giovedì 17 febbraio 2005

brevi dal web (di tutti i colori)

lastampa.it 16/2/2005
Handicap e disagio sociale, l’educatore cancellato
LA NUOVA RIFORMA UNIVERSITARIA DI FATTO MEDICALIZZA LE PERSONE IN DIFFICOLTÀ TRASCURANDO LA FORMAZIONE
Paolo Bianchini, Università di Torino

ESISTONO diritti che a prima vista sembrano garantiti per sempre. In realtà, molti di essi sono tutt'altro che consolidati e bastano piccole trasformazioni normative o culturali per metterne a rischio la sopravvivenza. Uno di questi è il diritto a realizzare in libertà le proprie potenzialità e le proprie ambizioni. Un diritto scontato per la maggior parte di noi, ma particolarmente prezioso per quanti non hanno la forza di rivendicarlo. Anche sotto leggi che li tutelano, per i soggetti in difficoltà l'aspirazione a sviluppare appieno le proprie capacità psichiche e fisiche resta di fatto una conquista quotidiana. Oggi è cosa comune incontare portatori di handicap nelle scuole, al lavoro in aziende pubbliche e private, in piscina, al cinema. La loro integrazione nella società è stata possibile grazie alla rivoluzione culturale iniziata alla fine degli Anni 60 da cui trassero origine le leggi che sancirono la chiusura degli ospedali psichiatrici, l'abolizione delle classi differenziali e la nascita dei SERT, i Servizi per la Tossicodipendenza. In quegli stessi anni nacquero in Italia gli «educatori»: persone dotate di buona volontà e senza particolari competenze, che prestavano la propria opera con i malati psichiatrici e con i ragazzi a rischio. Ben presto si capì che era necessario dar loro una formazione specifica, sia per aumentarne l'efficacia, sia per tutelarli in un lavoro logorante e ad alto coinvolgimento emotivo. Vennero, così, istituiti i corsi regionali per educatori professionali, basati su contenuti pedagogici, psicologici e sociologici. Nel 1998 il ministero della Sanità ha sancito il passaggio della formazione degli educatori destinati a operare nei servizi sanitari, come i Centri Socio-Terapeutici, i Servizi per le Tossicodipendenze e le residenze per disabili gravi, a un corso di laurea interfacoltà dipendente da Medicina e Chirurgia, con la collaborazione di Scienze della Formazione e di Psicologia. Questa decisione ha avuto due effetti quasi immediati: il primo è la chiusura dei corsi regionali, il secondo la frammentazione della figura dell'educatore in base all'ambito di intervento. Infatti, prescrivendo per i futuri operatori dei servizi socio-sanitari una formazione clinica, la legge li ha distinti nettamente dagli educatori impiegati nei servizi socio-assistenziali (comunità alloggio per minori, centri diurni, servizi di educativa territoriale). In realtà, sino ad oggi, i due percorsi formativi hanno conservato numerosi elementi di convergenza. Ma un fatto nuovo sta intervenendo a rendere più profonda la frattura: la riorganizzazione dei piani di studio in seguito all'introduzione della riforma universitaria che prevede, per le lauree triennali, un anno comune seguito da un biennio specifico per ciascun curriculum. Nella revisione complessiva delle professioni della riabilitazione, gli educatori professionali vengono di fatto equiparati ai fisioterapisti, ai logopedisti e ai podologi. Scomparse quasi del tutto la pedagogia e la psicologia, i futuri educatori saranno esperti di psichiatria, di biochimica e di farmacologia, ma non immagineranno neppure di svolgere una professione educativa. Il legittimo sospetto è che coloro che hanno concepito questo nuovo profilo dell'educatore intendano impiegarlo non in attività relazionali, che costituiscono il suo campo d'intervento specifico, ma piuttosto come un assistente del medico. Il limite di questa prospettiva è evidente: per indurre una trasformazione consapevole nel comportamento e nel pensiero di un paziente non sono sufficienti le medicine; è necessario aiutarlo a cambiare stile di vita. E ciò si può, forse, ottenere interagendo con lui, accompagnandolo giorno dopo giorno nella costruzione della propria personalità. Fare affidamento in modo esclusivo sul trattamento farmacologico è sbagliato: dal punto di vista economico, in quanto la medicalizzazione sclerotizza la malattia e rende il malato dipendente dai farmaci, con gravi costi sociali; dal punto di vista etico, poiché per sostenere le persone in difficoltà non basta riconoscerne formalmente i diritti ma bisogna garantire loro l'effettiva opportunità di crescere autonomamente; e infine dal punto di vista culturale, poiché si corre il rischio di riportare in vita il manicomio attraverso le medicine, di trasformare gli psicofarmaci, che negli ultimi decenni sono divenuti insostituibili supporti per l'intervento educativo e riabilitativo, in nuove camicie di forza, ancora più terribili in quanto più subdole.

ilgazzettino.it Mercoledì, 16 Febbraio 2005
Innamorarsi fa bene al cuore. Bella scoperta ...
Federica Cappellato


Padova. Innamorarsi fa bene al cuore. Bella scoperta, direte. Ma quando Cupido scocca la sua sapiente freccia non colpisce solo il cuore, zuccheroso emblema d'amore. A risentire degli effetti dello strale è anche il cuore più prosaicamente inteso come muscolo. Il battito accelera, la pressione arteriosa aumenta, la pelle si distente, lo sguardo si accende, ne è stimolato il metabolismo e pure la tiroide. «Innamorarsi può essere una medicina» spiega il dottor Mario Trivellato, direttore del servizio di Cardiologia dell'Usl 16 di Padova che al cuore ha dedicato diversi studi, ultimo in ordine di tempo un lancio col paracadute da 4.500 metri di altezza per analizzare come si comporta in condizioni di particolare sforzo quel re incontrastato che grazie al suo battito ci consente di vivere. E quando il re incontra l'amata regina a beneficiarne è la salute. «Le emozioni positive fanno bene, a tutte le età e a tutte le latitudini. In particolar modo innamorarsi scatena una tempesta ormonale, comporta una scarica di adrenalina, aumenta la frequenza cardiaca e la pressione, dilata le pupille, accresce il ritmo del respiro, innesca dei meccanismi di adattamento ad una condizione piacevolmente stressante, per non parlare degli effetti benefici derivanti dall'amore come stimolo a pensare positivo, a guardare al futuro con grinta ed entusiasmo. Essere emotivamente coinvolti - spiega Trivellato - fa bene all'"io": chi ama guarda alla vita con occhi ottimisti, cura il proprio corpo, si veste bene. Insomma si ricarica».
Ma tanto le conseguenze dell'innamoramento possono essere fauste, tanto le ripercussioni del dissinnamoramento o del tradimento (subìto) possono rivelarsi negative. «La fine di un legame o l'improvvisa scoperta di un tradimento effettuato in maniera sfacciata e grossolana possono causare forme di tachicardia, spasmo coronarico o crisi ipertensiva. Un evento improvviso e brutale può essere responsabile di danni a livello cardiaco ma anche di depressione e insonnia. La reazione - puntualizza il cardiologo padovano - dipende comunque dalla soglia di sensibilità del soggetto: ognuno di noi infatti ha un codice genetico parzialmente modificato dall'ambiente e dalle esperienze vissute e su questo abc si fonda la capacità di "leggere" i fatti della vita». E pure l'età e il quadro clinico di partenza giocano un ruolo importante.

laprovinciadilecco.it 16 febbraio 2005
L'infermiera killer è ricoverata da qualche giorno nell'ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere La nuova vita di Sonya nella «beauty farm» dei folli

I pazienti fanno jogging nel parco, nuotano in piscina, dipingono nell'atelier, bevono il cappuccino al bar o ordinano la pizza, vanno dal parrucchiere gratis, giocano a bocce con il sindaco e la gente di Mantova. Se fanno i bravi escono in permesso premio. Piccolo particolare: hanno sparato, massacrato, iniettato aria nelle vene, accoltellato, ferito, ucciso figli o genitori, bambini o anziani, sorelle o amanti, mariti o sconosciuti. Però erano infermi mentali. Quindi non devono stare in carcere. Devono curare i loro problemi psichiatrici. Ed è questo che fanno, lontano da casa, protetti dalle mura di un posto che assomiglia a una beauty farm. Benvenuti all'ospedale psichiatrico giudiziario, ex manicomio criminale, di Castiglione delle Stiviere, dove un paziente su due è del centro nord perché sette delitti della follia su 10 avvengono lì. Immerso nel verde di una collina, stanze a due o quattro letti, nessuna guardia carceraria in giro, ma assistenza continua di 210 tra infermieri, educatori, assistenti, psichiatri, psicologi, medici. Benvenuti nella nuova casa di Sonya Caleffi e della giovane mamma di Caccivio che accoltellò la figlioletta di tre anni sull'altare della chiesa. La casa di Ferdinando Caretta che massacrò i genitori e il fratello, la fece franca, scappò a Londra salvo poi confessare la verità dieci anni dopo. La casa di 14 mamme (ma adesso ce ne sono dieci) che si sono disfate dei loro neonati come sacchetti della spazzatura. L'infermiera di Tavernerio è andata a vivere qui e avrà diritto allo stesso trattamento confortevole di tutti gli altri. In una stanza doppia, non si sa ancora con quale compagna, ha già ricevuto la visita del convivente Gianmarco Belloni. Nella saletta comune con altri pazienti, sorvegliati da un addetto. «La prassi comune - spiega il direttore Antonino Calogero -. I nostri pazienti, che al momento sono 170 possono incontrare i parenti se sono autorizzati, ma noi li portiamo anche spesso fuori, per esempio in una piscina coperta a fare idroterapia. Abbiamo 700 uscite permesso all'anno, ma chi scappa è una minoranza». Non vogliono scappare i pazienti. Si scappa da dove non si sta bene e a Castiglione si sta benissimo. Anna Savini

e, per la prima volta sul blog... Famiglia Cristiana (on line)
sanpaolo.org Famiglia Cristiana On Line n.8
SALUTE
Oltre la depressione

QUANDO TORNA L’ESTATE
Una malattia subdola e sempre più diffusa, che però si può combattere, con la psicoanalisi e con i farmaci. Per riprendere a sorridere
Luciana Saibene


Cinquant’anni e un carattere malinconico che teneva a bada con i farmaci. Quando all’improvviso morì sua madre, Marisa cadde in una cupa depressione. Non usciva più di casa, non aveva voglia di fare nulla, di vedere nessuno. Lei, di solito così vivace intellettualmente, non riusciva a leggere neppure un giornale. Si spaventò. E decise di correre ai ripari.
Un colloquio con uno psicoterapeuta consigliatole da un’amica la convinse che era ora di affrontare i suoi problemi in profondità. Iniziò una psicoanalisi, che è durata quasi otto anni. Ora Marisa si sente un’altra: più viva, più libera, più a posto con sé stessa e con gli altri. Con un solo rimpianto, non esserci approdata prima: «Per non perdere anni preziosi in inutili sofferenze», dice.
Francesco, quarantacinquenne brillante e un po’ nevrotico, una moglie molto più giovane e tre figli, qualche tempo fa si è ritrovato fuori casa dopo anni di battibecchi. Nel pieno della carriera, affezionatissimo ai suoi bambini, non ha retto il colpo. Ed è caduto in depressione: non riusciva a concentrarsi nel lavoro e non dormiva più. Si è rivolto a un neurologo e, grazie ai farmaci, nel giro di qualche mese ha recuperato sonno ed efficienza lavorativa.
Dopo un anno circa, è riuscito a digerire la separazione e per ritrovare un accordo con la moglie, almeno sulla gestione dei figli, ha accettato una mediazione familiare. «Benedetti farmaci», dice, «per fortuna esistono: una psicoterapia non avrei avuto né il tempo né la voglia di affrontarla».
Serena, invece, trent’anni e una certa propensione alla depressione, ha avuto tempo fa gravi problemi di lavoro. Qualcuno in ufficio, per scavalcarla, si divertiva a gettare pesanti ombre su di lei. E lei, invece di difendersi, restituendo colpo su colpo, s’è ammalata. Gastrite ed emicranie violentissime. Seguite da uno stato depressivo preoccupante. Il medico le ha prescritto farmaci ad hoc, ma Serena da qualche parte aveva letto che farmacoterapia e terapia cognitivo-comportamentale, nei casi di depressione, avevano le stesse probabilità di successo. Così si è informata e al centro psicosociale della sua zona ha chiesto di incontrare un terapeuta.
Una ventina di sedute, prima ravvicinate poi più distanziate, e una buona adesione alle prescrizioni. Oggi ha riconquistato fiducia in sé stessa e si sente agguerrita: anche in caso di ricaduta, ora sa cosa fare. «Soprattutto per correggere la rotta dei cattivi pensieri che mi possono inchiodare alla depressione».
Tre storie, tre eventi scatenanti e tre soluzioni diverse: già, perché la depressione, di cui il 15 per cento della popolazione mondiale ha sofferto almeno una volta nella vita e che colpisce sempre di più, oltre agli anziani, adolescenti e bambini (il 3-4 per cento della popolazione giovanile), non è uguale per tutti. E non è sempre uguale a sé stessa.
Un sopravvivere giorno per giorno
Persino la rabbia e l’aggressività possono nascondere una depressione, così come, nei casi più gravi, episodi di estrema euforia seguiti da malinconia devastante. Ma esistono anche forme più lievi e subdole, che inficiano l’autostima e poco a poco spengono gli entusiasmi e intaccano le relazioni. Chiudendo le persone in un limbo di pseudoesistenza, ritmata più dalle abitudini che dai sentimenti, dalle emozioni e dagli inevitabili imprevisti: un sopravvivere giorno per giorno più che un vivere vero.
La psicoanalisi è un lavoro lungo, che richiede una forte motivazione, oltre che disponibilità di tempo e denaro. E i farmaci mettono spesso una pezza su un disturbo che andrebbe semmai approfondito per liberarsene una volta per tutte. O per imparare ad affrontarlo più efficacemente al suo riapparire. Per aiutare i depressi ad attrezzarsi meglio di fronte al male oscuro, a non avere paura, un gruppo di specialisti ha pensato di scrivere un manuale. Su come prendere di petto la depressione senza farsi sopraffare: un approccio cognitivo comportamentale che prevede l’aiuto di un terapeuta, ma come guida e accompagnatore lungo il cammmino dell’autocura. Si intitola, appunto, La depressione, che cosa è e come superarla. Edito da Avverbi, il manuale è in libreria da novembre.
Dei cinque autori ne abbiamo intervistati due: Daniele Piacentini, psichiatra e psicoterapeuta, e Daniela Leveni, psicologa: entrambi del Centro psicosociale di Zogno, in provincia di Bergamo.
Dottor Piacentini, innanzitutto che cos’è la depressione?
«Secondo il DSM IV, il manuale diagnostico internazionale, la depressione è un calo dell’umore che persiste per almeno due settimane, sproporzionato agli eventi o addirittura in assenza di eventi scatenanti. Accompagnato da almeno cinque altri sintomi: calo dell’appetito, per esempio, calo della concentrazione, calo di energie, perdita di piacere nelle cose, sensi di colpa ingiustificati, disturbi del sonno. La malattia può raggiungere diversi livelli di intensità, che dipendono dal modo di ciascuno di affrontare le difficoltà della vita. Ed è un disturbo ricorrente: tanti più episodi depressivi uno ha già vissuto tante più probabilità ha di viverne di nuovi».
Dottoressa Leveni, il vostro metodo in che cosa consiste?
«In una sorta di rieducazione del comportamento e del pensiero volta a correggere gli atteggiamenti disfunzionanti. Che sono quelli che inchiodano allo stato depressivo. Inizialmente si invita il paziente a identificare le attività che gli creano piacere, e a incrementarne la frequenza. Poi si passa alla fase cognitiva, che consiste nell’identificare i pensieri che alimentano lo stato depressivo: "Sono uno sprovveduto, non valgo niente...". E a contestarli, inscrivendoli in un contesto più realistico: "Io ho dei limiti, ma non sono un disastro. La vita a volte è difficile ma nessun intoppo è invalicabile se affrontato nel modo giusto e al momento giusto". Infine si esplorano ipotesi alternative per la soluzione dei problemi e si passa agli esercizi».
I famosi compiti a casa?
«Certamente sì: essendo questo un itinerario che richiede un impegno del paziente in prima persona. Paziente che deve tenere un diario dei suoi stati d’animo e delle situazioni che li provocano. Dei pensieri negativi più ricorrenti e delle alternative che gli vengono in mente per confutarli».
Una ginnastica mentale che corregge la tendenza al pessimismo?
«Anche, finché non si acquisisce un metodo che deve diventare uno stile di vita. Guardare in faccia i propri limiti e i propri errori va bene: è sano e aiuta a crescere. Arrovellarsi sulle proprie inadeguatezze non serve a nulla».
Dottor Piacentini, quanto ci vuole per acquisire la capacità di sconfiggere l’umor nero?
«Ovviamente dipende dal grado di intensità del disturbo, ma di solito in 20-25 sedute si riesce. Se ci si impegna. Il momento più difficile è quello iniziale, perché tutto appare insormontabile. Proprio a causa della depressione».
Farmaci e terapia cognitiva hanno la stessa percentuale di successo?
«Sì. Nel 70-80 per cento dei casi riescono a sconfiggerla entrambi. Ma non sono alternativi: a volte per portare un paziente alla capacità di impegnarsi in un itinerario terapeutico occorre passare dai farmaci. Così come dalla terapia cognitivo comportamentale si può passare all’analisi, se si vuole
Anche adolescenti e bambini, oltre agli anziani, sono sempre più colpiti dalla depressione: come mai?
«Per bambini e adolescenti, la necessità di adeguarsi a modelli alti, le aspettative esagerate dei genitori, la competitività elevata della nostra società hanno un ruolo importante. Negli anziani la solitudine la fa da padrone. Ma gli anziani spesso somatizzano la depressione, si concentrano sui disturbi fisici...».
Che cosa deve fare chi vive accanto a una persona depressa?
«Innanzitutto informarsi su che cos’è la depressione, per capire quello che prova la persona che ha accanto. E poi supportarla, incoraggiarla nelle terapie, rinforzare i comportamenti antidepressivi e gratificarla per i risultati che via via ottiene».
Quali sono le cause più frequenti della depressione?
«Possono essere tante, da una certa vulnerabilità di base, biologica o psicologica, agli eventi stressanti subiti nel corso degli anni. Senza tralasciare ai fattori genetici».
E qual è il segnale che dalla depressione si sta per uscire?
«Le risponderò con una frase di Albert Camus, che uno degli autori del nostro manuale ha eletto a manifesto del libro: ...nel profondo dell’inverno, finalmente ho scoperto dentro me una invincibile estate. È l’estate che tutti abbiamo dentro di noi. La depressione è sconfitta quando l’incontro terapeutico riesce a evocarla».
PER SAPERNE DI PIÙ
www.cetrada.it
Centro per il trattamento dei disturbi d’ansia e della depressione del Cps di Zogno (Bg)

www.villaurea.it
Centro benessere antistress di Cortona (Ar) (metodo Psicoblu)

l'arte in Cina

La Stampa 17 Febbraio 2005
ARRIVANO I CINESI: L’ARTE CONTEMPORANEA DI PECHINO CONQUISTA IL MERCATO INTERNAZIONALE
di Francesco Sisci
MAO
Il presidente è un’icona che percorre le opere nelle forme più varie: c’è anche chi lo colloca a un tavolo di casinò con Valeria Marini
Il tempio della nuova creatività è una vecchia
fabbrica militare trasformata in atelier

Il governo sembra chiudere un occhio sulle intemperanze dei giovani talenti da quando si è accorto che i collezionisti occidentali sono disposti a spendere decine di migliaia di dollari per i loro lavori

La mostra Out of the Red II si apre oggi alla Galleria MarellaArte contemporanea di Milano. Informazioni al sito www.marellart.com. La mostra Cina. Pittura contemporanea è visibile fino al 3 marzo a Bologna nelle due sedi di San Giorgio in Poggiale e Palazzo Saraceni. Curata da Vittoria Coen e ideata da Lorenzo Sassoli de Bianchi che ne cura invece il catalogo edito da Damiani, la mostra è organizzata dalla Fondazione Carisbo di Bologna.
PECHINO. LA prima mostra di arte contemporanea cinese si aprì nel 1988 e si chiuse il giorno dopo. Un giovane voleva imitare le performing arts occidentali e sparò un colpo di pistola a sorpresa in mezzo alla folla, fu fermato da agenti che pensavano fosse un terrorista o un pazzo. Il giorno dopo i vecchi soloni del partito, formati su decenni di realismo socialista, sbarrarono i battenti: l'evento era troppo bizzarro, irriverente, e semplicemente fuori dai canoni. La protesta di Tiananmen, non migliorò la situazione, anzi. Gli studenti dell'istituto centrale di belle arti, che allora aveva sede a 200 metri da piazza Tiananmen, costruirono la statua della «dea della libertà», simbolo stesso della protesta e richiamo evidente alla statua dela libertà di New York. La statua venne fatta a pezzi dalle truppe, e l'istituto venne messo sotto ghiaccio per quasi un decennio.
Le cose cominciarono a cambiare quando si fecero vivi i collezionisti stranieri. In un Paese sensibile ai segnali di mercato, l'attenzione di decine di miliardari di mezzo mondo per dei pittori squattrinati era un elemento strano. Ragazzi allora trentenni o quarantenni vendevano tele gigantesche in uno stile simil pop a migliaia di dollari, cifre che allora un impiegato non vedeva in una vita di stipendi. Tra i gli artisti di maggior successo degli inizi degli anni '90 c'era Feng Mengbo che disegnò una serie divenuta poi un classico: Mao zhuxi da di, il presidente Mao prende un taxi. Era la riproduzione a colori sgargianti della celebre posa di Mao con la mano destra alzata davanti a un piccolo furgoncino, che allora faceva da taxi popolare. In quella immgine c'è tutta la Cina dell'epoca. C'era la voglia di emancipazione sociale nel prendere i primi taxi e lasciarsi alle spalle la bicicletta o gli autobus sovraffollati, c'era la continua presenza nell'immaginario collettivo di Mao Zedong, dio, spirito guida della Cina, c'era l'ottimismo, l'allegria della posa e dei colori.
Quelle pitture finirono tutte all'estero, spesso nelle collezioni di un grande imprenditore svizzero Uli Sigg, oggi proprietario della maggiore collezione di arte contemporanea cinese del mondo, più completa di quella di qualunque museo. Sigg è diventato nel frattempo così importante che i prezzi delle opere cinesi si affermano solo se lui le compra. L'affermazione culturale di questa pittura e il crescente giro di affari, fecero cambiare molte idee sull'arte moderna. L'arte era una forza economica e uno mezzo di diffusione di valori e idee culturali. Visto che era inarrestabile il governo avrebbe fatto bene a cavalcarla e non a cercare di marginalizzarla.
Contemporaneamente cambiava anche la sensibilità all'arredo urbano. I primi anni '90 erano dominati da una specie di neoclassico ispirato e protetto dall'allora segretario del partito di Pechino Chen Xitong. L'idea non era sciocca. Diceva che le nuove architetture cinesi dovevano rielaborare elementi dell'architettura cinese tradizionale. Erano le tesi di Liang Sicheng, padre dell'architettura cinese moderna. Ma tali tesi vennero applicate come un dogma scolastico e così la leggenda riferisce che i progettisti dell'ufficio pianificazione del comune di Pechino avevano sempre in tasca un tetto a pagoda che imponevano come un cappello su tutti i nuovi grattacieli della città. Oggi i tetti a pagodina pullulano nel panorama urbano della capitale, ma stanno diventando rapidamente una minoranza confusi tra forme che sembrano prese dai fumetti di fantascienza: angoli che si incrociano, forme che salgono e scendono, buchi nel centro d'un palazzo. Insomma non ci sono più limiti alla fantasia tranne quelli imposti dalle leggi fisiche del cemento armato.
Questa nuova libertà espressiva, incoraggiata dall'allora presidente Jiang Zemin, diede nuova spazio anche ai pittori. Gli artisti cinesi divennero una costante delle mostre di ogni Paese straniero. I più ricchi cominciarono ad aprire ristoranti alla moda, dove era bello andare per il cibo, ma anche per l'idea di essere a casa di un artista. I prezzi delle opere nel frattempo sono lievitate oltre le decine di migliaia di dollari, cifre che hanno raffreddato gli estimatori più vecchi, ma che hanno attirato quelli più ingenui, che nel prezzo alto hanno visto l'affare e il calore di questo nuovo mercato. Così all'inizio del nuovo secolo Pechino, con l'aiuto anche della Biennale di Venezia guidata allora da Franco Bernabè, varò la sua biennale di arte e l'anno scorso anche una biennale di architettura. È stata anche la rivincita dell'istituto centrale di belle arti, trasferitori nel frattempo in una nuova sede alla periferia della città. Questo centro, insieme a quello di Hangzhou, vicino a Shanghai, sono oggi forse le due dinamo della scena artistica cinese. Producono pittori, disegnatori di cartoni animati, grafici pubblicitari, design industriali. Il suo nuovo centro di animazione mette in riga una decina di supercomputer ultima generazione donati dalla Apple.
Di qui non passa semplicemente la scena artistica cinese, ma una nuova concezione del bello, che ha negli artisti la loro punta di lancia. Non c'è uno sguardo uniforme. C'è tutto e il contrario di tutto. Ci sono quelli che riproducono con una tecnica ad olio da fotografia le vecchie immagini della tradizione cinese, ci sono quelli che cuciono insieme i topini, quelli che deturpano i cadaveri, quelli che cercano un nuovo modo di ripensare la tradizione del paesaggio di fiumi e monti disegnati con l'acquerello. Il loro nuovo luogo di incontro è la fabbrica 798, un ex stabilimento militare oggi «occupato» da artisti che ne hanno fatto il loro luogo di ritrovo. Tutti vogliono venire in Italia a vedere la luce, i panorami i colori del rinascimento, e in questo sono incoraggiati aiutati anche da italiano come Andrea Cavazzuti che lavorano sull'arte moderna cinese da 25 anni.