte si sposano con le tecniche della guerriglia terroristica.
In altri termini, l’Islam non si sta solo confrontando con la globalizzazione, ma ne è parte attiva. I popoli islamici sono stati finora, eccettuate le oligarchie produttrici di petrolio e detentrici di tecnologia, oggetto piuttosto che soggetto del processo di produzione tipico della globalizzazione stessa.
Oggi il mondo musulmano vuole compartecipare come soggetto a tale processo. E da un punto di vista democratico, al di là delle infami menzogne sulla “esportazione di democrazia”, noialtri occidentali, consci del nostro ruolo, non possiamo dargli torto.

L'Unità 17 Aprile 2005

Anche sulla libertà religiosa questa legislatura - la XIV - si avvia alla conclusione con un vuoto. Lo registro in quanto primo firmatario della legge sulla libertà religiosa, appunto, firmata dai deputati di tutti i gruppi dell’Ulivo (la proposta di legge n. 1576 ): sembrava un obiettivo a portata di mano eppure…
Eppure nemmeno una Camera, quella dei deputati nella fattispecie, ha finora approvato un testo in materia. Insabbiato dall’opposizione della Lega, nonché di deputati dissenzienti in Forza Italia e in Alleanza Nazionale…
Sapete cosa si è gridato? “L’imam potrà sposare!”. Ebbene: oggi una ragazza cristiana che sposa un musulmano lo fa in luoghi di culto annessi alle ambasciate di paesi musulmani, assumendo poi le regole del codice civile di quel paese. Se passa la nuova legge sarà invece il codice civile italiano a regolarne il matrimonio e la situazione dei figli. Ancora: si è gridato che, defiscalizzando (modello Onlus) piccoli contributi di fedeli alle organizzazioni religiose musulmane, si sarebbe finanziato il terrorismo! E questo perché si dimentica che la nuova legge obbligherebbe tali organizzazioni a passare per ministero dell’Interno e Consiglio di Stato.
Ma tant’è. Nonostante il sì della conferenza episcopale italiana, dell’unione delle comunità ebraiche, della federazione delle chiese evangeliche, non si è ancora proceduto. Ora la mano passa alla nuova legislatura, a un nuovo governo e a una nuova maggioranza.
Il dialogo e la convivenza fra le tre grandi religioni del libro - cristiana, ebraica, musulmana - non è più rinviabile nell’èra della globalizzazione dove il flusso di rapporti sociali, economici e culturali ci mette a contatto reciproco.
Il modello giusto è quello delle trattative fra Ue e Turchia sull’adesione di quest’ultima. La richiesta della laicità dello Stato e l’affermazione dei diritti della donna, che ha portato la Ue a porre come condizione, ad esempio, la cancellazione del reato di adulterio.
Dunque non si capisce come all’“invasione dell’Islam” si debba opporre un recinto confessionalistico, all’insegna di un presunto assedio cui sarebbe sottoposto la chiesa cattolica da un risorgente laicismo. Laicità dobbiamo chiedere all’Islam: e laicità delle istituzioni dobbiamo assicurare a tutte le religioni in Europa.

non violenza

La Stampa 17.4.05
L’ONORE E L’UMANITÀ D’UN CAPO PARTIGIANO

Ho letto l'interessante inchiesta di Mattia Feltri «Guerra civile, le vite capovolte» (pubblicata sulla Stampa venerdì), che ripercorre fatti e persone di cui ho notizia diretta dai racconti di famiglia. L’episodio citato nell’articolo dei tre militari tedeschi fucilati, pur grave, esaurisce solo in parte la cronaca di quei terribili giorni. Perché anche allora ci furono persone che seppero conservare il senso dello Stato e, soprattutto, dell’umanità. Mio nonno, Lorenzo Ventavoli, fu protagonista di quegli eventi. Quale partigiano combattente in Garfagnana, nonostante l'età avanzata, ma in coerenza con la sua vita di ex deputato socialista (presente a Sarzana nel '21) e di perseguitato politico, come Presidente del Comitato di Liberazione di Carrara l'on. Lorenzo Ventavoli, liberata la città, accolse la resa di alcune centinaia di militari tedeschi, che vennero ammassati nel cortile di una scuola. Memori delle stragi di Fivizzano e di S. Anna si voleva passare per le armi i catturati vendicando il sangue innocente versato. Mio nonno, invocando il ripristino dello Stato di diritto, della legalità e dell'onore militare, si oppose. Ne nacque uno scontro durissimo, ed anche pericoloso. Alla fine prevalse il senso di civiltà e tutti i tedeschi furono consegnati alle avanguardie dell'Ottava Armata inglese.
Lorenzo Ventavoli

libertà delle donne e laicità

L'Unità 17 Aprile 2005
Libertà delle donne e legge 40
Adele Cambria

Affollatissimo ieri mattina l'enorme salone dell'hotel Massimo D'Azeglio, dove era stato organizzato dalla Federazione romana dei Ds un libero e ricco dibattito sul tema della fecondazione assistita, e quindi del referendum per l'abrogazione della Legge 40, che dovrebbe svolgersi il 12 e il 13 giugno prossimi. Ma, come ha avvertito Miriam Mafai, una delle relatrici di punta del convegno, e, mi sembra di poterlo dire, la più "geneticamente politica", si sta sviluppando proprio in queste ore «una crisi di governo che potrebbe portare alle elezioni anticipate: la cosa avrebbe come conseguenza lo slittamento del referendum, e, poichè le elezioni le vincerà l'Unione (ndr. applausi), del tema si discuterà in Parlamento».
«Ed in questa ipotesi - ha tenuto a sottolineare Mafai - io ritengo che il dibattito, fuori e dentro le Camere, (ed é importantissimo quello fuori), vada centrato sulla laicità dello Stato. Possono farsi dei compromessi, nel rispetto di tutte le convinzioni etiche, ma tenendo fermo il discrimine della laicità delle leggi dello Stato. Trent'anni fa questa convinzione condivisa ci ha dato due leggi, il divorzio e l'aborto; mi chiedo perché ora non ce ne possa dare un'altra, vitale per centinaia di migliaia di italiani e di italiane.

«E per dare concretezza alla parola "laicità", Miriam dichiara, senza batter ciglio: "Io mai avrei dato ospitalità nel mio corpo ad un signore sconosciuto - parla ovviamente della fecondazione eterologa - ma non mi sarei sognata di proibirlo alle altre donne».
Francesca Izzo allarga il discorso: «Libertà delle donne, ma anche libertà degli uomini e rispetto del loro desiderio di paternità». Al riguardo, Chiara Valentini, autrice del libro «La fecondazione proibita» (Feltrinelli 2004) aveva appena detto che la fecondazione eterologa maschile - cioè quella che introduce nel grembo della donna lo spermatozoo "straniero" - è ormai molto ridotta perché una delle tecniche messe a punto in questi anni, la ICS, consente di catturare dal liquido seminale maschile pur povero di spermatozoi quanto basta per fecondare la donna. Mentre si è aggravato il problema della sterilità femminile. «Ne ho intervistate tante - aveva detto Chiara - e tutte sono felicissime e grate del dono ricevuto da un'altra donna. Perchè poi tenere in grembo per 9 mesi il figlio, glielo fa sentire a tutti gli effetti come proprio». Sul binomio libertà-responsabilità femminile, Francesca Izzo ha sviluppato un discorso lucidissimo: «La libertà di procreare é indivisibile dalla responsabilità verso un altro essere umano che chiamiamo alla vita, e verso il partner con cui abbiamo formulato un progetto di vita». Questo concetto, elaborato dalla nuova cultura delle donne, ha aggiunto, «è una delle più grandi conquiste della nostra civiltà». E conclude, appassionatamente: «Ed è proprio questa convinzione forte e diffusa a fare della Legge 40 qualcosa di terribile. Perché la 40 la nega, in radice: infatti dichiarando "persona" l'embrione, distrugge la relazione responsabile della donna e dell'uomo che desiderano un figlio».
Da segnalare il vulcanico, e, in un certo senso addirittura "teatrale" intervento scientifico di un medico siciliano, il dott.Antonino Guglielmino, Presidente della Fondazione Hera di Catania. Guglielmino ha parlato delle malattie genetiche, per ora incurabili, facendone la storia recente: prima degli anni Sessanta per evitare la nascita di un figlio condannato non c'era che astenersi dalla procreazione. E spesso si registravano infanticidi, frutto della disperazione. A partire dagli Anni Sessanta, è stata messa a punto la diagnosi prenatale: l'amniocentesi, e poi la villocentesi, che anticipa la diagnosi al primo trimestre. Ma la soluzione del problema non poteva essere, in entrambi i casi, se non l'aborto. Ed effettivamente, ha affermato Guglielmino, le nascite di bambini ammalati di talassemia sono calate ad un tasso vicino allo zero. «Ma come si é ottenuto questo risultato?», si é chiesto il medico. «Con gli aborti, cioè con una violenza e con la persistenza di un forte senso di colpa in entrambi i genitori». Ma ora la scienza ha messo a punto un altro tipo di indagine, che può farsi sull'embrione, prima ancora che venga impiantato nell'utero. La diagnosi pre-impianto evita la gravidanza e quindi esclude l'aborto, si effettua sull'embrione in terza giornata e nel caso non riscontri la presenza della malattia ereditaria viene tranquillamente immesso nel grembo della donna, che partorirà un figlio sano. «Con la Legge 40, questo non può avvenire. Perchè alla 40 possono rivolgersi soltanto le coppie sterili, e spesso i portatori sani di una malattia genetica non sono affatto sterili. E, comunque, secondo questa legge, se si riscontra che un embrione è malato, va egualmente immesso nell'utero della donna». E qui il medico (geniale) diventa teatrale, quasi un Angelo Musco...«Si potrebbe ovviare a questo divieto - dice - spostando la diagnosi pre-impianto dall'embrione all'ovocito, prima che sia fecondato. L'ovocito, fino a questo momento, non é definito "persona" dalla legge italiana, e quindi non ci sarebbe né reato né multa! Ma c'è un ma: la diagnosi sull'ovocito é scientificamente e tecnicamente impossibile. Si potrebbe tentare, in ipotesi, soltanto su donne giovanissime e capaci di fare un sacco di uova...Ovviamente eccedendo nella stimolazione ovarica. Ma dove va a finire il rispetto per il corpo della donna?»

un convegno sulle cellule staminali a Milano

Galileo 17.4.05
BIOETICA
Quegli ostacoli alla ricerca
di Luca Passacielo

Si è tenuta il sei e il sette aprile a Milano la conferenza internazionale "Advances in Stem Cell Research". L'incontro, che ha visto la partecipazione di oltre quattrocento persone, è stata la prima uscita pubblica del consorzio internazionale EuroStemCell, finanziato dal Sesto Programma Quadro dell'Unione Europea con uno stanziamento di quasi 12 milioni di euro. Padrona di casa è stata Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio di ricerca sulle cellule staminali e di farmacologia per le malattie neurodegenerative dell'Università Statale di Milano, che rappresenta uno dei due poli italiani presenti nel consorzio internazionale. L'altro è il laboratorio di Giulio Cossu al San Raffaele di Milano. Insieme a loro ci sono altre 12 istituzioni europee, tra cui delle aziende private che sulle cellule staminali stanno costruendo un successo commerciale grazie alla produzione di linee cellulari di qualità garantita e alla manipolazione di campioni biologici su commissione.
La conferenza ha lasciato più domande che risposte: i tanti interventi hanno offerto però una panoramica sullo stato dell'arte in questo campo, dando l'idea della complessità dell'argomento ma anche delle possibili prospettive terapeutiche. Diversi gruppi di ricerca stanno già lavorando infatti sull'applicazione clinica delle cellule staminali, in particolare per curare il morbo di Parkinson e per il diabete, malattie degenerative in cui il potenziale ricambio offerto dalle cellule staminali sembra in grado di riportare l'organo all'efficienza. Daniel Pipeleers, del Diabete Research Centre di Bruxelles, ha illustrato le possibilità di condurre le staminali a diventare cellule beta del pancreas, ristabilendo così la normale produzione di insulina da parte dell'organismo. Tuttavia vi sono ancora numerose difficoltà - comuni a tutto l'ambito della medicina rigenerativa - tra cui la scarsità di cellule staminali disponibili. A questo riguardo, Pipeleers ha fatto notare che le staminali prelevate da feti abortiti possono essere per ora fatte crescere in vitro solo per pochi cicli. Dunque, numerosi feti sono necessari per curare un solo paziente. Risultati migliori sono invece possibili con le staminali ottenute da embrioni, capaci di replicarsi e differenziarsi per molti cicli di crescita. La differenza sta - ha spiegato Pipeleers - nella diversa esposizione a segnali interni all'organismo, che rende le cellule staminali fetali "più vecchie" rispetto alle embrionali, come se avessero oltrepassato una soglia. Lo stesso fenomeno è stato riportato dallo svedese Anders Bjorklund dell'Università di Lund, che lavora per la cura del Parkinson.
E' questo infatti uno dei temi caldi del dibattito bioetico: l'uso di embrioni per la ricerca. Luca Coscioni e i portavoce delle associazioni di pazienti, che vedono nelle staminali una speranza per il futuro, hanno sottolineato l'importanza di perseguire le ricerche ad ampio spettro, così da assicurarsi che non rimanga nulla di intentato. È in questo quadro che si inserisce anche il referendum abrogativo sulla legge 40, che vieta di fatto la ricerca sulle cellule staminali embrionali. D'altra parte, la ricerca italiana vive una situazione paradossale: chi vuole fare ricerca nel nostro paese sulle staminali embrionali, non può derivare nuove linee cellulari da embrioni sovrannumerari, ma le può acquistare all'estero. Se lo fa, non ha però accesso ai finanziamenti della commissione ministeriale sulle staminali. Tuttavia, lo stesso gruppo di ricerca può accedere a fondi dell'Unione Europea, cui contribuisce anche l'Italia.
I temi etici sono sicuramente importanti in quest'ambito: anche nel corso della conferenza una sessione è stata dedicata ai problemi morali e sociali suscitati dalla ricerca sulle staminali. Tuttavia, prevale, almeno in Italia, un atteggiamento di chiusura (che Demetrio Neri dell'Università di Messina ha ben ricostruito nel suo intervento, di fronte a una platea internazionale sbigottita) dettato da opportunità politiche più che da vero fervore religioso.

Magazine, 22 aprile 2005

«Le cellule del feto che curano le madri»

Tempo Medico n. 792 17 aprile 2005
Le cellule del feto che curano le madri
Intervista a Diana Bianchi sullo strano ruolo delle staminali fetali
di Anna Piseri

La Corte costituzionale si è pronunciata: quattro quesiti referendari sono ammissibili. In un giorno tra aprile e giugno tutti potremo decidere, tra l'altro, se la sperimentazione sulle cellule embrionali sarà consentita. Stabiliremo se anche gli scienziati italiani potranno indagare sulla "clonazione terapeutica", tecnica che non ha lo scopo di creare improbabili fotocopie umane, ma di riparare gravi lesioni agli organi o curare importanti malattie degenerative come l'Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla.

Nel frattempo, senza aspettare né il parere dei cittadini italiani né quello di alcun comitato di bioetica, pare che loro, le cellule embrionali, si siano prese la libertà di portare avanti la sperimentazione da sole. Sfruttando le grandi capacità rigenerative di cui sono dotate, sembra riescano a riparare i danni agli organi dell'individuo a loro più caro: la madre che le ha concepite.

E' una donna, negli Stati Uniti, ad aver scoperto che in natura la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali è già molto più avanti rispetto a quella che si conduce in modo tanto tormentato nei laboratori di ricerca. Si chiama Diana Bianchi e ha chiare origini italiane: il cognome è quello del padre, emigrato a New York da San Colombano al Lambro (in provincia di Milano) nei primi anni cinquanta. Un giorno alla settimana Diana Bianchi è un medico della Tufts University School of Medicine di Boston; cura donne con patologie riproduttive legate a cause genetiche e si occupa di consulenze alle famiglie nelle quali è nota la presenza di malattie ereditarie.

Negli altri quattro giorni lavorativi è una ricercatrice. Da molti anni il suo laboratorio ha l'obiettivo di mettere a punto nuove tecniche di diagnosi prenatale: la speranza è che un giorno, con un solo prelievo di sangue materno, si possa diagnosticare se il nascituro sarà affetto da un'anomalia cromosomica, come la sindrome di Down, o da malattie genetiche come la distrofia muscolare o la fibrosi cistica. In sostanza, un progetto di ricerca per superare tecniche invasive come amniocentesi e villocentesi, fondato sul fatto che alcune cellule fetali, durante la gravidanza, attraversano la placenta ed entrano nel flusso sanguigno della madre.

Fin qui una storia dalle prospettive interessanti, ma tutto sommato abbastanza normale. Un giorno, però, nel tranquillo laboratorio del Massachusetts accade qualcosa che accende i riflettori sul lavoro che vi si svolge. Molte persone cominciano a interessarsi agli studi di Diana Bianchi, perché potrebbe aver trovato una nuova fonte di cellule staminali; una fonte che non pone problemi di carattere etico. E' una strana scoperta: alcune cellule fetali rimangono nel sangue materno per molti anni (fino a 27) dopo la gravidanza. E non restano solo nel sangue; a quanto pare si ritrovano anche in alcuni organi della madre e con un ruolo quanto mai singolare: quello di indispensabili pezzi di ricambio.
Tempo Medico ha posto alcune domande a Diana Bianchi su questa affascinante scoperta.

Come è possibile che cellule del feto resistano così a lungo nel sangue materno?
Queste cellule hanno le caratteristiche tipiche delle cellule staminali: hanno la capacità di riprodursi rapidamente; normalmente restano nel sangue, nel midollo osseo o nella milza, ma se c'è bisogno possono recarsi in un organo malato e ripopolare.
Cosa significa "ripopolare"?
Significa che possono essere utilizzate come materia prima per rigenerare parti dell'organo. Per esempio, noi abbiamo studiato donne, madri di figli maschi, con malattie alla tiroide. Nella parte sana dell'organo le cellule fetali (riconoscibili perché di tipo maschile) restano nel sangue, ma nella parte malata le stesse cellule si trasformano in cellule della tiroide, per curare la lesione. La tiroide diventa così una sorta di chimera, formata da un miscuglio di cellule d'origine materna e fetale. Dal mio punto di vista, questa è la prova evidente che le cellule fetali hanno un ruolo nel riparare le malattie della madre.
E se fosse il contrario? Non potrebbero essere le cellule fetali a creare il danno?
Ce lo siamo chiesto. Nei topi abbiamo incrociato femmine e maschi modificati con marcatori genetici che rendessero riconoscibili le cellule fetali e abbiamo poi indotto danni corporei alle madri. Le cellule fetali si recano dove si induce la lesione ed esprimono geni specifici. Abbiamo anche cercato le cellule fetali nei tumori e ne abbiamo trovate poche. Sempre in quantità tali da far pensare che non siano state loro a creare il tumore.
C'è chi sostiene che queste cellule possano essere all'origine di malattie autoimmuni, più frequenti nelle donne che negli uomini.
Non è mai stata trovata alcuna prova di questo, anche se in alcuni casi si trova un aumento delle cellule fetali in donne affette da malattie autoimmuni. Noi riteniamo che le cellule fetali si trovino lì perché stanno reagendo contro il processo patologico, non perché lo stanno causando.
In sostanza più effetti positivi che negativi?
Noi la pensiamo proprio così: si tratta di un dono naturale che la madre riceve con la gravidanza. E dato che la gravidanza è molto impegnativa in termini fisici (il feto deve essere nutrito a lungo, il parto comporta perdita di sangue), è bello credere che vi sia un tornaconto. Anche da un punto di vista evolutivo si può pensare che qualsiasi feto "desideri" che la propria madre sopravviva, per cui è sensato che esistano meccanismi per assicurarne la salute.
Questo potrebbe anche spiegare perché le donne sono più longeve degli uomini?
Ce lo siamo chiesto: in quasi tutti i paesi del mondo le donne vivono più a lungo degli uomini, ma perché? Nessuno realmente lo sa. Nessuno si è mai posto la domanda se ciò riguardi tutte le donne o solo quelle che hanno avuto figli.
Cosa ne pensa della controversia cellule staminali embrionali/adulte?
Personalmente sono una sostenitrice della ricerca sulle cellule staminali embrionali, negli Stati Uniti limitata dal fatto che non può essere finanziata con fondi federali. Il nostro lavoro però non pone problemi su questo fronte, la ricerca è stata approvata dal comitato di bioetica dell'ospedale. Quando prendiamo campioni di sangue o di tessuti, chiediamo solo il consenso a una donna adulta. Ma l'esperienza del mio lavoro di ricerca mi insegna una cosa che vorrei dire a chi fa sperimentazione su cellule staminali prelevate da adulti: bisognerebbe controllare meglio ogni campione utilizzato. Io mi sono chiesta perché vi siano tanti contrasti sulle potenzialità effettive delle cellule staminali adulte: alcuni sostengono che siano efficaci nel riparare lesioni a molti organi, altri non riescono a ottenere gli stessi esiti. Dal mio punto di vista questi risultati scientifici poco chiari potrebbero dipendere dal fatto che quando si prende un campione di cellule staminali da un adulto, non si specifica mai se provengono da un uomo o da una donna. Né se derivano da una donna che non ha mai avuto figli o da una donna che ha avuto almeno una gravidanza. E non mi sembra irrilevante, perché in questo ultimo caso potrebbe trattarsi di un miscuglio di cellule staminali adulte e fetali. Così i buoni risultati potrebbero dipendere solo dall'eventuale presenza di queste ultime.
I mezzi di comunicazione si concentrano sulla controversia cellule staminali adulte o embrionali, ma la realtà è davvero molto più complessa e potrebbe non esserci una distinzione così chiara.

virilità in Abruzzo

Il Messaggero (Abruzzo) Sabato 16 Aprile 2005
I giovani dai diciotto ai trent’anni hanno problemi psicologici. Gli esperti: «Viviamo in una società edonistica»
Virilità, mamme in ansia per i figli
I medici di andrologia mettono in guardia: «Attenti a farmaci e attrezzi»
di TEODORA POETA

Ansia da prestazione sessuale. Timore di non essere come l’amico che frequenta la stessa palestra. Paura di non avere i ”numeri” giusti. Casi limite che possono sfociare, ed è già successo anche dalle nostre parti, in decisioni sbagliate, come acquistare via Internet apparecchi ”medicali” che promettono grandi risultati, ma che, in realtà, nelle mani sbagliate, possono causare seri danni. La virilità maschile torna in discussione. E dopo l’episodio del 33enne teramano che ha riportato lacerazioni ed ustioni al pene a causa proprio di un apparecchio comprato in Rete, da alcuni andrologi dell’ospedale Mazzini arrivano consigli e riflessioni. «Essere insicuri di essere normali è un’ansia comprensibile - spiega Giuseppe Paradiso, docente all’Università di L’Aquila e responsabile dell’ambulatorio di andrologia del Mazzini -. Il problema reale è che viviamo in una società edonistica, in cui il ragazzo o l’uomo di bell’aspetto viene identificato con la persona di successo, anche sotto la sfera sessuale. Per aiutare a risolvere problemi d’origine andrologica, di qualunque tipo, cinque anni fa, proprio al Mazzini, è stato istituito un ambulatorio, dove è possibile eseguire esami diagnostici anche per le disfunzioni erettili». L’ambulatorio esegue oltre 120 prestazioni l’anno, di cui circa il 15% rivolto ad una fascia che va dai 18 ai 25 anni, nella quale si registrano soprattutto problemi di varicocele; il 25% tra i 30 ed i 50 anni, con problemi psicologici, ed il restante per gli over 50. «Il Vacuum è un apparecchio che usiamo, di rado, noi specialisti, ma non ha certo funzioni estetiche - commenta Paradiso in riferimento all’episodio del 33enne -. Nella maggior parte dei casi il problema erettile è solo psicologico, dovuto ad ansia, e non lo si può certo risolvere ricorrendo ad Internet, che, in quanto a questi apparecchi, ne inventa di tutti i colori». Ma alla virilità dei propri figli ci tengono anche le mamme. E tra i casi limite accade pure che, come raccontano Paradiso e Carlo Vicentini, primario di Urologia al Mazzini, non più di due settimane fa, una mamma abbia portato in ambulatorio andrologico il proprio bimbo di otto anni, «convinta che non avesse un pene normale, perchè le sembrava più piccolo e diverso da quello degli altri bambini, anche se non coetanei, che aveva visto in palestra mentre rivestiva il figlio». «In questo caso la mamma è stata subito rassicurata - dicono i due specialisti -, ma è comunque il sintomo di un’ansia che coinvolge sia le donne, sia gli uomini. Da parte nostra, poi, in ambito sanitario, si cerca di avvicinarsi sempre più al paziente e alle problematiche che possono interferire con la sfera sociale, personale ed affettiva, avendo chiaro il concetto che si tenta, sempre più spesso, di minimizzare un problema per la vergogna di doverne ammettere l’esistenza». E i teramani si vergognano quanto gli altri, soprattutto i giovanissimi fino ai 18 anni, che preferiscono consultarsi tra di loro anzichè, di fronte ad un dubbio, rivolgersi all’ambulatorio andrologico o al proprio medico di famiglia. «Così, però, si rischia di finire intrappolati nella ”Rete”, prede di false illusioni e volpi ”collodiane”», aggiungono i due specialisti. La normalità è sempre relativa, si sa, così come è normale non accettarsi, ma fino ad un certo punto. «Anche in questo caso l’informazione è fondamentale e i ragazzi tra i 15 ed i 16 anni non devono preoccuparsi se non hanno raggiunto il massimo dello sviluppo, perchè c’è ancora tempo!»