giovedì 15 luglio 2004

Kafka:
esce una raccolta di aforismi inediti

Corriere della Sera 15.7.04
CLASSICI
Pubblicati gli aforismi del celebre scrittore praghese, dai quali emerge l’idea di una «teologia senza Dio»
Kafka, un genio condannato al paradiso
UOMO E DESTINO
di Paola Capriolo


Tra i manoscritti di Kafka vi è una serie di foglietti numerati ciascuno dei quali reca un breve testo compatto, a volte costituito da una sola frase. Si tratta quasi sempre di brani trascritti dai quaderni su cui egli soleva annotare pensieri, abbozzi narrativi, piccoli episodi della vita, e risalenti al periodo trascorso a casa della sorella Ottla nel villaggio di Zürau, fra l’autunno del 1917 e l’aprile del 1918; ma ora, strappati alla fluida concatenazione dei quaderni, acquistano una sorta di evidenza scultorea: spiccano isolati e potenti nel bianco dei fogli, come parole scandite in un silenzio totale. Dobbiamo dunque essere grati a Roberto Calasso per averci restituito in questa forma, che l’autore doveva considerare definitiva, i cosiddetti Aforismi di Zürau , offrendone una nuova traduzione e accompagnandoli con un saggio tratto dal suo libro su Kafka.
Nella loro concisione questi frammenti pongono dinanzi al lettore prospettive di abissale profondità, paragonabili soltanto a quelle dischiuse dal Castello del quale, pur precedendolo di alcuni anni, essi costituiscono forse l’unico commento adeguato. Come recita il titolo con cui Max Brod li pubblicò per la prima volta nel 1953, sono «considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via»; sono più esattamente, secondo la definizione di Calasso, la massima approssimazione consentita a quella teologia che Kafka si guarda sempre dal formulare in termini espliciti, ma che costituisce il centro segreto e irraggiungibile intorno al quale gravita tutta la sua opera. Una teologia senza Dio, che non si aggrappa né alle «declinanti» forze del cristianesimo né all’«ultimo lembo del mantello da preghiera ebraico», eppure conduce in un certo senso agli estremi risultati quella grande corrente della mistica neoplatonica che ha nutrito come una linfa entrambe le religioni.
Il presupposto è un monismo assoluto, parmenideo: esiste soltanto un mondo, quello «spirituale», o, come egli afferma altrove, esiste soltanto l’«Uno», rispetto al quale ogni cosa non è che un involucro. Tutto ciò che è fuori di questa unità appartiene necessariamente alla sfera del male e dell’errore, e in primo luogo vi appartiene la conoscenza: la verità infatti, in quanto indivisibile, «non può riconoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna». Le conseguenze che ne derivano sono tra le più paradossali, ma seguono una logica inesorabile, e foglio dopo foglio Kafka le trae sino in fondo, dissimulando sotto lo splendore aforistico il rigore quasi sistematico delle sue deduzioni.
Come nel romanzo futuro qualcuno dichiarerà allo sconcertato agrimensore che non esiste alcuna differenza tra Castello e villaggio, così Kafka ci svela qui la nascosta identità del mondo con il «paradiso»: un paradiso nel quale dimoriamo eternamente, ma senza saperlo, poiché già il più tenue bagliore di coscienza basterebbe ad escludercene. L’essere, o la «sconsolata» dimensione del bene, è dunque una beatitudine priva di qualunque soggetto che possa averne esperienza, mentre la nostra felicità, l’unica consentita, sarebbe «credere all’indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo». Nel frattempo siamo condannati a vivere in una «falsa credenza» che si fa salda e compatta intorno a noi assumendo la forma di un mondo: basterebbe che l'inganno fosse distrutto perché potessimo scorgere il vero mondo al quale apparteniamo, ma «se l'inganno venisse distrutto non ti sarebbe concesso guardare o diventeresti colonna di sale», e della verità non ci sarà dato di cogliere nulla salvo il rapido guizzare di un riflesso sul nostro volto, quando abbagliati arretriamo con una smorfia.
Se la conoscenza è menzogna, tanto più lo sarà la parola: strana maledizione per uno scrittore, dover diffidare così radicalmente del proprio mezzo espressivo. Ma il nostro linguaggio, afferma Kafka, «tratta solo del possesso e dei suoi rapporti», perciò non può essere applicato se non allusivamente a ciò che sta fuori del mondo sensibile. Come scrive altrove, «il cielo è muto, risonanza soltanto a chi è muto», e forse proprio per questo egli ha sentito la necessità di immergere nel silenzio di una pagina bianca ognuno degli scabri, disperati articoli in cui si sviluppa la sua professione di fede.

Il libro di F. Kafka, «Aforismi di Zürau», Adelphi, p. 144, 8,50

le strutture della psichiatria a Roma e nel Lazio:
scontro tra Luigi Cancrini e Tonino Cantelmi

Il Messaggero 14.7.04
IL CASO
Rischiano la chiusura 25 centri terapeutici
di LUIGI CANCRINI


SONO a rischio di chiusura nel corso dell'estate 25 Comunità Terapeutiche psichiatriche che ospitano pazienti di Roma e del Lazio.
Parliamo, scrive il presidente della Fenascop Giampiero di Leo al presidente della regione Lazio Storace, di 350 pazienti e di altrettante famiglie che saranno costrette a riaccoglierli in una fase in cui il lavoro terapeutico è ancora in corso. Parliamo, aggiunge, di 300 lavoratori che non percepiscono stipendi da oltre 6 mesi e che continuano, nonostante tutto, a restare al loro posto. Accanto ai loro pazienti.
Parliamo, aggiungo io, di debiti delle ASL di Roma e del Lazio che si riferiscono agli ultimi tre esercizi finanziari. Di debiti certi e riconosciuti che le ASL semplicemente rifiutano di pagare adducendo "ritardi nell'erogazione dei fondi" da parte della Regione. Poiché non tutti conoscono le procedure che portano al formarsi di questi debiti, tuttavia, credo che sia importante parlarne con qualche dettaglio per mettere in luce l'assurdità di una situazione che finirà per ricadere tutta sulle spalle di quelli che sono sempre gli ultimi degli ultimi: i pazienti psichiatrici.
Il ricovero in Comunità Terapeutica viene deciso dal Dipartimento di Salute Mentale competente per territorio ed è considerato un passaggio importante del progetto terapeutico complessivo di cui il dipartimento resta titolare. La Comunità Terapeutica è un luogo in cui pazienti gravi che non sono più in grado di vivere da soli cercano e spesso trovano un aiuto professionale per il recupero di competenze sociali indispensabili: un luogo, cioè, in cui non ci si limita a contenere le manifestazioni più acute del loro disagio ma si punta sull'obiettivo più ambizioso: di un recupero della persona.
Il che vuol dire, in pratica, che più il dipartimento lavora in un'ottica terapeutica e non contenitiva, più è interessato alla collaborazione con le comunità: collaborazione prevista, del resto, da una voce di spesa apposita con un budget definito ogni anno dalla ASL.
Quando il ricovero in Comunità Terapeutica viene deciso, dunque, i soldi ci sono e ci sono per quella spesa. Quando la Comunità invia le fatture, tuttavia, la ASL prende tempo e arriva alla fine dell'anno. I soldi sono a questo punto "spariti" perché la ASL li ha utilizzati in un altro modo facendo una "distrazione" di fondi: un atto che era e che oggi non è più un atto di rilevanza penale. L' inseguimento del credito diventa a questo punto un'odissea senza fine. Non avendo scopo di lucro e non essendo un soggetto economico la Comunità Terapeutica non può adire le vie legali per ottenere gli interessi sul ritardo. Se si rivolge alle banche per cedere il suo credito, poi, la ASL si oppone e poiché, a norma di una legge del 1865 (questo ha testualmente scritto la ASL RMA), la sua opposizione è sufficiente ad impedire la cessione, la Comunità Terapeutica si ritrova sola con le sue inutili fatture.
Dovendo provvedere, però, agli stipendi degli operatori, al vitto, all'alloggio e alle medicine dei pazienti.
La chiusura delle 25 Comunità Terapeutiche psichiatriche del Lazio e di molte altre strutture del privato sociale si sviluppa così all'interno di un vero e proprio paradosso. Le comunità che muoiono per problemi di ordine finanziario sono in realtà strutture sane dal punto di vista economico. Quelli che mettono gli occhi sulle comunità per comprarle a costo zero sono inevitabilmente, a questo punto, gruppi in grado di usufruire dell'appoggio di finanziarie proprie. La trasformazione che lentamente si compie, con la complicità colpevole di un governo regionale che non interviene è quella legata al passaggio dal privato sociale a quel tipo di privato speculativo che gestisce, nel Lazio, un numero di case di cura psichiatriche private che è la metà di quelle presenti sull'intero territorio nazionale. Case di cura sempre strapiene che riempiono i pazienti di farmaci, che sembrano incapaci, abitualmente, di formulare progetti terapeutici e che percepiscono però rette di degenza che sono il doppio di quelle previste per le comunità.
Come accade spesso dove si parla di "deregulation" le amministrazioni non sembrano porsi il problema di quanto spendono. Più prosaicamente sembrano preoccupate del "per chi" li spendono. Con tanti saluti in questo caso alla legge di civiltà voluta da Basaglia (che è tanto facile criticare quando si fa di tutto per sabotarla), ai diritti dei pazienti psichiatrici e alle legittime aspettative delle loro famiglie.

Il Messaggero 15.7.04
La Regione replica a Cancrini
«Psichiatria, apocalisse irreale»
di TONINO CANTELMI*


Comunità terapeutiche che non sono più in grado di vivere benché siano «finanziariamente sane» a causa dei ritardi nell’erogazione dei fondi regionali. Finanziamenti stanziati e poi “distratti” su altri capitoli. Trecento dipendenti non pagati da 6 mesi e 350 pazienti gravi che tengono in ansia le loro famiglie, un giorno forse obbligate a riaccoglierli. Questa la situazione descritta dal professor Luigi Cancrini in un articolo pubblicato ieri sul Messaggero. Una situazione, secondo il docente universitario, frutto non solo di difficoltà di bilancio ma anche di scelte psichiatriche. Alle osservazioni e alle critiche sollevate da Cancrini replica oggi la Regione Lazio con questa lettera di Tonino Cantelmi.

E' incredibile leggere quanto scritto dal prof. Cancrini sulle strutture psichiatriche del Lazio. E' doveroso chiarire alcuni punti e smentire certe inesattezze che riguardano un settore delicato: la salute mentale. Gli scenari apocalittici disegnati non sono reali e disinformare danneggia i pazienti delle Comunità Terapeutiche del Lazio e chi lavora per tutelarli. Cominciamo dai numeri: le strutture residenziali sono oltre cento (e non 25), per un totale di circa 1.360 posti residenza (il 60% privati autorizzati e il 40% pubblici).
Questo dato dimostra lo sforzo compiuto dalla Regione che ha superato gli obiettivi strutturali previsti dal Progetto Obiettivo Nazionale e Regionale: nessun intento di ridurre, anzi, la Regione continua ad autorizzare strutture residenziali e ad aprirne di pubbliche. Ciò perché siamo consapevoli che per le acuzie e le postacuzie c'è necessità di posti letto specializzati e che nel processo terapeutico le strutture residenziali riabilitative svolgono una funzione importante. Veniamo al problema del finanziamento che Cancrini amplifica, prendendo spunto dal ritardo di alcune Asl nell'erogare i compensi alle Comunità, dandone una fantasiosa lettura politica. I ritardi, che esistono fin dagli anni Novanta, riguardano alcune strutture a gestione autonoma che svolgono il loro prezioso lavoro attraverso convenzioni con le Asl. La Regione puntualmente eroga alle Asl quanto dovuto, ma nella gestione del budget le Asl si organizzano con priorità proprie. La Giunta, consapevole dell'importanza del lavoro svolto dalle Comunità, venerdì scorso ha definito una nuova modalità di finanziamento per i gestori di strutture psichiatriche, attraverso la centralizzazione dei pagamenti da parte della Regione che partirà a fine mese. Questo, con l'intento di restituire a pazienti, familiari e operatori la dovuta serenità.
A margine, vorrei sottolineare che forse il prof. Cancrini dimentica gli straordinari progressi delle neuroscienze e della psicofarmacologia, riportando pregiudizi contro il farmaco che appartengono ormai ad un passato lontano e offende l'operato di centinaia di operatori che lavorano nelle case di cura, accusandoli di "riempire di farmaci i pazienti". Così non è, infatti con un accordo storico voluto dalla Regione, le case di cura neuropsichiatriche stanno per compiere un processo di riconversione con un'ampia integrazione con i Dipartimenti di salute mentale per rispondere ai bisogni non solo nell'acuzie, ma anche nelle fasi postacute, con ricoveri prolungati. Inoltre, la Regione per la prima volta ha affrontato il problema delle strutture per la cosiddetta doppia diagnosi (pazienti affetti da patologie psichiatriche e da forme di abuso da sostanze). Infatti, nel processo di riconversione delle case di cura alcuni posti letto sono stati destinati per rispondere a questo bisogno. In Italia questa è una novità che pone il Lazio all'avanguardia e che non merita certo i giudizi ingenerosi del prof. Cancrini. Per mettere ordine sul piano normativo, sono appena state ridisegnate le tipologie delle strutture residenziali riabilitative, in accordo con la Fenascop e con i rappresentanti delle stesse strutture e sta per essere licenziato il nuovo regolamento per il settore. Di fronte ad un impegno così deciso, è assurdo leggere, come dice Cancrini, che la Regione abbia abbandonato a se stesso un settore così delicato.

* Responsabile area psichiatria Regione Lazio

calo della libido? la luce fà...!

sanihelp.it 14.7.4
Notti in bianco … per aumentare la libido


Amore a luci spente, a luci accese, a luci rosse. No! Queste lasciamole stare. Cerchiamo però di capire come i raggi luminosi possono influenzare le risposte ormonali che riguardano la sfera sessuale.
Esporsi a luce intensa per almeno un'ora prima dell’alba produce negli uomini un aumento considerevole di ormone lutenizzante (LH), un ormone prodotto dalla ghiandola pituitaria.
Lo afferma uno studio pubblicato su Neuroscience newsletter e diretto dal dottor Daniel Kriepke professore di psichiatria presso la University of California di San Diego.
L’ormone lutenizzante influenza i livelli degli ormoni riproduttivi sia negli uomini che nelle donne; nell’uomo alti livelli di LH fanno aumentare i livelli di testosterone, mentre nelle donne viene attivata l’ovulazione.
«I risultati dimostrano che il testosterone può essere aumentato semplicemente con alcune ore extra di luce intensa», ha detto l’autore dello studio, «elevati livelli di testosterone portano a un aumento della libido soprattutto in casi di depressione».
In uno studio precedente Kripke e colleghi, hanno dimostrato che donne con un ciclo lungo ed irregolare, una volta esposte a luce intensa, regolarizzavano il ciclo.
Lo studio ha riguardato 11 giovani maschi in buona salute, di età compresa tra i 19 ed i 30 anni. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi. Nella prima parte dello studio, entrambi i gruppi venivano svegliati verso le 5:00 del mattino e venivano esposti o a una luce intensa (circa 150 watt) o a una luce rossa a bassa intensità.
Nella seconda parte dello studio i gruppi sono stati scambiati. I livelli di LH dei soggetti erano misurati prima e dopo l’esposizione alla luce.
I ricercatori hanno rilevato nei pazienti esposti a luce intensa un incremento del 69% dei livelli di LH. Nel loro articolo i ricercatori hanno fatto notare che una libido bassa è spesso parte della depressione, o risulta anche come effetto collaterale dei farmaci antidepressivi.
«È teoricamente possibile», affermano, «che l’esposizione alla luce potrebbe alleviare le disfunzioni sessuali nei pazienti depressi».
Se sentite un calo del desiderio dunque, preparatevi a lunghe notti in bianco.

Fonte: Neuroscience Letters

i Ds di Napoli in difesa della 180

Repubblica, edizione di Napoli 15.7.04
I DS:
MALATI DI MENTE, NO ALLA CONTRORIFORMA DELLA LEGGE 180
di GIUSEPPE PRIVITERA


La riforma dell´assistenza psichiatrica è ritornata d´attualità e viene, da alcune parti politiche e sociali, ritenuta indispensabile per porre rimedio al "fallimento" della legge 180. Quest´ultima, approvata nel 1978, a compimento di un lungo e coraggioso percorso intrapreso molti anni prima dallo psichiatra triestino Franco Basaglia e da altri autorevoli studiosi, come Sergio Piro, promuoveva una vera "rivoluzione culturale" nel rapporto tra malattia mentale e società. Il nucleo essenziale di quella legge di progresso era costituito dall´obiettivo finale, individuato nella chiusura definitiva dei manicomi, sostituiti da una rete di servizi territoriali, strutture residenziali e riabilitative volte alla presa in carico del paziente nel suo contesto abituale di vita e da reparti ospedalieri per i ricoveri nei momenti d´acuzie, sia in regime obbligatorio che volontario.
Con la 180, finalmente, la complessa patologia mentale viene inquadrata nell´ambito delle problematiche d´ordine sanitario, tant´è che i sostenitori della riforma operarono per l´inserimento, nella legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la 833/78, di norme specifiche per la salute mentale, riconoscendo al malato gli stessi diritti di ogni cittadino in cura presso un servizio sanitario. La volontarietà dei trattamenti diventa la norma, mentre solo in casi eccezionali si prevede il ricorso al ricovero coatto (Tso) nei servizi di diagnosi e cura (Spdc), istituiti negli ospedali generali con un massimo di 15 posti letto. Da allora l´Italia ha la legislazione più avanzata al mondo in materia di salute mentale.
Vediamo allora di capire perché alcuni parlamentari di centrodestra si sono fatti promotori di un progetto di legge che modifica sostanzialmente la 180. La proposta "Burani Procaccini", che non è l´unica, viene presentata in apertura della legislatura e appare subito come la risposta più superficiale a una diffusa esigenza di maggiore sostegno rivendicato da alcune organizzazioni di familiari dei malati, e a un´opinione pubblica sempre più allarmata da fatti di cronaca. Certo nessuno ignora che una legge, entrata in vigore oltre venticinque anni fa, possa essere aggiornata alla luce dell´esperienza maturata e dei progressi scientifici acquisiti in tempi più recenti. Dobbiamo però intenderci sugli interessi che poniamo in cima a ogni ipotesi di modifica di una norma così importante per la vita di migliaia di persone.
Esaminando il testo più recente del progetto di riforma in discussione nella commissione Affari sociali della Camera, che recepisce altre proposte unificandole, ci troviamo di fronte a uno stravolgimento, nello spirito e nella sostanza, del sistema di assistenza psichiatrica in essere nel nostro Paese. La tutela dei diritti individuali esce ridimensionata, mentre emerge un nuovo "mercato" per le strutture sanitarie private, con prevedibili effetti deprimenti sui servizi pubblici, per i quali, evidentemente, ci saranno sempre meno risorse.
Solo per fare alcuni esempi concreti, all´articolo 4 viene definita la funzione delle nuove Sra (struttura residenziale con assistenza prolungata e continuata), che può essere anche a gestione privata e accreditata, destinata ai pazienti in fase postacuta, «che necessitano di interventi terapeutici e riabilitativi, volontari od obbligatori». Un mix di situazioni e di obiettivi che le renderebbero molto simili ai vecchi manicomi, in grado di assicurare una funzione di mera custodia del paziente, senza parlare poi della concentrazione che si realizzerebbe, per garantire più profitti alle strutture.
La tendenza alla privatizzazione emerge con tutta evidenza all´articolo 9, mentre, osservando il disposto dell´articolo 16, col quale sono abrogati gli articoli 34, 35 e 64 della legge 833/78 di riforma sanitaria, emerge la volontà di riportare la cura delle malattie mentali sotto l´egida di una legislazione speciale che ne accentua il carattere di «strumento di controllo sociale», sacrificando tutti gli sforzi ed i risultati prodotti in questi anni.
L´esame, sia pure parziale, del progetto di legge ci porta a concludere che esso cela il desiderio di spostare risorse dal settore pubblico a quello privato, sacrificando a questo scopo la conquista più importante che portò la legge 180: la piena dignità della persona malata ed il rispetto dei diritti umani. In definitiva, quella che viene spacciata per "riforma psichiatrica" altro non è che un maldestro tentativo di controriforma, che va ostacolato in ogni sede, mentre sarebbe oltremodo auspicabile l´avvio di una verifica approfondita ed estesa dei limiti mostrati dalla normativa attuale, per promuovere quelle innovazioni utili ad alleviare la sofferenza dei malati e dei loro familiari.

L´autore fa parte della direzione provinciale dei Ds

schizofrenia e stress in uomini e donne

Yahoo! Notizie Psichiatria, Psicologia e Neurologia 14.7.04
Schizofrenia e stress in uomini e donne
Il Pensiero Scientifico Editore


Le manifestazioni della schizofrenia, si sa da tempo, cambiano a seconda del sesso. Secondo la letteratura le donne, più colpite degli uomini da depressione, ansia e disturbi del comportamento alimentare, soffrirebbero invece di patologie mentali gravi, come la schizofrenia, in forme più lievi degli uomini. Ma differenze di genere evidenziate negli ultimi anni hanno messo in discussione questa posizione. Ora, una ricerca olandese, appena pubblicata sul Journal of Clinical Psychiatry,  ha cercato di stabilire se queste differenze di genere nelle manifestazioni cliniche della malattia schizofrenica si riflettono in un meccanismo sottostante che potrebbe essere causalmente associato alla psicosi, in particolare se sono ricollegabili ad una maggiore o minore sensibilità allo stress della vita quotidiana.
I soggetti studiati erano 42  schizofrenici (22 uomini e 20 donne), giudicati in remissione clinica ed investigati con lo Experience Sampling Method, una tecnica che consente di misurare il contesto corrente e l’umore nella vita quotidiana. Lo studio si riprometteva di valutare appunto lo stress soggettivo dovuto ad eventi ed attività correnti e, in secondo luogo, la reattività emotiva, concettualizzata come cambiamenti  affettivi, sia positivi che negativi, in relazione allo stress soggettivo. I dati sono stati raccolti tra il gennaio 1997 ed il maggio 1999.
I dati hanno rivelato che le donne sono significativamente (p < .05) più esposte allo stress della vita quotidiana rispetto agli uomini, il che si riflette sia in un allargamento dell’affetto negativo sulla struttura del Sé, che in una diminuzione dell’affetto negativo. I risultati, quindi, suggeriscono che le differenze di genere non possono essere circoscritte alle caratteristiche assunte dalla psicosi, ma che possono anche riflettersi nei sottostanti meccanismi eziologici. Il che potrebbe rafforzare l’ipotesi che le donne siano più suscettibili degli uomini ad un’espressione schizoaffettiva della schizofrenia.

Fonte: Myin-Germeys I, Krabbendam L,  Delespaul PA,  van Os J, Sex Differences in Emotional Reactivity to Daily Life Stress in Psychosis, J Clin Psychiatry 2004;65:805-809.

mondi tolemaici:
«Tipo maschile, femminile ed omo»

Repubblica Salute 15.7.04
Tipo maschile, femminile ed omo
A seconda dell'orientamento sessuale, la razionalità si manifesta al meglio in alcuni campi La differenza dipende soprattutto dall'effetto degli ormoni sul cervello durante lo sviluppo


Ci sono dei test dove mediamente le donne riescono meglio degli uomini. Questi riguardano le cosiddette abilità linguistiche, scritte e orali. Gli uomini invece sono superiori nei test che misurano la capacità di orientamento e le capacità matematiche. Ma anche qui, non mancano le differenze. Le donne sono superiori agli uomini riguardo al calcolo matematico, mentre vanno peggio nella risoluzione dei problemi. È vero che i maschi si orientano meglio leggendo una mappa, ma le donne sono più brave a orientarsi prendendo gli oggetti come riferimento nell'ambiente circostante.
Come si vede, ogni semplificazione è fuori luogo, anche perché sembra che l'orientamento sessuale abbia un suo peso nel forgiare le nostre abilità intellettive.
In un ampio studio, realizzato da Qazi Rahman e colleghi del King's College dell'Università di Londra e pubblicato recentemente su Psychoneuroendocrinology, si dimostra che maschi e femmine omosessuali ottengono dei risultati più vicini al loro orientamento sessuale che al loro genere. Per esempio, maschi eterosessuali, nei test tipicamente maschili (rotazione mentale degli oggetti), risultano superiori sia alle femmine eterosessuali sia ai maschi omosessuali. Analogamente maschi omosessuali hanno un andamento simile a quello delle femmine eterosessuali e quindi superiori ai maschi eterosessuali in test femminili (fluidità verbale). Infine, femmine omosessuali, nel test che misura la fluidità verbale, raggiungono risultati più simili ai maschi che alle femmine eterosessuali. perché?
Alcuni sostengono che le differenze comportamentali riflettono differenze di organizzazione dei circuiti cerebrali, geneticamente fondate.
E' indubbio che esistono delle differenze tra il cervello maschile e quello femminile. Le più rilevanti e documentate riguardano il corpo calloso e le aree del linguaggio.
Il corpo calloso, che rappresenta la interconnessione tra i due emisferi cerebrali, nella donna è molto più sviluppato, il che vuol dire che il cervello femminile lavora in modo più globale. Così, è frequente trovare nel cervello femminile una rappresentazione bilaterale delle aree del linguaggio invece che monolaterale come avviene nel cervello maschile. Alcuni studiosi, come Simon LeVay, hanno trovato una differenza tra maschi eterosessuali e omosessuali in un nucleo ipotalamico legato all'orientamento sessuale: le dimensioni di questo nucleo nei maschi omosessuali sarebbero simili a quello delle femmine.
Le ragioni di queste differenze starebbero nell'azione degli ormoni nel grembo materno: un eccesso di androgeni favorirebbe l'omosessualità. Ma questo è un punto controverso, non confermato da altri studi. Insomma, la realtà umana fa fatica ad essere catturata da schemi troppo rigidi. Anche perché: come conciliare la grandezza matematica di Isaac Newton con la sua unica grande passione amorosa, quella per il giovane collega svizzero Fatio de Duillier? (f. b.)

Olanzapina

Yahoo! Salute 14.7.04
EMEA: sicurezza dell’antipsicotico Olanzapina
Di Psichiatria.org


(Xagena - Psichiatria) - L’EMEA ed il suo Comitato Scientifico, CPMP, hanno emesso un “public statement” sull’impiego del farmaco antipsicotico Olanzapina (Zyprexa) nella demenza.
I dati di studi clinici hanno mostrato un aumentato rischio di eventi avversi cerebrovascolari e di mortalità nei pazienti anziani con demenza, trattati con Olanzapina.
Poiché l’Olanzapina non è approvata nel trattamento della psicosi associata alla demenza e/o a disturbi comportamentali, il suo uso in questi pazienti non è raccomandato.
Una serie di studi clinici nei pazienti anziani (età superiore ai 65 anni con demenza) ha mostrato un aumento della mortalità di circa 2 volte e di 3 volte degli eventi avversi cerebrovascolari tra i pazienti trattati con Olanzapina rispetto al placebo.
La più alta mortalità non è risultata associata alla dose di Olanzapina o alla durata del trattamento, bensì a fattori predisponesti, quali età superiore ai 65 anni, sedazione, disfagia, malnutrizione e deidratazione, condizioni polmonari basali (polmonite) o concomitante impiego delle benzodiazepine.
Inoltre, i dati hanno anche mostrato che la presenza di demenza vascolare era associata in modo significativo ad una maggiore probabilità di eventi avversi cerebrovascolari.
Sulla base di questi dati il CPMP ha deciso di introdurre rilevanti “warning” ( avvertenze) sia per i medici prescrittori che per i pazienti:
a) l’Olanzapina non è indicata nel trattamento dei pazienti con psicosi associata alla demenza e/o a comportamenti disturbati;

b) è noto l’uso di neurolettici nei pazienti con demenza e con sintomi psicotici e comportamento disturbato. I dati sono insufficienti ad evidenziare differenze nel rischio di mortalità o di eventi cerebrovascolari tra i neurolettici atipici e quelli convenzionali. Xagena)


Fonte: EMEA