(ricevuto da Adele Irianni)
POLITICA O QUASI
Moro, emozioni e fermezza
IDA DOMINIJANNI
Torno su Buongiorno, notte, il film di Marco Bellocchio sul sequestro Moro, spinta dalle polemiche che si sono lette sui giornali dell'ultima settimana, segnatamente il Corriere della sera e la Repubblica, nonché dalle critiche di un lettore del manifesto a «Politica o quasi» di martedì scorso, che già parlava del film da un'angolatura peraltro molto parziale. Il lettore, in una e-mail firmata Antonio, mi rimprovera fra l'altro di aver avallato una lettura troppo soggettiva dell'assassinio di Moro, «basata su un libro pieno di rivisitazioni compiacenti» e su un uso strumentale dei sentimenti che banalizza questioni politiche razionalissime. E col peccato emozionale del film se la prendono anche, sia pure con toni assai diversi fra loro, Francesco Merlo sul Corsera di mercoledì e Mario Pirani su Repubblica di giovedì scorsi. Merlo non ne può più della «psicologia degli assassini» che trasforma in «mostriciattoli sognatori» dei mostri autentici che riuscivano a ideologizzare perfino l'inconscio sognando le panchine di Lenin; a Pirani non piace «l'operazione ambigua» di umanizzazione dei terroristi, che finisce col presentarli allo spettatore come poveri diavoli tormentati dal dubbio. L'obiettivo politico di Pirani è ribadire il teorema della fermezza contro l'ipotesi della trattativa che il film sposa; Merlo si accontenterebbe di silenziare per sempre i brigatisti e di rimetterli al posto loro, che non è la politica bensì la criminologia. Si potrebbe osservare en passant quanto siano diverse queste reazioni al film da quelle ben più positive apparse a caldo sugli stessi giornali (Curzio Maltese su Repubblica, Paolo Franchi sul Corsera). Indice di pluralismo, va da sé; come osserva lo stesso Bellocchio nella sua replica su Repubblica di ieri, il suo film divide e rompe i fronti. O anche, per restare in tema, indice della ragion politica che punta di nuovo i piedi dopo un cedimento emozionale? All'operazione di Bellocchio si può anche dire di sì in prima battuta, ma poi bisogna rimettere i puntini sulle i. E sul caso Moro i puntini, a distanza di un quarto di secolo, sono inquietantemente sempre due e sempre gli stessi. Primo, i terroristi non erano esseri umani ma mostri, non avevano un, sia pur perverso e delirante, atroce e devastante disegno politico ma solo un disegno criminale. Secondo e conseguente, il tabù della fermezza non si tocca, perché coi mostri non si tratta e trattare avrebbe significato promuoverli da mostri a interlocutori politici. Con il che il cerchio si richiude, e la memoria è di nuovo bloccata e messa sotto sequestro dalla ragion di stato.
Ora non è tanto interessante inserirsi nello stesso gioco della ripetizione, e ribadire le ragioni della trattativa che con ben altra autorevolezza sono state sostenute nel corso del tempo da questo giornale (casomai c'è da chiedersi come stiano tuttora assieme, nell'altro campo, la difesa asserragliata della fermezza e l'evocazione dell'arte politica della mediazione di Aldo Moro). Dal momento che stavolta il dibattito riparte da un film, che per quanto sia un film politico è pur sempre un'operazione dell'immaginario, mi interessa di più restare sul piano dell'immaginario, e del rapporto fra immaginario e politica. Nella sua replica su Repubblica, Bellocchio ha già detto l'essenziale: proprio perché non pretende di essere del tutto aderente alla verità storica il film può restituire una verità più profonda; proprio perché sceglie un'angolatura parziale, può illuminare diversamente l'intero quadro; proprio perché cerca e suscita un coinvolgimento emozionale, non gli si può rispondere con la replica schematica di un discorso politico autocentrato. Proprio perché è un'operazione dell'immaginario, aggiungo io, sgancia l'immaginazione dalla verità ufficiale, le consente di aprirsi a un'altra elaborazione del lutto, a altre interpretazioni possibili di come andarono le cose, a un'altra speranza su come avrebbero potuto o potrebbero andare in futuro. La tragedia della passione e morte di Aldo Moro è una tragedia nazionale che appartiene alla memoria collettiva, ed è ad essa che va restituita accettando il rischio di riscritture discordanti da quella ufficiale. Ma alla fine, è sempre dell'immaginazione che il potere ha paura.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
mercoledì 17 settembre 2003
gli intellettuali ovvero Bellocchio e l'identità nazionale...
Liberazione 17.9.03
Qual è il ruolo degli intellettuali?
Fare come Giordana e Bellocchio
E se un contributo serio alla politica (e allo stesso dibattito politico) numerosi intellettuali italiani lo stessero già dando in particolare con il mezzo cinematografico? Al dibattito in corso in questi ultimi mesi sui giornali a proposito del rapporto politica-intellettuali e delle responsabilità di un rapporto che in molti ritengono smarrito, e a quello seguito alla sollecitazione fatta nei giorni scorsi da Edoardo Sanguineti agli intellettuali italiani affinché escano dal torpore e dal silenzio rispetto al degrado della vita pubblica va senz'altro ascritto, al di là delle stesse intenzioni di Roberto Cotroneo, il suo intervento sull'Unità di martedì a proposito del successo de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana e di Buongiorno, notte di Marco Bellocchio.
Mentre ci si amareggia e si rimane delusi per gli intellettuali (sperabilmente almeno amareggiati e delusi essi stessi) rintanati nelle loro "torri d'avorio" scientifiche o corporative, mentre ci si divide, si polemizza, ci si innervosisce e si grida all'invasione di campo quando un intellettuale (che sia Paolo Sylos Labini, Nanni Moretti, Antonio Tabucchi o Sanguineti) entra improvvisamente ed estemporaneamente in campo politico con le armi e il linguaggio della politica, mentre non ci si divide e purtroppo non ci si indigna più quando un intellettuale (che sia giornalista o sociologo o filosofo) si fa servitore della politica incassando "onori e prebende", c'è ormai una generazione di cinematografari che, specie negli ultimi tempi, vanno producendo film che scavano in «anni in cui si è azzerato tutto e che ci hanno lasciato il deserto». Intellettuali che cioè si ostinano a dare il proprio contributo, fra difficoltà e incomprensioni - parliamo di uno dei settori della comunicazione più massicciamente investito dalla modernizzazione e dalla mercificazione - al recupero della memoria e delle radici, che «parlano dell'Italia di trent'anni fa, ma spiegano bene la desolazione e lo spaesamento che viviamo nell'Italia di oggi».
Grazie in particolare a questi film, nota Cotroneo, «credo si sia riaperta una ferita antica, che interessa tutti, anche quelli che negli anni Settanta non erano neppure nati». E' da quei momenti, efficacemente descritti da Giordana e Bellocchio, e prima e insieme a loro da altri, che «si è come frantumata la nostra identità nazionale». Anche i politici e gli storici - i primi per interesse, i secondi per disinteresse - hanno deprivato in particolare l'eliminazione fisica di Aldo Moro del suo valore di spartiacque della storia nazionale, mentre «anche tangentopoli è figlia di quel trauma, di quel 9 maggio 1978». Le cause e le conseguenze di quell'evento, gli stessi «frammenti di ideologia nel caso Moro», velocemente rimossi e oscurati, e che ora «Bellocchio è riuscito a mettere in bocca a Lo Cascio-Moretti» emozionano e sgomentano anche i più giovani, che non c'erano, perché in realtà «ce li portiamo addosso ancora oggi. E ci impediscono di rielaborare e capire quella che fu l'Italia di quegli anni». E quella che è l'Italia di oggi.
Riscoperta e ricostruzione dell'identità nazionale, rielaborazione del passato e comprensione del presente, opposizione alla desolazione e allo spaesamento indotti dalla falsa coscienza individuale e collettiva: che sia proprio questo il terreno sul quale un lintellettuale - specie in tempi come quelli che viviamo - può sviluppare il suo corretto e proficuo rapporto con la pollitica e con la società? Contribuendo a restituire la memoria a chi c'era e le radici a chi non c'era? «Nessuno può sapere chi siano i ventenni che si commuovono di fronte a questi film», accorrendo in numero sorprendente nelle sale in cui vengono proiettati, ma forse «questi film hanno aperto una pagina di storia verso cui questi ragazzi fino ad oggi avevano sempre mostrato indifferenza». O della quale erano semplicemente ignari, grazie a questa tv, a questi giornali, a questa politica e un po' anche a questa scuola e a «questo mondo di oggi dove i libri si leggono sempre meno».
I libri, primario strumento e metafora della memoria. «Non è un caso», rileva Cotroneo, «che il film di Bellocchio sia anche un film di libri, di lettere di condannati a morte della resistenza europea, di biblioteche, di saggi di Marx-Engel...». E che «i libri li trovi anche nella Meglio gioventù, Basaglia, poeti italiani e inglesi...».
Qual è il ruolo degli intellettuali?
Fare come Giordana e Bellocchio
E se un contributo serio alla politica (e allo stesso dibattito politico) numerosi intellettuali italiani lo stessero già dando in particolare con il mezzo cinematografico? Al dibattito in corso in questi ultimi mesi sui giornali a proposito del rapporto politica-intellettuali e delle responsabilità di un rapporto che in molti ritengono smarrito, e a quello seguito alla sollecitazione fatta nei giorni scorsi da Edoardo Sanguineti agli intellettuali italiani affinché escano dal torpore e dal silenzio rispetto al degrado della vita pubblica va senz'altro ascritto, al di là delle stesse intenzioni di Roberto Cotroneo, il suo intervento sull'Unità di martedì a proposito del successo de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana e di Buongiorno, notte di Marco Bellocchio.
Mentre ci si amareggia e si rimane delusi per gli intellettuali (sperabilmente almeno amareggiati e delusi essi stessi) rintanati nelle loro "torri d'avorio" scientifiche o corporative, mentre ci si divide, si polemizza, ci si innervosisce e si grida all'invasione di campo quando un intellettuale (che sia Paolo Sylos Labini, Nanni Moretti, Antonio Tabucchi o Sanguineti) entra improvvisamente ed estemporaneamente in campo politico con le armi e il linguaggio della politica, mentre non ci si divide e purtroppo non ci si indigna più quando un intellettuale (che sia giornalista o sociologo o filosofo) si fa servitore della politica incassando "onori e prebende", c'è ormai una generazione di cinematografari che, specie negli ultimi tempi, vanno producendo film che scavano in «anni in cui si è azzerato tutto e che ci hanno lasciato il deserto». Intellettuali che cioè si ostinano a dare il proprio contributo, fra difficoltà e incomprensioni - parliamo di uno dei settori della comunicazione più massicciamente investito dalla modernizzazione e dalla mercificazione - al recupero della memoria e delle radici, che «parlano dell'Italia di trent'anni fa, ma spiegano bene la desolazione e lo spaesamento che viviamo nell'Italia di oggi».
Grazie in particolare a questi film, nota Cotroneo, «credo si sia riaperta una ferita antica, che interessa tutti, anche quelli che negli anni Settanta non erano neppure nati». E' da quei momenti, efficacemente descritti da Giordana e Bellocchio, e prima e insieme a loro da altri, che «si è come frantumata la nostra identità nazionale». Anche i politici e gli storici - i primi per interesse, i secondi per disinteresse - hanno deprivato in particolare l'eliminazione fisica di Aldo Moro del suo valore di spartiacque della storia nazionale, mentre «anche tangentopoli è figlia di quel trauma, di quel 9 maggio 1978». Le cause e le conseguenze di quell'evento, gli stessi «frammenti di ideologia nel caso Moro», velocemente rimossi e oscurati, e che ora «Bellocchio è riuscito a mettere in bocca a Lo Cascio-Moretti» emozionano e sgomentano anche i più giovani, che non c'erano, perché in realtà «ce li portiamo addosso ancora oggi. E ci impediscono di rielaborare e capire quella che fu l'Italia di quegli anni». E quella che è l'Italia di oggi.
Riscoperta e ricostruzione dell'identità nazionale, rielaborazione del passato e comprensione del presente, opposizione alla desolazione e allo spaesamento indotti dalla falsa coscienza individuale e collettiva: che sia proprio questo il terreno sul quale un lintellettuale - specie in tempi come quelli che viviamo - può sviluppare il suo corretto e proficuo rapporto con la pollitica e con la società? Contribuendo a restituire la memoria a chi c'era e le radici a chi non c'era? «Nessuno può sapere chi siano i ventenni che si commuovono di fronte a questi film», accorrendo in numero sorprendente nelle sale in cui vengono proiettati, ma forse «questi film hanno aperto una pagina di storia verso cui questi ragazzi fino ad oggi avevano sempre mostrato indifferenza». O della quale erano semplicemente ignari, grazie a questa tv, a questi giornali, a questa politica e un po' anche a questa scuola e a «questo mondo di oggi dove i libri si leggono sempre meno».
I libri, primario strumento e metafora della memoria. «Non è un caso», rileva Cotroneo, «che il film di Bellocchio sia anche un film di libri, di lettere di condannati a morte della resistenza europea, di biblioteche, di saggi di Marx-Engel...». E che «i libri li trovi anche nella Meglio gioventù, Basaglia, poeti italiani e inglesi...».
Buongiorno, notte «sold-out» a Toronto
(segnalato da Peppe Cancellieri, ricevuto da Annalina Ferrante)
Corriere Canadese (Toronto) 15.9.03
Chiude il Film Festival. Trionfo tricolore
Muccino, Salvatores e Avati applauditi in tutte le sale. Film da 55 paesi
(...)
Si è confermato il successo degli anni precedenti: oltre 300 tra produttori e venditori hanno assitito alle proiezioni di film, documentari e presentazioni di pellicole provenienti da 55 paesi diversi. Lo scorso anno il giro di affari del Festival è stato per la città di oltre 67 milioni di dollari. Un successo il cinema italiano.
Se c'era bisogno di una conferma che il vento è veramente cambiato per il cinema italiano all'estero, la 28/a Edizione del Toronto Film Festival ha detto la verità: mentre in Italia si continua a discutere del presunto provincialismo delle nostre produzioni, tutte le proiezioni dei 7 film presentati dalla grande vetrina canadese sono andate "Sold out" per una media totale di oltre diecimila spettatori in 10 giorni.
Ma il dato più importante riguarda l'attenzione dei media e dei compratori che puntano decisamente sul prodotto italiano anche per il mercato statunitense e che, rispetto ad 12 mesi fa, hanno comprato i nostri film con una crescita del 15% in più in un solo anno.
(...)
Il Canada porterà fortuna anche a Marco Bellocchio per il cui "Buongiorno notte" si moltiplicano le offerte d'acquisto
(...)
«La scoperta del cinema italiano da parte del pubblico canadese - commenta il direttore del Toronto Film Festival, Piers Handling - è risultato di un lavoro durato anni, ma anche di una generazione di attori, produttori, registi che finalmente si impongono da protagonisti. È un cinema che racconta storie profondamente italiane e proprio per questo universali, che non ha paura di riflettere sulla Storia e dimostrare quanto l'Italia sia cambiata in questi anni. Siamo felici che proprio Toronto indichi questa svolta, ma i 7 film del programma 2003, a cui si aggiungono le co-produzioni, non sono una eccezione: sono convinto che anche l'anno prossimo potremo confermare questa tendenza
Corriere Canadese (Toronto) 15.9.03
Chiude il Film Festival. Trionfo tricolore
Muccino, Salvatores e Avati applauditi in tutte le sale. Film da 55 paesi
(...)
Si è confermato il successo degli anni precedenti: oltre 300 tra produttori e venditori hanno assitito alle proiezioni di film, documentari e presentazioni di pellicole provenienti da 55 paesi diversi. Lo scorso anno il giro di affari del Festival è stato per la città di oltre 67 milioni di dollari. Un successo il cinema italiano.
Se c'era bisogno di una conferma che il vento è veramente cambiato per il cinema italiano all'estero, la 28/a Edizione del Toronto Film Festival ha detto la verità: mentre in Italia si continua a discutere del presunto provincialismo delle nostre produzioni, tutte le proiezioni dei 7 film presentati dalla grande vetrina canadese sono andate "Sold out" per una media totale di oltre diecimila spettatori in 10 giorni.
Ma il dato più importante riguarda l'attenzione dei media e dei compratori che puntano decisamente sul prodotto italiano anche per il mercato statunitense e che, rispetto ad 12 mesi fa, hanno comprato i nostri film con una crescita del 15% in più in un solo anno.
(...)
Il Canada porterà fortuna anche a Marco Bellocchio per il cui "Buongiorno notte" si moltiplicano le offerte d'acquisto
(...)
«La scoperta del cinema italiano da parte del pubblico canadese - commenta il direttore del Toronto Film Festival, Piers Handling - è risultato di un lavoro durato anni, ma anche di una generazione di attori, produttori, registi che finalmente si impongono da protagonisti. È un cinema che racconta storie profondamente italiane e proprio per questo universali, che non ha paura di riflettere sulla Storia e dimostrare quanto l'Italia sia cambiata in questi anni. Siamo felici che proprio Toronto indichi questa svolta, ma i 7 film del programma 2003, a cui si aggiungono le co-produzioni, non sono una eccezione: sono convinto che anche l'anno prossimo potremo confermare questa tendenza
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