martedì 21 dicembre 2004

citato al Lunedì
il professor Colli e l'interpretazione di Nietzsche

Repubblica 20.12.04
NELLA SCIA DI NIETZSCHE
Una biografia di Giorgio Colli, a venticinque anni dalla sua scomparsa
Ha lasciato tracce profonde nella cultura del secondo '900
Grande studioso del filosofo tedesco oggi viene celebrato come un maestro
Realizzò la sua impresa con Montinari suo allievo in un liceo di Lucca
Non ebbe mai la cattedra che strameritava: l'università italiana non s'accorse di lui
di FRANCO VOLPI

A venticinque anni dalla sua improvvisa scomparsa - era nato a Torino nel 1917, morì nel 1979 mentre stava lavorando alla Sapienza greca - Giorgio Colli viene celebrato oggi come maestro, filologo e pensatore di statura eccelsa (l'Università di Pisa lo ha ricordato con due giorni di incontro di studio ). Con le sue memorabili imprese editoriali, oltre che con alcuni incisivi scritti cui affidò le sue intuizioni filosofiche, ha lasciato tracce profonde nella cultura del secondo Novecento, come racconta con garbo e sensibilità la biografia intellettuale di Federica Montevecchi (Giorgio Colli, Bollati Boringhieri, pagg. 174 euro18). Solo l'università italiana - sede notoria di croniche e impenitenti ingiustizie - non si accorse di lui e non trovò il modo di assegnargli la cattedra che strameritava. La sua carriera accademica si fermò all'incarico di storia della filosofia antica a Pisa, che tenne dal 1947 fino alla morte.
Formato nell'ambiente liberale e antifascista della Torino anni Trenta - conobbe tra gli altri Pavese, Leone Ginzburg, Martinetti - nel 1939 conseguì la laurea in filosofia del diritto con Gioele Solari, di cui divenne assistente. Vinto nel 1942 il concorso per l'insegnamento della filosofia nei licei, si trasferì a Lucca, dove al liceo classico «Niccolò Machiavelli» ebbe come allievo Mazzino Montinari, con cui avrebbe realizzato l'impresa Nietzsche.
L'intuizione decisiva che sta alla base del suo pensiero e del suo lavoro filologico si trova già nel primo importante studio che pubblicò nel 1948 con la Tipografia del Corriere della Sera in poche centinaia di copie: Physis kryptesthai philei, ovvero La natura ama nascondersi. Ci sono già i suoi riferimenti capitali, i presocratici e Nietzsche: per capire che cosa sia la filosofia - questa speciale forma di sapere che attraversa e caratterizza l'Occidente - bisogna passare per i loro testi e i loro frammenti. La convinzione di Colli è che la dimensione vitale della grecità originaria sia stata colta dal giovane Nietzsche (e da Burckhardt), più che dalla filologia classica dell'epoca. Quest'ultima sarebbe troppo condizionata dalle testimonianze di Aristotele, preziose ma ingannevoli per la terminologia e il bagaglio concettuale di cui Aristotele si serve nel piegare la «filosofia della natura» delle origini alla propria dottrina delle quattro cause. Nella scia di Nietzsche, Colli intende liberare la comprensione dei «presocratici» da quanto la critica moderna crede di poterne capire tramite Aristotele e Teofrasto. E ne propone una lettura alternativa: i «presocratici» non sono «fisiologi», né tanto meno scienziati della natura in senso moderno, bensì espressione di una sapienza originaria essenzialmente orale (sophia), che muore con la nascita della filosofia, cioè con la genesi del discorso razionalistico (logos) votato alla scrittura. Il pensiero di Platone - Colli si sofferma soprattutto sul Fedone, sul Fedro, sul Simposio (di cui pubblicò più tardi una traduzione) e sul Parmenide - rappresenterebbe il punto di svolta in questa transizione dall'oralità alla scrittura. Si collocherebbe tra la nostalgia per la sapienza orale perduta, di cui la dialettica - rivalutata da Colli contro Nietzsche - sarebbe un'eco sublime, e la decisione per il pensiero logocentrico dell'Occidente. Convinto della superiorità della prima quest'ultimo, egli cerca di lasciar parlare la sua voce non destinata alla scrittura.
Queste tesi, che oggi hanno fatto breccia anche tra gli antichisti, rappresentano il fondamento filosofico del lavoro filologico e del profondo interesse di Colli per la grecità. Esso prenderà corpo in due grandi progetti: una Enciclopedia dell'antichità classica, in venticinque volumi, rimasta allo stato di piano editoriale, e una nuova edizione critica dei frammenti dei «presocratici», in undici volumi, avviata da Adelphi con il titolo La sapienza greca, ma interrotta per la morte di Colli al terzo volume (1977-1980).
Inizialmente, negli anni dopo la guerra, Colli aveva collaborato come consulente e traduttore per Einaudi, portando in Italia autori come Löwith (Da Hegel a Nietzsche, 1949) e Cassirer (Storia della filosofia moderna, 1953). Per la casa editrice torinese realizzò soprattutto la traduzione e il commento dell'intero Organon di Aristotele (1955) e una nuova versione della Critica della ragione pura (1957). In entrambi i casi si distinse per l'arditezza e la sottigliezza di alcune scelte terminologiche. Rese per esempio De interpretazione con Dell'espressione, e la Erscheinung di Kant, anziché con «fenomeno», come aveva fatto Gentile, con «apparenza».
Scelte dalle conseguenze filosofiche che si possono immaginare, e che sarebbe interessante studiare. Nel 1957 iniziò a collaborare anche con la neonata Boringhieri, dirigendo con Montinari l'Enciclopedia di autori classici e traducendo il primo volume dei Parerga e paralipomena di Schopenhauer Ma la vera grande impresa filologica che Colli concepì e realizzò insieme a Montinari, e che gli valse fama mondiale, fu l'edizione critica delle opere e del carteggio di Nietzsche. Già nel 1958 egli aveva sottoposto a Einaudi il progetto, ma senza successo. Dopo vicende alterne, rievocate dalla Montevecchi utilizzando anche documenti d'archivio, la casa editrice Adelphi, allora fondata da Luciano Foà con Roberto Calasso, varò il progetto pubblicando il primo volume delle Opere di Nietzsche. Nel 1967 partì presso de Gruyter anche l'edizione tedesca.
Un'impresa memorabile, che ha messo a disposizione degli studiosi un testo finalmente attendibile delle opere e delle carte inedite di Nietzsche, base imprescindibile per discutere questioni controverse come quella della volontà di potenza e dei postumi dell'ultimo Nietzsche. Le lettere che Montinari scrisse a Colli durante le lunghe permanenze all'Archivio Nietzsche di Weimar - che Giuliano Campioni ha pubblicato (Leggere Nietzsche. All'origine dell'edizione Colli-Montinari, Ets) - sono la testimonianza più eloquente della probità intellettuale e dell´incondizionata dedizione al lavoro scientifico che accomunava i due.
Ciò che in Colli meraviglia - e che lo distingueva da Montinari - è come la versatilità filologica si sposasse in lui con uno straordinario talento e fiuto filosofico. I suoi diari, pubblicati dal figlio Enrico con il titolo La ragione errabonda (Adelphi 1982), sono il registro quotidiano della compresenza nella sua geniale personalità di tali qualità antagoniste. Per trovare invece il distillato puro della sua teoresi, bisogna leggere la Filosofia dell'espressione (Adelphi 1969). Ancora una volta Schopenhauer e Nietzsche fungono da numi tutelari. Da loro egli ricava la convinzione che l'in sé del mondo sia inconoscibile, ma radicalizza l'idea dell'irrapresentabilità originaria servendosi dell'immagine di Dioniso allo specchio. I Titani - narra il mito - attirarono Dioniso fanciullo con dei giochi, tra cui uno specchio, e mentre egli era intento a guardare ciò che vi era riflesso lo sbranano. Lo specchio di Dioniso, strumento di conoscenza e di illusione, in cui si riflette il mondo, simboleggia la totalità delle contraddizioni della vita, che alberga in sé piacere e dolore, spasimo ed estasi, maschile e femminile, desiderio e distacco, gioco e violenza. Ma tutto ciò, la vita, il mondo, è solo «espressione», nel senso metafisico che rinvia a qualcosa che non si lascia conoscere. Tutte le determinazioni e le entità che vi possiamo incontrare, anche quelle ultime come sostanza o individuo, non sono che manifestazioni che esprimono l'irrapresentabilità originaria. Dunque soltanto uno schermo illusorio, il velo e la trama che ci tengono lontani dall´inconoscibile punto d'origine e di ritorno.
Punto che solo la mistica può additarci. Fondamentale diventa allora la critica della conoscenza, che Colli sviluppa mediante un confronto serrato con Aristotele, maestro del pensiero occidentale. Essa mette in questione il logos come costruzione del mondo, ovvero la ragione errabonda che, sì, attraversa ogni cosa e percorre le mille vie del reale, ma in fondo rimane quello che è: espressione accidentale dell'irrapresentabile, di quella Physis - quel «nascimento», come Colli traduceva la parola di Eraclito - che ama nascondersi.
Facendo un passo indietro rispetto alla razionalità costruttrice del mondo, Colli intende risvegliare il senso della sapienza che custodisce l'insondabilità del principio fermandosi dinanzi all'abisso. Fino a diventare una mistica senza Dio.

citato al Lunedì
Jung, che simpaticone...

una segnalazione di Loredana Riccio

Repubblica, Venerdì, in edicola il 19.12.04
Pubblicato un suo intervento, decisamente maschilista, al Club psicologico di Zurigo
Il senso di Carl Jung per le donne

«Vedete, la mente femminile non è, di regola, completamente occupata e così - come Penelope quando il suo vecchio stava vagando per il Mediterraneo - le donne filano delle reti, intessono intrighi che hanno la tendenza a essere tanto inadeguati che si devono disfare e se ne deve cominciare uno nuovo ogni giorno...».
E' un brano tratto da "Visioni", edizione del seminario tenuto da Carl Jung tra il 1930 e il 1934 al Club psicologico di Zurigo,oggi tradotto da Luciano Perez e Maria Luisa Buffa e pubblicato in veste tipografica lussuosa dall'editore Magi. Anche il grande maestro zurighese dimostra di essere un vero maschio, come molti suoi colleghi in Europa negli anni tra le due guerre. Una lettura utilissima alle psicanaliste italiane che hanno assimilato i contenuti della rivoluzione femminista.

Marco Bellocchio

ANSA
Marco Bellocchio girerà il suo nuovo film a Cefalù
21/12/2004 - 12:23
È la storia di un regista che si trasferisce da Roma

(ANSA) - CEFALÙ, 21 DIC - «E' la storia di un regista che vive a Roma e che si trasferisce, per poco tempo, in un paese della Sicilia», così Marco Bellocchio. Il regista parla della trama del suo nuovo film, che si intitolerà "Il regista di matrimoni" e sarà interpretato da Sergio Castellitto. Sarà girato a Cefalù che torna a trasformarsi in set cinematografico, ospitando una produzione tutta italiana che porta la firma di Bellocchio. Il via tra febbraio e marzo dell'anno prossimo.
copyright @ 2004 ANSA

Pietro Ingrao
secondo La Stampa

La Stampa 21 Dicembre 2004
di Jacopo Iacoboni

SE non stessimo parlando di Pietro Ingrao, il libro intervista Il compagno disarmato potrebbe essere gustato come un’altra puntata di un filone interminabile nella storia marxista: l’Autocritica. Ma con Ingrao, come al solito, le cose diventano più complesse. Alla fine l’Autocritica si rivela come l’altra faccia di un irriducibile messianismo che resiste nello sguardo velato dell’anziano militante. È quello che traghetta il leader stanco da un Pci ancora partigiano fin quasi ai no global di oggi.
Che genere di marxista è stato ed è Pietro Ingrao? Se seguite le pagine dell’intervista raccolta da Antonio Galdo vi imbatterete in un primo capitolo che è tutto un programma, intitolato com’è «L’Errore». Quello con la maiuscola, da cui tutto deriva. È il 3 novembre del ‘56 e il giovane Pietro è in redazione all’Unità, nel ‘48 è stato nominato direttore da Palmiro Togliatti. Arriva la notizia dell’invasione dei carri armati sovietici a reprimere la rivolta di Budapest e il direttore capisce che si è davanti a una svolta tragica. Occorre consultarsi con il Migliore, subito. «Di fronte alla mia incertezza, ai miei dubbi, Togliatti fu molto freddo. Mi disse che non bisognava avere dubbi, e per tagliar la conversazione usò questa frase: “Oggi ho bevuto un bicchiere di vino in più...” Non ebbi la forza di reagire». Ingrao torna al giornale, e scrive l’editoriale che considera l’Errore della sua vita, intitolato seccamente «Da una parte della barricata»: Mosca.
La confessione agra è uno degli ultimi spazi che oggi siano dati per inscenare un dramma storico-politico autentico, non posticcio e televisivo: dunque basterebbero queste parole, amarissime, ad avvicinarci a un libro del genere in modo non rituale. Certo, la «confessione» viene in qualche punto edulcorata, per esempio quando l’autore tenta di salvare, almeno in parte, alcuni dirigenti di allora, Giuseppe Di Vittorio e Umberto Terracini su tutti, dalla responsabilità dell’Errore. Mentre Ingrao non fa sconti a se stesso: quando denuncia i ritardi nella valutazione della minaccia terrorista negli anni di Piombo; quando ammette di non aver previsto la caduta del Muro; o quando ricorda di aver votato nel ‘69 a favore della radiazione dal Pci degli «eretici» del manifesto, oltretutto ingraiani, tra i quali l’amico di una vita Luigi Pintor. Ma ciò che vale, e gli è valso il rispetto di un avversario come il grande Indro Montanelli, è una dimensione nascosta del vecchio pugliese. Una vena religiosa, che tanto lo ha avvicinato, lui ormai novantenne, ai ragazzi di Seattle e persino ai nuovi cattolici.

una mostra a Bologna
l'anatomia nella storia e nell'arte: «rappresentare il corpo»

saluteuropa.it 21/12/2004
Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo: mostra a Bologna

Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all'Illuminismo" è il titolo della mostra che si svolgerà a Palazzo Poggi, sede del Rettorato dell'Università di Bologna, fino al 20 marzo 2005. Questa mostra, oltre a presentare in via eccezionale 8 disegni anatomici di Leonardo da Vinci, non è solo un esposizione di opere d'arte volte ad illustrare i rapporti tra arte e scienza, ma vuole descrivere soprattutto la storia dell'anatomia in cui le ricerche dell'Università di Bologna dal XIV secolo fino al Settecento furono fondamentali e assolutamente innovative. Una su tutte la scoperta di Malpighi, fondatore dell'Istituto di Scienze, con sede a Palazzo Poggi a Bologna, che scoprì il sistema chiuso della circolazione del sangue.
Questa mostra è frutto di ricerche scientifiche accurate compiute da Professori dell'Università di Bologna. Un viaggio affascinante nelle rappresentazioni del corpo e nel lento disvelamento dei misteri del suo funzionamento. Oltre duecento reperti, tra dipinti, disegni, sculture, incisioni, libri e codici, illustreranno il rapporto di collaborazione che si instaurò tra arte e scienza nell’acquisizione, nella rappresentazione e nella divulgazione delle conoscenze anatomiche, dall’età di Mondino alla fine del Settecento. L’esposizione sarà un racconto appassionante delle tappe che hanno consentito la descrizione sempre più dettagliata e precisa di ciò che si cela all’interno del corpo. Prima che la fotografia e le successive tecniche radioscopiche riuscissero a fornire una precisa e “obiettiva” visualizzazione, l’arte si pose al servizio della scienza per garantire rappresentazioni sempre più veritiere dell’interno e dell’esterno del corpo umano.
La grande tradizione della scuola anatomica bolognese sarà il filo conduttore di un percorso espositivo che, tuttavia, non resterà chiuso entro i confini cittadini e italiani, ma confronterà ambiti geografici e culturali diversi; sottolineerà i momenti di passaggio significativi per la storia della scienza, dell’arte e della cultura.
Gli esordi. Strumento fondamentale per conoscere la composizione del corpo umano è la dissezione dei cadaveri. Per secoli oscurata, la pratica anatomica divenne a Bologna, circa settecento anni fa, prima che in ogni altro centro universitario europeo, materia di insegnamento. Fu Mondino de’ Liuzzi a redigere, anche sulla scorta della tradizione araba (il Canon medicinae di Avicenna in particolare) e di quella classica (Galeno), il manuale (l’Anothomia) che fissò le nuove regole del procedimento anatomico.
Leonardo e l'anatomia. Saranno esposti nella mostra otto disegni anatomici di Leonardo, provenienti dalla Royal Library di Windsor i quali, insieme all’unicità dei risultati artistici e alla novità dei criteri rappresentativi, evidenziano anche l’influenza che esercitava nel XV secolo la tradizione anatomica bolognese. L’opera di Leonardo e quella di pittori e scultori del Quattro e del Cinquecento esercitarono una forte e duratura influenza sulla rappresentazione artistica del corpo e sull’idea di proporzione.
Il corpo e la sua immagine. La tendenza a una più accurata e realistica rappresentazione grafica e pittorica della figura umana potè contare, nel XVI secolo, su un nuovo, potentissimo, strumento di diffusione: il libro a stampa. Il primo del genere, interamente dedicato all’anatomia e illustrato con criteri iconografici improntati al massimo possibile del rigore anatomico, venne pubblicato a Bologna nel 1521 e ne fu autore Iacopo Berengario da Carpi, professore nello Studio bolognese. Non è superfluo notare che si trattava proprio di un Commentario all’ormai classico manuale di anatomia di Mondino. Ma la novità, teorica, pratica e illustrativa fu rappresentata dalla pubblicazione, nel 1543, del De humani corporis Fabrica di Andrea Vesalio il quale poté giovarsi di illustrazioni eseguite nella bottega di Tiziano.
I Teatri per l'anatomia. Il Cinquecento è il secolo in cui l’anatomia diventa anche rappresentazione e spettacolo e i teatri anatomici – prima provvisori, poi stabili – i luoghi del disvelamento della struttura del corpo umano. La dissezione è, al tempo stesso, spettacolo pubblico, ritualizzazione del gesto scientifico e lezione universitaria. In breve tempo e sull’esempio di Padova, tutti i principali centri del sapere ivi compresa Bologna, si dotano di spazi appositi per l’esibizione dell’anatomia.
Anatomia comparata. Il criterio dell’osservazione diretta, della rappresentazione dei risultati di questa pratica affidata al disegno oltre che alla parola scritta, la teatralizzazione dell’esplorazione scientifica, dall’ambito dell’anatomia si estendono, nel volgere di pochi decenni, alle diverse branche dello studio della natura. Il Teatro di Natura di Ulisse Aldrovandi, nel quale reperti naturalistici e illustrazioni artistiche si integrano vicendevolmente, costituisce uno dei primi e più efficaci esempi di una collaborazione tra scienziati e disegnatori che abbraccia l’intero universo e non più soltanto il microcosmo umano. Negli stessi anni e nello stesso ambito culturale, la specializzazione degli studi anatomici dà origine, con Carlo Ruini, alla descrizione del corpo e delle funzioni di organismi animali.
L'anatomia degli artisti. Addestrati all’osservazione, gli artisti sono in grado di vedere con la stessa chiarezza degli anatomisti la forma delle ossa, dei muscoli e degli organi, ma in più sono capaci di rappresentarla. A documentarlo con straordinaria efficacia è la Lezione anatomica alla presenza degli artisti, già attribuita al pittore bolognese Bartolomeo Passarotti, ora giudicata opera di Federico Zuccari. Che l’anatomia fosse un grande avvenimento sociale, è documentato da numerose e signi?cative tele, dipinte soprattutto in ambito olandese e nord-europeo, tra Sei e Settecento, tra le quali il dipinto commissionato dalla gilda dei chirurghi di Amsterdam a Aert Pietersz nel 1601 e quello realizzato nel 1617 da Michial van der Meer per la corporazione chirurgica di Delft.
L'anatomia sacra. La rigida regolamentazione iconografica imposta dalla Controriforma, l’ingiunzione a privilegiare il verosimile rispetto al vero, la preferenza accordata a soggetti sacri anziché profani, orienta pittori e scultori del Seicento a trasferire sul corpo crocifisso (Annibale Carracci, Orazio Borgianni) o deposto di Cristo (Matteo Loves) le competenze acquisite nella rappresentazione anatomica. Intanto, parti anatomiche, teschi e ossa, ritornano nel genere della vanitas (Guido Cagnacci) e del memento mori (Ludovico Carracci).
La macchina del corpo e l'anatomia sublime. Accennata già nell’opera di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, la macchina diventa con William Harvey, Cartesio, Alfonso Borelli, Giorgio Baglivi, il modello interprativo dell’anatomia. Con Marcello Malpighi, ritenuto il fondatore dell’anatomia microscopica, la disciplina compì un passo avanti di incalcolabile valore. Le parti più piccole del corpo umano, i tessuti degli organi vitali, divennero oggetto dell’analisi microscopica. Malpighi, come del resto un altro innovatore quale fu Giovan Battista Morgagni, continuarono ad avvalersi della collaborazione di illustratori nella realizzazione dei loro scritti.
La gipsoteca dell'Accademia Clementina e la collezione delle cere anatomiche dell'Istituto delle Scienze. Il percorso espositivo si conclude nelle stanze del Museo che ospitano le statue e i preparati anatomici in cera dell’Istituto delle Scienze. Fu sempre a Bologna che trovò la sua prima sistematica applicazione in campo anatomico la ceroplastica. Ercole Lelli, “direttore di figura” dell’Accademia Clementina dell’Istituto, fu l’iniziatore di un genere, insieme artistico e scienti?co, proseguito da Giovanni Manzolini, Anna Morandi, Clemente Susini. Destinati a un uso didattico, ma rivolti non agli scienziati, bensì agli artisti, i numerosi calchi di sculture classiche e rinascimentali che componevano la gipsoteca della stessa accademia Clementina e che intervengono anch’essi nel percorso espositivo.

Jean-Paul Sartre

Corriere della Sera 21.12.04
Un libro-confessione del 1972 descrive i turbamenti del filosofo che ha rinunciato al Nobel
Sartre, rivoluzionario sì ma borghese
CONTRADDIZIONE
di Dario Fertilio

«Il Nobel e la rivoluzione»: un dramma che Jean-Paul Sartre non scrisse mai. Ma adesso la trama potrebbe fornirla un libro, La mia autobiografia in un film (edito da Marinotti, 159 pagine, 14), vera e propria trascrizione, inedita in italiano, di sentimenti ed idee che agitarono il grande filosofo negli ultimi anni di vita. Corre l’anno 1972, e il profeta dell’impegno intellettuale, il padre del Maggio parigino innamorato del maoismo, insomma l’autore de Le mosche e de La nausea, decide di rinnegare pubblicamente le sue origini borghesi. Lo apprendiamo dal dialogo, doloroso e struggente, che si svolge tra lui e i suoi intervistatori. Al centro della riflessione, il gran rifiuto di sei anni prima, il no al Nobel per la letteratura. Che avrei dovuto fare, si chiede Sartre, per non tradire le mie idee? Accettarlo, piegandomi alle ragioni del sistema di potere borghese, o rifiutarlo sdegnosamente? Lui, d’altra parte, non si è votato fin da piccolo con dedizione assoluta alla penna, mosso dall’ambizione d’essere accolto un giorno tra gli immortali di Francia? Non è intento, da decenni, a completare un’opera colossale su Flaubert, prototipo dello scrittore borghese? E insomma lui sarà anche maoista, barricadero, femminista, rivoluzionario, amico dei vietcong nella guerra combattuta contro gli invasori americani; sarà pure schierato a sinistra dei comunisti francesi, accusati di burocratismo e ormai imborghesiti; tuttavia mai potrà rinunciare a quella specie di vizio privato che per lui è la letteratura.
Da questo fondamentale dubbio sarebbe potuto nascere, dunque, il dramma sartriano mai scritto. Il contesto è quello autentico dell’epoca, il 1972, quando l’onda del Sessantotto già incomincia a ritrarsi. Concetti, autocritiche e riflessioni del filosofo sono lì, consegnati a questo film-documentario interrotto per mancanza di fondi e proiettato soltanto nel ’76 al festival di Cannes. Il dialogo è accompagnato da spezzoni sui cortei parigini, i famosi discorsi di Sartre a operai e studenti, vari filmati sulle varie guerre combattute nel Novecento. Riletto oggi, assume soprattutto il valore di una confessione in pubblico, a pochi anni dalla morte. Così, per la prima volta, i lettori italiani più giovani possono ricostruire dal vivo i dubbi e le contraddizioni del filosofo, il suo rifiuto di «dialogare con la borghesia», i tormenti che gli provocava la bruttezza fisica, l’allontanamento una volta per tutte dalla religione, il suo altalenante rapporto sentimentale con Simone de Beauvoir e la repulsione per il rito del matrimonio, la scoperta pericolosa della mescalina, la teorizzazione della famosa «alienazione sociale delle masse». Ci sono passi che colpiscono per la disarmante sincerità di Sartre, come quando si dichiara favorevole all’emancipazione delle donne, salvo riconoscere che, una volta «liberate», queste smetterebbero di interessarlo. C’è l’enunciazione secca e definitiva di uno dei dogmi sessantottini: «Ogni scritto è politico». E ancora, la definizione più sofferta della funzione intellettuale, a suo giudizio basata su due elementi: «Fedeltà e critica». Nel senso che «non si può abbandonare un gruppo politico quando e come si vuole», ma allo stesso tempo «se i principi di una rivoluzione non sono rispettati, bisogna dirlo».
Infine, il Nobel. Quel nodo sciolto con un colpo di spada sarebbe rimasto un suo vanto. «Un autore - dichiara Sartre nell’intervista - lo si uccide con il Nobel ed è ben finito. Sono tutti morti, d’altronde, i premi Nobel, e molto rapidamente. Salvo Mauriac che è durato a lungo. Ma penso di vivere ancora perché l’ho rifiutato». E davvero, fra i tanti errori commessi, quel «no» da solo oggi può valergli un’assoluzione.

Bertinotti, dopo il vertice
l'accordo sulle primarie
... e l'Ulivo pugliese s'incazza

Il Tempo martedì 21 dicembre 2004
L’unico contento è Bertinotti In Puglia si fanno le primarie

C’È un solo leader contento dall’esito del vertice del centrosinistra di ieri: Fausto Bertinotti. Il segretario di Rifondazione Comunista ha infatti ottenuto il via libera alle primarie allargate per scegliere il candidato alle regionali in Puglia. «Siamo molto soddisfatti — commenta — mi sarebbe piaciuta una candidatura di Nichi Vendola universalmente accettata, ma avere trasformato una difficoltà e un rischio di crisi in un'opportunità che alimenta la pratica democratica attraverso le primarie vere, mi pare un passaggio di grande importanza. Questo vuol dire che c’è democrazia».
E a chi gli domanda se la crisi sia rientrata, il leader del Prc replica: «C'è la democrazia: come sempre penso che la democrazia sia un bel concorso alla soluzione dei problemi». Bertinotti ha precisato che «saranno primarie vere» e si faranno a metà gennaio, dopo che mercoledì i grandi elettori avvieranno le procedure per decidere le modalità con cui farle svolgere. Secondo Bertinotti, questa soluzione delle primarie si potrebbe adottare anche per gli altri due casi aperti della Basilicata e della Lombardia.
[...]

Repubblica edizione di Bari 21.12.04
I segretari regionali vanno avanti: respinta la richiesta di Bertinotti. L'economista: "A gennaio non sono disponibile"
Gad, lo strappo della Puglia
No al rinvio deciso da Roma: "Domani votiamo per le primarie"

Durissima reazione in Puglia all'accordo raggiunto a Roma sull'accoglimento dell'ennesima richiesta di rinvio avanzata da Rifondazione Comunista. I segretari dellUlivo affermano che domani le consultazioni primarie saranno aperte come da programma. Oggi ci sarà un vertice per definire le modalità. Secondo quanto concordato a Roma saranno probabilmente ulteriormente rinviate al 15 e 16 gennaio prossimi le consultazioni. Il rinvio, non ancora ufficializzato, è ritenuto probabile dal presidente dei Ds, Massimo D'Alema. La consultazione si svolgerà con regole differenti da quelle che erano state fissate per l'assemblea del 23 dicembre. A quanto si è appreso si dovrebbe seguire il sistema utilizzato già a Trapani e a Pisa nel 2003, per le elezioni provinciali con consultazioni allargate agli elettori. Alle primarie di domani, avrebbero invece dovuto partecipare duemila grandi elettori indicati dai partiti della coalizione e da numerose associazioni. Tuttavia l'economista Francesco Boccia è orientato a non accettare l'ipotesi dello slittamento. Possibile il suo ritiro dalla competizione.

depressione post-parto
Mencacci: le donne ne soffrone "per predisposizione genetica"...!

Opa/Adnkronos Salute 21.12.04
Parto: a Rischio Depressione 85% Neomamme, Centro a Milano

Milano, 21 dic. (Adnkronos Salute) - Inizia con piccole crisi di pianto, ansia, fragilita' e senso di inadeguatezza verso il nuovo arrivato. In genere passa subito, ma in situazioni estreme puo' portare al suidicio, a trascurare il proprio bimbo e addirittura a ucciderlo. L'85% delle neomamme e' a rischio di depressione post-parto, che nel 10-20% dei casi si trasforma in depressione vera e propria e in circa due su mille in psicosi, con deliri, allucinazioni e possibile infanticidio (un caso su 50 mila). Contro questo problema, non diagnosticato una volta su due e curato solo nella meta' di chi ne soffre, nasce all'ospedale materno-infantile Macedonio Melloni di Milano (azienda Fatebenefratelli-oftalmico) un 'Centro per la prevenzione e la cura dei disturbi depressivi nella donna'. Presentato oggi alla presenza dell'assessore regionale alla Sanita', Carlo Borsani, sara' attivo da gennaio con una lista d'attesa che conta fin d'ora un'ottantina di pazienti. La struttura ospitera' un team medico rigorosamente 'rosa': quattro psichiatre e tre psicologhe, che lavoreranno al fianco di ostetriche e ginecologhe per sostenere le mamme, ma anche i papa', nei momenti di difficolta', critici o di transizione. Il centro funzionera' nell'ambito del Dipartimento di Salute mentale del Fatebenefratelli, diretto dal professor Claudio Mencacci, e sara' guidato da Roberta Anniverno. Dedicato alle pazienti della Melloni, ma aperto anche alle richieste sul territorio, offrira' prestazioni gratuite, rimborsate dal Servizio sanitario regionale. ''La salute mentale della donna e' stata molto sottovalutata, benche' i numeri dimostrino che i disturbi psichici, e la depressione in particolare - ha ricordato Mencacci - colpiscano il sesso femminile il doppio o il triplo rispetto a quello maschile''. Schizofrenia (nei due sessi fino a 48 mila casi l'anno solo in Lombardia), depressione (circa 700 mila), sindrome bipolare (95 mila), ansia patologica (980 mila), anoressia e bulimia nervosa sono le malattie piu' diffuse, di cui le donne soffrono maggiormente ''per predisposizione genetica, maggiore vulnerabilita' allo stress e fattori ormonali'', ha sottolineato lo specialista. ''Ciclo mestruale, fine gravidanza, post-parto e menopausa'' sono i periodi piu' a rischio, ha aggiunto, evidenziando ''l'urgenza della prevenzione''. Fin da bambini, se si pensa per esempio che ''ben il 30% dei bimbi con disturbi dell'attenzione sono candidati a diventare pazienti psichiatrici''. Ancora piu' sottostimato e' il problema della depressione post-parto, ha puntualizzato Anniverno. ''La donna si sente incompresa, giudicata e sola, con conseguenze a volte devastanti'', ha avvertito l'esperta. Per cercare di individuare in anticipo le donne piu' a rischio, definendo dei 'campanelli d'allarme', la Melloni partecipa con circa 100 pazienti a uno studio che si chiudera' a febbraio, coordinato dall'universita' di Pisa e condotto con la collaborazione dell'universita' di Napoli. ''Familiarita', precedenti crisi depressive, stress, rapporti conflittuali bimbo-padre, gravidanze ravvicinate, parto prematuro e frequenti problemi di salute del neonato'' sono alcuni dei fattori di rischio, ha elencato l'esperta. Convinta che il nuovo centro, con l'aiuto dei volontari della Fondazione Idea e il coinvolgimento della famiglia, possa colmare un grave vuoto. (Opa/AdnkronosSalute)

sinistra
Vittorio Foa

L'Unità 19.12.04
FOA: "IN PIAZZA PER LA DEMOCRAZIA"
«È in corso un attacco alla sostanza della nostra convivenza, la sinistra non può rimanere invisibile»
Luana Benini

Vittorio Foa era in Piazza San Giovanni 14 settembre del 2002. Berlusconi governava da un anno e mezzo. E fu una manifestazione grande "per la libertà e la giustizia". Con partiti, movimenti e sindacati. Dal palco Foa disse: "Io qui vedo il futuro". Fu l'inizio della risalita per il centrosinistra. Anche adesso, mentre la giustizia è sotto assedio, mentre leggi e regole vengono cancellate per favorire i potenti, bisogna tornare di nuovo in piazza? Di nuovo c'e bisogno di quella spinta dal basso che fa prendere coscienza? L'Unità ha fatto un appello a tornare in piazza affinché partiti, movimenti, sindacato ritrovino una spinta unitaria. Cosa ne pensa Vittorio Foa? Al telefono, la voce è ancora giovanile. Ultranovantenne, uno dei padri della Repubblica. Ha sempre detto che "l'antifascismo è un modo di vivere", "è l'ansia di intervenire contro l'ingiustizia, contro ogni minaccia di liberta", "e pluralismo politico e sociale, democrazia come partecipazione". Adesso è reduce da una operazione, non sta ancora bene. E' nella sua casa di pietra a Formia. Si è fatto leggere l'editoriale di Antonio Padellaro sull'Unità di ieri. "Sono d'accordo, certo, come si fa a non esserlo?". Stiamo vivendo una situazione pesante in Italia. Si puo restare a guardare? «lo vedo che ci sono molti veto. Anche io penso che bisogna scegliere un momento per farsi sentire più apertamente". Ma sì, "una manifestazione che ci faccia sentire di esistere". Sì che ce ne sarebbe bisogno. Perché è importante "sapere che esistiamo, che abbiamo una voce, quella voce che abbiamo fatto sentire altre volte nella storia". In piazza, però, questa volta lui non ci potrà essere, per ragioni di salute. "Ma sono con voi totalmente. Con l'animo". La passione politica è sempre la stessa. "Vi sono alcune cose che mi piacciono in questo appello. Primo: va al di là dei nomi e dei cognomi politici. Tocca tutti. Chiede a tutti di fare un esame di coscienza. E questo è molto importante. Vi sono momenti nella vita collettiva in cui bisogna riuscire a parlare molto al di là delle proprie convinzioni. Questo è uno di quei momenti". Perché? "Perché sentiamo che l'attacco in corso è alla sostanza della democrazia. La sostanza della democrazia vive nell'istituto di garanzia, cioe nella separazione dei poteri. Quando è minacciata la separazione dei poteri è minacciata la democrazia. E oggi la minaccia è visibile, determinata,sensibile". A Foa piace anche "la chiarezza dell appello" che "risponde a qualcosa che esiste già: vedo un malcontento crescente e anche la capacità di esprimerlo". In questi giorni si è verificato un fatto importante, "la presa di coscienza dell'istituto di garanzia". Il presidente della Repubblica ha sollevato "un problema di fondo sull'ordinamento giudiziario". "Quando penso alla decisione del presidente della Repubblica di rinviare alle Camere il provvedimento sull'ordinamento giudiziario non penso solo alla chiarezza estrema dei motivi indicati dal presidente, ma anche a un'altra cosa che attribuisce grande valore a quell'atto: la tempestività. Perché quell'atto è venuto immediatamente. Era molto atteso. Anche da quelli del governo che avevano compiuto una violazione dei principi costituzionali. Ebbene il rinvio di Ciampi ha testimoniato il valore emblematico degli istituti di garanzia". Ma, attenzione, "non c'è solo il governo e le sue malefatte", Guardiamoci intorno e teniamo conto anche dei segnali che si avvertono, di ciò che si è mosso nel centrosinistra. Certo, c'e "la grande alleanza che si è creata", ma c'e qualcosa che va anche oltre la vecchia tradizione maggioranza e minoranza". Spiega: "Mi riferisco a una visuale sociale. Penso ai partiti di centrosinistra, ai sindacati, al fatto che la loro pluralità e differenza è una grande forza, non un elemento di debolezza. Penso a una quantità di manifestazioni che oggi avvengono dappertutto: nel mondo dell'industria, degli affari, delle istituzioni". Per esempio, "sarebbe stato impensabile, qualche tempo, fa la richiesta unitaria delle regioni al presidente della Repubblica: tutte insieme hanno sollevato il problema della illegalità della legge finanziaria". Il centrosinistra dovrebbe far tesoro di queste spinte? "Secondo me sì. Ripeto, facendo chiarezza su un punto: la pluralità delle posizioni del centrosinistra, che si manifestano anche nella fatica dello stare insieme, non è una debolezza. Il fatto che il centrosinistra abbia posizioni diverse è la nostra forza. Proprio perché siamo diversi troviamo la ragione di stare uniti. E proprio da questa ragione dobbiamo trarre alcune conseguenze". Foa adesso parla lentamente. "Io sono molto vecchio. Può essere che l'età e le condizioni di salute influenzino il mio pensiero. Ho sempre pensato e lo penso tuttora che la forza politica non sta nell'impazienza. Sta nella continuità dell'impegno. Nella capacità di non perdere mai di vista ciò che sta succedendo. Nel tenere gli occhi aperti e saper rispondere a tutto ciò che accade".
Una giornata in piazza dunque? "Di giornate ce ne sono state tante. Non solo quel 14 settembre del 2002 che io ricordo come una grande giornata. C'e stato un periodo che ha preso il nome da Cofferati nel quale si è verificato un fenomeno curioso. Cofferati capi allora quello che molti di noi non avevano capito: che gli italiani volevano che si dicesse no con chiarezza. Avvenne. Ma nell'atto stesso in cui avvenne sentimmo che bisognava andare oltre. Non è vero che il sì non nasce dal no. Il sì nasce anche dal no. L'alleanza allargata a tutta l'opposizione è anche frutto di quel no. Ora bisogna che l'alleanza continui ogni giorno a produrre dei sì. E che ognuno dia quello che può dare. Io posso solo dire che con l'anima sono con voi".

i dati sui consumi di tabacco alcool e droghe tra i giovani

Kataweb Salute 20.12.04
Giovani, in aumento alcol e droghe

I ragazzi bevono di più, fuori pasto e con l'intenzione di ubriacarsi, uno su cinque tra loro fa uso di cannabis mentre aumenta il numero di quelli che hanno consumato cocaina ed eroina. E’ quanto emerge dal Progetto ESPAD (European School Survey Project on Alcohol ad other Drugs), un’indagine condotta nel 2003 dal Consiglio d’Europa tramite il Gruppo Pompidou e il Consiglio svedese su alcol e droghe, e realizzata, per quanto concerne l’Italia, in collaborazione tra Consiglio nazionale delle ricerche e Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il progetto ESPAD ha coinvolto gli studenti tra i 15 e i 19 anni di 35 paesi europei. Il campione italiano conta circa 30.000 sedicenni.
I dati più significativi che emergono dallo studio europeo sono:
Consumo di tabacco
L’Italia si pone in una posizione intermedia tra i paesi europei, con il 25% dei sedicenni di entrambi i sessi che riferisce di aver fumato sigarette più di 40 volte nella vita. I valori più elevati, con il 42% risultano quelli di Austria e Groenlandia, mentre la Turchia risulta all’ultimo posto, sia per media (13%), sia per i due generi: 17% dei maschi, 7% delle femmine. Il paese con il maggior numero di fumatori sedicenni maschi è la Lituania con il 49%, stessa percentuale che si riscontra tra le ragazze della Groenlandia, che si piazzano al primo posto della graduatoria.
Consumo di alcol
L’Italia mostra un incremento rispetto alla precedente rilevazione del 1999, con il 33% dei ragazzi ed il 16% di ragazze che riferisce di aver consumato alcol 40 o più volte nella vita: la media tra i due sessi, del 24%, è superiore di ben 6 punti a quella di quattro anni prima. Al primo posto si colloca la Danimarca con il 50% di media (57% dei ragazzi, 42 delle ragazze). Anche Austria, Repubblica Ceca e Olanda contano però valori superiore al 50% per i maschi o al 40% per le femmine. Valori inferiori al 20% per i maschi e al 15% per le ragazze si trovano in Norvegia, Islanda e Turchia.
Relativamente alle intossicazioni acute da alcol (10 o più ubriacature nel corso dei 12 mesi precedenti l’intervista), l’Italia con il 7% per i maschi ed il 2% per le ragazze si pone, insieme con la Francia, agli ultimi posti della graduatoria a livello europeo. In paesi come la Danimarca vengono riferite frequenze analoghe dal 40% dei ragazzi e dal 29% delle ragazze, in Irlanda dal 30% dei ragazzi e dal 28% delle ragazze.
Consumo di droghe
Con il 22% dei maschi di 16 anni ed il 18% delle ragazze che riferisce un’esperienza d’uso di cannabis nella vita, l’Italia si colloca tra i paesi europei con consumi medi elevati, anche se non evidenzia significativi incrementi dalla rilevazione del 1999. Valori superiori al 30% per i maschi ed al 28% per le femmine vengono riferiti da Repubblica Ceca, Svizzera, Irlanda, Francia, Regno Unito, Spagna e Belgio. Con valori inferiori al 10% in entrambi i sessi si evidenziano Norvegia, Svezia, Grecia, Turchia, Cipro e Romania.
Differente si mostra, la situazione italiana, per quanto riguarda le altre sostanze illegali: il nostro paese, insieme con la Spagna e la Repubblica Ceca, conta l’11% dei maschi che riferisce una esperienza di consumo di altre sostanze psicotrope (specialmente cocaina ed eroina) nella vita, e con il 6% delle ragazze si colloca tra i paesi più colpiti. Preoccupa in particolare l’aumento di 3 punti percentuali per entrambi i generi rispetto al rilevamento del 1999.

archeologia
Bagdad: i disastri della guerra

Europa 19.12.04
La cronaca dell’archeologo Fales
Saccheggio in Mesopotamia

di SIMONA MAGGIORELLI

Cercando di fare capolino oltre la cronaca più spiccia. Oltre lo stillicidio di notizie che, a singhiozzo, dopo i giorni feroci del saccheggio sono comparse sui giornali. Puntando a ricostruire passo dopo passo la storia di uno dei più importanti musei dell’area dell’antica Mesopotamia: il museo di Baghdad. Dalla nascita nel 1923 sotto l’egida degli inglesi, alla nazionalizzazione del 1974, ai saccheggi avvenuti durante la Guerra del Golfo, fino al clamoroso sfascio dei primi giorni del dopo Saddam. Con più di 15mila pezzi trafugati in una manciata da giorni, dall’8 al 12 aprile 2003, al termine della rapida invasione dell’Iraq da parte delle forze angloamericane, con migliaia di reperti poi rivenduti al mercato nero e via internet. Oggetti d’arte, che in parte poi sono comparsi in Siria, in Giordania, in Arabia Saudita, ma anche nelle botteghe antiquarie di mezza Europa e degli Stati Uniti. A ripercorrere da vicino queste vicende in un prezioso volume di 470 pagine, "Saccheggio in Mesopotamia", edito dalla casa editrice universitaria Forum di Udine è l’archeologo Frederick Mario Fales, uno dei primi italiani ad andare, più di vent’anni fa a scavare, insieme a colleghi tedeschi e inglesi, i siti archeologici dell’antica Mesopotamia, luoghi dai nomi mitici come Selucia, Babilonia, Ninive. «Lavoravamo negli scavi mentre sopra di noi volavano gli aerei della guerra Iran-Iraq, che andavano a bombardare i curdi» racconta. «Sotto il regime di Saddam – dice Fales – ho conosciuto il museo nel suo fulgore». Una teoria di oltre ventotto gallerie dedicate alla cultura sumera, babilonese, assira, arrivando fino all’età achemenide, ellenistico romana, islamica. Con reperti che risalgono fino a 10mila anni fa. Tra questi anche la famosa Dama di Uruk, misterioso e unico volto femminile scolpito prima dell’età del bronzo, molto prima che la civiltà di Uruk - così raccontano gli studiosi - consegnasse all’umanità l’invenzione della scrittura. Un reperto che, per fortuna, compare oggi nella lista dei beni in salvo (alcuni dei pezzi più preziosi, racconta Fales nel suo libro, erano stati depositati prima della guerra in località segrete). Diversa la sorte toccata, invece, ad altri pezzi come il vaso di alabastro del tempio di Uruk che risale a tremila anni prima Cristo: è stato ritrovato sì, ma gravemente danneggiato. E, se nel caos del 2003, il dramma era stato soprattutto la spoliazione del museo di Baghdad, nel 2004 i danni maggiori sono venuti dagli scavi clandestini dei siti archeologici : l’epicentro del racket dei furti, nel Dhi Qar, nei centri a nord di Nassiriya, come Ash Shatrah e Ar Rifa’i. I ladri hanno depredato con violenza, specie attorno a Nassiriya, dove non c’era sorveglianza. Una strage su commissione, denunciano gli archeologi. Ma anche un danno gravissimo su altri fronti. Perché gli scavi fatti da incompetenti distruggono il contesto, separano il reperto dal suo tempo, dal suo significato. E in questo modo si finisce per perdere una quantità immensa di dati e informazioni. Ma chi c’è dietro quest’evento che si è ripetuto ogni giorno quasi inalterato dal 1991? Si domanda Fales. «Di fatto – scrive nel suo libro – soprattutto iracheni impoveriti che si recano ogni giorno al loro “lavoro” di sterrare le aree archeologiche a caccia di reperti di pregio per poi cederli a ricettatori locali, dietro i quali ci sono organizzazioni internazionali dedite al commercio di reperti antichi. Un traffico – aggiunge – che spesso serve a riciclare denaro sporco». «L’embrago americano – dice Fales – ha fatto le fortune della classe dirigente irachena, ma il resto della popolazione irachena ha subito una severa proletarizzazione per un decennio, e le depredazioni di pezzi d’arte non hanno certo cambiato la loro situazione». Ad arricchirsi, semmai, sono stati altri: antiquari, collezionisti, multinazionali. Sul campo, insomma, non sono rientrati soldi, è rimasta solo la ferita aperta di un mnemocidio, un assassinio della memoria storica. E l’angoscia, per questa vertiginosa perdita non si placa, neanche oggi che arrivano notizie incoraggianti sui ritrovamenti e nonostante gli aiuti internazionali tesi alla ricostruzione del museo di Baghdad con l’ausilio di materiali emetodologie ammodernate. Anche perché, denuncia Fales, in questi lunghi anni di guerra non si sono perse solo ricchezze artistiche ma si è interrotta quella crescita di nuove generazioni di esperti, studiosi e archeologi iracheni che aveva cominciato a produrre risultati importanti fino agli inizi degli anni Novanta. «Per la pauperizzazione degli statali causata dall’embargo – racconta – con conseguente impennata dell’inflazione c’è stata nell’ultima decina di anni una massiccia serie di abbandoni con migrazioni verso il settore privato e, soprattutto, verso altri paesi del Medio Oriente. Oggi è urgente aiutare gli archeologi iracheni a difendere con dignità la propria reputazione professionale rispetto ai nuovi amministratori occidentali, che tendono ad epurare chi aveva un precedente “tesseramento” nel Baath, aiutarli perché possano riprendere le redini dell’attività archeologica del paese riportando l’Iraq nella retemoderna dell’archeologia scientifica»

Cina: una ricerca che in Italia sarebbe proibita dalla legge
la clinica del dottor Huang

Repubblica 21.12.04
Cina, la clinica degli embrioni e i "miracoli" del dottor Huang
Spina dorsale, sclerosi: si prova una nuova cura
Tra i pazienti ricoverati c'è Vanessa, italiana, colpita dal morbo di Lou Gehrig
In questi giorni ci sono 90 pazienti, vengono da ogni parte degli Usa
"Non so perché funziona, ma funziona", dice il medico cinese
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI

SANITARIO dei Lavoratori, Xixiazhuang, Shijingshan District. La località più vicina è Badachu, che vuol dire le Otto Meraviglie, perché un tempo era un paesaggio di colline verdeggianti, pagode e monasteri buddisti. Oggi è una periferia squallida e sporca, tutta fabbriche e caseggiati popolari, nella grande area metropolitana di Pechino a un'ora e mezzo di auto dal centro della capitale.
Ma per molti occidentali è la Terra Promessa. Vengono qui in centinaia dall'America e dall'Europa: paralizzati da incidenti alla spina dorsale, paraplegici, malati di sclerosi multipla o del morbo di Lou Gehrig, affetti dal Parkinson o con emiplegie da ictus. La loro speranza si chiama Huang Hongyun, un neurochirurgo cinese che ha studiato negli Stati Uniti ma che solo qui a Pechino può applicare la sua terapia rivoluzionaria a base di iniezioni di cellule embrionali (da non confondersi con le cellule staminali). A 49 anni il professor Huang è una celebrità internazionale, anche se il suo metodo divide il mondo della scienza. L'ho incontrato in mezzo ai suoi pazienti e di questo posso testimoniare: non ha l'atteggiamento di un guru, non cerca di vendere illusioni.
Il primo impatto con l'ospedale non è rassicurante. Il cortile esterno e la facciata, i corridoi d'ingresso, i primi piani sono malandati e bui. L'aspetto è quello di una sanità povera, le condizioni d'igiene lasciano perplessi. Ma questo è l'ospedale pubblico riservato ai comuni mortali, cioè ai cinesi. Al terzo piano, dove un'insegna in inglese indica Neurosurgery Ward e specifica perfino Foreigners (stranieri) c'è un'oasi privatizzata dove un'operazione del professor Huang costa 20.000 dollari (una cifra esorbitante per i cinesi, non per gli standard della neurochirurgia nei paesi ricchi) e qui tutto cambia. I muri sono dipinti di fresco, un accogliente color celeste, le luci sono vivaci, alle bacheche ci sono composizioni di foto di pazienti sorridenti, dalle finestre si vede un giardino di bambù, il personale è di una gentilezza irreprensibile, la pulizia regna e si vedono arrivare vassoi di gastronomia cinese che non assomigliano al rancio della mensa interna. I centralinisti (telefono 00.8610.51625950) hanno imparato l'inglese, e per forza.
L'elenco dei 90 pazienti ricoverati in questi giorni riproduce una mappa completa degli Stati Uniti. Vengono da New York, New Jersey, Michigan, Wisconsin, Texas, Florida, Nevada, California.
Dall'Europa ci sono due belgi. E c'è Vanessa Wessels: è nata in Sudafrica ma lo ha lasciato 25 anni fa, dal 1989 è cittadina italiana, vive a Loro Ciuffenna in provincia di Arezzo. Vanessa ha 40 anni, è una bella donna alta un metro e ottantacinque, bionda e con gli occhi verdi. Ha una figlia di 10 anni e un bambino di 8. È programmatrice informatica e inoltre disegna mobili. È una sportiva, ciclista e maratoneta. Oggi per parlarmi è costretta a farsi togliere il tubo dell'ossigeno, e durante la nostra conversazione deve assisterla un'amica che manualmente le preme la pancia per attivarle la respirazione. Questa amica venuta dall'Italia, Carla Perli, tira su lo schienale del suo lettino d'ospedale e la solleva di peso per metterla in posizione seduta.
È uno sforzo duro ma Vanessa vuole parlare perché altri possano avere speranza. «Nell'estate del 2003 ebbi i primi sintomi di indebolimento: una fatica intensa, non riuscivo più a puntare i piedi o a saltare alla corda. La diagnosi arrivò nel settembre 2003: ho la sclerosi laterale amiotrofica, la malattia di Lou Gehrig. Le cause, da quel che ne so, sono ancora un mistero per la scienza. Da un anno ho perso tutte le funzioni degli arti. Da luglio ho bisogno anche del respiratore artificiale e senza assistenza non riuscirei a mangiare. In Italia ho bussato a tante porte, fino al centro Carlo Besta di Milano, ma nessuno sapeva che fare. Ho trovato medici volenterosi ma deprimenti. L'unico loro consiglio è stato di abituarmi a vivere così per qualche anno, cioè di prepararmi a morire. Io questo non l'ho mai accettato, non c'è verso che mi rassegni. Appena ho saputo del professor Huang mi sono messa a telefonare in Cina per ottenere l'appuntamento. La lista d'attesa qui è lunghissima, all'inizio mi avevano fissato l'operazione per il primo settembre 2005. A furia di insistere, eccomi qua». Vanessa Wessels è arrivata a Pechino il 5 dicembre ed è stata operata il 9. Ai lati della fronte ha le cicatrici di due taglietti, dove Huang le ha iniettato le cellule embrionali.
Parlare le costa una fatica enorme, come ogni movimento. Ma la sua forza di volontà è notevole. Così come non si è mai voluta arrendere alla malattia, oggi raccoglie tutte le sue energie e racconta. Fa aspettare perfino un medico che è arrivato per la seduta di fisioterapia. Le preme mandare la sua testimonianza ad altri malati italiani. «L'intervento è andato bene - dice - e già ci sono dei piccoli miglioramenti. Guardi bene, ora in questa posizione da seduta riesco a tenere la testa dritta, usando i muscoli del collo. Prima era impossibile, la testa mi ricadeva indietro come un corpo morto e rischiavo di soffocare. Adesso sento che tutta la schiena sta recuperando un po' di forza. L'operazione non è stata molto dolorosa, due buchi sulla fronte con il trapano, solo un po' peggio che andare dal dentista. All'origine il programma era di restare qui per sei settimane ma vedo che alcuni pazienti rientrano a casa prima del previsto, anche perché ormai il professor Huang usa l'anestesia locale anziché quella totale, quindi i tempi di recupero si sono accorciati. Io spero di aiutare altri. Sono in tanti a soffrire come me in Italia e l'atteggiamento prevalente è l'attesa della morte, magari di una pillola che lenisca il dolore e acceleri la fine. Ma una condanna a morte è terribile, se c'è una speranza bisogna lottare».
Alla fine della giornata incontro anche il professor Huang. La faccia tonda e gli occhi sorridenti, sembra un po' un Mao Tse Tung giovane. È così semplice e dimesso, nella sua tuta verde, che incrociandolo nel corridoio per un attimo lo scambio per un infermiere. Non ha l'aureola del luminare occidentale circondato dal codazzo di assistenti. Forse è una conseguenza della sua storia personale. Lui si avvicinò alla medicina a 17 anni, dopo che suo padre era rimasto paralizzato da un ictus. Ma la Rivoluzione culturale (1966-76) aveva chiuso le università e come molti studenti cinesi Huang fu mandato a lavorare i campi. La prima facoltà di medicina riaprì solo nel 1978 e Huang aveva 23 anni quando finalmente poté cominciare gli studi. Ma il suo talento gli valse una borsa di studio in America, alla New York University e alla Rutgers dove per tre anni fece esperienza nel laboratorio del neurochirurgo Wise Young. Lì Huang ha esplorato le potenzialità delle cellule nervose del sistema olfattivo, quelle che oggi sono la chiave della sua terapia.
Il naso contiene dei neuroni che mandano segnali al cervello, quando sono stimolati dalle molecole degli odori. Poiché il tessuto olfattivo è esposto all'ambiente esterno (l'aria che respiriamo), contiene cellule che hanno una notevole capacità di rigenerarsi. Se trapiantate in un altro tessuto che ha subito delle lesioni (nel cervello o nella spina dorsale) le cellule olfattive possono farlo beneficiare di questa loro proprietà di rigenerare neuroni. Il professor Huang estrae cellule olfattive da embrioni, e questo rende l'operazione illegale in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti. I movimenti antiabortisti del mondo intero condannano queste pratiche. In Cina dietro l'uso terapeutico degli embrioni c'è il dramma degli aborti di massa provocati dalla politica del figlio unico: ancora oggi molte coppie abortiscono quando l'ecografia rivela che il nascituro è di sesso femminile.
Ma questo dibattito è molto lontano dalle preoccupazioni quotidiane del professor Huang, alle prese con un pellegrinaggio della speranza che lo assedia dal mondo intero. Il volto arrossato, la fronte e il collo sudati per la fatica dopo tre ore in sala operatoria, parla dei suoi "miracoli" con molta prudenza, interrotto da un cellulare che squilla in continuazione. «Non ho certezze - dice - non ho una dimostrazione scientifica di quel che accade dopo queste operazioni. Presumo che il trapianto delle cellule olfattive dagli embrioni ai pazienti stimoli i loro tessuti nervosi a recuperare certe funzioni. Solo le cellule olfattive sembrano avere questo potere, di aiutare a rigenerare il sistema nervoso centrale. All'inizio io stesso stentavo a crederci. Ma dopo centinaia di operazioni l'evidenza empirica è questa: quasi tutti i pazienti mostrano qualche miglioramento».
La comunità scientifica internazionale è spaccata. Da una parte ci sono specialisti come Paul Cooper, direttore del reparto neurochirurgico al New York University Medical center, che ha dichiarato: «Huang fa cose impressionanti. Non so darmi una spiegazione ma ho visto i risultati. Non resuscita i morti, però dei pazienti che avevano le gambe paralizzate ora riescono a muoverle, altri che non potevano mettersi seduti ora ci riescono, chi non sapeva più stringere un bicchiere in mano ora ce la fa. Di certo non è un ciarlatano». All'estremo opposto c'è il parere di Geoffrey Raisman, del National Institute of Medical Research inglese: «L'opinione scientifica generale è che il lavoro del professor Huang non ha superato test scientifici adeguati».
Di quali test si tratta? Secondo le regole occidentali è fondamentale fare delle "prove cieche", con delle finte operazioni su cavie umane senza uso delle cellule embrionali, per verificare se i miglioramenti possano derivare da un effetto placebo. Il test implica trapanare il cranio a dei malati senza curarli, e in questo caso è l'etica cinese ad essere contraria.
Huang risponde con serenità. «Spero che un giorno la ricerca possa trovare la spiegazione. Intanto io devo occuparmi delle migliaia di pazienti in lista d'attesa. Molti di loro, e le loro famiglie, spesso hanno aspettative eccessive. Io cerco di convincerli che non ho una cura, non prometto la guarigione. Ho solo osservato nei miei pazienti, a pochi giorni dall'operazione, un'alta frequenza di recupero in alcuni movimenti. Non so quanto dureranno questi progressi. Ma intanto possono rappresentare un miglioramento nella qualità della loro vita». Per chi aveva perso ogni speranza, non è poco.

crocifisso in classe a Ivrea

La Stampa 21.12.04
LA POLEMICA DOPO CHE UN’INSEGNANTE LO HA TOLTO DALLA PARETE
Crocifisso in classe
A Ivrea è scontro
tra scuola e studenti
Il simbolo religioso portato da un ragazzo: «E’ la nostra cultura»
Il preside: «Una provocazione». Il caso oggi in Consiglio d’istituto
di Giampiero Maggio

Crocifisso sì? Crocifisso no? In questo Natale segnato dalle polemiche sull’identità del mondo occidentale e sui simboli della cristinianità e del cattolicesimo, la presenza di un piccolo Gesù in croce in un’aula scolastica provoca un putiferio all’istituto per geometri «Giovanni Cena» di Ivrea. La vicenda esplode dopo che l'insegnante di Lettere lo ha tolto dalla parete, sollevando le reazioni di un'intera classe di prima. «Lo ha strappato dal muro e sbattuto sulla cattedra: ci sentiamo offesi e indignati», si lamentano i ragazzi. «Non facciamone un caso - replica il preside della scuola, Mario Di Vittorio - La questione è più complessa, non tiriamo in ballo, per cortesia, il fatto che la scuola voglia o meno il crocifisso nelle aule». Sarà. Ma oggi il caso approda in Consiglio d'Istituto. E l’unico punto all’ordine del giorno è proprio la presenta del simbolo religioso in aula.
E' il 14 dicembre quando in prima A scoppia il finimondo. In classe ci sono una ventina di ragazzi, uno di loro ha affisso sulla parete il crocifisso. Arriva l'insegnante di lettere. E che cosa fa? Secondo gli alunni: «La professoressa è andata su tutte le furie. Per noi il crocifisso rappresenta un simbolo della nostra cultura e delle nostra religione, ma lei evidentemente è di avviso differente. Tanto che lo ha letteralmente strappato dalla parete e lo ha sbattuto sulla cattedra». Aggiungono: «Se è vero che lo Stato non impone alcun tipo di censura e nella nostra scuola ci sono anche ragazze musulmane che indossano il velo, perché a noi deve essere vietato affiggere il simbolo che rappresenta la nostra religione?».
All'istituto per geometri, un complesso dall'architettura moderna a pochi passi dall'area ex Montefibre, non si parla d'altro. Il tam tam inevitabile ha fatto il giro delle aule in un lampo, i ragazzi hanno addirittura sottoscritto una petizione inviata al preside: «L'atteggiamento dell'insegnante è ingiustificabile - scrivono -, ha offeso tutta la classe e gli alunni che si riconoscono nella religione cattolica».
I professori fanno quadrato attorno alla docente di Lettere finita nell'occhio del ciclone: «Il crocifisso è un simbolo di pace, unione e fratellanza - dice Carla Papolo, docente di Scienze -, se il ragazzo che l'ha portato a scuola lo avesse fatto con questo spirito non avrei avuto nulla da ridire. Il problema è che la sua è stata un'azione provocatoria, quasi a voler differenziare un gruppo di alunni dagli altri».
Il preside non immaginava che questa storia potesse prendere una piega del genere. E' disponibile a parlarne e lo fa nell'aula insegnanti dove, in un angolo, è affisso anche il crocifisso. Nelle aule il simbolo religioso invece non c'è: qui ha vinto il concetto di laicità della scuola. «Noi non siamo contrari a priori - spiega Di Vittorio - qui ci sono ragazzi musulmani, ebrei, testimoni di Geova e dobbiamo rispettare la volontà di tutti. Sarà il Consiglio d'Istituto a decidere se quella classe potrà avere il crocifisso in aula oppure no».
E' una vicenda destinata a far discutere, anche se i docenti avrebbero preferito che questa storia rimanesse circoscritta all'interno del «Cena». La polemica sollevata da Abdel Smith, capo dell'unione dei musulmani di Italia che chiedeva l'eliminazione dei crocifissi dalla scuola, è stata la prima di una lunga serie. Mentre il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti aveva più volte sottolineato la sua volontà di riportarli in classe. E' sufficiente un rapido controllo in rete attraverso un qualunque motore di ricerca per capire quanto sia acceso il dibattito su questo tema.
«Qualcuno vuole strumentalizzare la vicenda - puntualizza il preside - e questo è anche il pensiero dell'insegnante di lettere. Non ha senso sollevare un polverone per nulla».