lunedì 7 febbraio 2005

sinistra
Bertinotti: «sì all'ospitalità ai radicali»

L'Unità 7.2.05

(...)
Una prima risposta, nel centrosinistra, arriva da Fausto Bertinotti: «La richiesta di Pannella all'Alleanza Democratica di dare corso al lavoro di ricerca e di formalizzazione dell'ospitalità va immediatamente raccolta». Secondo il segretario di Rifondazione comunista «le domande sulla legalità repubblicana meritano di essere accolte perché il funzionamento trasparente delle istituzioni è un bene comune. L'Alleanza Democratica è investita da una domanda forte di unità e di pluralismo che viene dal suo popolo e che si rivolge a tutte le sue componenti, come si è visto anche nel recente congresso dei Ds. L'ospitalità ai Radicali è un modo in più per raccogliere questa domanda che è anche una domanda di costruire un'alternativa alle destre». (...)

Fausto Bertinotti sarà oggi, lunedì:
a Radio Radicale, ore 10.15, "Filo diretto"
a Radio 24, ore 19.30
su Rai Uno, ore 20.30, a "Batti e ribatti"
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creazionismo...

L'Unità 7.2.05
Darwin Day
Creazionismo folcloristico all’italiana
Telmo Pievani


Fra pochi giorni avranno inizio le celebrazioni per l’anniversario della nascita di Charles Darwin, un utile pretesto per parlare di evoluzione in vista del bicentenario del 2009. Anche il nostro paese, con qualche ritardo, entra ora a pieno titolo in questa tradizione e offrirà al pubblico un ricco programma di eventi, come il Darwin Day che si terrà al Museo di Storia Naturale di Milano il 15 e 16 febbraio. A sottolinearne il rilievo internazionale, l’etologo Richard Dawkins, fra i più noti evoluzionisti contemporanei, ha deciso di festeggiare quest’anno il Darwin Day proprio a Milano, insieme a molti suoi autorevoli colleghi italiani.
Meno di un anno fa, l’Italia raggiungeva la ribalta internazionale per un motivo meno nobile - la rimozione di ogni riferimento alla teoria dell’evoluzione dalle indicazioni programmatiche per la scuola media riformata - inducendo lo stesso Dawkins, e con lui migliaia di scienziati e ricercatori, a firmare un appello per la sua reintroduzione. L’esito di questa protesta è sotto gli occhi di tutti: il ministro ha istituito un’apposita commissione per affrontare il caso, garantendo la conclusione dei lavori entro la metà di ottobre 2004. Quattro mesi dopo la scadenza non si ha alcuna notizia dei lavori di tale commissione e si è diffuso il luogo comune secondo cui, tutto sommato, si è fatto tanto rumore per nulla. Dopo l’enunciazione delle sconcertanti motivazioni pedagogiche della rimozione, la questione di come e quando sia opportuno insegnare l’evoluzione a scuola è stata semplicemente accantonata. Intanto, resta il dato di fatto: la voce che recitava «origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana» non c'è più. È allora quanto mai opportuno che il Darwin Day milanese, frequentato con passione da studenti e docenti, abbia scelto come tema del 2005 proprio l’evoluzione umana.
L’antievoluzionismo all’italiana non è il creazionismo americano, che da noi assume connotati folcloristici. È una strategia più indiretta, fatta di piccole furbizie, che si alimentano di un clima di diffidenza verso la scienza sempre più diffuso. Il «problema Darwin» va infatti al cuore dell’impresa scientifica e riguarda il modo in cui una società percepisce il valore della libera ricerca. I consulenti ministeriali e i politici di governo sono intervenuti nel merito specifico della vicenda rivelando una preoccupante inconsapevolezza del significato della teoria dell’evoluzione, e forse qualche incertezza anche a proposito del concetto di «teoria scientifica» in generale. Risulta quanto mai urgente la condivisione delle informazioni di base riguardanti l’evoluzione naturale e proprio per questo il Darwin Day lancerà sul web «Pikaia», il primo portale telematico interamente dedicato all'evoluzionismo e ai suoi aggiornamenti.
L’impressione è che i tentativi di marginalizzare la teoria dell’evoluzione si siano agganciati in modo bizzarro a quella scienza «confessionally correct» di cui notiamo le avvisaglie e di cui potremo ammirare le stupefacenti contorsioni filosofiche in occasione della prossima campagna referendaria. La bioetica italiana si avvia verso nuovi gloriosi approdi, come quello ipotizzato alcuni giorni fa secondo cui gli embrioni congelati sono sì «vita», e non grumi di cellule come una non meglio identificata «mistificazione» supporrebbe, ma che dopo un certo periodo potremo usarli per la ricerca, purché si prometta di non congelarne mai più. Insomma, la condizione di «vita» non sacrificabile è a tempo: dopo un po’ scade, basta mettersi d'accordo sulla data.
Il nostro paese, nonostante queste acrobazie che non rendono merito alle sensibilità ben più avanzate dei credenti, ha le energie intellettuali per tentare altre strade e per capire che la riflessione sui limiti della scienza è cosa ben diversa dal volerla rendere compatibile per forza con un particolare magistero teologico. Una di queste è quella di mostrare come la scienza sia una forma alta e indipendente di cultura, senza sudditanze e proprio per questo capace di dialogare con le altre forme di sapere. Al Darwin Day parteciperanno specialisti di discipline molto diverse, scienziati e non, per offrire al pubblico il fascino di una visione che, nella penna e negli occhi di un «ribelle di campagna» nato il 12 febbraio del 1809, ci regalò allora e ci regala ancora oggi, grazie a nuove prove genetiche e paleontologiche, la profondità della storia e la bellezza impagabile di sentirsi parte di un meraviglioso mondo naturale.

neonati ed antidepressivi

L'Unità 7.2.05
Da «Lancet»
Neonati in astinenza da antidepressivi


I neonati esposti durante la gravidanza agli antidepressivi di ultima generazione rischiano di sperimentare fin dai primi giorni di vita una sindrome da astinenza ai farmaci. L'allarme è contenuto in un articolo pubblicato sulla rivista «Lancet» da Emilio Sanz della Università di Laguna, in Spagna, che ha studiato i dati contenuti nell'archivio dell'Organizzazione mondiale della Sanità. Il database contiene informazioni provenienti da 72 paesi e basate su 3 milioni di registrazioni mediche. Sanz ha riscontrato, entro il novembre del 2003, 93 casi di somministrazione di antidepressivi inibitori della serotonina nelle madri associati alla sindrome da astinenza nei neonati. Sessantaquattro di questi casi sono stati riferiti all'uso della paroxitina, 14 alla fluoxetina, nove alla setralina e sette al citalopram.

castità? se la conosci la eviti...

L'Unità 7.2.05
Un fallimento i corsi che puntano sulla castità


I programmi di educazione sessuale basati esclusivamente sull’invito all’astinenza non funzionano. In Texas, secondo uno studio condotto dall’università A&M, i teenager di 29 scuole che avevano seguito corsi in cui si enfatizzava il ricorso all’astinenza sessuale, nei mesi successivi hanno incrementato la loro attività sessuale. Questo tipo di corsi sono stati fortemente voluti dal presidente Bush con l’intenzione di limitare le gravidanze in giovane età e le malattie a trasmissione sessuale. Il governo conta di spendere 130 milioni di dollari nel 2005 per finanziare corsi di questo genere in tutti gli Stati Uniti. Il fatto è - dicono i ricercatori - che i programmi che propagandano solo l’astinenza sessuale non offrono informazioni sul controllo delle nascite e sulle questioni di salute legate al sesso. «Chi ha immaginato questi programmi - dice Buzz Pruitt che ha coordinato lo studio - semba più interessato ai politici che ai ragazzi».

Cina

reporterassociati.org
Guerra preventiva e pericolo cinese
di Stefano Minutillo Turtur


l'articolo originale si trova QUI

Lo sviluppo economico e produttivo della Cina in questi ultimi anni ha allarmato tutti i paesi produttori più ricchi del mondo. Le previsioni della sua crescita hanno spaventato non tanto per la qualità della sua produzione, ma per le dimensioni mastodontiche del suo mercato che la porterà a dominare in tempi relativamente brevi l’economia mondiale. Da quando la Cina ha dichiarato il capitalismo fulcro della sua economia, il suo sviluppo ha bruciato velocemente molte tappe: si pensi al settore del tessile, dove la produzione cinese è già in una posizione dominante (vedi Multi Fyber Agreement) in evidente concorrenza con il maggior produttore mondiali di cotone, gli Stati Uniti.
In questo inizio del terzo millennio, il suo inserimento nel circuito economico internazionale rischia di sovvertire l’ordine vigente, rappresentando una grave minaccia soprattutto per coloro che ne detengono il potere. Le convenienti condizioni di sviluppo della Cina rappresentano per tutti quei paesi produttori che gravitano attorno le economie più forti un invito allettante e una promessa di ampi guadagni futuri.
Oggi siamo tutti americani; probabilmente domani saremo tutti cinesi.
Lo sviluppo economico della Cina, che storicamente aveva raggiunto livelli di civiltà “celestiali” nei vari capitoli del suo millenario impero, è stato frenato nei tempi da invasioni, crisi politico-sociali e dittature. Il potere economico nella storia è sempre stato di natura ciclica e mai sedentaria: fluttua nei secoli tra le mani degli uomini per passare di paese in paese, di continente in continente.
Tralasciando gli antichi imperi e le grandi civiltà, il ciclo del potere economico è brevemente rappresentabile in pochi importanti passaggi storici: così l’Italia all’inizio dello splendore delle sue arti umanistico- rinascimentali, fece del bacino del mediterraneo il centro commerciale del mondo allora conosciuto e più progredito, grazie soprattutto alla produzione tessile basata sulla lavorazione della seta proveniente dall’Oriente; la scoperta delle Americhe rese, nel XVI° secolo, la Spagna di Carlo V il paese più ricco di tutta la potente Europa.
Suo figlio Filippo II, però, fu incapace di amministrare le immense ricchezze che giungevano dal nuovo continente e ne dissipò la maggior parte nell’inutile sfarzo di una corte inetta e gravosa; all’inizio del ‘600, l’Olanda, arricchendosi sugli sperperi spagnoli, s’impose come prima potenza navale nel commercio marittimo, per poi essere scalzata, a metà dello stesso secolo, dall’Inghilterra, il cui moderno impero economico controllerà per secoli la rete degli scambi commerciali di quasi tutto l’emisfero.
Il fulcro economico mondiale si stabilizzerà nel continente europeo fino alla fine del Secondo conflitto, quando gli Stati Uniti d’America s’imporranno sulle economie del resto dei paesi sviluppati come unica superpotenza economica mondiale.
Oggi le previsioni di una rapida crescita economica da parte della Cina, liberata di alcune privazioni economiche e sociali imposte dal regime, sembra anticipare lo spostamento del baricentro del potere economico mondiale nell’area asiatica, preoccupando enormemente gli Stati Uniti, potenza economica egemone, i quali temono la concorrenza impari dell’elefante orientale. Il mercato cinese ha serie possibilità di affermarsi come nuovo centro economico mondiale in tempi stimati brevi.
Solo l’instabilità sociale, presente in tutta la Cina, con lo scoppio di crisi dovute a rivolte popolari, come quella che si è diffusa nell’ottobre del 2004 a Wanzhou, lungo il fiume Yangtze (per un banale incidente tra un facchino ed un dirigente statale che ha portato 10.000 persone a protestare nelle strade) rischia di rallentarne il suo rapido sviluppo.
Di fronte questo allarme proveniente dall’Oriente, nell’epoca del centrismo mondiale siamo testimoni della risposta statunitense in difesa della propria posizione dominante: così si spiega l’esigenza geopolitica della guerra in Afghanistan e l’attacco premeditato all’Iraq, giustificato dalla falsa certezza di trovare un Saddam Hussein carico di armi chimiche e batteriologiche (settore in cui la ricerca americana è all’avanguardia), ma che invece, come tutti sapevano, era pieno di €uro, valuta che ha sostituito progressivamente il dollaro nel commercio del petrolio iraqeno.
La guerra preventiva dell’amministrazione Bush altro non è che la manifestazione della necessità americana di controllo delle risorse energetiche ancora disponibili ed “usufruibili”, nel tentativo di continuare a detenere la supremazia in campo economico e, di conseguenza, politico contro tutte quelle minacce che attentano al suo potere.
Soprattutto contro quella che in questo momento emerge minacciosa lungo il perimetro della Grande Muraglia.

Stefano Minutillo Turtur
redazione@reporterassociati.org

america

Corriere della Sera 7.2.05
CHICAGO
Embrioni distrutti Il giudice: «Omicidio»


CHICAGO - «Eliminare un embrione è un omicidio». Con questa conclusione il giudice della Contea Cook ha stabilito che una coppia di aspiranti genitori può far causa alla clinica che ha per errore distrutto alcuni embrioni congelati. Per Jeffrey Lawrence, il magistrato, «un embrione è un essere umano» e la coppia ha diritto al risarcimento spettante ai genitori, i cui figli siano stati uccisi. Se confermata in appello, la sentenza potrebbe rendere molto difficile la vita alle cliniche dove si praticano terapie di fecondazione artificiale e ricerche sulle cellule staminali. La vicenda è iniziata quanto Alison Miller e Todd Parrish hanno avviato un’azione legale contro il «Centro per la Riproduzione Umana» di Chicago dopo essere stati informati che 9 embrioni - affidati nel 2000 alla clinica per tentare, al momento opportuno, la fertilizzazione artificiale - erano stati distrutti. Malgrado l’offerta di ripetere, gratuitamente, il tentativo, i due hanno fatto causa.

Cina

Corriere della Sera 7.2.05
CONTRORDINE
Cina: un bonus per le figlie femmine


PECHINO - Il governo di Pechino ha deciso di introdurre dei bonus destinati alle famiglie che hanno delle figlie femmine. Una misura estrema per arginare il fatto che in Cina nascono sempre meno bambine. Il fenomeno è un «effetto collaterale» della politica del figlio unico in vigore da più di 30 trent’anni, che ha consentito di contenere l’aumento demografico (i cinesi sono 1,3 miliardi), ma ha anche spinto molte madri a ricorrere alla pratica dell'aborto selettivo per assicurarsi un figlio maschio. Le ultime statistiche parlano di una proporzione di 119 maschi ogni 100 femmine. In questo modo la Cina potrebbe andare incontro nei prossimi anni a un forte sbilanciamento numerico fra i sessi: sono 40 milioni i cinesi che rischiano di restare single.

Ezra Pound 1885-1972

Corriere della Sera 7.2.05
GALLERIA
«S’infatuò per il Duce ma non fu mai antisemita Le sue idee su banche e usura sono ancora valide»


La gabbia zoologica («da belva feroce») dove fu rinchiuso nel 1945 a Pisa, prima di sparire per tredici anni nel manicomio criminale di Washington, è stata smantellata. Ma un’altra gabbia relega ancora Ezra Pound fra gli autori proibiti, prigioniero di una disputa infinita tra apologeti e detrattori, oggetto di culto o rimozione. Uno di quei «casi chiusi» che vengono ogni giorno riaperti. Caso politico, per l’appoggio che il poeta dell’Idaho diede a Mussolini e che gli costò l’accusa di tradimento. Caso psichiatrico, perché gli Usa evitarono un pubblico giudizio e una probabile sedia elettrica, inventando per lui una sentenza di follia. Caso letterario, in quanto questo doppio nodo continua a condizionare il riconoscimento critico dell’opera che ci ha lasciato. A sforzarsi di liberare l’ostaggio adesso è Piero Sanavio, con un’indagine - da sinistra - del suo pensiero e con una rilettura della vicenda processuale e dell’incarcerazione. Scopo esplicito: «Trasferire il Dante del Novecento in un’area non reazionaria».
Tentativo appassionato e arduo, il saggio La gabbia di Pound (Fazi editore, pp. 200, 15,50) rischia di suscitare diffidenze. Anzitutto in quella sinistra che, quasi applicando una pena accessoria, resta incerta se confinare i Cantos poundiani - assieme all’opera di altri maledetti come Céline - in una sfera di «arte patologica». Ma pure nella destra, che ha preteso di reclutarlo fra i profeti di ideologie regressive e ultrarazziste.
Sanavio, anglista e romanziere, comincia a esplorare l’universo di «uncle Ez» fin dal primo dopoguerra, «quando certi suoi testi sono considerati alla stregua di corpi di reato e scriverci sopra è come proclamarsi devoti del diavolo». Insomma, «intorno a lui c’è puzza di zolfo sia per gli errori politici sia per la mancanza di chiavi di decodificazione dei versi», e occuparsene «richiede coraggio». Ma lo studioso italiano ne è folgorato e, non appena ottiene il visto per gli Usa e approda a Harvard, stabilisce un contatto con il recluso del manicomio di Saint Elizabeth. Deve tradurre un suo poemetto, gli servono spiegazioni e approfondimenti.
Il poeta lo riceve più volte e, dopo un esordio faticoso nel 1954, tra i due si stabilisce un rapporto nel quale l’ammirazione per quello che Eliot aveva definito «il miglior fabbro» supera il disagio per l’alone sulfureo. Sanavio legge gli atti del processo intentato dal dipartimento di Stato, l’autodifesa del poeta, le perizie degli psichiatri, le testimonianze degli amici. Comincia a formarsi un’idea di che cosa sia stato il «tradimento» e la riassume in questo libro. Nel quale si sforza di non scivolare nell’apologia, riuscendoci. Spiega: «Per un italiano è difficile comprendere che il pensiero eretico di Pound nasceva dal populismo americano del West e del Mid West, dove destra e sinistra si erano pericolosamente confuse all’inizio del secolo, e si nutriva del "diritto alla protesta" sancito dalla Costituzione Usa, e sempre rispettato».
Quello stesso diritto, suggerisce, per il quale molti anni più tardi un’intera generazione avrebbe protestato contro la guerra del Vietnam, senza che nessuno si scandalizzasse. Insomma: la dottrina economica poundiana (ispirata agli studi eterodossi di C. H. Douglas, una sorta di no global ante litteram ) contestava le linee sociali della stagione di Roosevelt, il presidente che lui accusava d’aver oltrepassato i limiti consentiti della prassi democratica, tanto da definirlo «l’approssimazione politica più vicina alla dittatura, negli Stati Uniti». Mentre il regime fascista, anche nella stagione di Salò, ingenuamente gli appariva «non corrotto dalla lebbra capitalistica».
Da queste convinzioni erano fermentati i suoi furibondi discorsi da Radio Roma, nei quali chiedeva al suo Paese di non fare guerra all’Italia, vagheggiava radicali e bizzarre riforme monetarie e denunciava lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e la legge del «denaro che produce denaro», l’usura. E su quest’ultimo fronte era inevitabile che si scagliasse contro i banchieri di Wall Street, che erano in buona parte ebrei.
E qui siamo al punto che non può essere in alcun modo minimizzato, per quante attenuanti si vogliano accordare al poeta. E del resto, neppure Sanavio lo elude: «L’infatuazione per Mussolini fu identica a quella di tanti illustri anglosassoni prima del conflitto mondiale, tutti accecati dalla paura del comunismo. Ma, anche se Pound fece discorsi stupidi, e ne fece, non fu mai antisemita, come dimostrano i rapporti che mantenne fino all’ultimo con parecchi amici ebrei, a partire dal poeta Louis Zukofsky. (...) Non so se è colpevole. So però che i suoi ragionamenti su banche e usura mi sembrano giusti anche ora. E so che, a differenza di gente molto più compromessa di lui, Heidegger in testa, il vecchio Ezra ha pagato un prezzo altissimo, con palesi violazioni di diritti consacrati. La sua divina maledizione di poeta è stata anche la sua "santità" - la stessa di Villon, Rimbaud, Genet, Campana - e implica un rovesciamento dei punti di riferimento e delle moralità consacrate».
«Un uomo che cerca il bene fa il male... non mi sono mai dato al fascismo più di quanto mi sia dato a Joyce... come scrittore sono di tutti e di nessuno», disse Pound negli ultimi anni. E aggiunse, in un soprassalto d’orgoglio: «Se un uomo, qualsiasi uomo, può sostenere d’esser stato trattato da me in modo ingiusto per la sua razza, il suo credo politico o il colore della sua pelle, che quell’uomo si alzi e lo venga a dire».
Poi scelse un tempus tacendi , che secondo la figlia Mary de Rachewiltz andava interpretato come una dichiarazione d’innocenza. Un silenzio durato fino alla morte, nel 1972, a Venezia. Per la corte distrettuale americana che decise di rilasciarlo il 18 aprile 1958, rimaneva «spiritualmente confuso (...) non pericoloso, ma non guarito». Negli stessi giorni Eugenio Montale, raccontando sul Corriere la scarcerazione di quell’ingombrante «scheletro nell’armadio nazionale americano», promise: «Non ho letto né leggerò mai le trascrizioni dei suoi discorsi da Radio Roma. (...) Ma spero nella poesia che lui può darci ancora. Una poesia per poeti».

L’INEDITO
Quando gli editori francesi rifiutavano i «Cantos»

23 agosto 1957 St. Elizabeth Puoi cooperare con Rene Laubiès e/o includendo, piuttosto che farne un duplicato, ciò che ha fatto, ma che è bloccato? È riuscito a pubblicare un canto in una rivista, ho scordato quale. Ha tradotto uno dei cantos sugli Adams. In ogni caso incontralo se vai a Parigi. m(olto) s(inceramente) t(uo)
E. P.

Questa lettera inedita di Ezra Pound accenna alle ...

Questa lettera inedita di Ezra Pound accenna alle difficoltà editoriali che la sua opera ancora incontrava alla fine degli anni Cinquanta. Il poeta chiede a Piero Sanavio, a quel tempo pendolare tra Parigi e gli Usa, di aiutare Rene Laubiès (pittore astrattista nato in Algeria, con il quale è in contatto da anni), che si era sentito rifiutare dagli editori francesi Gallimard e Seuil la pubblicazione di alcuni «Cantos» poundiani da lui tradotti. Nonostante gli sforzi, dovettero passare quasi altri dieci anni prima che in Francia le Edizioni du l’Herne decidessero di mandare alle stampe due antologie critiche su Pound, curate da Sanavio e che comprendevano anche testi di Rene Laubiès.

L’odissea di un irregolare

Nato nel 1885 a Hailey, nello Stato dell’Idaho, Ezra Pound, terminati gli studi negli Stati Uniti, si trasferisce nel 1908 in Europa A partire dal 1919 comincia a realizzare la sua opera maggiore, i «Cantos», cui continuerà a lavorare fino alla morte. pubblicandone di volta in volta le varie parti
Si tratta di una sorta di storia universale in versi, la cui idea portante è costituita dalla convinzione dell’autore, per certi versi ossessiva, che la pratica dell’usura sia la fonte della corruzione umana
Dal 1925 Pound risiede in Italia, dove manifesta un entusiastico apprezzamento per il regime fascista, che contrappone alle corrotte democrazie liberali, a suo avviso dominate dal potere della grande finanza
Durante la guerra svolge un’attività di propaganda a favore dell’Asse e al termine del conflitto viene prima imprigionato e quindi ricoverato in un ospedale psichiatrico degli Usa, dal quale esce solo alla fine degli anni Cinquanta. Tornato in Italia, muore nel 1972
Al poeta americano è dedicato il libro di Piero Sanavio «La gabbia di Pound», uscito in tiratura limitata con Scheiwiller nel 1986, che ora torna in libreria, riscritto e arricchito di inediti, per l’editore Fazi

organicisti e feticisti:
il cervello di Einstein

Il Tempo 6.2.05
L’organo di Einstein, trafugato da un patologo, diventa il soggetto per un film di Hollywood Il cervello del genio si tinge di giallo
di FEDERICO DI TROCCHIO


A 50 ANNI esatti dalla morte di Albert Einstein il suo cervello, trafugato a suo tempo prima della cremazione, torna al centro dell'attenzione. Ed è naturalmente la televisione a promuovere l'evento. Il 17 gennaio l'emittente inglese Channel 4 ha mandato in onda in prima serata il documentario «The riddle of Einstein's brain» («Il giallo del cervello di Einstein») scritto e condotto per la Icon Film da due scienziati: il neurofisiologo Mark Lythgoe e il fisico Jim Al-Khalili, ambedue dell'University College di Londra. Hanno raccontato per l'ennesima volta la tortuosa odissea dei due grossi barattoli di vetro contenenti i 240 pezzi nei quali era stata divisa la più preziosa reliquia della genialità e hanno concluso con un "coup de théâtre" digitale: la costruzione di un modello tridimensionale dell'intero cervello basata sulle fotografie che vennero scattate subito dopo l'autopsia elaborate da un computer con la nuova tecnica della stereolythography. Si rinnova così, nella doppia ricorrenza del centenario della pubblicazione dei cinque articoli di Einstein che sconvolsero la fisica, e nel cinquantenario della morte dello scienziato, l'ingenua mitologia materialistica denunciata già nel 1957 da Roland Barthes in «Le cerveau d'Einstein». Neurologi e psicologi sanno bene che solo una parte (forse inessenziale) della genialità di Einstein può essere attribuita alla struttura del suo cervello, ma ciononostante in questi cinquant'anni a più riprese laboratori americani hanno analizzato fettine di quel cervello con risultati altrettanto incerti e vaghi di quelli ottenuti nello studio di minuscoli lembi della Sindone. Protagonista indiscusso è stato Thomas Harvey, l'uomo che, senza alcun motivo e senza alcuna autorizzazione, prelevò e fece a fette il cervello di Einstein, e che poi per cinquant'anni è andato in giro per l'America portandoselo dietro in due barattoli di vetro. Credeva che quel cervello avrebbe fatto la sua fortuna. Ma si sbagliava e, quando finalmente se ne è convinto, lo ha ceduto al Princeton Hospital, da dove lo aveva trafugato. La sua storia venne raccontata per la prima volta nel 1978 sul New Jersey Monthly da Steven Levy ed è stata poi ripresa in due libri (uno dei quali, «A spasso con Mr. Albert» di Michael Paterniti, è stato tradotto da Bompiani nel 2001) e in un video semiamatoriale prodotto dal fisico giapponese Kenji Sugimoto. Thomas Harvey era nel 1955 un giovane anatomopatologo del Princeton Hospital e aveva conosciuto Einstein una settimana prima che il fisico morisse, quando andò a casa sua per un prelievo di sangue e urine. Fu poi incaricato dell'autopsia, che fece in presenza di Otto Nathan, amico ed esecutore testamentario di Einstein, il quale però si tenne discretamente fuori dell'uscio e dichiarò poi di non essersi accorto dell'espianto del cervello, che nessuno del resto aveva autorizzato. Lo apprese il giorno dopo dalle pagine del New York Times e sia lui che Hans Albert, figlio di Einstein, si infuriarono e accusarono di furto il troppo disinvolto patologo. Ma non promossero alcuna azione legale contro di lui, sia per non creare uno scandalo sia perché la legislazione non offriva una rapida e chiara prospettiva di soluzione. Harvey portò il cervello a casa e da quel momento lo considerò proprietà personale, anche se questo gli costò il posto. Licenziato dall'ospedale girò infatti per l'America cambiando spesso attività, annunciando ogni tanto come imminente la pubblicazione dei risultati delle sue analisi sulla materia cerebrale di Einstein. Ma da solo non era in grado di approdare a nulla, e il suo nome è apparso solo come ultimo firmatario negli unici tre articoli scientifici pubblicati, in questi cinquant'anni, sulla struttura del cervello del padre della relatività. Ha concesso infatti fettine di quel cervello solo a chi gli ha garantito una "compartecipazione agli utili". La prima a ottenerle fu Marian Diamond, neuroanatomista della California University assieme alla quale pubblicò nel 1985, sulla rivista Experimental Neurology, «On the brain of a scientist: Albert Einstein». Da quell'articolo il mondo apprese che i neuroni di Einstein erano circondati da una quantità di cellule gliali (che hanno sostanzialmente una funzione nutritiva e di sostegno) superiore alla media. E questo faceva supporre che il suo cervello avesse un metabolismo più accelerato che poteva essere messa in rapporto con le prestazioni eccezionali. Dieci anni dopo Harvey si associò invece a Britt Anderson della University of Alabama per un nuovo studio. Questa volta risultò che la corteccia cerebrale del grande fisico presentava una singolare anomalia: era più sottile di quella dei comuni mortali, ma aveva una densità di neuroni molto superiore alla media. I cervelli di controllo erano, però, solo cinque. Nel 1999 fu Sandra Witelson, della McMaster University in Ontario (Canada), a poter disporre di parti del prezioso tessuto e assieme a lei e a Debra Kigar Harvey firmò l'articolo «The Exceptional Brain of Albert Einstein», apparso su «Lancet». La Witelson arrivò alla conclusione che nel corso dello sviluppo infantile le aree del linguaggio erano state parzialmente sacrificate a quelle della matematica. Il che quadrava con quanto si sapeva dello sviluppo mentale del piccolo Einstein, il quale cominciò a parlare solo a tre anni. Ma si trattava di cose già dette, e meglio, dallo storico della scienza Gerald Holton in un lungo saggio del 1972. Holton, uno dei più noti studiosi di Einstein, nonchè curatore delle carte dello scienziato conservate a Princeton, sostenne che i particolari successi ottenuti da Einstein possono essere attribuiti a un complesso di più fattori. Innanzitutto una peculiare struttura della personalità, definita da un lato da una forte capacità di rappresentazione visiva (legata probabilmente ad un predominio delle aree cerebrali deputate alla visione rispetto alle aree linguistiche), e dall'altro da un ritardo della competenza linguistica con difficoltà di linguaggio persistenti anche in età matura; in secondo luogo, ad una grande capacità di concentrazione associata ad una scarsa memoria e, infine, ad una grande (ma non eccezionale) abilità matematica. Sono queste forse le cose più sensate che si possono dire sulla singolare creatività dell'uomo che ha proposto l'immagine del mondo in cui oggi crede la scienza. E per dirle non c'era bisogno di trafugare il suo cervello, né di continuare a grufolare tra circonvoluzioni e neuroni. Il cervello di Einstein avrebbe potuto, e dovuto, seguire il resto del suo corpo che, secondo le disposizioni dello stesso scienziato, venne cremato in una cerimonia privata. Le ceneri vennero disperse sul fiume Delaware da Nathan alla presenza del figlio Hans Albert, della segretaria Helen Dukas e di pochi altri intimi. Il corpo di Einstein riposa, dunque, come quello di ogni altro comune mortale. È ormai escluso, invece, che il suo cervello trovi mai pace: la Paramount si è assicurata i diritti di riduzione cinematografica del libro di Paterniti, e il modello tridimensionale prodotto da Lythgoe e Al-Khalili (che sembra aver confermato le ipotesi della Witelson) ha riacceso l'interesse degli scienziati. Elliot Krauss, patologo capo al Princeton Hospital, e attuale custode dei due preziosi barattoli di vetro, ha dichiarato che il cervello verrà conservato nella speranza che tecniche di analisi nuove e più sofisticate vengano messe a punto in futuro. Nel frattempo piccoli campioni verranno messi a disposizione di tutti i ricercatori che forniranno credenziali affidabili.