Corriere della Sera 23.4.04
LO PSICHIATRA
«Vita noiosa e frustrante Uomini e donne dimezzati»
Un essere umano che non ha un padre, o una madre, perché è nato per partenogenesi: geneticamente orfano. Che ne dice, professore? «Mah, la faccenda in sé è semplice: che uomini e donne siano più o meno in quantità uguale e che un essere umano derivi da una madre e un padre appartiene all’ordine delle cose, come il sole e la luna, capisce?».
Appunto: e se quest’ordine fosse alterato?
«Sarebbe qualcosa che nega l’intera storia dell’individuo, il suo sviluppo psicologico: un uomo dimidiato». Il professor Carlo Lorenzo Cazzullo, padre della psichiatria italiana, dice proprio così: «dimidiato», come il visconte Medardo di Terralba narrato da Italo Calvino. «È qualcosa di quasi impensabile, la cancellazione di ciò che dell’uomo conosciamo fin dall’inizio della nostra cultura, dai greci».
Senza padre, addio complesso di Edipo...
«Addio tutto! Ma le dirò: quando nel dopoguerra lavorai al Rockfeller Institute di New York, la prima cosa che mi insegnarono è di controllare ripetutamente le scoperte e non impostare sviluppi di ricerca se non c’è prima un controllo adeguato. Non dico che non ci credo, però andiamoci cauti, un po’ di sano scetticismo scientifico...».
Ma se dal topo si passasse all’essere umano? Perché parlava di uomo dimezzato?
«Perché nella famiglia l’elemento fondamentale è la coesione, l’armonia che si basa sulle caratteristiche complementari del padre e della madre, della donna e dell’uomo. Qui già si incontrerebbe un rischio notevole: un bimbo o una bimba privo "geneticamente" di uno dei due elementi andrebbe incontro ad una crescita limitata, unilaterale, priva di comunicazione. Per questo parlavo di stravolgimento dell’intera storia dell’individuo».
Che conseguenze si possono immaginare?
«Dato e non concesso che sia possibile, temo che avremmo un essere umano con acquisizioni psichiche ridotte e incomplete. Senza quell’armonia che crea la continuità del cosmo e della vita, la differenza di caratteri diversi e complementari, la sua storia non sarebbe interpretabile nel senso dell’individuo come lo conosciamo. E una società composta da queste persone non sarebbe neppure una società ma anch’essa un qualcosa di tagliato a metà».
Nel mito dell’androgino del Simposio , la metà femminile e maschile in origine unite sono destinate a cercarsi. Ma in una società costruita per partenogenesi mancherebbe la metà da cercare...
«Proprio così, Platone lo sapeva bene: l’indirizzo di una sola via non è mai adatto a costruire una verità. Nessuna differenza, né complementarietà, né armonia: solo una vita uniforme, ripetitiva e fastidiosa che porta all’esasperazione. La chiamerebbe vita?».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 23 aprile 2004
l'antico pensiero greco sulla riproduzione
Corriere della Sera 23.4.04
LA STORIA
Tutti figli di Pandora
di EVA CANTARELLA
Sembrava che solo la fantasia dei greci avesse inventato storie di esseri umani nati da un unico sesso. Ma, si sa, la fantasia dei greci in materia di riproduzione era inesauribile. Donne che si accoppiavano con tori (Pasifae), dèi che assumevano l'aspetto di tori per rapire donne mortali e accoppiarsi con loro (Europa), satiri nati da accoppiamenti tra esseri umani e capre, centauri (uomini-cavalli), sirene (in Grecia donne-uccelli, non ancora donne-pesci, come dal Medio Evo in poi), donne che si innamoravano e si accoppiavano con i fiumi… In un simile quadro, la riproduzione per partenogenesi non poteva meravigliare: tutto era possibile, anche che un uomo, o una donna, si riproducesse senza l'intervento dell'altro sesso. Anzi, a ben vedere, originariamente gli uomini - tutti - si riproducevano senza bisogno delle donne, e le donne - tutte - senza bisogno degli uomini. Storia singolare, questa, che peraltro emerge da alcune fonti, a partire da Esiodo.
Nella Teogonia e nelle Opere e i giorni Esiodo racconta come nacque la prima donna, Pandora, mandata sulla terra da Zeus per punire gli uomini della loro arroganza. Sino ad allora gli uomini erano felici, immuni da malattie e fatiche, ma con l'arrivo di Pandora le cosa cambiarono: Pandora aveva bellezza, fascino, abilità nei lavori domestici, ma «anima di cane», «carattere ingannevole», «menzogne e blande parole»: da quel momento «mali infiniti vagano fra gli uomini». Ma il punto che più ci interessa è che da Pandora, quel «male così bello» (kalon kakon) discende «il genere maledetto, le tribù delle donne» (Teogonia, 591). Le donne, dunque, sono un genos, una stirpe a sé, divisa al suo interno in phyla, vale a dire in tribù: da Pandora (e solo da lei) discende un'umanità a sé, composta da sole donne. Partenogenesi? Quantomeno in Esiodo si direbbe proprio di sì.
Ma veniamo agli uomini. Come si riproducevano prima dell'arrivo di Pandora? Una indicazione viene da Platone, quando nel Symposion racconta il mito sull'origine dei sessi: un tempo gli esseri umani, che avevano forma sferica, erano divisi in 3 sessi, uomini, donne e androgini. Ogni individuo aveva 4 braccia e 4 gambe, due volti sul collo cilindrico rivolti in senso opposto e due organi genitali (maschili gli uomini, femminili le donne, uno maschile e uno femminile gli androgini). Ma un giorno Zeus, per punirli, li spaccò in due, come sogliole, e da quel momento ognuno cercò la propria metà. Chi veniva dall'uomo cercava un altro uomo, chi da una donna cercava altre donne, chi dall'androgino cercava persone dell'altro sesso e con queste si riproduceva. Cosa nuova, questa: prima, dice Platone, «non generavano gli uni con gli altri, ma dalla terra, come le cicale» (Symposion 191 C 1).
Per i Greci, la riproduzione era possibile anche senza il contribuito di entrambi i sessi. Ma quando un sesso si riproduceva da solo, come nel caso di Pandora e della sua umanità tutta femminile, l'unitarietà del genere umano poteva essere messa in discussione. I greci arrivavano a concepire qualunque cosa, in materia di riproduzione, ma si rendevano conto della gravità delle conseguenze
LA STORIA
Tutti figli di Pandora
di EVA CANTARELLA
Sembrava che solo la fantasia dei greci avesse inventato storie di esseri umani nati da un unico sesso. Ma, si sa, la fantasia dei greci in materia di riproduzione era inesauribile. Donne che si accoppiavano con tori (Pasifae), dèi che assumevano l'aspetto di tori per rapire donne mortali e accoppiarsi con loro (Europa), satiri nati da accoppiamenti tra esseri umani e capre, centauri (uomini-cavalli), sirene (in Grecia donne-uccelli, non ancora donne-pesci, come dal Medio Evo in poi), donne che si innamoravano e si accoppiavano con i fiumi… In un simile quadro, la riproduzione per partenogenesi non poteva meravigliare: tutto era possibile, anche che un uomo, o una donna, si riproducesse senza l'intervento dell'altro sesso. Anzi, a ben vedere, originariamente gli uomini - tutti - si riproducevano senza bisogno delle donne, e le donne - tutte - senza bisogno degli uomini. Storia singolare, questa, che peraltro emerge da alcune fonti, a partire da Esiodo.
Nella Teogonia e nelle Opere e i giorni Esiodo racconta come nacque la prima donna, Pandora, mandata sulla terra da Zeus per punire gli uomini della loro arroganza. Sino ad allora gli uomini erano felici, immuni da malattie e fatiche, ma con l'arrivo di Pandora le cosa cambiarono: Pandora aveva bellezza, fascino, abilità nei lavori domestici, ma «anima di cane», «carattere ingannevole», «menzogne e blande parole»: da quel momento «mali infiniti vagano fra gli uomini». Ma il punto che più ci interessa è che da Pandora, quel «male così bello» (kalon kakon) discende «il genere maledetto, le tribù delle donne» (Teogonia, 591). Le donne, dunque, sono un genos, una stirpe a sé, divisa al suo interno in phyla, vale a dire in tribù: da Pandora (e solo da lei) discende un'umanità a sé, composta da sole donne. Partenogenesi? Quantomeno in Esiodo si direbbe proprio di sì.
Ma veniamo agli uomini. Come si riproducevano prima dell'arrivo di Pandora? Una indicazione viene da Platone, quando nel Symposion racconta il mito sull'origine dei sessi: un tempo gli esseri umani, che avevano forma sferica, erano divisi in 3 sessi, uomini, donne e androgini. Ogni individuo aveva 4 braccia e 4 gambe, due volti sul collo cilindrico rivolti in senso opposto e due organi genitali (maschili gli uomini, femminili le donne, uno maschile e uno femminile gli androgini). Ma un giorno Zeus, per punirli, li spaccò in due, come sogliole, e da quel momento ognuno cercò la propria metà. Chi veniva dall'uomo cercava un altro uomo, chi da una donna cercava altre donne, chi dall'androgino cercava persone dell'altro sesso e con queste si riproduceva. Cosa nuova, questa: prima, dice Platone, «non generavano gli uni con gli altri, ma dalla terra, come le cicale» (Symposion 191 C 1).
Per i Greci, la riproduzione era possibile anche senza il contribuito di entrambi i sessi. Ma quando un sesso si riproduceva da solo, come nel caso di Pandora e della sua umanità tutta femminile, l'unitarietà del genere umano poteva essere messa in discussione. I greci arrivavano a concepire qualunque cosa, in materia di riproduzione, ma si rendevano conto della gravità delle conseguenze
gli scienziati:
Darwin deve restare nei programmi scolastici
Repubblica 23.4.04
Genetisti, medici e ricercatori al ministro: rimediare alla soppressione dell´evoluzionismo dai programmi delle medie
Gli scienziati: non cancellare Darwin dalla scuola
Da Dulbecco a Cavalli Sforza, appello alla Moratti: limitazione culturale
di ELENA DUSI e MARIO REGGIO
Una bocciatura senza appelli, quella del gotha della scienza italiana. La mancanza di qualunque accenno alla teoria dell´evoluzione nei nuovi programmi scolastici delle medie - fissati nel decreto legislativo dello scorso febbraio - è, secondo genetisti, medici e ricercatori in genere, una lacuna gravissima: il ministero dell´Istruzione deve porvi senz´altro rimedio. Per questo alcuni fra gli scienziati più rappresentativi del nostro paese hanno firmato un appello per la modifica dei programmi di studio. Il testo completo, insieme all´elenco degli aderenti, è pubblicato in questa pagina. «Ho tenuto pochi giorni fa una conferenza in un liceo - racconta Bruno Dallapiccola - e ho trovato di fronte a me ragazzi estremamente interessati ai temi della biologia. Non si possono espungere con un tratto di penna argomenti così attuali». Massimo Pettoello-Mantovani, dagli Usa, ricorda: «Qui c´è stata una grande polemica un paio di anni fa a questo proposito. Alcuni stati hanno abolito la teoria dell´evoluzione dai programmi scolastici e gli insegnanti che hanno trasgredito le direttive sono stati addirittura licenziati. Spero che nel caso italiano si sia trattato di ignoranza: sempre meglio del fondamentalismo politico-religioso». Non si possono affiancare creazionismo e teoria dell´evoluzione nel cercare di spiegare l´origine della vita, secondo Luigi Luca Cavalli Sforza: «Il primo può ovviamente essere accettato per fede religiosa, ma non può essere considerato come ipotesi scientifica, perché nessuno ha finora saputo indicare una possibile via per poterlo falsificare. E questa è la condizione che distingue le verità scientifiche dalle altre».
Drastico anche il giudizio di Jacopo Meldolesi, presidente della Federazione Italiana Scienze della Vita, e direttore del San Raffaele Scientific Institute. «Una scelta pazzesca. Darwin ha avuto un´intuizione eccezionale, ma la teoria dell´evoluzione è stata arricchita da nuovi apporti scientifici. Una teoria fondamentale nella cultura del nostro tempo».
Non è di questo avviso il ministro dell´Istruzione Letizia Moratti, che rispondendo ad un´interrogazione presentata da sette senatori dell´opposizione ha risposto: «Le indicazioni nazionali privilegiano le narrazioni fantastiche, i cosiddetti miti delle origini, che favoriscono l´approccio del bambino al dato scientifico. Le precedenti generiche indicazioni, trattando dell´uomo e dell´ambiente, hanno portato gli autori dei testi scolastici a trattare diffusamente i contenuti di questo tema, sistematizzando i principi sull´evoluzione della specie umana, ricomprendendo anche la teoria di Darwin».
Repubblica 23.4.04
L´ACCUSA
Il premio Nobel Dulbecco: uno dei pilastri della biologia moderna
"Per i giovani è una lacuna si ritorna a mille anni fa"
Chi sta crescendo dovrebbe conquistare l'apertura mentale la più ampia possibile
di Elena Dusi
ROMA - Non è solo un buco culturale. Per Renato Dulbecco, non insegnare la teoria dell´evoluzione ai ragazzi delle scuole medie vuol dire privarli di un tassello importante per la formazione delle loro coscienze. Il premio Nobel per la medicina del 1975 non si oppone all´idea di spiegare agli studenti i limiti della teoria nata con Charles Darwin. E trova ragionevole anche proporre concezioni alternative, come quelle di derivazione religiosa. Ma lasciare i ragazzi all´oscuro di uno dei pilastri della biologia moderna è, secondo lui, un grave errore.
Professore, dai programmi di scienze della scuola media italiana è scomparso qualunque accenno a Darwin.
«Incredibile, mi sembra un ritorno a mille anni fa. Non ho mai sentito cose simili negli altri paesi. Certo, in America ci sono scuole che improntano i loro insegnamenti alle idee religiose, ma si tratta per lo più di istituti confessionali, sono casi limitati».
Si può sempre studiare Darwin al liceo o all´università. Perché secondo lei è grave eliminarlo dai programmi delle medie?
«Perché i giovani che stanno crescendo dovrebbero conquistare l´apertura mentale più ampia possibile. E´ molto triste che una delle ipotesi sulla nascita della vita sulla Terra venga semplicemente eliminata dai programmi scolastici. La si può criticare, se non si è d´accordo: la teoria dell´evoluzione di Darwin e le idee che da essa sono scaturite formano un sistema tutt´altro che perfetto. Esistono dei punti oscuri, delle fasi di passaggio non facilmente decifrabili. Ma si tratta di limiti che supereremo probabilmente in futuro, man mano che amplieremo le nostre conoscenze. Non certo di contraddizioni in grado di inficiare la teoria dell´evoluzione nel suo complesso».
E´ giusto presentare la teoria del Creazionismo ai ragazzi delle scuole?
«Ma certo. Nessuna ipotesi va scartata a priori. Nemmeno quella Creazionista, che pure è completamente estranea ai criteri del pensiero scientifico. Per potersi creare una coscienza, i giovani hanno bisogno di prendere in esame tutte le opzioni. Sarà poi la vita a farli decidere, a portarli verso la razionalità della teoria evolutiva o verso altri ambiti, come quello dell´ipotesi religiosa sull´origine del mondo».
Possono esserci oggi buoni biologi e buoni medici, senza lo studio della teoria dell´evoluzione?
«Si può avere un´istantanea della situazione attuale. Di certo si possono apprendere tutti gli elementi per la conoscenza dell´uomo e degli altri esseri viventi anche senza studiare Darwin. Ma più problematico sarebbe spiegare quali sono le connessioni fra le varie specie. Tutto il settore della genomica, uno dei più significativi per il futuro della medicina, si basa su esperimenti condotti sugli esseri viventi. Si può partire da un semplice lievito, avanzando verso il topo, la scimmia, fino all´uomo. Per seguire questo approccio è fondamentale conoscere quali sono i rapporti fra le varie specie. Quali elementi ci dividono da un topo o da una scimmia, e quali invece ci rendono simili a loro? Tutto questo non può prescindere da Darwin e dai suoi epigoni».
L'APPELLO
Dai nuovi programmi della Scuola media è scomparso l´insegnamento della “Teoria dell´evoluzione delle specie”. L´elenco degli argomenti da trattare non comprende più “L´evoluzione della Terra”, la “Comparsa della vita sulla Terra” la “Struttura, funzione ed evoluzione dei viventi” e “L´origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana” I programmi pubblicati nel decreto legislativo del 19 febbraio 2004 non contengono tracce della storia evolutiva dell´uomo né del suo rapporto con le altre specie. Il mancato apprendimento della teoria dell´evoluzione per dei ragazzi di 13-14 anni, rappresenta una limitazione culturale e una rinuncia a svilupparne la curiosità scientifica e l´apertura mentale. E´ senz´altro giusto spiegare che il Darwinismo e le teorie che ne sono conseguite hanno lacune da colmare e presentano problemi insoluti, ma non si può saltare completamente l´anello che lega passato e presente della nostra specie. Chiediamo dunque al Ministero dell´Istruzione di rivedere i programmi della scuola media, colmando una dimenticanza dannosa per la cultura scientifica delle nuove generazioni.
Carlo Bernardini - Dip. di Fisica La Sapienza e Infn
Edoardo Boncinelli - Scuola Int. Sup.StudiAvanzati,Trieste
Luigi Luca Cavalli Sforza - Univ. di Stanford
Bruno Dallapiccola - Ist. Mendel, Roma
Ernesto Di Mauro - Genetica molecolare, La Sapienza. Dir. Fond. Cenci
Bolognetti Renato Dulbecco - Nobel per la medicina
Margherita Hack - prof.ssa emerita di Astrofisica, Trieste
Giuseppe Novelli - docente di Genetica Umana, Tor Vergata
Franco Pacini - dir. Osservatorio di Arcetri
Massimo Pettoello-Mantovani - prof. di Pediatria, Foggia e New York
Alberto Piazza - docente di Genetica Umana, Torino
Pier Franco Pignatti - presid. Soc. italiana di Genetica Umana
Genetisti, medici e ricercatori al ministro: rimediare alla soppressione dell´evoluzionismo dai programmi delle medie
Gli scienziati: non cancellare Darwin dalla scuola
Da Dulbecco a Cavalli Sforza, appello alla Moratti: limitazione culturale
di ELENA DUSI e MARIO REGGIO
Una bocciatura senza appelli, quella del gotha della scienza italiana. La mancanza di qualunque accenno alla teoria dell´evoluzione nei nuovi programmi scolastici delle medie - fissati nel decreto legislativo dello scorso febbraio - è, secondo genetisti, medici e ricercatori in genere, una lacuna gravissima: il ministero dell´Istruzione deve porvi senz´altro rimedio. Per questo alcuni fra gli scienziati più rappresentativi del nostro paese hanno firmato un appello per la modifica dei programmi di studio. Il testo completo, insieme all´elenco degli aderenti, è pubblicato in questa pagina. «Ho tenuto pochi giorni fa una conferenza in un liceo - racconta Bruno Dallapiccola - e ho trovato di fronte a me ragazzi estremamente interessati ai temi della biologia. Non si possono espungere con un tratto di penna argomenti così attuali». Massimo Pettoello-Mantovani, dagli Usa, ricorda: «Qui c´è stata una grande polemica un paio di anni fa a questo proposito. Alcuni stati hanno abolito la teoria dell´evoluzione dai programmi scolastici e gli insegnanti che hanno trasgredito le direttive sono stati addirittura licenziati. Spero che nel caso italiano si sia trattato di ignoranza: sempre meglio del fondamentalismo politico-religioso». Non si possono affiancare creazionismo e teoria dell´evoluzione nel cercare di spiegare l´origine della vita, secondo Luigi Luca Cavalli Sforza: «Il primo può ovviamente essere accettato per fede religiosa, ma non può essere considerato come ipotesi scientifica, perché nessuno ha finora saputo indicare una possibile via per poterlo falsificare. E questa è la condizione che distingue le verità scientifiche dalle altre».
Drastico anche il giudizio di Jacopo Meldolesi, presidente della Federazione Italiana Scienze della Vita, e direttore del San Raffaele Scientific Institute. «Una scelta pazzesca. Darwin ha avuto un´intuizione eccezionale, ma la teoria dell´evoluzione è stata arricchita da nuovi apporti scientifici. Una teoria fondamentale nella cultura del nostro tempo».
Non è di questo avviso il ministro dell´Istruzione Letizia Moratti, che rispondendo ad un´interrogazione presentata da sette senatori dell´opposizione ha risposto: «Le indicazioni nazionali privilegiano le narrazioni fantastiche, i cosiddetti miti delle origini, che favoriscono l´approccio del bambino al dato scientifico. Le precedenti generiche indicazioni, trattando dell´uomo e dell´ambiente, hanno portato gli autori dei testi scolastici a trattare diffusamente i contenuti di questo tema, sistematizzando i principi sull´evoluzione della specie umana, ricomprendendo anche la teoria di Darwin».
Repubblica 23.4.04
L´ACCUSA
Il premio Nobel Dulbecco: uno dei pilastri della biologia moderna
"Per i giovani è una lacuna si ritorna a mille anni fa"
Chi sta crescendo dovrebbe conquistare l'apertura mentale la più ampia possibile
di Elena Dusi
ROMA - Non è solo un buco culturale. Per Renato Dulbecco, non insegnare la teoria dell´evoluzione ai ragazzi delle scuole medie vuol dire privarli di un tassello importante per la formazione delle loro coscienze. Il premio Nobel per la medicina del 1975 non si oppone all´idea di spiegare agli studenti i limiti della teoria nata con Charles Darwin. E trova ragionevole anche proporre concezioni alternative, come quelle di derivazione religiosa. Ma lasciare i ragazzi all´oscuro di uno dei pilastri della biologia moderna è, secondo lui, un grave errore.
Professore, dai programmi di scienze della scuola media italiana è scomparso qualunque accenno a Darwin.
«Incredibile, mi sembra un ritorno a mille anni fa. Non ho mai sentito cose simili negli altri paesi. Certo, in America ci sono scuole che improntano i loro insegnamenti alle idee religiose, ma si tratta per lo più di istituti confessionali, sono casi limitati».
Si può sempre studiare Darwin al liceo o all´università. Perché secondo lei è grave eliminarlo dai programmi delle medie?
«Perché i giovani che stanno crescendo dovrebbero conquistare l´apertura mentale più ampia possibile. E´ molto triste che una delle ipotesi sulla nascita della vita sulla Terra venga semplicemente eliminata dai programmi scolastici. La si può criticare, se non si è d´accordo: la teoria dell´evoluzione di Darwin e le idee che da essa sono scaturite formano un sistema tutt´altro che perfetto. Esistono dei punti oscuri, delle fasi di passaggio non facilmente decifrabili. Ma si tratta di limiti che supereremo probabilmente in futuro, man mano che amplieremo le nostre conoscenze. Non certo di contraddizioni in grado di inficiare la teoria dell´evoluzione nel suo complesso».
E´ giusto presentare la teoria del Creazionismo ai ragazzi delle scuole?
«Ma certo. Nessuna ipotesi va scartata a priori. Nemmeno quella Creazionista, che pure è completamente estranea ai criteri del pensiero scientifico. Per potersi creare una coscienza, i giovani hanno bisogno di prendere in esame tutte le opzioni. Sarà poi la vita a farli decidere, a portarli verso la razionalità della teoria evolutiva o verso altri ambiti, come quello dell´ipotesi religiosa sull´origine del mondo».
Possono esserci oggi buoni biologi e buoni medici, senza lo studio della teoria dell´evoluzione?
«Si può avere un´istantanea della situazione attuale. Di certo si possono apprendere tutti gli elementi per la conoscenza dell´uomo e degli altri esseri viventi anche senza studiare Darwin. Ma più problematico sarebbe spiegare quali sono le connessioni fra le varie specie. Tutto il settore della genomica, uno dei più significativi per il futuro della medicina, si basa su esperimenti condotti sugli esseri viventi. Si può partire da un semplice lievito, avanzando verso il topo, la scimmia, fino all´uomo. Per seguire questo approccio è fondamentale conoscere quali sono i rapporti fra le varie specie. Quali elementi ci dividono da un topo o da una scimmia, e quali invece ci rendono simili a loro? Tutto questo non può prescindere da Darwin e dai suoi epigoni».
L'APPELLO
Dai nuovi programmi della Scuola media è scomparso l´insegnamento della “Teoria dell´evoluzione delle specie”. L´elenco degli argomenti da trattare non comprende più “L´evoluzione della Terra”, la “Comparsa della vita sulla Terra” la “Struttura, funzione ed evoluzione dei viventi” e “L´origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana” I programmi pubblicati nel decreto legislativo del 19 febbraio 2004 non contengono tracce della storia evolutiva dell´uomo né del suo rapporto con le altre specie. Il mancato apprendimento della teoria dell´evoluzione per dei ragazzi di 13-14 anni, rappresenta una limitazione culturale e una rinuncia a svilupparne la curiosità scientifica e l´apertura mentale. E´ senz´altro giusto spiegare che il Darwinismo e le teorie che ne sono conseguite hanno lacune da colmare e presentano problemi insoluti, ma non si può saltare completamente l´anello che lega passato e presente della nostra specie. Chiediamo dunque al Ministero dell´Istruzione di rivedere i programmi della scuola media, colmando una dimenticanza dannosa per la cultura scientifica delle nuove generazioni.
Carlo Bernardini - Dip. di Fisica La Sapienza e Infn
Edoardo Boncinelli - Scuola Int. Sup.StudiAvanzati,Trieste
Luigi Luca Cavalli Sforza - Univ. di Stanford
Bruno Dallapiccola - Ist. Mendel, Roma
Ernesto Di Mauro - Genetica molecolare, La Sapienza. Dir. Fond. Cenci
Bolognetti Renato Dulbecco - Nobel per la medicina
Margherita Hack - prof.ssa emerita di Astrofisica, Trieste
Giuseppe Novelli - docente di Genetica Umana, Tor Vergata
Franco Pacini - dir. Osservatorio di Arcetri
Massimo Pettoello-Mantovani - prof. di Pediatria, Foggia e New York
Alberto Piazza - docente di Genetica Umana, Torino
Pier Franco Pignatti - presid. Soc. italiana di Genetica Umana
25 APRILE
Franzo Grande Stevens sulla Resistenza
Corriere della Sera, Torino 23.4.04
"Così ho imparato a credere nella nostra Resistenza"
"Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Sandro Galante Garrone e Paolo Greco: ecco i miei maggiori"
Franzo Grande Stevens spiega il perché di una memoria che riguarda l´essenza democratica dello Stato
La speranza: Io non sono pessimista, quella del 25 aprile '45 è un'eredità ancora giovane: questa è una fase di regresso, ma vincerà la libertà
La certezza: So anche che avere certe idee è un privilegio di minoranza: e non tutti hanno il coraggio di sacrificarsi per difenderle
di MASSIMO NOVELLI
«Dopo tanti anni, guardando le cose con un certo distacco, penso che la Resistenza non vada considerata come un fatto a sé, ma come una delle manifestazioni di un certo modo di vivere e di pensare che è spesso di minoranze, ma che poi, nei momenti topici, diventa espressione di massa, diviene un popolo. E non si può isolare la lotta contro il nazifascismo dall´illuminismo, dalla Rivoluzione francese, dal Risorgimento, dalla prima guerra mondiale: è un filo unico, che attraversa i secoli».
Cresciuto alla scuola di maestri quali Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Sandro Galante Garrone, Paolo Greco, Franco Venturi, limpide figure dell´antifascismo azionista e liberale, l´avvocato Franzo Grande Stevens, nipote del leggendario colonnello Stevens, la voce di Radio Londra, e presidente del Museo del Risorgimento di Torino, inquadra il moto resistenziale in quella concezione della storia che, secondo Benedetto Croce, è affermazione progressiva della libertà.
«Nell´illuminismo, nella Rivoluzione francese, nel Risorgimento, nella Resistenza contro il nazifascismo, vi è una modo laico di vivere e di pensare, innato di democrazia, disposto a reagire a quella che si ritiene una sopraffazione. Nasce sempre come minoranza, da persone che prima degli altri capiscono come andranno le cose e pertanto decidono di resistere come accadde con il fascismo. Non tutti, del resto, possono avere quella lucidità e quella forza d´animo per insegnare e sapere sacrificarsi, mettendo a repentaglio se stessi e la propria famiglia. E poi ci sono sempre quelli che, come diceva Sandro Galante Garrone, prima banchettano alla tavola dei Proci e subito dopo a quella di Ulisse».
Le radici della guerra partigiana affondano nel passato, tanto che un tempo veniva definita come il Secondo Risorgimento.
«Anche Cavour era stato un resistente. Le racconto un aneddoto. Quando era giovane ufficiale, su al forte di Bard, un giorno decise di scrivere al ministero per chiedere una fornitura di legno più consistente di legna, dato che quella che a loro disposizione era insufficiente per fronteggiare il freddo. Il ministero rispose però che quella legna era bastante. Allora Cavour mise fuori un cartello in cui aveva scritto: "Fa caldo per ordine del ministero". Lo mandarono in fortezza per punizione. Uno così all´epoca veniva considerato un sovversivo. D´altra parte, il futuro statista dell´Unità d´Italia non aveva timore di dichiararsi contrario alla pena di morte pur vivendo in uno Stato in cui era vigente, come ho potuto constatare leggendo una sua lettera che ho acquisito per il Museo del Risorgimento».
Ora, però, la Resistenza è oggetto di pesanti attacchi.
«Io non sono pessimista. La Resistenza, oltretutto, è ancora troppo giovane. Forse adesso è un po´ in declino, ma col passare del tempo si capirà quanti passi avanti sono stati computi. Pensi soltanto al diritti dei lavoratori: oggi per qualsiasi esponente politico, da qualunque parte stia, è più difficile non riconoscerli. E così il diritto di sciopero, che prima era considerato un atto di sovversione. Vi è insomma un alternarsi di cicli nella storia, ora di progresso ora di regresso, però alla fine l´affermazione dei principi di libertà va avanti».
Viviamo in tempi, comunque, in cui si mette in discussione anche la Costituzione, nata dalla lotta di Liberazione.
«La Costituzione, che è fondata sugli interessi generali e non su quelli personali, oggi non è ancora stata largamente assimilata. Una Costituzione scritta da gente che sapeva che cos´era la violazione dei diritti, in cui vi sono due principi fondamentali: il diritto al lavoro e il diritto alla scuola. Non si può neppure immaginare una Tangentopoli a carico dei padri costituenti, di persone come Ferruccio Parri, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi».
Che ricordi ha lei della Resistenza?
«Uno su tutti, che riguarda le Quattro Giornate di Napoli: i ragazzi del riformatorio che sul ponte chiamato della Sanità, in direzione della strada per Roma, si buttano contro ai cingoli dei carri armati tedeschi con delle bottiglie incendiarie».
"Così ho imparato a credere nella nostra Resistenza"
"Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Sandro Galante Garrone e Paolo Greco: ecco i miei maggiori"
Franzo Grande Stevens spiega il perché di una memoria che riguarda l´essenza democratica dello Stato
La speranza: Io non sono pessimista, quella del 25 aprile '45 è un'eredità ancora giovane: questa è una fase di regresso, ma vincerà la libertà
La certezza: So anche che avere certe idee è un privilegio di minoranza: e non tutti hanno il coraggio di sacrificarsi per difenderle
di MASSIMO NOVELLI
«Dopo tanti anni, guardando le cose con un certo distacco, penso che la Resistenza non vada considerata come un fatto a sé, ma come una delle manifestazioni di un certo modo di vivere e di pensare che è spesso di minoranze, ma che poi, nei momenti topici, diventa espressione di massa, diviene un popolo. E non si può isolare la lotta contro il nazifascismo dall´illuminismo, dalla Rivoluzione francese, dal Risorgimento, dalla prima guerra mondiale: è un filo unico, che attraversa i secoli».
Cresciuto alla scuola di maestri quali Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Sandro Galante Garrone, Paolo Greco, Franco Venturi, limpide figure dell´antifascismo azionista e liberale, l´avvocato Franzo Grande Stevens, nipote del leggendario colonnello Stevens, la voce di Radio Londra, e presidente del Museo del Risorgimento di Torino, inquadra il moto resistenziale in quella concezione della storia che, secondo Benedetto Croce, è affermazione progressiva della libertà.
«Nell´illuminismo, nella Rivoluzione francese, nel Risorgimento, nella Resistenza contro il nazifascismo, vi è una modo laico di vivere e di pensare, innato di democrazia, disposto a reagire a quella che si ritiene una sopraffazione. Nasce sempre come minoranza, da persone che prima degli altri capiscono come andranno le cose e pertanto decidono di resistere come accadde con il fascismo. Non tutti, del resto, possono avere quella lucidità e quella forza d´animo per insegnare e sapere sacrificarsi, mettendo a repentaglio se stessi e la propria famiglia. E poi ci sono sempre quelli che, come diceva Sandro Galante Garrone, prima banchettano alla tavola dei Proci e subito dopo a quella di Ulisse».
Le radici della guerra partigiana affondano nel passato, tanto che un tempo veniva definita come il Secondo Risorgimento.
«Anche Cavour era stato un resistente. Le racconto un aneddoto. Quando era giovane ufficiale, su al forte di Bard, un giorno decise di scrivere al ministero per chiedere una fornitura di legno più consistente di legna, dato che quella che a loro disposizione era insufficiente per fronteggiare il freddo. Il ministero rispose però che quella legna era bastante. Allora Cavour mise fuori un cartello in cui aveva scritto: "Fa caldo per ordine del ministero". Lo mandarono in fortezza per punizione. Uno così all´epoca veniva considerato un sovversivo. D´altra parte, il futuro statista dell´Unità d´Italia non aveva timore di dichiararsi contrario alla pena di morte pur vivendo in uno Stato in cui era vigente, come ho potuto constatare leggendo una sua lettera che ho acquisito per il Museo del Risorgimento».
Ora, però, la Resistenza è oggetto di pesanti attacchi.
«Io non sono pessimista. La Resistenza, oltretutto, è ancora troppo giovane. Forse adesso è un po´ in declino, ma col passare del tempo si capirà quanti passi avanti sono stati computi. Pensi soltanto al diritti dei lavoratori: oggi per qualsiasi esponente politico, da qualunque parte stia, è più difficile non riconoscerli. E così il diritto di sciopero, che prima era considerato un atto di sovversione. Vi è insomma un alternarsi di cicli nella storia, ora di progresso ora di regresso, però alla fine l´affermazione dei principi di libertà va avanti».
Viviamo in tempi, comunque, in cui si mette in discussione anche la Costituzione, nata dalla lotta di Liberazione.
«La Costituzione, che è fondata sugli interessi generali e non su quelli personali, oggi non è ancora stata largamente assimilata. Una Costituzione scritta da gente che sapeva che cos´era la violazione dei diritti, in cui vi sono due principi fondamentali: il diritto al lavoro e il diritto alla scuola. Non si può neppure immaginare una Tangentopoli a carico dei padri costituenti, di persone come Ferruccio Parri, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi».
Che ricordi ha lei della Resistenza?
«Uno su tutti, che riguarda le Quattro Giornate di Napoli: i ragazzi del riformatorio che sul ponte chiamato della Sanità, in direzione della strada per Roma, si buttano contro ai cingoli dei carri armati tedeschi con delle bottiglie incendiarie».
nelle famiglie dei boss della mafia
la tragedia delle innocenti
Repubblica, ed. di Palermo 23.4.04
Un'équipe guidata dal professor Girolamo Lo Verso da dieci anni studia il comportamento delle ragazze in crisi di identità nelle famiglie di mafia
Le figlie anoressiche dei boss smascherati
Dopo lo choc l'aiuto dello psicanalista
"Quando lo vado a trovare in carcere mi faccio forza ma all'uscita piango"
"Dormivo nel lettone quando vennero a prendere mio padre Non parlai per 6 mesi"
di ANGELO VITALE
L. non è riuscita ad aprire più bocca per sei mesi, dopo avere assistito all´arresto del padre, anche M. è rimasta letteralmente impietrita davanti ai poliziotti. Anoressia, bulimia, depressione a vari stadi, crisi d´identità e stravolgimenti tali da cambiare il fisico e i connotati del volto. Eccole, sdraiate nel lettino dello psicoterapeuta, le figlie innocenti di mafia, per le quali si compie la tragedia "edipica", spesso rimarcata dalle immagini televisive, di un padre arrestato, ammazzato, di una "scoperta", tanto improvvisa quanto dirompente in un sistema familiare quale quello mafioso che appariva così rassicurante, granitico, troppo monolitico per essere reale.
Dopo le mogli, i figli maschi, i genitori, gli zii, i nonni, la psicologia analizza il ruolo delle figlie femmine nella famiglia mafiosa, finite sotto la lente degli studiosi che da dieci anni a Palermo, guidati dal professor Girolamo Lo Verso, hanno avviato un filone di ricerche, apprezzato in Europa e negli Stati Uniti, sugli aspetti legati alla psiche dei mafiosi e sull´interpretazione profonda dei loro comportamenti. Ad aprire la strada una tesi di Francesca Abate che ha esaminato queste figure partendo dai racconti e dai test a cui sono state sottoposte tre figlie di mafiosi di un piccolo comune della provincia di Trapani.
Accantonati i possibili e facili pregiudizi si è materializzato l´universo sensibile di piccole donne che soffrono il crollo di una figura paterna creduta buona, imbattibile, in grado di proteggerle da tutto e da tutti. Il momento dell´arresto spesso coincide con la scoperta di una verità pesante, al punto da essere rifiutata contro ogni evidenza. È il dramma del dover prendere consapevolezza che il genitore è un efferato assassino e allo stesso tempo essere prese dall´angoscia di perdere il fondamentale appoggio, morale e materiale, che fino a quel momento il padre ha garantito.
Spesso le ragazze reagiscono in modo drammatico. è l´aspetto fragile delle tante facce spietate di Cosa nostra. Nonostante le accuse dei giudici, le sentenze, le prove a carico dei padri, queste donne continuano quasi sempre ad averne un´immagine idealizzata.
L. ricorda così quella brutta mattina: «Dormivo nel lettone con i miei genitori. Suonarono alle 5,30 del mattino. Era la polizia. Prima ci dissero che si trattava di una semplice perquisizione. Poi, un poliziotto disse a mio padre: "È il caso che si vada a vestire, c´è un mandato di arresto per lei"». E tra le lacrime rievoca: «A quel punto scoppiai a piangere e incominciai a tremare. Un agente mi è venuto incontro, si è seduto accanto a me sul letto per consolarmi, io gli dicevo "mio padre è il più buono del mondo", lui rispondeva: "non ti preoccupare se è innocente presto ritornerà a casa"». Solo grazie a una psicoterapia L. ha ripreso a comunicare con gli altri, ma ci sono voluti sei mesi di analisi.
Mentre ammanettavano il marito per portarlo in carcere, la madre le chiamava, ma M. e la sorella continuavano a restare «bloccate, ferme, immobili, scioccate. Non avevamo capito quello che era successo».
Per V. la scoperta è stata anche più traumatica. All´inizio era troppo piccola per capire e la detenzione del genitore le era stata tenuta nascosta. Aveva undici anni quando un giorno le capitò di leggere gli atti processuali, lasciati distrattamente dalla madre sul tavolo del soggiorno. Fu uno choc apprendere le gravi accuse rivolte dai magistrati al genitore. Solo un primo tentennamento. «All´inizio - dice - ho pensato che le aveva fatte veramente, poi mi sono convinta che era impossibile. Non ce lo vedevo come persona».
L´arresto o la morte di un genitore, di cui apprendono spesso dalla televisione, rappresenta per queste ragazze il crollo di ogni punto di riferimento e di certezza, una frantumazione dell´identità. Di fronte a una situazione del genere, con il rischio di impazzire, di perdere al bussola, queste ragazze non vogliono, forse non possono vedere la realtà delle cose. Come è capitato in una famiglia mafiosa dell´agrigentino, dove l´arresto del padre provoca in due figlie forti disturbi alimentari, mentre una terza s´è messa in testa che «deve prendere il posto di papà».
Andare a trovare il padre in carcere è un altro momento difficile da sopportare e da elaborare per una ragazzina: «Mi ricordo - dice L. - che quando dovevo entrare diventavo fortissima, tiravo un sospiro, entravo e stavo per un´ora con il sorriso. Volevo apparire quello che non ero a casa? Poi quando si chiudeva il portone e i detenuti uscivano, scoppiavo immancabilmente in lacrime».
«Queste figlie - afferma Girolamo Lo Verso - si trovano in bilico tra l´appartenenza e la dissociazione dal monolitismo mafioso. È arduo trovare lo spazio per un´identità propria, scegliere il cambiamento. Il risultato, a cui approdano sempre più frequentemente, è chiedere un aiuto psicologico. Siamo, dunque, in un mondo permeato da sofferenza, incertezza e confusione, in due parole davanti al disagio psichico».
Un'équipe guidata dal professor Girolamo Lo Verso da dieci anni studia il comportamento delle ragazze in crisi di identità nelle famiglie di mafia
Le figlie anoressiche dei boss smascherati
Dopo lo choc l'aiuto dello psicanalista
"Quando lo vado a trovare in carcere mi faccio forza ma all'uscita piango"
"Dormivo nel lettone quando vennero a prendere mio padre Non parlai per 6 mesi"
di ANGELO VITALE
L. non è riuscita ad aprire più bocca per sei mesi, dopo avere assistito all´arresto del padre, anche M. è rimasta letteralmente impietrita davanti ai poliziotti. Anoressia, bulimia, depressione a vari stadi, crisi d´identità e stravolgimenti tali da cambiare il fisico e i connotati del volto. Eccole, sdraiate nel lettino dello psicoterapeuta, le figlie innocenti di mafia, per le quali si compie la tragedia "edipica", spesso rimarcata dalle immagini televisive, di un padre arrestato, ammazzato, di una "scoperta", tanto improvvisa quanto dirompente in un sistema familiare quale quello mafioso che appariva così rassicurante, granitico, troppo monolitico per essere reale.
Dopo le mogli, i figli maschi, i genitori, gli zii, i nonni, la psicologia analizza il ruolo delle figlie femmine nella famiglia mafiosa, finite sotto la lente degli studiosi che da dieci anni a Palermo, guidati dal professor Girolamo Lo Verso, hanno avviato un filone di ricerche, apprezzato in Europa e negli Stati Uniti, sugli aspetti legati alla psiche dei mafiosi e sull´interpretazione profonda dei loro comportamenti. Ad aprire la strada una tesi di Francesca Abate che ha esaminato queste figure partendo dai racconti e dai test a cui sono state sottoposte tre figlie di mafiosi di un piccolo comune della provincia di Trapani.
Accantonati i possibili e facili pregiudizi si è materializzato l´universo sensibile di piccole donne che soffrono il crollo di una figura paterna creduta buona, imbattibile, in grado di proteggerle da tutto e da tutti. Il momento dell´arresto spesso coincide con la scoperta di una verità pesante, al punto da essere rifiutata contro ogni evidenza. È il dramma del dover prendere consapevolezza che il genitore è un efferato assassino e allo stesso tempo essere prese dall´angoscia di perdere il fondamentale appoggio, morale e materiale, che fino a quel momento il padre ha garantito.
Spesso le ragazze reagiscono in modo drammatico. è l´aspetto fragile delle tante facce spietate di Cosa nostra. Nonostante le accuse dei giudici, le sentenze, le prove a carico dei padri, queste donne continuano quasi sempre ad averne un´immagine idealizzata.
L. ricorda così quella brutta mattina: «Dormivo nel lettone con i miei genitori. Suonarono alle 5,30 del mattino. Era la polizia. Prima ci dissero che si trattava di una semplice perquisizione. Poi, un poliziotto disse a mio padre: "È il caso che si vada a vestire, c´è un mandato di arresto per lei"». E tra le lacrime rievoca: «A quel punto scoppiai a piangere e incominciai a tremare. Un agente mi è venuto incontro, si è seduto accanto a me sul letto per consolarmi, io gli dicevo "mio padre è il più buono del mondo", lui rispondeva: "non ti preoccupare se è innocente presto ritornerà a casa"». Solo grazie a una psicoterapia L. ha ripreso a comunicare con gli altri, ma ci sono voluti sei mesi di analisi.
Mentre ammanettavano il marito per portarlo in carcere, la madre le chiamava, ma M. e la sorella continuavano a restare «bloccate, ferme, immobili, scioccate. Non avevamo capito quello che era successo».
Per V. la scoperta è stata anche più traumatica. All´inizio era troppo piccola per capire e la detenzione del genitore le era stata tenuta nascosta. Aveva undici anni quando un giorno le capitò di leggere gli atti processuali, lasciati distrattamente dalla madre sul tavolo del soggiorno. Fu uno choc apprendere le gravi accuse rivolte dai magistrati al genitore. Solo un primo tentennamento. «All´inizio - dice - ho pensato che le aveva fatte veramente, poi mi sono convinta che era impossibile. Non ce lo vedevo come persona».
L´arresto o la morte di un genitore, di cui apprendono spesso dalla televisione, rappresenta per queste ragazze il crollo di ogni punto di riferimento e di certezza, una frantumazione dell´identità. Di fronte a una situazione del genere, con il rischio di impazzire, di perdere al bussola, queste ragazze non vogliono, forse non possono vedere la realtà delle cose. Come è capitato in una famiglia mafiosa dell´agrigentino, dove l´arresto del padre provoca in due figlie forti disturbi alimentari, mentre una terza s´è messa in testa che «deve prendere il posto di papà».
Andare a trovare il padre in carcere è un altro momento difficile da sopportare e da elaborare per una ragazzina: «Mi ricordo - dice L. - che quando dovevo entrare diventavo fortissima, tiravo un sospiro, entravo e stavo per un´ora con il sorriso. Volevo apparire quello che non ero a casa? Poi quando si chiudeva il portone e i detenuti uscivano, scoppiavo immancabilmente in lacrime».
«Queste figlie - afferma Girolamo Lo Verso - si trovano in bilico tra l´appartenenza e la dissociazione dal monolitismo mafioso. È arduo trovare lo spazio per un´identità propria, scegliere il cambiamento. Il risultato, a cui approdano sempre più frequentemente, è chiedere un aiuto psicologico. Siamo, dunque, in un mondo permeato da sofferenza, incertezza e confusione, in due parole davanti al disagio psichico».
una domanda
su Salute di Repubblica
una segnalazione di Sergio Grom
Repubblica Salute 22.4.04
dall'EDITORIALE
La violenza che esplode in famiglia
di Guglielmo Pepe, direttore di Salute
g.pepe@repubblica.it
una domanda conclude l'editoriale di Guglielmo Pepe su Salute di Repubblica di questa settimana. La risposta lì non c'è
(...)
Queste tragedie sono conseguenza della "cattiva" società (o del governo "che fa poco nei confronti della famiglia")? Non credo. Però è vero che le contraddizioni e i problemi del nostro vivere quotidiano esplodono troppo facilmente tra le mura di casa. Le pareti invece di resistere, come accadeva una volta, oggi sono più fragili. E chi ci rimette sono sempre le persone più deboli. Cosa si può fare?
Repubblica Salute 22.4.04
dall'EDITORIALE
La violenza che esplode in famiglia
di Guglielmo Pepe, direttore di Salute
g.pepe@repubblica.it
una domanda conclude l'editoriale di Guglielmo Pepe su Salute di Repubblica di questa settimana. La risposta lì non c'è
(...)
Queste tragedie sono conseguenza della "cattiva" società (o del governo "che fa poco nei confronti della famiglia")? Non credo. Però è vero che le contraddizioni e i problemi del nostro vivere quotidiano esplodono troppo facilmente tra le mura di casa. Le pareti invece di resistere, come accadeva una volta, oggi sono più fragili. E chi ci rimette sono sempre le persone più deboli. Cosa si può fare?
fantasy
Zefiro n. 3 - 7 aprile 2004
Variazioni sul tema
di Paolo Izzo
Costosissimi progetti aerospaziali portano dei robot dove l'uomo non può ancora arrivare. Adesso è il momento di Spirit e di Opportunity, che rullano beatamente sul pianeta Marte. Ma l'esplorazione dello spazio non si ferma qui e il nostro sistema solare è trafficato di satelliti e sonde di ogni tipo che osservano, controllano, scoprono
Spazi pericolosi
«Signor presidente, ci sono importanti novità. Non le abbiamo ancora divulgate, per vagliare con lei ipotesi e strategie. Ebbene, la sonda Peace and Hope si trovava nell'orbita di Giove quando per un errore di calcolo ha sfiorato uno dei satelliti del pianeta: Ganimede. Poteva trasformarsi in una catastrofe, la sonda è transitata a meno di dieci chilometri dal satellite e lì ci sono catene montuose che toccano gli ottomila metri! Invece questo passaggio radente è stato provvidenziale. Abbiamo attivato gli impianti videoterminali di Peace and Hope, ottenendo rilevazioni a dir poco sbalorditive. C'è vita, signor presidente! Esseri umani, edifici, strade. Evidentemente il grado di evoluzione è assai basso: Ganimede, laddove non ci sono montagne, è pressoché desertico; il freddo e il caldo devono alternarsi con escursioni termiche insopportabili. Ma immagini qualcosa che si avvicina all'Africa. Ecco, sembrava di sorvolare certe zone del Sahara Ciononostante c'è vita; una vita organizzata, semplice, apparentemente pacifica».
«Mi scusi se la interrompo, generale. Ha detto apparentemente pacifica?».
«Sissignore, signor presidente. Non potrei giurare su questo, non si saranno nemmeno accorti del passaggio della nostra sonda. Ma dalle riprese sembravano intenti alla vita di tutti i giorni».
«Non potrebbe giurare sembravano Le faccio un'altra domanda, generale: come crede che affrontino quelle escursioni termiche che lei giudica insopportabili?».
«Dispongono di sconfinati giacimenti di energia, una specie di petrolio credo, cui sono collegati in maniera molto rudimentale e dispersiva».
«Ah, ecco! E come possiamo sapere se davvero, come dice lei, si tratta di una popolazione semplice, pacifica, rudimentale addirittura. Lei ha parlato di Africa, ma a me sinceramente venivano in mente Iraq, Afghanistan, Iran Soltanto ricordi spiacevoli, insomma. Dove c'è una fonte di energia deve esserci senz'altro un sistema di difesa e soprattutto un sistema di attacco. Nonché un qualche dittatore di turno che gestisce il potere! Le faccio un'ultima domanda, generale, prima che mi porti a vedere i video registrati a Ganimede: nell'eventualità di attacchi terroristici provenienti da questo satellite, quanto impiegherebbero i nostri ragazzi a raggiungerlo e a liberarlo?».
Variazioni sul tema
di Paolo Izzo
Costosissimi progetti aerospaziali portano dei robot dove l'uomo non può ancora arrivare. Adesso è il momento di Spirit e di Opportunity, che rullano beatamente sul pianeta Marte. Ma l'esplorazione dello spazio non si ferma qui e il nostro sistema solare è trafficato di satelliti e sonde di ogni tipo che osservano, controllano, scoprono
«Signor presidente, ci sono importanti novità. Non le abbiamo ancora divulgate, per vagliare con lei ipotesi e strategie. Ebbene, la sonda Peace and Hope si trovava nell'orbita di Giove quando per un errore di calcolo ha sfiorato uno dei satelliti del pianeta: Ganimede. Poteva trasformarsi in una catastrofe, la sonda è transitata a meno di dieci chilometri dal satellite e lì ci sono catene montuose che toccano gli ottomila metri! Invece questo passaggio radente è stato provvidenziale. Abbiamo attivato gli impianti videoterminali di Peace and Hope, ottenendo rilevazioni a dir poco sbalorditive. C'è vita, signor presidente! Esseri umani, edifici, strade. Evidentemente il grado di evoluzione è assai basso: Ganimede, laddove non ci sono montagne, è pressoché desertico; il freddo e il caldo devono alternarsi con escursioni termiche insopportabili. Ma immagini qualcosa che si avvicina all'Africa. Ecco, sembrava di sorvolare certe zone del Sahara Ciononostante c'è vita; una vita organizzata, semplice, apparentemente pacifica».
«Mi scusi se la interrompo, generale. Ha detto apparentemente pacifica?».
«Sissignore, signor presidente. Non potrei giurare su questo, non si saranno nemmeno accorti del passaggio della nostra sonda. Ma dalle riprese sembravano intenti alla vita di tutti i giorni».
«Non potrebbe giurare sembravano Le faccio un'altra domanda, generale: come crede che affrontino quelle escursioni termiche che lei giudica insopportabili?».
«Dispongono di sconfinati giacimenti di energia, una specie di petrolio credo, cui sono collegati in maniera molto rudimentale e dispersiva».
«Ah, ecco! E come possiamo sapere se davvero, come dice lei, si tratta di una popolazione semplice, pacifica, rudimentale addirittura. Lei ha parlato di Africa, ma a me sinceramente venivano in mente Iraq, Afghanistan, Iran Soltanto ricordi spiacevoli, insomma. Dove c'è una fonte di energia deve esserci senz'altro un sistema di difesa e soprattutto un sistema di attacco. Nonché un qualche dittatore di turno che gestisce il potere! Le faccio un'ultima domanda, generale, prima che mi porti a vedere i video registrati a Ganimede: nell'eventualità di attacchi terroristici provenienti da questo satellite, quanto impiegherebbero i nostri ragazzi a raggiungerlo e a liberarlo?».
Marco Müller, che invitò "Il cielo della luna" al Festival di Locarno
Corriere della Sera 23.4.04
Venezia, contratto speciale per Muller
Croff sul direttore: regole di massima trasparenza, niente conflitto d’interessi
Acque agitate alla Biennale a quattro mesi dall’inizio della Mostra del cinema affidata, dopo la travagliata crisi dopo l’allontanamento di Bernabè-de Hadeln, a Marco Muller. Che certamente non è orientato a destra, ha firmato per il terrorista Battisti, ma piace al ministro di Forza Italia, è organizzatore di Festival (Pesaro, Rotterdam, Locarno) e produttore in proprio col gruppo «Fabrica» sponsorizzato da Benetton, guarda caso industriale veneto, e la Downtown, legata alla Rai e al Luce. Su questo presunto conflitto di interessi ha tuonato anche in un’intervista al Corriere veneto il consigliere Valerio Riva, delegato da Galan, rallentando i lavori e offuscando l’immagine. Per Davide Croff, neo presidente della Biennale, tutto ciò non assume il valore di un problema, ma è solo un tema che verrà risolto. «Sapevamo tutti benissimo dell’attività di Muller che infatti stiamo disciplinando contrattualmente con un meccanismo civile, di totale trasparenza, che sarà presentato al Consiglio il 27 aprile. Una polemica che giudico inopportuna. Certo che la Biennale si tutelerà: ma per esempio valuteremo anche il danno del tipo di aggressione di cui siamo stati vittime, ben sapendo che dopo la sua nomina Muller non ha firmato alcun contratto».
Molti si chiedono come mai hanno riscoperto l’acqua calda: Muller da sempre è un produttore. «La vera preoccupazione - dice Giampaolo Letta presidente della Medusa - è che tutto ciò, già noto da tempo e ora sollevato in modo pretestuoso, non rallenti la preparazione e il lavoro, mettendo in difficoltà il nostro cinema e la Biennale stessa. Esprimo tutta la mia preoccupazione: noi Muller lo stimiamo da tempo e sono sicuro che saprà risolvere il problema delle scelte». Dicono alla Biennale che il nuovo contratto gli proibirà in modo tassativo di fare il produttore finché sarà al Lido: quattro anni nel contratto. Le sue società proseguiranno, ma lui ne sarà fuori. Se non rispetta il patto, dicono, sarà un problema non solo morale ma anche legale.
In realtà il problema del conflitto riguarda anche critici e registi come Lizzani (che infatti non diresse film quando fu alla Biennale) o Pontecorvo: sarà risolto quando le nomine saranno durature e non precarie, come accade a Cannes o a Berlino, dove i direttori restano anche 20 anni. Il nuovo statuto, la Fondazione, i privati andranno in questa direzione? Ma Valerio Riva, il consigliere polemico, non intende sospendersi.
«Ormai sono esperto in conflitti di interessi e mi riservo quindi di osservare con attenzione il nuovo contratto di Muller, avere tutte le prove. Io da consigliere non posso fare attività concorrenziale alla Biennale e sarei obbligato a sostenere il quinto delle spese di un’eventuale causa persa con qualche produttore inferocito. La verità è che Muller ci è stato imposto. O lui o Giannini. Io ho pronunciato invano il nome di Garcia Marquez. Ma non si può accettare a occhi chiusi il fatto che dopo la sua nomina, Muller abbia firmato un contratto per tre film con Rai e Luce».
Molti gettano acqua sul fuoco, proprio mentre Cannes sta per aprire un’edizione ricca. Giancarlo Leone per Rai Cinema dice a Box Office che il problema non sussiste: ci saranno, dopo il mancato premio a Bellocchio, i film di Amelio e Placido, insomma grande presenza della Rai, che riprenderà la serata di chiusura. Il ministro Urbani rilancia sul conflitto di Muller: «È una sciocchezza detta da una persona sciocca». Poi si lancia: «Muller è in America ora, sarà la mostra più bella degli ultimi cinque anni e forse avremo Spielberg come presidente della giuria». In realtà Spielberg, che sta per iniziare un film sulla strage alle Olimpiadi di Monaco, porterà al Lido il suo film Terminal con Tom Hanks, odissea di un emigrante che rimane senza Paese natìo; ma per ora non risulta altro.
Venezia, contratto speciale per Muller
Croff sul direttore: regole di massima trasparenza, niente conflitto d’interessi
Acque agitate alla Biennale a quattro mesi dall’inizio della Mostra del cinema affidata, dopo la travagliata crisi dopo l’allontanamento di Bernabè-de Hadeln, a Marco Muller. Che certamente non è orientato a destra, ha firmato per il terrorista Battisti, ma piace al ministro di Forza Italia, è organizzatore di Festival (Pesaro, Rotterdam, Locarno) e produttore in proprio col gruppo «Fabrica» sponsorizzato da Benetton, guarda caso industriale veneto, e la Downtown, legata alla Rai e al Luce. Su questo presunto conflitto di interessi ha tuonato anche in un’intervista al Corriere veneto il consigliere Valerio Riva, delegato da Galan, rallentando i lavori e offuscando l’immagine. Per Davide Croff, neo presidente della Biennale, tutto ciò non assume il valore di un problema, ma è solo un tema che verrà risolto. «Sapevamo tutti benissimo dell’attività di Muller che infatti stiamo disciplinando contrattualmente con un meccanismo civile, di totale trasparenza, che sarà presentato al Consiglio il 27 aprile. Una polemica che giudico inopportuna. Certo che la Biennale si tutelerà: ma per esempio valuteremo anche il danno del tipo di aggressione di cui siamo stati vittime, ben sapendo che dopo la sua nomina Muller non ha firmato alcun contratto».
Molti si chiedono come mai hanno riscoperto l’acqua calda: Muller da sempre è un produttore. «La vera preoccupazione - dice Giampaolo Letta presidente della Medusa - è che tutto ciò, già noto da tempo e ora sollevato in modo pretestuoso, non rallenti la preparazione e il lavoro, mettendo in difficoltà il nostro cinema e la Biennale stessa. Esprimo tutta la mia preoccupazione: noi Muller lo stimiamo da tempo e sono sicuro che saprà risolvere il problema delle scelte». Dicono alla Biennale che il nuovo contratto gli proibirà in modo tassativo di fare il produttore finché sarà al Lido: quattro anni nel contratto. Le sue società proseguiranno, ma lui ne sarà fuori. Se non rispetta il patto, dicono, sarà un problema non solo morale ma anche legale.
In realtà il problema del conflitto riguarda anche critici e registi come Lizzani (che infatti non diresse film quando fu alla Biennale) o Pontecorvo: sarà risolto quando le nomine saranno durature e non precarie, come accade a Cannes o a Berlino, dove i direttori restano anche 20 anni. Il nuovo statuto, la Fondazione, i privati andranno in questa direzione? Ma Valerio Riva, il consigliere polemico, non intende sospendersi.
«Ormai sono esperto in conflitti di interessi e mi riservo quindi di osservare con attenzione il nuovo contratto di Muller, avere tutte le prove. Io da consigliere non posso fare attività concorrenziale alla Biennale e sarei obbligato a sostenere il quinto delle spese di un’eventuale causa persa con qualche produttore inferocito. La verità è che Muller ci è stato imposto. O lui o Giannini. Io ho pronunciato invano il nome di Garcia Marquez. Ma non si può accettare a occhi chiusi il fatto che dopo la sua nomina, Muller abbia firmato un contratto per tre film con Rai e Luce».
Molti gettano acqua sul fuoco, proprio mentre Cannes sta per aprire un’edizione ricca. Giancarlo Leone per Rai Cinema dice a Box Office che il problema non sussiste: ci saranno, dopo il mancato premio a Bellocchio, i film di Amelio e Placido, insomma grande presenza della Rai, che riprenderà la serata di chiusura. Il ministro Urbani rilancia sul conflitto di Muller: «È una sciocchezza detta da una persona sciocca». Poi si lancia: «Muller è in America ora, sarà la mostra più bella degli ultimi cinque anni e forse avremo Spielberg come presidente della giuria». In realtà Spielberg, che sta per iniziare un film sulla strage alle Olimpiadi di Monaco, porterà al Lido il suo film Terminal con Tom Hanks, odissea di un emigrante che rimane senza Paese natìo; ma per ora non risulta altro.
Cogne
Repubblica 23.4.04
Il risultato degli accertamenti effettuati dall'esperto tedesco Da un frammento osseo altra conferma alle accuse del Ris
di MEO PONTE
AOSTA - L´assassino del piccolo Samuele indossava il pigiama. Per l´esattezza durante il delitto aveva addosso i pantaloni dell´ormai celebre pigiama azzurro di Annamaria Franzoni. E´ questa la conclusione della perizia effettuata dal professor Herman Schmitter di Francoforte, al quale il giudice per l´udienza preliminare di Aosta, Eugenio Gramola, il 13 ottobre 2003 aveva affidato il compito di analizzare la distribuzione delle macchie di sangue rilevate sull´indumento. In venti pagine scritte in tedesco e debitamente tradotte in italiano l´esperto di Francoforte di fatto conferma la consulenza tecnica dei carabinieri del Ris di Parma su cui la Procura della Repubblica di Aosta aveva fondato l´accusa contro Annamaria Franzoni, la madre della piccola vittima.
E a sostenere la tesi dell´accusa si affianca anche la perizia del professore del Politecnico di Torino Piero Boccardo a cui il gup aveva chiesto di accertare la compatibilità tra il frammento di osso rinvenuto sulla manica del pigiama della madre di Samuele e una macchia scoperta sul lenzuolo del letto dove era stato ucciso il piccolo la mattina del 30 gennaio 2002. Le oltre cento pagine scritte dal professor Boccardo si chiudono infatti sostanzialmente con l´affermazione che il piccolo frammento osseo «è stato in contatto» con la traccia rilevata sul lenzuolo.
Le perizie, depositate pochi giorni fa, saranno illustrate al giudice lunedì mattina nel corso dell´udienza preliminare che deciderà il destino di Annamaria Franzoni. Il fatto che il responso degli esperti confermi sostanzialmente le analisi fatte dai carabinieri del Ris di Parma e contro cui si era più volte scagliato il difensore della madre di Cogne, l´avvocato Carlo Taormina, è una vittoria della Procura di Aosta e può far prevedere il rinvio a giudizio di Annamaria Franzoni, l´unica indagata per l´uccisione del piccolo Samuele, che però si è sempre dichiarata innocente.
Sulle tracce di sangue scoperte sul pigiama e sugli zoccoli di Annamaria Franzoni d´altronde era ruotata l´intera inchiesta sul delitto di Cogne.
Un´indagine partita la mattina del 30 gennaio 2002 quando nello chalet della frazione Montroz di Cogne Annamaria Franzoni, rientrando a casa dopo aver accompagnato Davide, il figlio più grande, alla fermata dello scuolabus aveva scoperto Samuele, appena tre anni, con la testa fracassata. I sospetti degli investigatori si erano subito addensati sulla madre della piccola vittima, in particolare quando i carabinieri del Ris analizzando la scena del crimine avevano trovato macchie di sangue del bimbo sul pigiama e sugli zoccoli della donna. La vicenda però si era ben presto dilatata trasformandosi in una intricata storia densa di colpi di scena che ha appassionato l´opinione pubblica per mesi.
Il 13 febbraio Annamaria Franzoni e il marito, Stefano Lorenzi, avevano lasciato Cogne per tornare nella casa del padre di lei a Monteacuto Vallese, in provincia di Bologna. Lì la notte del 13 marzo la madre di Samuele era stata raggiunta dai carabinieri di Aosta con l´ordinanza di custodia cautelare che ordinava il suo arresto e il trasferimento nel carcere torinese delle Vallette emessa dal gip Fabrizio Gandini. Il 30 marzo però il Tribunale del Riesame di Torino aveva accolto le tesi del difensore della donna, l´avvocato Carlo Federico Grosso che, avvalendosi della consulenza medico-legale del professor Carlo Torre, uno dei più noti medici legali italiani, aveva contestato l´accusa della Procura di Aosta. Annamaria Franzoni era tornata in libertà ma il suo nome era rimasto iscritto nel registro degli indagati. E il 30 giugno i giudici della Cassazione a cui avevano fatto ricorso i magistrati aostani, il procuratore capo Annamaria Del Savio Bonaudo e Stefania Cuggie, avevano annullato la decisione del Riesame torinese. Il 4 ottobre un nuovo tribunale del Riesame di Torino aveva confermato l´ordinanza del gip Gandini. Nel frattempo diversi protagonisti della vicenda era cambiati. Nel luglio Annamaria Franzoni aveva cambiato difensore, sostituendo il professor Grosso con l´avvocato Carlo Taormina. Carlo Torre si era dimesso da consulente tecnico mentre la famiglia Franzoni aveva addirittura organizzato un ufficio stampa per gestire le notizie riguardanti il caso. Annamaria Franzoni, che intanto era rimasta incinta, non era però tornata in carcere. La Cassazione il 31 gennaio aveva rinviato la decisione ad un terzo Riesame torinese ma l´avvocato Carlo Taormina aveva chiesto la revoca dell´ordinanza di custodia cautelare direttamente allo stesso gip che l´aveva emessa. Gandini, dopo un accertamento psichiatrico per stabilire la pericolosità sociale dell´imputata, aveva deciso di lasciare la donna a casa. Il 3 luglio scorso la Procura di Aosta aveva chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio e il pm Cugge, anche lei incinta, era stata sostituita dal sostituto procuratore Pasquale Longarini, titolare delle più delicate inchieste della Vallèe. Il 16 novembre davanti al giudice Eugenio Gramola era iniziata l´udienza preliminare nel corso della quale Taormina che da tempo contestava le indagini del Ris di Parma aveva chiesto una superperizia affidata ai professori Boccardo e Schmitter.
Il risultato degli accertamenti effettuati dall'esperto tedesco Da un frammento osseo altra conferma alle accuse del Ris
di MEO PONTE
AOSTA - L´assassino del piccolo Samuele indossava il pigiama. Per l´esattezza durante il delitto aveva addosso i pantaloni dell´ormai celebre pigiama azzurro di Annamaria Franzoni. E´ questa la conclusione della perizia effettuata dal professor Herman Schmitter di Francoforte, al quale il giudice per l´udienza preliminare di Aosta, Eugenio Gramola, il 13 ottobre 2003 aveva affidato il compito di analizzare la distribuzione delle macchie di sangue rilevate sull´indumento. In venti pagine scritte in tedesco e debitamente tradotte in italiano l´esperto di Francoforte di fatto conferma la consulenza tecnica dei carabinieri del Ris di Parma su cui la Procura della Repubblica di Aosta aveva fondato l´accusa contro Annamaria Franzoni, la madre della piccola vittima.
E a sostenere la tesi dell´accusa si affianca anche la perizia del professore del Politecnico di Torino Piero Boccardo a cui il gup aveva chiesto di accertare la compatibilità tra il frammento di osso rinvenuto sulla manica del pigiama della madre di Samuele e una macchia scoperta sul lenzuolo del letto dove era stato ucciso il piccolo la mattina del 30 gennaio 2002. Le oltre cento pagine scritte dal professor Boccardo si chiudono infatti sostanzialmente con l´affermazione che il piccolo frammento osseo «è stato in contatto» con la traccia rilevata sul lenzuolo.
Le perizie, depositate pochi giorni fa, saranno illustrate al giudice lunedì mattina nel corso dell´udienza preliminare che deciderà il destino di Annamaria Franzoni. Il fatto che il responso degli esperti confermi sostanzialmente le analisi fatte dai carabinieri del Ris di Parma e contro cui si era più volte scagliato il difensore della madre di Cogne, l´avvocato Carlo Taormina, è una vittoria della Procura di Aosta e può far prevedere il rinvio a giudizio di Annamaria Franzoni, l´unica indagata per l´uccisione del piccolo Samuele, che però si è sempre dichiarata innocente.
Sulle tracce di sangue scoperte sul pigiama e sugli zoccoli di Annamaria Franzoni d´altronde era ruotata l´intera inchiesta sul delitto di Cogne.
Un´indagine partita la mattina del 30 gennaio 2002 quando nello chalet della frazione Montroz di Cogne Annamaria Franzoni, rientrando a casa dopo aver accompagnato Davide, il figlio più grande, alla fermata dello scuolabus aveva scoperto Samuele, appena tre anni, con la testa fracassata. I sospetti degli investigatori si erano subito addensati sulla madre della piccola vittima, in particolare quando i carabinieri del Ris analizzando la scena del crimine avevano trovato macchie di sangue del bimbo sul pigiama e sugli zoccoli della donna. La vicenda però si era ben presto dilatata trasformandosi in una intricata storia densa di colpi di scena che ha appassionato l´opinione pubblica per mesi.
Il 13 febbraio Annamaria Franzoni e il marito, Stefano Lorenzi, avevano lasciato Cogne per tornare nella casa del padre di lei a Monteacuto Vallese, in provincia di Bologna. Lì la notte del 13 marzo la madre di Samuele era stata raggiunta dai carabinieri di Aosta con l´ordinanza di custodia cautelare che ordinava il suo arresto e il trasferimento nel carcere torinese delle Vallette emessa dal gip Fabrizio Gandini. Il 30 marzo però il Tribunale del Riesame di Torino aveva accolto le tesi del difensore della donna, l´avvocato Carlo Federico Grosso che, avvalendosi della consulenza medico-legale del professor Carlo Torre, uno dei più noti medici legali italiani, aveva contestato l´accusa della Procura di Aosta. Annamaria Franzoni era tornata in libertà ma il suo nome era rimasto iscritto nel registro degli indagati. E il 30 giugno i giudici della Cassazione a cui avevano fatto ricorso i magistrati aostani, il procuratore capo Annamaria Del Savio Bonaudo e Stefania Cuggie, avevano annullato la decisione del Riesame torinese. Il 4 ottobre un nuovo tribunale del Riesame di Torino aveva confermato l´ordinanza del gip Gandini. Nel frattempo diversi protagonisti della vicenda era cambiati. Nel luglio Annamaria Franzoni aveva cambiato difensore, sostituendo il professor Grosso con l´avvocato Carlo Taormina. Carlo Torre si era dimesso da consulente tecnico mentre la famiglia Franzoni aveva addirittura organizzato un ufficio stampa per gestire le notizie riguardanti il caso. Annamaria Franzoni, che intanto era rimasta incinta, non era però tornata in carcere. La Cassazione il 31 gennaio aveva rinviato la decisione ad un terzo Riesame torinese ma l´avvocato Carlo Taormina aveva chiesto la revoca dell´ordinanza di custodia cautelare direttamente allo stesso gip che l´aveva emessa. Gandini, dopo un accertamento psichiatrico per stabilire la pericolosità sociale dell´imputata, aveva deciso di lasciare la donna a casa. Il 3 luglio scorso la Procura di Aosta aveva chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio e il pm Cugge, anche lei incinta, era stata sostituita dal sostituto procuratore Pasquale Longarini, titolare delle più delicate inchieste della Vallèe. Il 16 novembre davanti al giudice Eugenio Gramola era iniziata l´udienza preliminare nel corso della quale Taormina che da tempo contestava le indagini del Ris di Parma aveva chiesto una superperizia affidata ai professori Boccardo e Schmitter.
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