venerdì 14 gennaio 2005

da Habermas ai Referendum

L'Unità 14.1.05
HABERMAS, LA GENETICA, I REFERENDUM
di Demetrio Neri
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Quale nesso puo esistere tra Habermas e l'attuale discussione sulla legge 40 e sui referendum? I lettori di questo giornale hanno visto richiamato il pensiero del grande filosofo tedesco nell'articolo di Paolo Prodi e nella successiva lettera di Carlo Flamigni e, qualche giorno fa, le tesi di Habermas sulla genetica sono state al centro dell'intervento di Francesco D'Agostino (presidente del CNB) al convegno sulla legge 40 organizzato da Politeia a Milano. Ho brevemente replicato a D'Agostino nel concludere quel convegno, veramente esemplare per qualità degli interventi e rispetto del pluralismo delle idee, e vorrei ora esplicitare le mie riflessioni, anche perché non è improbabile che il pensiero di Habermas continuerà ad essere richiamato nelle discussioni sui referendum sulla legge 40. In breve, il contesto del discorso è il seguente: la legge 40 va difesa perché pone dei severi limiti al ricorso alla procreazione medicamente assistita e alla diagnosi pre-impianto e questi limiti non sono il frutto di pregiudizi di matrice religiosa, perché possono essere difesi su basi razionali e laiche, tanto che su di essi converge il pensiero di un filosofo come Habermas, della cui laicità nessuno può dubitare. Smettiamola dunque con la vecchia e sterile contrapposizione, tutta italiana, tra laici e cattolici e smettiamola di dire che la legge 40 è una legge cattolica (tecnicamente non lo è, ma sicuramente è stata fortemente voluta dai cattolici): quel che è in gioco - ha scritto Prodi - non è questa vecchia diatriba, ma nientedimeno che il destino stesso dell'umanità. L'argomento non farebbe una grinza, se non fosse che si tratta di mera retorica e utilizza Habermas in maniera del tutto impropria. L'argomento è mera retorica perche dà per scontato che se il mio potenziale avversario dice qualcosa a favore della mia tesi, la mia posizione ne viene avvalorata: ma non è così, perché può darsi benissimo che anche il mio avversario sia in errore. Il mero fatto che una tesi sia sostenuta da Habermas (o da chiunque altro) non la rende automaticamente vera e definitiva e credo che Habermas stesso protesterebbe contro questo modo di usare il suo pensiero: egli stesso, infatti, scrive in tutta umiltà che il suo è solo un "tentativo, nel senso letterale del termine" per affrontare le questioni della genetica. A mio parere, è un tentativo insoddisfacente e provo adesso a sintetizzare le considerazioni che ho avuto già modo di presentare al convegno di Assisi ricordato nella lettera di Flamigni. Habermas ragiona sulle conseguenze dell'ingegneria genetica, in particolare della diagnosi pre-impianto nel contesto del ricorso alle tecniche di procreazione assistita, e osserva che "ciò che costituisce un problema non è ovviamente l'ingegneria genetica, ma la modalità e lo spettro delle sue applicazioni". Tali applicazioni, scrive Habermas, hanno conseguenze che toccano direttamente i presupposti morali della nostra stessa forma di vita: "Possiamo considerare l'autotrasformazione genetica della specie come un mezzo per accrescere l'autonomia individuale, oppure questa strada metterà a repentaglio l'autocomprensione normativa di persone che conducono la loro vita portandosi mutuo ed eguale rispetto?". Al già lungo elenco di cio che l'ingegneria genetica mette a repentaglio, Habermas aggiunge l'autocomprensione etica di soggetti capaci di azione e linguaggio, liberi e uguali, la nostra stessa forma di vita, insomma. Questo accade nel momento stesso in cui tali applicazioni rendono possibile scegliere chi nasce e sia pure in prospettiva predeterminarne il corredo genetico. Noi possiamo continuare a pensarci come persone libere ed uguali solo se viene assicurata l'intangibilità della casualità della nascita che, par di capire, trova il suo suggello nel casuale mescolarsi dei geni al momento della fecondazione. Per la verità, io non sono per niente sicuro che la nostra autocomprensione etica di genere, di persone libere ed eguali, sia così strettamente connessa alla "datità naturale della dotazione organica". Ripercorrendo mentalmente i processi storico-culturali di formazione della nostra forma di vita, centrata sulla "figura moderna dell'universalismo egualitario", non trovograndi tracce di questo nesso: anzi, non abbiamo fatto altro che lottare (vittoriosamente, almeno nelle civiltà occidentali) contro il peso della datità naturale, riconoscendoci liberi ed eguali non sulla base, ma contro tutte le datità naturali che, di volta in volta, venivano evocate: la datità del sesso, del censo sociale, del colore della pelle, dell'orientamento sessuale e così sia. Come ha scritto Giovanni Sartori, l'eguaglianza e il concetto politico più innaturale che esista. Non capisco bene, quindi, cosa ci sia di così pregevole nella datità casuale della nascita, tanto da farne il valore fondante della nostra forma di vita, da preservare da ogni insidia rendendolo giuridicamente indisponibile. Ma Habermas si rende conto che la radicalità della sua argomentazione rischia di toccare anche le eventuali applicazioni benefiche della genetica e in effetti lungo tutto il libro egli va alla ricerca del criterio per salvare certe applicazioni, quelle riconducibili dentro il rapporto clinico terapeutico, cui si è richiamato anche D'Agostino nell'intervento al convegno sopra ricordato. E' un intento umanamente apprezzabilissimo: come si fa a mettere sullo stesso piano un intervento per evitare malattie gravissime e uno - poniamo il caso - per scegliere il colore degli occhi? Il fatto è pero che gli argomenti che Habermas mette in campo contro i pericoli della genetica "liberale" che egli intende criticare sono argomenti contro l'ingegneria genetica tout court, che non consentono di fare distinzioni tra questa o quella applicazione: sarebbe lungo chiarire perché è così, ma alla fine Habermas stesso ci rinuncia. Cosicché la conclusione è drastica, ancorché non molto nuova: smettiamola di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di tutti gli esseri viventi e quindi chiudiamo i laboratori di biologia molecolare. Come da tempo aveva chiesto Hans Jonas e, se non ricordo male, almeno nei prinii anni '90,anche Giuliano Pontara. Rendere giuridicamente indisponibile la base naturale dell'etica di genere significa proprio chiudere per legge e senza eccezioni questo campo di ricerca e tutte le sue applicazioni, magari anche ordinando agli scienziati di non sapere e di non fare ciò che sanno e fanno da almeno quaranta anni. A me questo sembra il massimo dell'astensionismo filosofico, una sorta di dixi et salvavi animam meam che può forse essere gratificante e consolatorio sul piano della coscienza individuale di chi lo dice, ma che è assolutamente sterile e inattuale in ordine all'esigenza e alla necessita di governare il cambiamento in atto. Scaturisce da qui la ragione per cui ho detto che il ricorso all'argomento di Habermas nel contesto della difesa della legge 40 e contro i referendum mi sembra improprio: Habermas non sta chiedendo che le applicazioni della genetica vengano sottoposte a controllo sociale, vengano plasmate e governate per fini che la società considera accettabili. Chiede che siano tolte di mezzo per legge e il suo argomento non ammette eccezioni. A che pro, dunque, evocarlo? Forse si rivela così il vero obiettivo di chi ha strenuamente voluto questa legge e la difende, sia pure come "male minore": non quello di regolamentare il ricorso a queste tecniche, ma quello di scoraggiarlo, ottenendo così per via traversa l'obiettivo che non è stato possibile ottenere per la via maestra di una legge composta da un solo articolo: è vietato tutto. Tra i tanti aggettivi usati per descrivere questa legge, "scoraggiante" mi sembra il più appropriato. La legge scoraggia i medici operanti nel settore (che hanno già protestato), perché li obbliga ad applicare una tecnica sotto vincoli e condizioni che la rendono, a seconda dei casi (ad esempio, l'età della donna) al tempo stesso meno efficace e più rischiosa dello standard già acquisito: un vero e proprio atto di malpractice. Scoraggia le coppie, alle quali il medico dovrà fornire informazioni sui "rischi per la madre e il/i nascituro/i" evidenziati dalla letteratura scientifica: ad esempio, dovrà dire che il rischio di mortalità materna triplica nel caso di gravidanze multiple (che questa legge favorirà) e per i nascituri passa da 6 su mille al 30 su mille per i parti gemellari e al 63 su mille per i parti trigemellari. Non posso moltiplicare gli esempi, ma mi sembra chiaro che sotto queste condizioni i medici farebbero bene a opporre l'obiezione di coscienza e le coppie a rivolgersi altrove, insieme a quelle che la legge già esclude possano far ricorso alla PMA. E' emendabile questa legge? Personalmente penso di no, perché è sbagliata non in singoli punti, ma nel suo impianto, nella sua filosofia, vorrei dire: scoraggiare, invece di regolamentare in modo anche umanamente (si pensi ai portatori di malattie genetiche) accettabile. Sono quindi rammaricato della decisione appena assunta dalla Consulta di dichiarare inammissibile il referendum radicale che ne proponeva l'abolizione. Restano in piedi gli altri quattro quesiti e, a questo punto, credo sia il caso di tornare ad interrogarsi su quale sia la strada migliore per portare avanti la battaglia.

*Ordinario di bioetica Università di Messina
Membro del CNB

crimini cristiani
bambini superstiti da "convertire"
la storia si ripete?

L'Unità 14.1.05
BIMBI MUSULMANI AIUTATI PER ESSERE CONVERTITI
Tsunami, il Washington Post accusa i missionari integralisti della Virginia: vogliono crescere i superstiti come cristiani
di Gabriel Bertinetto


Emergenza tsunami, ghiotta occasione di proselitismo cristiano. Con questo atteggiamento, condannato dalla stragrande maggioranza delle altre organizzazioni umanitarie, il gruppo missionario della Virginia WorldHelp ha trasportato trecento orfani indonesiani dalla provincia di Aceh alla capitale Jakarta, per assisterli non solo materialmente ma anche spiritualmente. Laddove per soccorso spirituale si intende la rieducazione dei bambini, in gran parte provenienti da famiglie musulmane, secondo i precetti del Vangelo.
WorldHelp ha pubblicizzato l'iniziativa sul proprio sito: "Normalmente Banda Aceh è chiusa agli stranieri ed al Vangelo. Ma a causa di questa catastrofe i nostri collaboratori laggiù stanno acquisendo il diritto ad essere ascoltati e stanno consentendo l'accesso alla predicazione evangelica. Quei bambini sono senza casa, senza genitori, traumatizzati, non hanno un posto dove andare, dove dormire, e niente da mangiare. Se possiamo sistemarli in una casa per ragazzi cristiani, la loro fede in Cristo potrebbe diventare la base d'appoggio per raggiungere di popolo di Aceh".
Quando la stampa statunitense ha reso pubblica la storia, quel testo in qualche modo autoaccusatorio è subito scomparso dal sito web. Ma il reverendo Vernon Brewer, presidente di WorldHelp, si è affrettato inizialmente a spiegare che le autorità indonesiane erano comunque consenzienti, cioè avevano dato il permesso al trasferimento dei trecento orfani a Jakarta nellla consapevolezza che sarebbero stati educati nella fede cristiana. Poi però ha dovuto fare marcia indietro, quando il portavoce del ministero degli Esteri indonesiano ha smentito qualunque coinvolgimento nella vicenza: "Non ne sappiamo nulla. Se fosse vero, sarebbe una grave violazione del divieto del nostro governo all'adozione di bambini colpiti dal disastro, e verrebbero presi provvedimenti appropriati". A quel punto, lo stesso Brewer ha dovuto prendere atto della realtà: "Abbiamo appreso che il governo ci rifiuta l'autorizzazione ad ospitare quei bambini in un orfanotrofio non musulmano. Non è chiaro a questo punto che sviluppo avrà la faccenda, dove e da chi saranno infine assistiti i trecento orfani.
Con riferimento ad altri, ma non meno gravi rischi inerenti forme sbagliate di assistenza umanitaria, Amnesty International ha lanciano un allarme riguardante alcuni dei paesi colpiti dal maremoto. In Sri Lanka ad esempio si moltiplicano "le denunce di violenza sessuale nei confronti delle donne nei campi degli sfollati" e si teme che i bambini rimasti orfani vengano arruolati come guerriglieri dalle "Tigri" tamil. In Thailandia vengono segnalati casi di "accanimento" della polizia nei confronti di immigrati di Myanmar che hanno perso i loro documenti d'identità. Le norme del diritto umanitario internazionale, afferma inoltre Amnesty, stabiliscono che "occorre fornire assistenza sulla base delle necessità, senza distinzione dovuta a razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di altra natura, origine sociale o nazionale, proprietà, nascita o altro status dei destinatari. Le operazioni di soccorso non dovrebbero essere utilizzate per mascherare trasferimenti forzati di popolazione, con l'obiettivo di stroncare il presunto sostegno a gruppi di opposizione".

sinistra
Valentino Parlato sull'assemblea di domani

L'Unità 14.1.05
Valentino Parlato
"IL BISOGNO DI SINISTRA È ANCORA FORTE"
Domani a Roma l'incontro del manifesto


Quali obiettivi deve raggiungere, secondo Valentino Parlato, il convegno organizzato dal Manifesto alla Fiera di Roma sabato prossimo?
Riuscire a dare, attraverso presenze e interventi, una rappresentazione di cosa e la sinistra oggi in Italia. Ecco: una foto realistica dello stato dei fatti sarebbe un risultato positivo.
Obbiettivo polemico rispetto alla sinistra italiana?
Più brutalmente: mentre ci sono tutti questi chiacchiericci su cosa combina o fa la rappresentanza della sinistra, una rappresentanza mentre tutti parliamo di crisi della rappresentanza, va dato il quadro reale di quel che pensano i compagni di sinistra. Spero non vengano solo dirigenti ma anche molti compagni per dire intanto: siamo così, questa e la nostra faccia.
Scusi Parlato, ma lei di quale sinistra parla?
Vede? Mi chiede di che sinistra parlo. Dieci anni fa non me lo avrebbe chiesto perché si sapeva cos'era la sinistra. Oggi non si capisce più.
Non si capisce perché c'è una crisi reale oppure...
Crisi reale. La sinistra ha subito una sconfitta Con la fine dell'Unione sovietica (lo lasci dire a me che sono stato radiato dal Pci perche criticavo l'Urss) e ancora non s'è ripresa. Il fatto che uno storico si affanni a scrivere sull'Unità che la parola socialista non deve essere cancellata è sintomatico. Cosa siamo? trovo positivo che su una rivista come Argomenti umani si dica finiamola con laterza via perché non ha senso. Insomma, la sinistra è in una crisi di orientamento, di obiettivi. Cosa vuole la sinistra rappresentata dai Ds? Un governo un po' meglio.
C'è un dibattito sul numero delle sinistre. Bertinotti sostiene che ne esistono almeno due.
Vecchia tesi di Bertinotti condivisa dai Ds. Io sono stato sempre polemico tanto che ho fatto arrabbiare anche Bertinotti. La tesi delle due sinistre è l'illusione di fare un accordo di duopolio: tu vendi carne, io pesce.
E invece qual è la realtà?
Bisogna accertarla. Per questo facciamo la riunione del 15.
Ci sarà la sinistra radicale, la sinistra della sinistra che ha alle spalle storie di frantumazioni e la cultura del meglio pochi ma buoni. Non s'innescheranno nuove lacerazioni?
Non ho questaa preoccupazione. Penso che tutti insieme per una giornata con ognuno che dice la sua è un bel modo di rappresentarci. Dopo di che si vede cosa fare. È possibile gettare le basi per una rinascita della sinistra? Adesso la sinistra non c'è pìu. L'idea del partito riformista dei Ds è una idea che vuole dissolvere la sinistra. Un passaggio da un partito di classe a uno d'opinione. Possiamo finire tutti nel blairismo? O come cavolo si pronuncia.
Ma la sinistra di Parlato si pone solo il problema della sua ricostituzione o ha anche risposte da dare a classi sociali e paese?
Certo. Non è solo un vediamoci allo specchio. Non vogliamo aggiustarci il trucco, ma fare la politica ha sempre la sua verifica nel che fare.
E che bisogna fare?
Intanto scelte nette di principio. La pace e la guerra. Poi bisogna chiedersi: il lavoro c'e ancora? lo ritengo di sì, ma è nascosto. Della classe operaia non parla più nessuno. Ecco, ridare presenza e soggettività al lavoro. Nel '55 ci fu la sconfitta alla Fiat perché era finito l'operaio di mestiere ed era arrivato l'operaio massa. Oggi siamo di fronte a un cambiamento ancora più importante. È il punto da affrontare. Perché, se il lavoro è finito non me ne frega niente essere di sinistra, cerco di fare i soldi e basta.
Ma secondo lei qual è il male oscuro della sinistra?
Nasce dalle trasformazioni della società. Trasformazioni che la sinistra non ha capito. Tutti abbiamo difficoltà a capire e allora ci si adatta alla politica politicante. La politica è ridotta alle sue stanze: che dicono quelli della Margherita o quegli altri dei Ds? Il male oscuro è la perdita di rapporto con la società. Da qui la crisi della democrazia e le sciocchezze come le primarie che sono una americanizzazione stupida, non intelligente, dello spettacolarismo.
Parlato, l'impressione è che per lei la sinistra si trovi in una crisi teorica e non in una crisi determinata da processi reali.
La crisi è dovuta a processi reali che hanno rotto alcune categorie di interpretazione e non si fa un ragionamento nuovo. La sinistra è quella che vuole uscire dal capitalismo, questo è il punto.
Domanda radicale: i processi reali che investono la società implicano ancora bisogno e spazio di sinistra?
Secondo me, sì. In un bel libro di Pierluigi Ciocca, Il tempo dell'economia, c'e un grafico dal 1820 al 2004. Racconta com'e andato il reddito e come l'eguaglianza nel mondo. Il reddito è cresciuto, la diseguaglianza pure. Siamo molto più diseguali di quanto non lo fossimo.

la rapida evoluzione dell'uomo

Le Scienze 12.01.2005
La rapida evoluzione dell'uomo
I geni associati allo sviluppo del cervello si sono evoluti più in fretta che in altri animali


I geni che regolano lo sviluppo e le funzioni del cervello si sono evoluti negli esseri umani molto più rapidamente che nei primati non umani e in altri mammiferi, grazie a processi di selezione naturale caratteristici della linea evolutiva umana. Lo ha rivelato uno studio pubblicato sul numero del 29 dicembre 2004 della rivista "Cell".
"Gli esseri umani - spiega Bruce Lahn dell'Università di Chicago, principale autore della ricerca - hanno ottenuto le loro capacità cognitive non grazie a poche mutazioni accidentali, ma mediante un enorme numero di mutazioni acquisite attraverso una selezione eccezionalmente intensa che ha favorito capacità cognitive più complesse. Spesso tendiamo a pensare che la nostra specie sia categoricamente differente dalle altre: forse qualche giustificazione c'è".
Dal punto di vista genetico, alcuni scienziati considerano l'evoluzione umana come un riepilogo del tipico processo di evoluzione molecolare. Per esempio, l'evoluzione di un cervello più grande sarebbe dovuta agli stessi processi che in altre specie hanno portato all'evoluzione di corna più grandi o zanne più lunghe. "Abbiamo mostrato che c'è una grande differenza - spiega invece Lahn. - L'evoluzione umana è, in effetti, un processo privilegiato perché coinvolge un gran numero di mutazioni in un alto numero di geni. Per ottenere così tanto in così poco tempo evolutivo, poche decine di milioni di anni, è necessario un processo selettivo che forse è categoricamente differente dai processi tipici dell'acquisizione di nuovi tratti biologici".
In poche parole, gli esseri umani moderni sarebbero il risultato di una linea evolutiva "privilegiata": per quanto riguarda i geni associati al cervello, la quantità di mutazioni nella linea che ha portato all'uomo è molto superiore a quella nelle altre specie esaminate dai ricercatori (macachi, scimpanzé, topi e ratti).

Argomento collegato: L'evoluzione del cervello

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checché ne dica la tv
Mussolini non fu un "buon babbone"

Corriere della Sera 14.1.05
Uno speciale stasera su Rai Tre. Mussolini, che da Rachele aveva già avuto Edda, divenuto dittatore cancello un passato dannoso per la sua immagine
COSÌ IL DUCE DISTRUSSE LA FAMIGLIA SEGRETA
Fece intemare in manicomio il figlio naturale Benito Albino e la madre
di Sergio Luzzatto


Non più tardi di tre mesi fa, nella trasmissione «Porta a porta» di Bruno Vespa, è andata in onda per l'ennesima volta, in cinquant'anni di «servizio pubblico »televisivo, la favola del buonuomo Mussolini. Con il sollecito contributo del maestro di cerimonie, i discendenti diretti del Duce - a cominciare dal figlio Romano - hanno riscaldato e servito a qualche milione di italiani l'antica minestra del Mussolini faccia dura ma cuore tenero. Un uomo, il Duce, tanto carezzevole con i bambini quanto mite con gli adulti compresi i suoi numerosi amici ebrei... E poi, scappatelle erotiche a parte, che incantevole padre di famiglia!
La leggenda del buonismo ducesco non è meno falsa oggi di quando venne inventata, sessant'anni orsono. Il meccanismo è quello consueto - scoperto, eppure insidioso - che fa leva sulle qualità private per suggerire pubbliche virtù. Se un dittatore è capace di affetti, o addirittura di amore, non significa forse che è un dittatore dal volto umano? Quando si coniuga al passato, il buonismo psicologico sottointende quasi sempre un «buonanimismo» ideologico. Rappresentato negli ultimi dodici giorni della vita sua e di Eva Braun, puo sembrare commovente perfino l'Adolf Hitler sposo in extremis nel bunker berlinese.
Io non so quanti fra gli affezionati telespettatori di Bruno Vespa avranno il modo e la voglia di sintonizzarsi, alle 21 di stasera, sulla terza rete della Rai, quando verrà trasmesso un documentario di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli intitolato Il segreto di Mussolini. In compenso,per avere avuto il privilegio di visionare in anticipo questo ottimo esempio di come si possa fare storia in televisione, mi sento di azzardare un pronostico. Se guarderanno il documentario da cima a fondo, non pochi cultori della favola intorno al buonuomo Mussolini si troveranno scossi nelle loro consolanti certezze. Perché qui, la petite histoire vale davvero a fare «Grande Storia»: è proprio scavando nella vita privata del Duce che emerge il contenuto intrinsecamente perverso della vita pubblica nell'italia del Ventennio. Il segreto di Mussolini, si fa prima a raccontarlo che a digerirlo. Nel 1915, quando il futuro Duce si era da tempo legato a Rachele Guidi e aveva avuto da lei la figlia Edda, un'altra suaa mante - la trentina Ida Dalser - glidiede il suo primogenito maschio: BenitoAlbino, che il bersagliere Mussolini legalmente riconobbe come proprio figlio naturale. Ma già negli anni successivi, ancora nel pieno della Grande Guerra, il Mussolini politico cercò di sottrarre il figlio alla madre, e tentò di far rinchiudere quest'ultima, cittadina austriaca, in una qualche patria galera. Quel che non riuscì all'ex leader socialista riuscì più facilmente al Duce del fascismo.
A partire dal 1926 Ida fu internata in manicomio, dapprima vicino Trento poi a Venezia, dove morì undici anni più tardi. Quanto a Benito Albino (cui mai più fu permesso di rivedere la madre), nel 1935 venne lui stesso dato per pazzo e rinchiuso nel manicomio milanese di Mombello, entro le cui mura si spense, nel 1942, a soli ventisei anni. Grazie alle ricerche degli autori in archivi pubblici e privati, segnatamente presso gli ex ospedali psichiatrici dove l'amante trentina e il primogenito maschio del Duce furono costretti a vivere e a morire, Il segreto di Mussolini restituisce questa tragedia familiare con una straordinaria vividezza di toni. Fra i documenti ritrovati, più di tutti colpiscono le lettere che per oltre un decennio Ida Dalser trovò il modo di trasmettere ai congiunti, nonostante l'occhiuta sorveglianza cui la donna venne sottoposta da un manicomio all'altro. Molte altre missive Ida inoltrò alle autorità fasciste, al papa Pio XI, a Mussolini in persona, chiedendo pietà per se stessa e per il figlio. Non una lucida follia, piuttosto una folle lucidità la accompagno durante i vent'anni intercorsi fra la nascita di «Benitino, il nostro piccolo grande amore» (come Ida lo definì in una lettera al Duce) e la morte (in crudo linguaggio burocratico) della «demente Dalser». La quale - dopo una rocambolesca fuga dal manicomio di Venezia, e l'immediata reazione della polizia fascista - si congedò dal figlio che le era stato rapito per sempre con parole tutt'altro che insensate: «Benito non piangere, porto il tuo cuore nella tomba».
Il documentario contiene materiale straziante, cui corrisponde peraltro una rara, quasi anglosassone asciuttezza nel commento. Ma di là dal registro piu immediatamente emotivo, il programma offre un contributo propriamente storiografico, nella misura in cui illustra la varietà di personaggi cui il regime fascista dovette fare ricorso perché il segreto di Mussolini potesse rimanere tale: così da preservare l'immagine oleografica di un uomo che alle quotidiane fatiche di Palazzo Venezia alternava l'incanto familiare di Villa Torlonia. Non solo il fratello del Duce, il potentissimo Arnaldo direttore del Popolo d'Italia; non solo il prefetto di Trento, i gerarchi della provincia, il buon fascista del luogo- tale Giulio Bernardi - che si rese disponibile ad «adottare» Benito Albino dopo il ricovero coatto della madre: tutta una pletora di medici compiacenti, di poliziotti senza scrupoli, di solerti vicini di casa lavorarono alla riuscita del complotto manicomiale. In questo come in infiniti altri casi che lo riguardavano meno direttamente,quello messo a punto dal buonuomo Mussolini si rivelò un sistema tanto capillare quanto efficace di intrusione nella vita privata e pubblica degli italiani: fu una macchina distruttiva di sentimenti, appartenenze, identità. Lo impararono a proprie spese la sorella, i cognati, le nipoti di Ida Dalser, intimiditi dal regime al punto di dover nascondere l'amore che continuavano a portare alla presunta pazza e al suo sfortunatissimo figlio. E lo imparò a proprie spese Giacomo Minella, la più toccante fra le diverse figure che gli autori del documentario hanno saputo ritrovare e intervistare. Collega di Benito Albino al corso telegrafisti della Scuola Navale di La Spezia, tale nipote di Giulio Bernardi si vide investito del ruolo di compagno-controllore del figlio naturale di Mussolini. Da marinaio, nei primi anni Trenta fu con lui nella lontana Cina, sforzandosi di soccorrerlo nel suo dramma identitario. Ma ancora oggi egli piange - con la suprema dignità con cui può piangere un novantenne - per essere stato usato dal fascismo come cane da guardia del suo migliore amico. Se potesse accomodarsi nel salotto televisivo di Bruno Vespa, anche Benito Albino sarebbe oggi un vegliardo di novant'anni. Al cospetto del maestro di cerimonie, chissà quali parole troverebbe per raccontare questa terribile storia dell'Italia mussoliniana: l'amante giovanile del dittatore ripudiata comeuna povera demente, il figlio primogenito separato con la forza da entrambi i genitori, il manicomio come un lugubre cimitero dei vivi, altrettante scene da Urss staliniana... Ma le spoglie del telegrafista Benito Albino riposano da sessant'anni nella fossa comune del cimitero di Limbiate, mentre i nottambuli spettatori di «Porta a porta» si lasciano cullare dalle facili melodie del suo fratellastro, il jazzista Romano Mussolini.
• Il documentario «Il Segreto di Mussolini» andrà in onda stasera alle 21, su Rai Tre. E' stato realizzato da due filmmaker italo-americani, Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli, in coproduzione con «La Grande Storia» di Rai Tre e con la partecipazione della Provincia Autonoma di Trento


week end: etruschi miti greci e Picasso

PROROGA
A Vulci gli eroi etruschi e i miti greci della tomba François


Nuovo prorogata, questa volta fino al 28 febbraio, per la mostra «Eroi etruschi e miti greci. Gli affreschi della tomba François tornano a Vulci». La cittadina, in provincia di Viterbo, è immersa in un parco archeologico che ospita numerose aree funerarie etrusche: nella necropoli orientale, in particolare, è possibile visitare la celebre tomba François. La mostra, ospitata nel museo archeologico del Castello della Badia, espone per la prima volta al pubblico gli affreschi staccati dopo il ritrovamento della tomba. È compresa nel prezzo del biglietto d’ingresso alla mostra una visita guidata all’Ipogeo.
Per ulteriori informazioni e per effettuare la prenotazione (che è obbligatoria): 0766.89298 oppure www.vulci.it.
PICASSO E LA SUA EPOCA
DONAZIONI A MUSEI AMERICANI


Fondazione Memmo, Palazzo Ruspoli,
via del Corso 418,
tel.06.6874704.
Fino al 23 gennaio

crimini cattolici
interviene di nuovo lo storico Alberto Melloni

Corriere della Sera 14.1.05
DIFFERENZE & COINCIDENZE
La «nota» e il «dispaccio» sui bambini salvati dai cattolici
di ALBERTO MELLONI


Su una nota del 23 ottobre 1946, che presenta gli ordini del Sant’Uffizio relativi ai bambini ebrei salvatisi in case cattoliche, la disputa non si placa. Un dispaccio del Sostituto della Segreteria di Stato Tardini al nunzio a Parigi datato 23 ottobre 1946 (cui alludeva un mio intervento) è stato pubblicato martedì dal Giornale . Questi due documenti - la nota e il dispaccio di ottobre, conservati entrambi a Issy - furono usati in quell’autunno e poi inviati al cardinale Gerlier il 30 aprile 1947. Andrea Tornielli è convinto che questo inoltro faccia di essi un solo atto «completo», taciuto dal Corriere della Sera perché più favorevole a Pio XII. Il dispaccio Tardini dice: 1) di non rispondere alle richieste dei rabbini o di farlo solo a voce; 2) di precisare che sono necessarie inchieste; 3) che gli orfani battezzati andranno cresciuti da istituzioni cattoliche; 4) che gli orfani non battezzati non possono essere «abbandonati o consegnati a chi non ne avesse diritto», ma che «altra cosa» sarebbe se i bambini fossero richiesti dai congiunti; 5) che «la decisione e i criteri» esposti hanno avuto l’augusta approvazione di Pio XII. Al di là di qualche sfumatura verbale, il dispaccio si nutre della stessa gelida burocrazia teologica del Sant’Uffizio che si riscontra nella nota.
Anche sul punto 4, che per me non si isola dal resto. La nota dispone di ridare i bambini ai genitori «ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo». Il dispaccio afferma che sarebbe «altra cosa» se i bambini non battezzati fossero richiesti dai parenti o dai genitori sfuggiti al genocidio, anziché da coloro che si apprestavano a fondare lo Stato d’Israele.
Il Sant’Uffizio di Pio XII rimase convinto di questa posizione (basta leggere la lettera che il cardinal Pizzardo manda il 23 gennaio 1953 sul caso Finaly, pubblicata da Germaine Ribière), mentre fra i vescovi si cercarono soluzioni più umane.
L’atteggiamento che presiede alle decisioni romane, per arrivare al 1946, supera interrogativi angoscianti (il 10 ottobre 1942 Pio XII domanda al suo delegato apostolico ad Istanbul «se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male») e riformula una diffidenza dura verso la fede d’Israele, verso il sogno di una terra, verso l’infinito dolore della Shoah. Non è uno scoop, ma un dovere, comprendere questo atteggiamento per come è stato, anziché occultarlo con casi e distinguo così sottili da far pensare (lo mostrano tre articoli a discolpa di Pio XII sul numero appena uscito della Revue d’Histoire Ecclésiastique ) alle esigenze di una beatificazione. A meno di dover credere che il mea culpa di Giovanni Paolo II sia stato pronunziato su un equivoco.

Papa Pacelli e la causa di beatificazione

LA CAUSA
Le polemiche suscitate dalla scoperta della direttiva con cui Pio XII ordinava che i bambini ebrei battezzati durante il nazismo non fossero restituiti alle famiglie ha riaperto la questione della beatificazione di papa Pacelli. E’ stata infatti fissata per la prossima primavera la prima discussione davanti alla Congregazione per le cause dei santi presieduta dal cardinale Josè Saraiva Martins.
I DOCUMENTI
«È assolutamente falso sostenere che la Santa Sede abbia bloccato la causa di beatificazione» ha detto padre Gumpel, il gesuita tedesco che ricopre la carica di postulatore nel processo canonico. «Tutto il materiale è stato raccolto e stampato ed è già nella disponibilità della Congregazione».
CORRIERE.IT
Tutti gli interventi apparsi sul «Corriere della Sera» intorno al caso dei bambini ebrei battezzati e papa Pacelli sono disponibili sul nostro sito www.Corriere.it

crimini cattolici
a Milano

Corriere deIla Sera 14.1.04
Il pm: violenze sessuali e molestie su ragazzi da 11 a 14 anni. Uno degli indagati è ancora in servizio

«Abusi su minori nel centro cattolico»
Milano, chiusa l’inchiesta su 4 educatori di una comunità legata alla Diocesi
di Paolo Foschini

MILANO - «...tanto da indurre alla fuga, almeno in un’occasione, un ragazzino albanese di undici anni che venne poi ritrovato tremante e terrorizzato nei pressi di un deposito della metropolitana». A volte non serve andar proprio nei dettagli di ogni atto giudiziario per farsi un’idea di cosa è brutto: forse basta la fine, basta immaginarsi quel ragazzino lì, uno fra gli altri, suoi coetanei o appena più grandi. Tutti vittime di abusi e violenze sessuali, vessazioni, maltrattamenti, minacce. E tutti ospiti di una fondazione di ispirazione cattolica, che almeno a livello locale rappresenta uno dei più importanti istituti d’accoglienza per minori sul territorio della Diocesi di Milano. Sotto accusa per l’inferno inflitto a quei ragazzi, adesso, ci sono quattro tra i laici che in quella comunità lavoravano da anni, uno dei quali tuttora al suo posto con ruoli anche di grande responsabilità: ed è la Procura di Milano che, al termine di un’inchiesta condotta con la collaborazione di altri operatori della casa, di quei quattro è ormai pronta a chiedere il rinvio a giudizio. L’istituto, che pure ha una lunga tradizione alle spalle, come molti altri analoghi, ha visto evolvere la sua missione iniziale insieme col mutare dei tempi. Una volta gli ospiti della comunità erano soprattutto figli di famiglie in difficoltà, piazzati lì dal Tribunale per i minori. Oggi sono tutti o quasi tutti ragazzini extracomunitari beccati in giro senza permesso di soggiorno e senza un adulto a farsene carico: ragazzi che i Servizi sociali del Comune dirottano appunto in istituti come quello in questione, pagando una retta che a Milano è compresa fra i 50 e i 100 euro al giorno per ciascun ragazzo. Attualmente la struttura finita nel mirino della magistratura ne accoglie una cinquantina, ma può arrivare a ospitarne alcune decine in più: ragazzi che una famiglia non ce l’hanno o che comunque ce l’hanno molto lontana. E che, se anche non lo è, purtroppo, quasi mai si trova in condizione tale da poter o voler chiamare i carabinieri di fronte a un’ingiustizia - chiamiamola così - subita magari da un figlio. Neppure quando il figlio incontra un orco.
Certo, l’inchiesta stessa ha appurato che non solo di orchi era fatta quella comunità. Anzi. I dipendenti che ci lavorano e che si occupano dei ragazzi a vario titolo sono quaranta o giù di lì (le rette del Comune non coprono neppure le spese) dai cuochi agli operatori specializzati. Per ogni ragazzo, una volta arrivato, viene preparato un progetto di studio, di lavoro, comunque di inserimento sociale: molti funzionano, pare. Ed è stata proprio la «parte sana» della struttura, in particolare un gruppo di pedagogisti, a convincere pian piano alcuni tra i ragazzi-vittima che sopportare in silenzio era un martirio peggiore del male. E che gli sfoghi di lacrime lungo le scale, le confidenze tra compagni di camera, insomma le voci, che ormai da anni andavano comunque correndo all’interno dell’istituto, dovevano essere trasformate in altrettanti verbali d’accusa, denunce con nomi e cognomi: per isolare gli «orchi» dagli altri e fare in modo che i buoni restassero e i cattivi se ne andassero...
I racconti dei ragazzi, che fotografano una serie di fatti specifici risalenti al periodo 1998-2001 e sono ora finiti nel fascicolo del pm Fabio De Siati, di cattivi ne hanno individuati quattro. Tutti dipendenti o ex dipendenti della fondazione. Due se ne sono andati ormai da tempo. Uno, formalmente allontanato quattro anni addietro, è stato comunque stipendiato fino a pochi mesi fa.
Ma il quarto è tuttora responsabile di una delle sezioni in cui le varie attività della fondazione sono divise. Ed è a lui che sono contestati - per quanto sia sempre arduo stilare una classifica dello squallore - alcuni dei comportamenti più violenti nei confronti dei suoi giovani ospiti: comprese le minacce, per indurli al silenzio, servendosi in maniera più o meno esplicita addirittura di «armi custodite nella cassaforte del suo ufficio». I particolari su ciò che un ragazzo di undici-quattordici anni, perché questa era la loro età media, può essere costretto a subire sono persino troppo ovvi per citarli: basti dire che le umiliazioni non erano solo di natura sessuale e comprendevano le punizioni più varie. Di qui l’accusa di maltrattamenti, in aggiunta a quella principale. L’inchiesta è stata chiusa a metà dicembre, il fascicolo consegnato agli indagati pochi giorni fa. In assenza di richieste difensive da parte loro, nei prossimi venti giorni, la Procura è pronta a mandarli a processo.

Cina

Corriere della Sera 14.1.05
Bombardieri russi alla Cina
In vista accordo strategico


MOSCA - Continua la politica di apertura della Russia nei confronti della Cina. Secondo quanto affermato da un responsabile dell’aviazione russa, Mosca potrebbe vendere alcuni dei suoi bombardieri strategici a Pechino. L’accordo, se stipulato, potrebbe comportare un incremento significativo del potenziale nucleare della Repubblica popolare. La proposta fa seguito all’annuncio che i due Paesi effettueranno entro l’anno esercitazioni militari congiunte: un fatto senza precedenti. Mosca potrebbe utilizzare i suoi Tu-22M3 e Tu-95, mostrare ai cinesi le capacità strategiche dei velivoli e quindi concludere la vendita.