l'Unità 14.7.05
Karl Marx Superstar
(solo per gli inglesi?)
LA BBC COMUNICA i risultati di un sondaggio radiofonico che ha chiesto agli ascoltatori di votare il filosofo più importante della storia: ha vinto, a sorpresa, l’autore del Capitale. Lo storico inglese Hobsbawn ci spiega perché...
Eric Hobsbawm
Quando Karl Marx aveva ventiquattro anni ed era un giovane neolaureato qualcuno scrisse di lui: «Preparatevi a incontrare il più grande filosofo vivente, forse l’unico esistente, il dottor Marx».
Apparentemente gli ascoltatori che hanno risposto all’appello del conduttore della trasmissione sulla Bbc, Melvin Bragg, sono della stessa idea: ha vinto il titolo di più grande filosofo mondiale, ottenendo più del doppio dei voti del secondo classificato, David Hume.
Che cosa avrebbe pensato lo stesso Marx di un sondaggio come questo?
Sarebbe stato sorpreso, come del resto lo sono io, che nel sondaggio non siano stati citati filosofi del calibro di Hegel e Leibniz o persino John Locke. In ogni caso, ciò che avrebbe pensato Marx è assai meno interessante del motivo per cui gli ascoltatori lo abbiano preferito in modo così schiacciante rispetto al resto dei concorrenti. Senza voler esagerare, non è un pensatore rispetto al quale sia possibile avere opinioni neutre. In realtà, la prospettiva che Marx vinca un sondaggio del genere è talmente sconvolgente che mi è stato detto che l’Economist avrebbe tentato di sostenere la candidatura dell’ammirevole David Hume, anche se il risultato non è stato molto positivo.
Politici e ideologi occidentali hanno considerato Karl Marx come ispiratore di rivoluzioni e precursore del totalitarismo. Nelle università, le sue teorie hanno subìto un forte declino a partire dagli anni Ottanta e il numero di accademici che si definiscono marxisti oggi è minore rispetto a qualsiasi altro periodo della mia lunga vita. Eppure, continuano a puntare su di lui. Per quale motivo?
Uno dei motivi è che gli altri filosofi vengono letti solo dalle poche centinaia di persone che studiano filosofia nelle università. Per la maggior parte di noi sono solo nomi.
Ma non Marx.
Come mi ha detto uno dei principali commentatori del partito conservatore, in modo alquanto inatteso, mentre parlavamo di questo sondaggio: «Dopo tutto, Marx e Freud sono le due grandi menti che hanno influenzato il ventesimo secolo». E questo è uno dei motivi. Un altro, paradossalmente, è la fine del comunismo. Mentre la Guerra Fredda era ancora in corso e l’Unione Sovietica esisteva ancora, per la maggior parte delle persone era impossibile sganciare Marx da Mosca. Ma dal 1989 questo sganciamento è possibile e le persone hanno riscoperto la straordinaria varietà e la forza dei suoi scritti. Centocinquant’anni dopo la sua prima pubblicazione assistiamo alla lettura o rilettura del Manifesto del Partito Comunista non come programma per l’abbattimento del capitalismo nel 1848, che non ha avuto successo, ma come un’incredibile previsione della natura e degli effetti della globalizzazione alla fine del ventesimo secolo. È diventato nuovamente possibile riscoprire la grandezza di Marx.
Ma c’è un ultimo motivo ed è forse il più importante. Per molte persone la filosofia non è, come per la maggior parte degli addetti ai lavori, un esercizio di pensiero sul pensiero, ma il suo scopo è quello di comprendere e trasformare il nostro mondo. Ma chi tra le grandi menti che partecipavano a questo sondaggio ha scritto: «i filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo, si tratta di cambiarlo»?
Quel filosofo era Marx.
l'Unità 14 Luglio 2005
Grande nel capire il mondo, non nel trasformarlo
Bruno Gravagnuolo
È fatta. Malgrado il lavoro di lobbing dell’«Economist», e gli sforzi disperati degli humeani, Karl Marx vince e taglia il traguardo di questo sondaggio on line Bbc di cui vi avevamo dato notizia il 2 luglio, ma che già il 5 giugno aveva visto il barbone di Treviri in testa con largo margine su David Hume e Ludwig Wittgenstein. Certo, come ricorda Eric Hobsbawm mancavano nella lista gente come Leibniz ed Hegel (grave torto!). Ma è facile rilevare che non sarebbero andati più in là di Popper, Tommaso, e Nietzsche, rispettivamente con il 4,20,il 4,80 e il 6,40%. Quanto ad Aristotele, non va oltre il 4,50, ben al di sotto di Platone al 5,60. Mentre addirittura Heidegger e Stuart MIll non si sono classificati: pochi voti per far percentuale. Dignitoso il piazzamento di Socrate al 4,80, laddove l’onta dei non classificati senza voti colpisce persino Bertrand Russel, cosa strana per un sondaggio inglese. E allora? E allora il test vale quello che vale. Una roba da orecchianti colti tutt’al più. E però una cosa la dice. E cioè che nella classifica dell’immaginario dei moderni, immaginario di massa di cui gli orecchianti colti sono la punta dell’iceberg, Karl Marx è il filosofo che rimane più impresso. Il che accade non per la ragione qui addotta da un grande storico come Hobsbawm, che risente in qualche modo di un marxismo di maniera. Non per il fatto Marx voleva «trasformare il mondo invece di comprenderlo astrattamente». In fondo questo argomento poteva star bene anche a uno come Gentile, uno di quelli come scrive Hobsbawm per il quale la filosofia era esercizio speculativo del pensiero sul pensiero, e che nella generica «praxis» scorgeva non a caso un principio dialettico-speculativo! Al contrario. Marx resta come filosofo proprio perché elaborò categorie adeguate a descrivere il mondo. Lavoro, capitale, merce, essere sociale che spiega la coscienza, astrazione e fantasmagoria del denaro che risucchia il vivente. Inversione del rapporto tra uomini in rapporti tra cose. E poi ancora: innovazioni della tecnica e del capitale finanziario. Le une a spremere lavoro produttivo, l’altro a distruggerlo, nell’alternanza dei cicli del mercato globale, tra sottoconsumo e sovrapproduzione. Inoltre: Implemento delle macchine e creazione dell’esercito di riserva dei «flessibili» su scala transnazionale. Sì, Karl Marx mostrò il suo forte esattamente nel descrivere il mondo, e non nel trasformarlo. Che anzi, influssi benefici a parte, sul secondo versante fu non poco fallace! Se si pensa alla sua nozione di democrazia comunarda e di dittatura proletaria, che un nesso con certi fallimenti lo ebbe eccome. Insomma Marx capì molto del Moderno. E in molti oggi lo han capito e lo sanno.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 14 luglio 2005
opinioni... molto discutibili
Corriere della Sera 14 luglio 2005
Luciano Violante
«In certi casi l'uso della forza è necessario»
Il capogruppo dei Ds alla Camera: «La sinistra radicale? Un errore il no alle missioni in Bosnia, a Timor Est e nel Darfur. Prodi lo dica»
Monica Guerzoni
ROMA - «Ci possono essere circostanze in cui l’uso della forza è una necessità, tragica ma irrinunciabile». Il presidente dei deputati ds, Luciano Violante, lo vorrebbe scritto nel programma di Prodi, perché non accada più di spaccarsi sulle missioni in Afghanistan o nel Darfur, quel lembo di deserto che divide la sinistra radicale da quella riformista e Diliberto da Bertinotti.
(...)
Luciano Violante: «L’uso della forza consacrato dalle Nazioni Unite è lecito o no? Io credo sia lecito. L’articolo 11 della Costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra, ma dice anche che acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare pace e giustizia».
(...)
Scopriamo che il pensiero di Bertinotti è incostituzionale...
(...)
Luciano Violante
«In certi casi l'uso della forza è necessario»
Il capogruppo dei Ds alla Camera: «La sinistra radicale? Un errore il no alle missioni in Bosnia, a Timor Est e nel Darfur. Prodi lo dica»
Monica Guerzoni
ROMA - «Ci possono essere circostanze in cui l’uso della forza è una necessità, tragica ma irrinunciabile». Il presidente dei deputati ds, Luciano Violante, lo vorrebbe scritto nel programma di Prodi, perché non accada più di spaccarsi sulle missioni in Afghanistan o nel Darfur, quel lembo di deserto che divide la sinistra radicale da quella riformista e Diliberto da Bertinotti.
(...)
Luciano Violante: «L’uso della forza consacrato dalle Nazioni Unite è lecito o no? Io credo sia lecito. L’articolo 11 della Costituzione dice che l’Italia ripudia la guerra, ma dice anche che acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare pace e giustizia».
(...)
Scopriamo che il pensiero di Bertinotti è incostituzionale...
(...)
genialità papali...
una segnalazione di Franco Pantalei e altri
(Repubblica.it) 14.07.2005
A QUANDO MAGA MAGÒ?
Papa Ratzinger scomunica Harry Potter
Il Vaticano contro Harry Potter. Sembra una battuta e invece non lo è. Tutt'altro.
Siamo nel marzo del 2003. L'allora cardinale Ratzinger scrive di suo pugno due missive (a distanza di venti giorni l'una dall'altra) indirizzata ad una studiosa tedesca, Gabrielle Kuby, autrice del libro dal titolo "Harry Potter - gut oder bose", contrario alla saga del maghetto firmata dalla Rowling: "È un bene che lei illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell'anima, prima che possa crescere propriamente". [...]
Una scomunica in piena regola.
Papa Ratzinger vede Harry Potter come un nemico della cristianità, un corruttore di anime.
Cosa ci sia realmente di così pericoloso nelle gesta del simpatico e giovane maghetto dalla faccia acqua e sapone non vi è dato saperlo. Sarà forse il mondo in cui vive o forse la sua magia, o ancora i suoi nemici che, subdoli, cercano di corrompere la purezza dell'anima di Harry. Magari è proprio l'idea di fondo che è sbagliata, l'idea di creare una realtà nella quale il confine fra bene e male non è ben definito, offuscandoe confondendo la mente dei più giovani.
La cosa certa è che Benedetto XVI non ne vuole sapere di scuole dove si insegnano stregonerie, di scope che volano, di scolari che vanno in giro su scope, gare di Quidditche gufi che recapitano la posta.
Insomma, dopo Dan Brown e il suo Codice Da Vinci (che viene venduto addirittura nelle librerie vaticane), ora tocca ad Harry Potter finire sul banco degli imputati.
La nuova Inquisizione Vaticana non fa sconti. Maghetti e stregoni sono avvertiti.
(Repubblica.it) 14.07.2005
A QUANDO MAGA MAGÒ?
Papa Ratzinger scomunica Harry Potter
Il Vaticano contro Harry Potter. Sembra una battuta e invece non lo è. Tutt'altro.
Siamo nel marzo del 2003. L'allora cardinale Ratzinger scrive di suo pugno due missive (a distanza di venti giorni l'una dall'altra) indirizzata ad una studiosa tedesca, Gabrielle Kuby, autrice del libro dal titolo "Harry Potter - gut oder bose", contrario alla saga del maghetto firmata dalla Rowling: "È un bene che lei illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell'anima, prima che possa crescere propriamente". [...]
Una scomunica in piena regola.
Papa Ratzinger vede Harry Potter come un nemico della cristianità, un corruttore di anime.
Cosa ci sia realmente di così pericoloso nelle gesta del simpatico e giovane maghetto dalla faccia acqua e sapone non vi è dato saperlo. Sarà forse il mondo in cui vive o forse la sua magia, o ancora i suoi nemici che, subdoli, cercano di corrompere la purezza dell'anima di Harry. Magari è proprio l'idea di fondo che è sbagliata, l'idea di creare una realtà nella quale il confine fra bene e male non è ben definito, offuscandoe confondendo la mente dei più giovani.
La cosa certa è che Benedetto XVI non ne vuole sapere di scuole dove si insegnano stregonerie, di scope che volano, di scolari che vanno in giro su scope, gare di Quidditche gufi che recapitano la posta.
Insomma, dopo Dan Brown e il suo Codice Da Vinci (che viene venduto addirittura nelle librerie vaticane), ora tocca ad Harry Potter finire sul banco degli imputati.
La nuova Inquisizione Vaticana non fa sconti. Maghetti e stregoni sono avvertiti.
8 per 1000
una segnalazione di Francesco Troccoli
ateismo.ilcannocchiale.it 11 luglio 2005 - 16:41
Dove finiscono i nostri soldi?
Dei 960 euro incassati dalla Chiesa nel 2004 attraverso l'8 per 1000 solo il 20% è stato destinato alle opere di carità
Conti in tasca alla chiesa sull'otto per mille
Più di 960 milioni di euro. È il montepremi che la Chiesa ha incassato nel 2004 grazie al meccanismo di ripartizione dell’otto per mille. Un montepremi in costante aumento, ma che dedica agli interventi caritativi una quota inferiore al 20%. Una cifra che rappresenta il risultato delle scelte di quel 65% di italiani che, infuriati per le tasse, indifferenti, oppure semplicemente male informati, ogni anno lascia in bianco la casella dell’otto per mille. La «scelta non espressa» infatti, così definita dal riquadro apposito del modello 730, non implica la destinazione diretta all’erario della quota di otto per mille, come sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato laico. Al contrario, questi soldi finiscono in massima parte alla chiesa cattolica. Come questo sia possibile è la legge 222/85 a stabilirlo. All’articolo 47 di quello che fu il seguito legislativo della revisione del Concordato si istituisce la quota e se ne fissano i contorni. «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti - recita il testo - la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Una specie di sistema elettorale proporzionale con un lauto premio di maggioranza, in cui la preferenza di tre votanti su dieci - la quota di astensione è salita in dieci anni dal 55 al 64% - decide anche per gli altri sette. Così facendo nell’anno 2000 (redditi ‘99), ultimo di cui si conosce l’esatta ripartizione percentuale dei fondi dato il ritardo nella produzione dei dati, la chiesa cattolica ottenne l’87% del totale: un assegno da 755 milioni di euro. A tutti gli altri, tranne lo Stato che partecipò alla torta per un marginale ma sostanzioso 10%, andarono solo le briciole, anche in virtù degli accordi successivi alla legge che escludono le congregazioni minori dalla ripartizione delle preferenze inespresse. Ma questa non fu l’esatta volontà dei cittadini contribuenti. Non proprio almeno: solo il 38% di essi mise la propria firma nel riquadro, e ciò significa che solo il 33% dell’universo dei contribuenti Irpef scelse di devolvere i propri soldi alla Chiesa. Questa, a rigor di logica, avrebbe perciò dovuto ottenere ‘solo’ 287 milioni di euro. Gli altri 500 milioni sono il premio di maggioranza di due misere righe di testo di legge, la cui conoscenza meglio dovrebbe essere garantita. Per esempio sarebbe corretto che il modulo per la ripartizione dell’otto per mille contemplasse una spiegazione delle norme di cui all’articolo 47. Al contrario, a fronte di un regolamento di compilazione enorme - 56 pagine di istruzioni solo per il modello 730 - per ritrovare l’argomento bisogna cercare una riga e mezza del secondo capoverso di pagina otto, senza peraltro che dal modello alle istruzioni ci sia alcuna nota che segnala l’inghippo. A completare l’universo fiscale sopracitato ci sono poi i lavoratori dipendenti, che beneficiano di un bonus di scomodità nel far valere la propria intenzione. Questi, infatti, hanno sì la possibilità di esprimere la preferenza sull’otto per mille, ma per renderla valida devono compilare e spedire l’apposito tagliando contenuto nel Cud. A beneficiare della complicazione sarà perciò sempre e comunque chi può contare sulla guida di una fede che muova la penna, cioè la Chiesa. A guardare la tendenza, infatti, si scopre che i 755 milioni stanziati nell’anno 2000 sono diventati 908 nel 2002, un miliardo di euro nel 2003, 936 milioni nel 2004, e quest’anno - resoconto dell’assemblea generale della Cei alla mano - la quota dovrebbe avvicinare nuovamente la soglia del miliardo di euro. Decine di milioni di euro in più ogni anno a cui corrispondono, in realtà, spostamenti nelle scelte dell’ordine di uno o due punti percentuali, come ha sottolineato Paolo Naso, della Tavola Valdese, ricordando anche la differenza di trattamento per cui «la chiesa cattolica viene informata ogni anno della quota percepita, mentre a noi dicono adesso quello che ci spettava nel 2000». Una vera e propria miniera d’oro, quella gestita dai vescovi, che ha portato le casse della conferenza episcopale italiana a vantare un ‘residuo’ di 79 milioni di euro nell’esercizio 2003 e un totale di 936 milioni di euro del bilancio 2004. Bilancio così diviso: 320 milioni di euro per il solo sostentamento del clero, 437 milioni di euro destinati alle esigenze di culto, e, da ultimo, 180 milioni destinati alle opere di carità. Niente di male, sia chiaro, nel sostenere la chiesa cattolica, anche con le donazioni volontarie per le quali la stessa legge 222 ha sancito la detraibilità. Tutti i credenti poi, converranno che il mantenimento della struttura fisica e morale è una delle prerogative stesse a cui la chiesa è chiamata a rispondere. Di fatto ne costituisce la missione spirituale. Per un occhio esterno tuttavia, è impossibile resistere alla tentazione di osservare una cifra di tale portata, soprattutto se comparata ai 210 milioni di euro stanziati all’inizio degli anni novanta, quando il meccanismo dell’otto per mille era varato ma non ancora a regime. E in effetti, a voler entrare nello specifico, l’incremento dei fondi è a dir poco singolare. È l’opinione dei radicali, che più volte hanno parlato di «sistema truffaldino». In particolare, è il passaggio fra il 2001 e il 2002 a destare l’attenzione maggiore, con un aumento dei fondi stanziati da 762 a 908 milioni di euro. Una maggiorazione vicina al 20% in un solo anno, difficilmente spiegabile, anche volendo sommare l’aumento del gettito fiscale all’effetto prodotto dalla riduzione delle firme. A questo proposito, la fonte migliore per una verifica sarebbe la commissione paritetica Stato/Vaticano. La commissione, in base all’articolo 49 della legge 222 è ufficialmente chiamata ogni tre anni a giudicare la congruità della cifra destinata alla Chiesa, formulando proposte per eventuali modifiche. Traducendo in pratica, è legittimo pensare che se dall’otto per mille non arrivassero abbastanza soldi, lo Stato potrebbe innalzare la quota ovvero varare un nuovo sistema di attribuzione. Difficile avere conferma della posizione ufficiale, rappresentata dalla segretaria della commissione, la dottoressa Anna Nardini, secondo la quale «l’incremento si deve all’aumentato gettito Irpef», poichè i documenti amministrativi prodotti da questa commissione non sono pubblici. Tuttavia questi stessi documenti potrebbero essere ottenuti attraverso una richiesta formale, ma anche in questo caso l’iter è difficoltoso. Dal marzo 2004 giace infatti inevasa una domanda di accesso presentata dai Radicali italiani, tuttora bloccata in attesa di sentenza del Tar di fronte al diniego, vincolante, di un’altra commissione, quella istituita presso la presidenza del Consiglio e presieduta dal sottosegretario Gianni Letta. Scettici sulla conclusione gli stessi radicali, per voce di Marco Staderini, secondo il quale è «difficile che la questione si risolva positivamente» giacchè «l’Avvocatura dello Stato ha ricevuto forti pressioni perchè lavorasse ad un esito favorevole». La soluzione migliore resta allora quella di prendere la calcolatrice e cercare di verificare se la concomitante diminuzione delle quote espresse e l’aumento tra queste di preferenze alla chiesa cattolica sia un motivo sufficiente a giustificare gli aumenti. Ammesso che sia possibile riuscirci, per garantire la trasparenza del sistema sarebbe sufficiente apporre una firma.
ateismo.ilcannocchiale.it 11 luglio 2005 - 16:41
Dove finiscono i nostri soldi?
Dei 960 euro incassati dalla Chiesa nel 2004 attraverso l'8 per 1000 solo il 20% è stato destinato alle opere di carità
Conti in tasca alla chiesa sull'otto per mille
Più di 960 milioni di euro. È il montepremi che la Chiesa ha incassato nel 2004 grazie al meccanismo di ripartizione dell’otto per mille. Un montepremi in costante aumento, ma che dedica agli interventi caritativi una quota inferiore al 20%. Una cifra che rappresenta il risultato delle scelte di quel 65% di italiani che, infuriati per le tasse, indifferenti, oppure semplicemente male informati, ogni anno lascia in bianco la casella dell’otto per mille. La «scelta non espressa» infatti, così definita dal riquadro apposito del modello 730, non implica la destinazione diretta all’erario della quota di otto per mille, come sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato laico. Al contrario, questi soldi finiscono in massima parte alla chiesa cattolica. Come questo sia possibile è la legge 222/85 a stabilirlo. All’articolo 47 di quello che fu il seguito legislativo della revisione del Concordato si istituisce la quota e se ne fissano i contorni. «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti - recita il testo - la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Una specie di sistema elettorale proporzionale con un lauto premio di maggioranza, in cui la preferenza di tre votanti su dieci - la quota di astensione è salita in dieci anni dal 55 al 64% - decide anche per gli altri sette. Così facendo nell’anno 2000 (redditi ‘99), ultimo di cui si conosce l’esatta ripartizione percentuale dei fondi dato il ritardo nella produzione dei dati, la chiesa cattolica ottenne l’87% del totale: un assegno da 755 milioni di euro. A tutti gli altri, tranne lo Stato che partecipò alla torta per un marginale ma sostanzioso 10%, andarono solo le briciole, anche in virtù degli accordi successivi alla legge che escludono le congregazioni minori dalla ripartizione delle preferenze inespresse. Ma questa non fu l’esatta volontà dei cittadini contribuenti. Non proprio almeno: solo il 38% di essi mise la propria firma nel riquadro, e ciò significa che solo il 33% dell’universo dei contribuenti Irpef scelse di devolvere i propri soldi alla Chiesa. Questa, a rigor di logica, avrebbe perciò dovuto ottenere ‘solo’ 287 milioni di euro. Gli altri 500 milioni sono il premio di maggioranza di due misere righe di testo di legge, la cui conoscenza meglio dovrebbe essere garantita. Per esempio sarebbe corretto che il modulo per la ripartizione dell’otto per mille contemplasse una spiegazione delle norme di cui all’articolo 47. Al contrario, a fronte di un regolamento di compilazione enorme - 56 pagine di istruzioni solo per il modello 730 - per ritrovare l’argomento bisogna cercare una riga e mezza del secondo capoverso di pagina otto, senza peraltro che dal modello alle istruzioni ci sia alcuna nota che segnala l’inghippo. A completare l’universo fiscale sopracitato ci sono poi i lavoratori dipendenti, che beneficiano di un bonus di scomodità nel far valere la propria intenzione. Questi, infatti, hanno sì la possibilità di esprimere la preferenza sull’otto per mille, ma per renderla valida devono compilare e spedire l’apposito tagliando contenuto nel Cud. A beneficiare della complicazione sarà perciò sempre e comunque chi può contare sulla guida di una fede che muova la penna, cioè la Chiesa. A guardare la tendenza, infatti, si scopre che i 755 milioni stanziati nell’anno 2000 sono diventati 908 nel 2002, un miliardo di euro nel 2003, 936 milioni nel 2004, e quest’anno - resoconto dell’assemblea generale della Cei alla mano - la quota dovrebbe avvicinare nuovamente la soglia del miliardo di euro. Decine di milioni di euro in più ogni anno a cui corrispondono, in realtà, spostamenti nelle scelte dell’ordine di uno o due punti percentuali, come ha sottolineato Paolo Naso, della Tavola Valdese, ricordando anche la differenza di trattamento per cui «la chiesa cattolica viene informata ogni anno della quota percepita, mentre a noi dicono adesso quello che ci spettava nel 2000». Una vera e propria miniera d’oro, quella gestita dai vescovi, che ha portato le casse della conferenza episcopale italiana a vantare un ‘residuo’ di 79 milioni di euro nell’esercizio 2003 e un totale di 936 milioni di euro del bilancio 2004. Bilancio così diviso: 320 milioni di euro per il solo sostentamento del clero, 437 milioni di euro destinati alle esigenze di culto, e, da ultimo, 180 milioni destinati alle opere di carità. Niente di male, sia chiaro, nel sostenere la chiesa cattolica, anche con le donazioni volontarie per le quali la stessa legge 222 ha sancito la detraibilità. Tutti i credenti poi, converranno che il mantenimento della struttura fisica e morale è una delle prerogative stesse a cui la chiesa è chiamata a rispondere. Di fatto ne costituisce la missione spirituale. Per un occhio esterno tuttavia, è impossibile resistere alla tentazione di osservare una cifra di tale portata, soprattutto se comparata ai 210 milioni di euro stanziati all’inizio degli anni novanta, quando il meccanismo dell’otto per mille era varato ma non ancora a regime. E in effetti, a voler entrare nello specifico, l’incremento dei fondi è a dir poco singolare. È l’opinione dei radicali, che più volte hanno parlato di «sistema truffaldino». In particolare, è il passaggio fra il 2001 e il 2002 a destare l’attenzione maggiore, con un aumento dei fondi stanziati da 762 a 908 milioni di euro. Una maggiorazione vicina al 20% in un solo anno, difficilmente spiegabile, anche volendo sommare l’aumento del gettito fiscale all’effetto prodotto dalla riduzione delle firme. A questo proposito, la fonte migliore per una verifica sarebbe la commissione paritetica Stato/Vaticano. La commissione, in base all’articolo 49 della legge 222 è ufficialmente chiamata ogni tre anni a giudicare la congruità della cifra destinata alla Chiesa, formulando proposte per eventuali modifiche. Traducendo in pratica, è legittimo pensare che se dall’otto per mille non arrivassero abbastanza soldi, lo Stato potrebbe innalzare la quota ovvero varare un nuovo sistema di attribuzione. Difficile avere conferma della posizione ufficiale, rappresentata dalla segretaria della commissione, la dottoressa Anna Nardini, secondo la quale «l’incremento si deve all’aumentato gettito Irpef», poichè i documenti amministrativi prodotti da questa commissione non sono pubblici. Tuttavia questi stessi documenti potrebbero essere ottenuti attraverso una richiesta formale, ma anche in questo caso l’iter è difficoltoso. Dal marzo 2004 giace infatti inevasa una domanda di accesso presentata dai Radicali italiani, tuttora bloccata in attesa di sentenza del Tar di fronte al diniego, vincolante, di un’altra commissione, quella istituita presso la presidenza del Consiglio e presieduta dal sottosegretario Gianni Letta. Scettici sulla conclusione gli stessi radicali, per voce di Marco Staderini, secondo il quale è «difficile che la questione si risolva positivamente» giacchè «l’Avvocatura dello Stato ha ricevuto forti pressioni perchè lavorasse ad un esito favorevole». La soluzione migliore resta allora quella di prendere la calcolatrice e cercare di verificare se la concomitante diminuzione delle quote espresse e l’aumento tra queste di preferenze alla chiesa cattolica sia un motivo sufficiente a giustificare gli aumenti. Ammesso che sia possibile riuscirci, per garantire la trasparenza del sistema sarebbe sufficiente apporre una firma.
senza parole...
Corriere della Sera 14.7.05
Bologna, interrogato Bottari: sono partito da Messina con la pistola, mi esercitavo al poligono
Confessa l’assassino dello studente: non mi voleva
DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA - «Sono partito da Messina con la pistola nella borsa. Questa cosa qua io la volevo risolvere. Non sapevo ancora come. Volevo ammazzarmi davanti a Riccardo. O forse volevo ucciderlo perché così avrei eliminato la mia sofferenza. Ma non capite? Lui non mi voleva...»
Bologna, interrogato Bottari: sono partito da Messina con la pistola, mi esercitavo al poligono
Confessa l’assassino dello studente: non mi voleva
DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA - «Sono partito da Messina con la pistola nella borsa. Questa cosa qua io la volevo risolvere. Non sapevo ancora come. Volevo ammazzarmi davanti a Riccardo. O forse volevo ucciderlo perché così avrei eliminato la mia sofferenza. Ma non capite? Lui non mi voleva...»
ieri in Ohio, domani in Italia?
chi esercita il dominio reale può davvero perdere le elezioni?
una segnalazione di Andrea Ventura
il manifesto 14.7.05
STATI UNITI
C'è del marcio in Ohio
GORE VIDAL
A parte la banda del petrolio e del gas che controlla due poteri dello stato interamente e un terzo parzialmente (quello controllato parzialmente - ma presto lo sarà interamente - è il potere giudiziario), durante l'ultima campagna elettorale in Gran Bretagna gli americani che prendono sul serio la politica hanno provato un bel po' di invidia. Lì i tre partiti hanno speso poco denaro, e non ne hanno speso affatto per farsi pubblicità in televisione. I risultati sono stati raggiunti rapidamente e con poca spesa. Soprattutto, i tre leader di partito si sono visti porre domande affilate e intelligenti da semplici cittadini chiamati curiosamente sudditi grazie all'onnipresente fantasma della corona, così diversa dalla nostra aquila dai predaci artigli nucleari. Sebbene i nostri media, sottoposti a una rigida censura, diano raramente notizie sui paesi stranieri (e mai buone notizie), quelli di noi che hanno sviluppato una dipendenza da tv via cavo C-Span e lo trovano l'unico mezzo di informazione veramente - anche se inconsapevolmente - sovversivo in questi Stati Uniti, possono osservare la politica britannica nel pieno della sua espressione. Dico «sovversivo» non solo perché C-Span tende a prendere sul serio alcuni libri interessanti, ma anche perché le sue dirette dal Senato e dalla Camera dei rappresentanti sono l'unica occasione concessaci per vedere da vicino i portavoce dei nostri padroni, e talvolta rappresentano bene un governo sempre più remoto da noi, repressivo e non disposto a rendere conto del suo comportamento. Osservare il vecchio profeta virtuoso Byrd del West Virginia, la solare ipocrisia di Biden del Delaware... mentre scrivo questi nomi così riveriti, mi vengono alla mente le loro facce, sento la loro voce, e mi viene la pelle d'oca da C-Span.
Ad ogni modo, il meraviglioso C-Span ha un'altra freccia al suo arco. Mentre qualche dirigente annuiva, C-Span ha cominciato a mostrarci la Camera dei Comuni della Gran Bretagna durante un question time. Questa è l'unica occasione che la maggior parte degli americani avrà mai per vedere come dovrebbe funzionare una democrazia. Lì i leader di partito si affrontano in dibattiti spesso furibondi su argomenti come la guerra e la pace, la sanità e l'istruzione. Poi, i circa seicento parlamentari possono rivolgere ai loro capotribù delle domande. Anni fa l'incomparabile Dwight Macdonald scrisse che una qualunque lettera al Times di Londra (gli inglesi sono autori incalliti di lettere sulle questioni importanti) è scritta meglio di un qualunque editoriale del New York Times.
Oltre al question time, che permette agli americani di vedere come funziona la democrazia politica (al contrario delle nostre due Camere, composte da lobbisti per le corporations americane), C-Span ha anche mostrato i tre leader di partito mentre venivano interrogati da un gruppo costituito in gran parte da giovani sudditi della corona fantasma, con la supervisione di un giornalista politico esperto. Blair veniva aspramente accusato di aver mentito sul parere legale ricevuto in merito al diritto della Gran Bretagna di muovere guerra all'Iraq per la banda americana del petrolio e del gas. Questo pubblico dal vivo della Bbc faceva domande molto più informate e istruttive di quelle che l'intera stampa accreditata americana ha potuto fare a Bush e agli altri in occasione delle nostre recenti elezioni politiche. Ma gli americani non sono abituati a sfidare l'autorità in «tempo di guerra», come lo ha definito un presidente che ha ordinato l'invasione di due paesi che non ci avevano fatto alcun danno, e ora sta pianificando guerre future nonostante la mancanza di uomini e di soldi. Solo per averlo seguito, Blair ha dovuto rispondere a domande severe e informate, domande di un tipo a cui Bush non risponderebbe mai, nemmeno se fosse in grado di farlo.
Così, abbiamo visto cosa può fare la democrazia oltremare. Tutto sommato, un'esperienza scombussolante per chiunque sia così sciocco da ritenere l'America democratica in tutto, tranne quando in preda alla furia imprigiona l'innocente e con gioia elegge il colpevole. Che fare? Come primo passo, invito i radical di C-Span che prendono sul serio la nostra Costituzione e il Bill of Rights a rivolgere la loro attenzione alla corruzione delle elezioni presidenziali del 2004, particolarmente nello stato dell'Ohio.
Uno dei deputati più utili - attualmente il più utile - è John Conyers, un democratico del Michigan che, in qualità di membro anziano di minoranza della Commissione giustizia, ha guidato i parlamentari democratici della Commissione e i loro collaboratori nel cuore dell'America profonda, nella Riserva Occidentale; specificamente, nello stato non-così-rosso dell'Ohio, un tempo conosciuto come «la madre dei presidenti».
Conyers c'è andato per rispondere alla domanda che la minoranza degli americani affezionata alla repubblica sta ponendo dal novembre 2004: «Che cosa è andato storto in Ohio?». Egli è troppo modesto per riferire le difficoltà che deve aver superato, anche per mettere insieme il suo team nonostante la trionfalistica maggioranza repubblicana al Congresso, per non parlare dell'improbabile erede di se stesso, George W. Bush, la cui scelta originale da parte della Corte Suprema ha prodotto molti articoli su cosa sia andato storto in Florida nel 2000.
Questi hanno portato alle scuse del giudice John Paul Stevens per il comportamento della maggioranza di 5 a 4 della Corte nella vicenda «Bush contro Gore». Bush lo sconfitto ha poi mosso guerre non dichiarate all'Afghanistan e all'Iraq, producendo inoltre i più grandi deficit della nostra storia e la rivelazione che le politiche di un'Amministrazione che, un po' come il conte Dracula rifuggiva dagli spicchi d'aglio, rifugge dal dare conto del proprio comportamento, sono state responsabili dell'omicidio e della tortura dei prigionieri - secondo stime del Pentagono, prelevati a caso nel 70-90% dei casi - facendoci odiare da un miliardo di musulmani e suscitando il disgusto di quello che viene chiamato «mondo civilizzato».
Essendomi stato chiesto di prevedere chi avrebbe vinto nel 2004, ho detto che Bush avrebbe perso di nuovo, ma ero fiducioso che nei quattro anni tra il 2000 e il 2004 la propaganda creativa e la scelta degli addetti elettorali avrebbe potuto essere perfezionata al punto di assicurargli una vittoria ufficiale. Un rapporto di Conyers, Preserving Democracy: What Went Wrong in Ohio (Preservare la democrazia: che cosa è andato storto in Ohio), dimostra con dovizia di dettagli che lo swing state dell'Ohio è stato attentamente gestito in modo da offrire la vittoria apparente a Bush, anche se Kerry risulta essere stato il vincitore popolare nonché il mancato capoclasse nominato dai grandi elettori.
Invito gli aspiranti riformatori della nostra politica e di anacronismi come il collegio elettorale a leggere l'utile guida di Conyers su come rubare un'elezione una volta messo al posto giusto colui che controlla le procedure elettorali in un singolo stato: in questo caso, il segretario di stato dell'Ohio Kenneth Blackwell, che ha orchestrato una famosa vittoria per coloro che odiano la democrazia (una minoranza permanente ma appassionata). Il Rapporto Conyers afferma categoricamente: «Per quanto riguarda i fatti di cui siamo venuti a conoscenza, in breve, osserviamo che in Ohio si sono verificate irregolarità e anomalie di voto massicce e senza precedenti. In molti casi queste irregolarità sono state causate da comportamenti illegali e scorrettezze intenzionali, molte delle quali hanno visto partecipe il segretario di stato Kenneth J. Blackwell, condirettore della campagna Bush-Cheney in Ohio». In altre parole, una riproposizione dello scenario della Florida nel 2000, quando il direttore della campagna per Bush e Cheney era anch'egli il segretario di stato. La lezione? Programmare sempre per almeno altri quattro anni.
Negli Stati Uniti d'Amnesia è ben noto che non solo l'Ohio ha avuto un numero considerevole di nuovi elettori, ma che Blackwell e la sua gang, attraverso «la scorretta collocazione delle macchine per il voto hanno portato a file lunghe e senza precedenti, che hanno privato del diritto di voto moltissimi elettori, se non centinaia di migliaia, in modo particolare quelli appartenenti alle minoranze, e i democratici». Negli ultimi anni molti di noi hanno messo in guardia sul pericolo delle macchine per il voto elettronico, a cominciare dalla denuncia su Internet dell'investigatrice Bev Harris, che è stata coperta di insulti dai funzionari di compagnie come Diebold, Sequoia, ES&S, Triad. Quest'ultima compagnia per il voto computerizzato «ha sostanzialmente ammesso di avere fornito dei "fogli falsi" a coloro che conteggiavano i voti, durante il nuovo conteggio in numerose contee. Questi fogli dicevano agli incaricati elettorali quanti voti dovevano trovare per ciascun candidato, e quanti voti in più e in meno dovevano calcolare per far coincidere il loro conteggio con il conteggio automatico. In questo modo, hanno potuto evitare di fare un conteggio manuale completamente nuovo in tutta la contea, previsto invece dalla legge statale».
Eppure, nonostante tutto questo lavoro, e questo potere economico, gli exit poll mostravano che Kerry avrebbe vinto in Ohio. Cosa è dunque successo?
Ho parlato più che a sufficienza di questo giallo, studiato così approfonditamente da Conyers, dai suoi colleghi del Congresso e dai loro collaboratori. Ma l'indagine non è stata limitata ai crimini contro la democrazia: il rapporto su «cosa è andato storto in Ohio» suggerisce anche una serie di soluzioni per rimettere le cose a posto. Inutile dire che questo rapporto è stato ignorato quando il collegio elettorale ha prodotto il suo esame, non verificato, dei voti stato per stato. Inutile dire che non è stata convocata alcuna commissione congiunta delle due Camere del Congresso per prendere in considerazione i vari crimini commessi e trovare i modi e i mezzi per evitare che si ripetano nel 2008, qualora ci sia consentito di tenere le elezioni una volta che ci saremo - unilateralmente - impegnati in un'altra guerra, questa volta contro l'Iran. Ad ogni modo, grazie a Conyers, la scritta è lassù sul muro e tutti possiamo vederla chiaramente: «Mene, mene, tekel, upharsin». Gli studiosi della Bibbia conosceranno il significato di queste parole che Dio rivolse a Baltassar e ai suoi accoliti della vecchia Babilonia.
il manifesto 14.7.05
STATI UNITI
C'è del marcio in Ohio
GORE VIDAL
A parte la banda del petrolio e del gas che controlla due poteri dello stato interamente e un terzo parzialmente (quello controllato parzialmente - ma presto lo sarà interamente - è il potere giudiziario), durante l'ultima campagna elettorale in Gran Bretagna gli americani che prendono sul serio la politica hanno provato un bel po' di invidia. Lì i tre partiti hanno speso poco denaro, e non ne hanno speso affatto per farsi pubblicità in televisione. I risultati sono stati raggiunti rapidamente e con poca spesa. Soprattutto, i tre leader di partito si sono visti porre domande affilate e intelligenti da semplici cittadini chiamati curiosamente sudditi grazie all'onnipresente fantasma della corona, così diversa dalla nostra aquila dai predaci artigli nucleari. Sebbene i nostri media, sottoposti a una rigida censura, diano raramente notizie sui paesi stranieri (e mai buone notizie), quelli di noi che hanno sviluppato una dipendenza da tv via cavo C-Span e lo trovano l'unico mezzo di informazione veramente - anche se inconsapevolmente - sovversivo in questi Stati Uniti, possono osservare la politica britannica nel pieno della sua espressione. Dico «sovversivo» non solo perché C-Span tende a prendere sul serio alcuni libri interessanti, ma anche perché le sue dirette dal Senato e dalla Camera dei rappresentanti sono l'unica occasione concessaci per vedere da vicino i portavoce dei nostri padroni, e talvolta rappresentano bene un governo sempre più remoto da noi, repressivo e non disposto a rendere conto del suo comportamento. Osservare il vecchio profeta virtuoso Byrd del West Virginia, la solare ipocrisia di Biden del Delaware... mentre scrivo questi nomi così riveriti, mi vengono alla mente le loro facce, sento la loro voce, e mi viene la pelle d'oca da C-Span.
Ad ogni modo, il meraviglioso C-Span ha un'altra freccia al suo arco. Mentre qualche dirigente annuiva, C-Span ha cominciato a mostrarci la Camera dei Comuni della Gran Bretagna durante un question time. Questa è l'unica occasione che la maggior parte degli americani avrà mai per vedere come dovrebbe funzionare una democrazia. Lì i leader di partito si affrontano in dibattiti spesso furibondi su argomenti come la guerra e la pace, la sanità e l'istruzione. Poi, i circa seicento parlamentari possono rivolgere ai loro capotribù delle domande. Anni fa l'incomparabile Dwight Macdonald scrisse che una qualunque lettera al Times di Londra (gli inglesi sono autori incalliti di lettere sulle questioni importanti) è scritta meglio di un qualunque editoriale del New York Times.
Oltre al question time, che permette agli americani di vedere come funziona la democrazia politica (al contrario delle nostre due Camere, composte da lobbisti per le corporations americane), C-Span ha anche mostrato i tre leader di partito mentre venivano interrogati da un gruppo costituito in gran parte da giovani sudditi della corona fantasma, con la supervisione di un giornalista politico esperto. Blair veniva aspramente accusato di aver mentito sul parere legale ricevuto in merito al diritto della Gran Bretagna di muovere guerra all'Iraq per la banda americana del petrolio e del gas. Questo pubblico dal vivo della Bbc faceva domande molto più informate e istruttive di quelle che l'intera stampa accreditata americana ha potuto fare a Bush e agli altri in occasione delle nostre recenti elezioni politiche. Ma gli americani non sono abituati a sfidare l'autorità in «tempo di guerra», come lo ha definito un presidente che ha ordinato l'invasione di due paesi che non ci avevano fatto alcun danno, e ora sta pianificando guerre future nonostante la mancanza di uomini e di soldi. Solo per averlo seguito, Blair ha dovuto rispondere a domande severe e informate, domande di un tipo a cui Bush non risponderebbe mai, nemmeno se fosse in grado di farlo.
Così, abbiamo visto cosa può fare la democrazia oltremare. Tutto sommato, un'esperienza scombussolante per chiunque sia così sciocco da ritenere l'America democratica in tutto, tranne quando in preda alla furia imprigiona l'innocente e con gioia elegge il colpevole. Che fare? Come primo passo, invito i radical di C-Span che prendono sul serio la nostra Costituzione e il Bill of Rights a rivolgere la loro attenzione alla corruzione delle elezioni presidenziali del 2004, particolarmente nello stato dell'Ohio.
Uno dei deputati più utili - attualmente il più utile - è John Conyers, un democratico del Michigan che, in qualità di membro anziano di minoranza della Commissione giustizia, ha guidato i parlamentari democratici della Commissione e i loro collaboratori nel cuore dell'America profonda, nella Riserva Occidentale; specificamente, nello stato non-così-rosso dell'Ohio, un tempo conosciuto come «la madre dei presidenti».
Conyers c'è andato per rispondere alla domanda che la minoranza degli americani affezionata alla repubblica sta ponendo dal novembre 2004: «Che cosa è andato storto in Ohio?». Egli è troppo modesto per riferire le difficoltà che deve aver superato, anche per mettere insieme il suo team nonostante la trionfalistica maggioranza repubblicana al Congresso, per non parlare dell'improbabile erede di se stesso, George W. Bush, la cui scelta originale da parte della Corte Suprema ha prodotto molti articoli su cosa sia andato storto in Florida nel 2000.
Questi hanno portato alle scuse del giudice John Paul Stevens per il comportamento della maggioranza di 5 a 4 della Corte nella vicenda «Bush contro Gore». Bush lo sconfitto ha poi mosso guerre non dichiarate all'Afghanistan e all'Iraq, producendo inoltre i più grandi deficit della nostra storia e la rivelazione che le politiche di un'Amministrazione che, un po' come il conte Dracula rifuggiva dagli spicchi d'aglio, rifugge dal dare conto del proprio comportamento, sono state responsabili dell'omicidio e della tortura dei prigionieri - secondo stime del Pentagono, prelevati a caso nel 70-90% dei casi - facendoci odiare da un miliardo di musulmani e suscitando il disgusto di quello che viene chiamato «mondo civilizzato».
Essendomi stato chiesto di prevedere chi avrebbe vinto nel 2004, ho detto che Bush avrebbe perso di nuovo, ma ero fiducioso che nei quattro anni tra il 2000 e il 2004 la propaganda creativa e la scelta degli addetti elettorali avrebbe potuto essere perfezionata al punto di assicurargli una vittoria ufficiale. Un rapporto di Conyers, Preserving Democracy: What Went Wrong in Ohio (Preservare la democrazia: che cosa è andato storto in Ohio), dimostra con dovizia di dettagli che lo swing state dell'Ohio è stato attentamente gestito in modo da offrire la vittoria apparente a Bush, anche se Kerry risulta essere stato il vincitore popolare nonché il mancato capoclasse nominato dai grandi elettori.
Invito gli aspiranti riformatori della nostra politica e di anacronismi come il collegio elettorale a leggere l'utile guida di Conyers su come rubare un'elezione una volta messo al posto giusto colui che controlla le procedure elettorali in un singolo stato: in questo caso, il segretario di stato dell'Ohio Kenneth Blackwell, che ha orchestrato una famosa vittoria per coloro che odiano la democrazia (una minoranza permanente ma appassionata). Il Rapporto Conyers afferma categoricamente: «Per quanto riguarda i fatti di cui siamo venuti a conoscenza, in breve, osserviamo che in Ohio si sono verificate irregolarità e anomalie di voto massicce e senza precedenti. In molti casi queste irregolarità sono state causate da comportamenti illegali e scorrettezze intenzionali, molte delle quali hanno visto partecipe il segretario di stato Kenneth J. Blackwell, condirettore della campagna Bush-Cheney in Ohio». In altre parole, una riproposizione dello scenario della Florida nel 2000, quando il direttore della campagna per Bush e Cheney era anch'egli il segretario di stato. La lezione? Programmare sempre per almeno altri quattro anni.
Negli Stati Uniti d'Amnesia è ben noto che non solo l'Ohio ha avuto un numero considerevole di nuovi elettori, ma che Blackwell e la sua gang, attraverso «la scorretta collocazione delle macchine per il voto hanno portato a file lunghe e senza precedenti, che hanno privato del diritto di voto moltissimi elettori, se non centinaia di migliaia, in modo particolare quelli appartenenti alle minoranze, e i democratici». Negli ultimi anni molti di noi hanno messo in guardia sul pericolo delle macchine per il voto elettronico, a cominciare dalla denuncia su Internet dell'investigatrice Bev Harris, che è stata coperta di insulti dai funzionari di compagnie come Diebold, Sequoia, ES&S, Triad. Quest'ultima compagnia per il voto computerizzato «ha sostanzialmente ammesso di avere fornito dei "fogli falsi" a coloro che conteggiavano i voti, durante il nuovo conteggio in numerose contee. Questi fogli dicevano agli incaricati elettorali quanti voti dovevano trovare per ciascun candidato, e quanti voti in più e in meno dovevano calcolare per far coincidere il loro conteggio con il conteggio automatico. In questo modo, hanno potuto evitare di fare un conteggio manuale completamente nuovo in tutta la contea, previsto invece dalla legge statale».
Eppure, nonostante tutto questo lavoro, e questo potere economico, gli exit poll mostravano che Kerry avrebbe vinto in Ohio. Cosa è dunque successo?
Ho parlato più che a sufficienza di questo giallo, studiato così approfonditamente da Conyers, dai suoi colleghi del Congresso e dai loro collaboratori. Ma l'indagine non è stata limitata ai crimini contro la democrazia: il rapporto su «cosa è andato storto in Ohio» suggerisce anche una serie di soluzioni per rimettere le cose a posto. Inutile dire che questo rapporto è stato ignorato quando il collegio elettorale ha prodotto il suo esame, non verificato, dei voti stato per stato. Inutile dire che non è stata convocata alcuna commissione congiunta delle due Camere del Congresso per prendere in considerazione i vari crimini commessi e trovare i modi e i mezzi per evitare che si ripetano nel 2008, qualora ci sia consentito di tenere le elezioni una volta che ci saremo - unilateralmente - impegnati in un'altra guerra, questa volta contro l'Iran. Ad ogni modo, grazie a Conyers, la scritta è lassù sul muro e tutti possiamo vederla chiaramente: «Mene, mene, tekel, upharsin». Gli studiosi della Bibbia conosceranno il significato di queste parole che Dio rivolse a Baltassar e ai suoi accoliti della vecchia Babilonia.
copyright The Nation
traduzione Marina Impallomeni
traduzione Marina Impallomeni
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