mercoledì 15 ottobre 2003

Maya Sansa

Gazzetta del Mezzogiorno, brigatista per Bellocchio
Maya Sansa: «ho dovuto studiare gli anni di piombo»
di Osvaldo Scorrano


ROMA Due premi importanti – il Pasinetti alla Mostra di Venezia per la sua interpretazione in Buongiorno, notte di Bellocchio e la Targa speciale all'Efebo d'oro 2003 – consacrano Maya Sansa come una delle attrici più incisive e intense del nostro cinema dopo soli quattro anni di carriera. Romana («sono nata sull'Isola Tiberina»), ventottenne, occhi profondi e fortemente espressivi e ciuffo di capelli neri sulla fronte, Maya Sansa si gode il successo dovuto a due film molto apprezzati dal pubblico e dalla critica: La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio.
Malgrado le recenti affermazioni, si continua a parlare di lei come di una rivelazione. Non è stanca di essere ritenuta tale?
«No, non lo sono, anzi è una definizione che mi gratifica e mi fa apprezzare ancor più il mio lavoro».
Dietro al quale si scorge una forte determinazione. A cosa è dovuta?
«Sicuramente ai miei quattro anni di studio in una delle più prestigiose scuole di arte drammatica di Londra dove mi sono formata. Da lì è anche iniziata la mia carriera, perché frequentavo ancora l'Accademia quando Marco Bellocchio mi scelse per interpretare Annetta ne La balia, il film tratto dalla novella di Pirandello. Per farlo ho dovuto sostenere sei provini ricordo che ero molto emozionata. Ma si trattava della mia prima volta su un set».
E da lì è partita una collaborazione con Bellocchio. Com'è lavorare con lui?
«Emozionante, perché è il regista che mi ha fatto scoprire il cinema. Marco è straordinario e fin da «La balia» ho sentito che la mia sensibilità era vicina al suo modo di fare cinema. Dopo quella volta ho sperato di continuare a lavorare con lui, anzi era diventato il mio più grande desiderio».
Che si è realizzato con «Buongiorno, notte», il film sul caso Moro in cui lei interpreta la brigatista Chiara.
«È stato lui a cercarmi. Io, quando ho saputo che cercava un'attrice per questo film, fremevo dalla voglia di chiamarlo, ma conoscendolo ho preferito non farlo. Voleva una ragazza giovanissima per il ruolo di Chiara, che per passione entra nelle Brigate Rosse. Se deve essere giovanissima, io non sono più adatta, ho pensato dentro di me. Poi, mi ha chiamata la sua assistente e in seguito ho incontrato Marco, che mi ha fatto fare tre provini: stavo molto male ed ero ansiosa, il secondo infatti è andato malissimo, ma alla fine ce l'ho fatta. Mi sono documentata moltissimo su quel tragico episodio, ho letto Anna Laura Braghetti, Franceschini, Morucci, cercando di capire meglio il personaggio di Chiara, di avere le idee più chiare sul periodo degli anni di piombo. Ero felicissima di ritrovare Bellocchio, che per me è come una figura paterna».
S'è molto parlato della fuga di Bellocchio da Venezia per il mancato Leone d'oro. Ma come sono andate realmente le cose?
«È stata la stampa a enfatizzare e rendere negativa quella fuga. Il film era stato accolto molto bene ed era normale avere delle aspettative. Il premio lo si aspettava, ma c'è stata un'enorme tristezza alla notizia negativa e Marco, sapendo che il film a Roma stava andando benissimo, ha deciso di sconfiggere quella tristezza partendo per Roma».
«La meglio gioventù» e «Buongiorno, notte», Giordana e Bellocchio, due film e due registi diversi. Come ha vissuto queste esperienze?
«Quella con Bellocchio è stata gigantesca, bellissima, ma faticosa. Nel film di Giordana il mio personaggio non è il protagonista assoluto, perché è un film corale e l'esperienza vissuta è stata più leggera, ma egualmente bella e gratificante. La Mirella de «La meglio gioventù» è una donna solare, con cui non dovevo mettermi in discussione e confrontarmi, come invece è successo con Chiara del film di Bellocchio».
Lei compare anche in «A Levante», il «cortone» prodotto dal regista salentino Edoardo Winspeare presentato nel corso di «Negroamaro» la scorsa estate nel Salento.
«Ci sono per caso. Ero andata nel Salento ad accompagnare il mio compagno Fabrice Scott che era uno dei protagonisti e così mi sono trovata a fare un ruolo molto breve, quello di una cameriera. È stata l'occasione per passare dei giorni belli nel Salento, che è una terra che mi piace moltissimo: adoro il mare, la cucina e quel tipo di vita che si conduce, tranquilla e senza stress. Ed è stata anche l'occasione per ritrovare un amico come Edoardo Winspeare, del cui successo ottenuto con «Il miracolo» sono molto felice».

i basagliani

Corriere della Sera 15.10.03
Due giorni di studio sulla salute mentale per rilanciare la «riforma non attuata»: «Ambulatori squallidi e strutture chiuse nei weekend»
«Psichiatria, 25 anni dopo ripartiamo dalla Basaglia»
La denuncia della moglie e degli allievi dell’uomo che aprì i manicomi: troppe prescrizioni di psicofarmaci e misure di contenzione


ROMA - Nell’80 per cento dei servizi di psichiatria la blindatura delle porte, la contenzione dei malati più turbolenti e le telecamere a circuito chiuso sono ancora in funzione. Nella maggior parte degli ambulatori le visite restano incentrate esclusivamente sulla prescrizione e, spesso, sull’abuso di psicofarmaci, oltre che «su prestazioni psicoterapeutiche del tutto avulse dalla vita, dal contesto sociale della persona in difficoltà». Di strutture aperte 24 ore su 24, compreso il fine settimana, i giorni critici della follia, se ne contano davvero poche. Gli organici del personale extra medico presentano buchi di 5 mila unità. Così si trascina la psichiatria pubblica italiana a 25 anni dalla Basaglia, o «180», la legge che ha chiuso i manicomi. La denuncia arriva, penetrante e addolorata, proprio dai sostenitori e dagli animatori, sul campo, di quella rivoluzione. Domani e dopodomani i basagliani si riuniscono a Roma in un Forum sulla salute mentale dove verranno gettate le basi di una nuova associazione nazionale per il rilancio di un sistema ridotto all’asfissia. Tra i promotori, Franca Ongaro Basaglia, moglie e memoria storica dell’uomo che liberò i «matti». Al suo fianco gli allievi dello psichiatra, Franco Rotelli e Giuseppe dall’Acqua, e poi ancora Sergio Piro che lottò con lui per far uscire i prigionieri della mente dai manicomi.
A muoverli non è il bisogno di rimettere in discussione la legge. Tutt’altro. «Il tempo passa e la dissociazione tra dire e fare è diventata drammatica - spiega le finalità del Forum, Rotelli, direttore generale di una Asl campana -. Malgrado i proclami, malgrado una letteratura scientifica che riconosce la validità di questo modello, ci troviamo di fronte ad una realtà povera, deprimente. Il 90 per cento dei luoghi considerati di salute mentale sono ambulatori squallidi, dove nulla si muove. I manicomi giudiziari sono rimasti uguali a 20 anni fa. Poi, ogni tanto Castelli o Ciampi si accorgono che c’è qualcuno chiuso là dentro da 52 anni e gli danno la grazia. E infine le strutture residenziali, che hanno avuto uno sviluppo incontrollato». Si discuterà di problemi concreti, di necessità concrete. Secondo Rotelli è il momento più opportuno per avviare un dibattito energico ed efficace: «Per fortuna le alzate di ingegno per modificare la legge 180 sono morte per strada, non dobbiamo difenderci che dalla realtà». Si riferisce, lo psichiatra, al disegno di legge sulla riforma della «180», relatrice la forzista Maria Burani Procaccini, dove si prevedeva tra l’altro la creazione di strutture residenziali controllate e l’obbligatorietà della cura. Si sta lavorando sulla revisione di un testo unificato, ancora in alto mare.
Invece, il documento programmatico della futura associazione, diffuso sul sito www.forumsalutementale.it, ha raccolto in pochi giorni 500 adesioni.

Henry Miller, un inedito

Corriere della Sera 15.10.03
Un testo inedito dell’autore di «Tropico del Cancro»: «Quale male ha fatto all’umanità l’atto genitale che non osiamo parlarne senza vergogna?»
La letteratura secondo Henry Miller «Perché la vera arte non è mai oscena»

di HENRY MILLER


Mi interessa la vita, tutta la vita, in ogni suo aspetto. E la vita che conosco meglio è la mia. Esaminando la mia vita, descrivendola nei dettagli, mettendola spietatamente a nudo, ho la sensazione di rendere la vita, potenziata ed esaltata, a coloro che mi leggono. E questo mi sembra un degno compito per uno scrittore, un compito nel quale ho degli illustri predecessori. È indiscutibile che il sesso sia una parte fondamentale della vita. È anche un fatto comunemente riconosciuto che il ruolo del sesso, o la sua importanza nella vita di una persona, vari da individuo a individuo. Il problema sembra essere: quanta parte della realtà della vita, per quanto attiene al comportamento sessuale, può essere utilizzata in letteratura? Forse non si tratta neanche di questo ma piuttosto del modo in cui viene introdotto l’elemento sessuale. In breve, forse la questione potrebbe essere formulata in questo modo: Esiste un modo giusto e uno sbagliato di trattare il sesso in un’opera d’arte? E questo ci porta immediatamente alla domanda successiva: Il modo giusto è quello del moralista, del censore, del poliziotto? Ossia, se volete, è lo Stato, attraverso i suoi legislatori, l’arbitro supremo di ciò che è giusto o sbagliato, buono o cattivo, in materia di arte?
A me sembra che l’unico presupposto su cui si basano le attività censorie dei nostri guardiani morali sia che accedere alla letteratura proibita potrebbe spingerci a comportarci come animali. Ma questo significa denigrare il regno animale. E al tempo stesso mettere in caricatura la passione, il maggiore carattere distintivo dell’uomo. La gamma delle passioni umane è quasi illimitata, può raggiungere vette e abissi impensati. E proprio perché abbraccia tali estremi, la passione è la pietra di paragone della nostra umanità, e forse anche della nostra divinità. Tra tutte le creature della terra l’uomo è l’unica il cui comportamento è imprevedibile. C’è in noi qualcosa di tutto il creato. Se ci viene tolta la libertà, anche in minima misura, ci sentiamo spiritualmente frustrati e menomati. È la piena consapevolezza della nostra natura complessa e l'integrazione della miriade di elementi di cui siamo composti a renderci completi, a renderci umani. La religione può fare di noi dei santi, o anche solo dei buoni cittadini; ma quello che ci rende uomini, quello che ci rende umani fino in fondo, è la libertà. È una parola terrificante, libertà, per coloro che hanno trascorso la vita intera con la mente in catene.
In un saggio intitolato «Su alcuni versi di Virgilio», Montaigne scrive: «Che male ha fatto all'umanità l'atto genitale, così naturale, così necessario e così legittimo, che non osiamo parlarne senza vergogna, e lo escludiamo dalle nostre conversazioni più serie e comuni? Abbiamo il coraggio di pronunciare parole come uccidere , rubare , tradire ; e quell’altra parola osiamo solo pronunciarla sottovoce? Significa forse che meno ne parliamo e più siamo liberi di riempirne i nostri pensieri? Perché è buffo che le parole meno usate, meno scritte e più soffocate, siano le più conosciute e le più universalmente comprese. Non c'è persona di qualsiasi età o inclinazione morale che non le conosca bene quanto conosce la parola pane ...».
Sono sinceramente convinto che la paura e il terrore che l'osceno ispira, soprattutto nei tempi moderni, nascano dal linguaggio utilizzato piuttosto che dall'idea. È come se avessimo a che fare con dei tabù primitivi. Il fatto che certe parole, certe espressioni che vengono spesso, anche se non sempre, collegate al sesso, siano considerate «proibite» è in fondo del tutto fuorviante. Anche le persone che restano scioccate, addolorate, ferite o inorridite davanti a questi simboli scritti probabilmente usano quelle espressioni nella lingua parlata. Tutti sentiamo queste parole «immonde», «volgari», «brutte» ogni giorno, dalla culla alla tomba. Come mai, allora, e perché, non ne siamo diventati immuni? Quali sono le proprietà magiche che possiedono e da cui non possiamo difenderci? Faccio rilevare che è in particolar modo contro il loro utilizzo nella letteratura che si levano le obiezioni dei benpensanti. Ma perché mai la letteratura dovrebbe essere più sacra della lingua parlata? Scrivere non è un altro modo di parlare? La gioventù viene corrotta - questo è il venerabile termine che tiriamo sempre in ballo - solo dal linguaggio osceno? I corruttori dei giovani sono stati accusati in tutte le epoche di tante cose, e così diverse tra loro, che è difficile immaginare che la lista di questi «mali» possa essere allungata. Ed è sempre contro lo spirito stesso della vita che queste accuse vengono dirette. Ma la vita, come è stato ripetutamente dimostrato, rifiuta di lasciarsi limitare e contenere da codici morali, da leggi o decreti di qualsiasi tipo. Ciò che governa la vita è lo spirito, e lo spirito dell'uomo, che è essenzialmente divino, rimane inattaccabile. (...)
Non è possibile, mi chiedo a volte, che esista un motivo più profondo per la messa al bando dei libri «immorali»? Ho osservato che in molti casi l'autore di un'opera «oscena» è un uomo di verità. Frequentemente ha fatto uso del suo linguaggio discutibile e «licenzioso» per denunciare i mali della nostra vita. Le sue verità scandalizzano perché la verità è sempre nuda. L'inganno e l'ipocrisia, così come appaiono spesso nel nostro tempo, sono capaci di provocare negli uomini onesti l'uso di un linguaggio aggressivo, sconveniente. A essere sinceri, io stesso trovo che nella vita esiste ben poco che possa essere considerato «ripugnante», a meno che si tratti di male puro, che è una cosa rara. Non riesco veramente a capire come un argomento, uno stile o una trattazione possano essere condannati in sé e per sé. Se la nostra vita quotidiana è piena di bruttezza, è inevitabile che vi siano uomini che la descrivono e la rivelano in tutti i suoi molteplici dettagli. La verità sulla vita non può essere soffocata, così come la diffusione della conoscenza. L'unica cosa che la censura può sperare di ottenere è di rimandare l'inevitabile. Perché i libri, come tutte le altre cose di questo universo, vengono creati per rispondere alle nostre necessità, quelle più profonde. Appartengono allo spirito del tempo. Il pensiero torna sempre a galla. Se non riesce a venire alla superficie, attraverso i vari mezzi dell'arte, scaverà nel profondo, seguirà canali sotterranei e alla fine contaminerà le sorgenti stesse della vita. Inoltre, è abbastanza improbabile che le idee, per quanto ripugnanti, siano il prodotto di pochi individui mostruosi. Le idee sono nell'aria, come si dice, e l'artista non fa altro che usarle. È un fenomeno molto curioso anche il fatto che la cosiddetta letteratura oscena sia la più resistente di tutte le forme letterarie. Esiste dai tempi più antichi, e resiste, senza alcuna protezione, senza tanto baccano, nonostante tutto quello che si dice su di essa. C'è solo un altro tipo di letteratura altrettanto durevole, ed è quella che riguarda l'occulto. La prima evidentemente risponde a un qualche bisogno vitale, che non è possibile estirpare malgrado tutti i tentativi moraleggianti e di criminalizzazione, mentre la seconda risponde a quel senso del mistero che c'è in noi e che nessuna spiegazione scientifica o religiosa soddisferà mai.
Ogni giorno, nella foresta, nelle fattorie, sottoterra, nell'aria, in ogni angolo del nostro pianeta, le creature di questa terra, così come gli uomini e le donne, si abbandonano all'atto sessuale, e, se dobbiamo credere a uno scrittore come Rémy de Gourmont, spesso in modi che ci sconcerterebbero. L'unico linguaggio verbale con cui è ammesso descrivere questo stato di fregola cosmica è, attualmente, quello scientifico. L'allevatore di bestiame può scrivere i suoi opuscoli e trattati; il medico può raccontare in dettaglio i suoi casi di psicopatia; l'antropologo può descrivere le sue ricerche sulle abitudini sessuali dei popoli primitivi - ma al semplice scrittore di narrativa, a chi vorrebbe descrivere la vita che lo circonda in modo completo e libero, è vietato parlare. Eppure è il solo che può scrivere in modo appassionato e significativo, l'unico che è veramente distaccato, spiritualmente libero, che vede la vita nella sua interezza e può dunque essere onesto, veritiero, allegro e in fondo terapeutico .
(traduzione Bruna Tortorella)
Il testo qui pubblicato, inedito in Italia, è tratto dal volume: Henry Miller, «Una tortura deliziosa. Pagine sull’arte di scrivere», edizioni minimum fax, pagine 303, euro 9, in libreria in questi giorni

psichiatri lombardi

Il Giorno 15.10.03
Psichiatri lombardi: riformate la 180
di Paola D'Amico


Considerare la crisi acuta di un malato psichico alla stregua di un infarto e introdurre il principio del dovere alla salute - lo stesso che impone il casco a chi circola in moto e che porta a sanzionare chi non lo indossa - per il malato di mente che, dimesso dopo un ricovero, rifiuta le cure. Gli psichiatri lombardi chiedono un aggiornamento della legge 180. Attraverso un progetto di legge che, dopo i passaggi di rito in Commissione sanità e in Consiglio regionale, dovrebbe prendere la via della Capitale, si fanno promotori di un'integrazione che riempia un vuoto lasciato dalla legge. «Non vogliamo il ritorno ai manicomi. Ma riteniamo che i malati psichiatrici siano come tutti gli altri pazienti e come tali debbano essere trattati - hanno spiegato Claudio Mencacci, psichiatra al Fatebenefratelli, e Carlo Safiotti, presidente della commissione Sanità in Regione -. La legge Basaglia non deve essere snaturata ma integrata». Oggi la proposta sarà oggetto di un dibattito al convegno «I trattamenti senza consenso».
Due sono gli strumenti che si chiede di introducce: l'accertamento sanitario d'urgenza e il contratto terapeutico vincolante. «Oggi abbiamo l'accertamento sanitario e il trattamento sanitario obbligatorio - ha precisato Mencacci -. Due atti estremamente burocratizzati per i quali possono trascorrere giorni. Ma la crisi di un paziente psichico non aspetta. Nel primo caso da una segnalazione di familiari, del medico curante, di un vicino, si passa ad una visita a domicilio con uno specialista che bussa alla porta del soggetto. Che può anche rifiutarsi di aprirla. Nel secondo, il Tso, si passa al ricovero coatto, ma non c'è, ancora una volta, il concetto che la malattia psichica può essere un'urgenza. Tra proposta del medico, convalida, autorizzazione del Sindaco passano anche due giorni». Invece, la segnalazione di una crisi merita l'attenzione che si dà ad un infarto. Deve essere il 118 ad occuparsene.
E sul principio che il malato psichico è un paziente come tutti gli altri si basa anche la seconda integrazione della Basaglia.
«Oggi un malato dimesso dall'ospedale dopo un lungo ricovero può rifiutare le cure - spiega Mencacci -. Mi riferisco, naturalmente, a pazienti gravi, schizofrenici,che soffrono di delirio, di disturbo bipolare. Oggi non possiamo imporre loro di proseguire cure di cui avrebbero bisogno. La malattia psichiatrica va curata per mesi, anni, per la vita. Vorremmo, invece, evitare i cosiddetti "pazienti persi". Attraverso un contratto tra loro e gli operatori, cerchiamo di costringerli in modo soft alle cure. Il principio è quello del dovere alla salute. Chi non porta il casco in moto può essere multato. Non vogliamo rinchiudere chi soffre, ma costringerlo ad aderire alle cure. E così responsabilizzare operatori e familiari e medici curanti».