Corriere della Sera 10.5.05
Difficile rappresentare l’aspetto del diavolo
La vita inquieta di un uomo ossessionato senz’altro fragile comunque unico
Difficile rappresentare l’aspetto del diavolo. Giotto agli Scrovegni di Padova e Buffalmacco nel Camposanto di Pisa lo mostrano come un essere lontano dalla dimensione umana, ma Luca Signorelli, nella Cappella di San Brizio a Orvieto, lo ritrae più vicino a noi. La creatura che incarna il male non è distante nelle sembianze, secondo questo pittore, né dagli uomini né dagli angeli. Tre esempi, dei mille possibili, consentono di avvicinarsi ai diavoli dipinti da Michelangelo Buonarroti nel Giudizio universale . Con essi, simili a uomini deformati dai peggiori vizi e da sentimenti malati, il sommo artista scrive una pagina di teologia. Tutto l’affresco, d’altra parte, con le sue nudità e con la danza vorticosa creata dal gesto di Cristo giudice - i dannati tendono al basso, i salvati verso l’alto - finirà nelle discussioni del Concilio di Trento. Difficile dire dove Michelangelo abbia visto l’occhio disperato di chi ormai conosce la dannazione eterna, impossibile immaginare le urla che sentì dentro di sé, le forme che cercò di fissare, i dettagli che dopo secoli esplodono ancora sulla retina di chi desidera ghermirli.
L’inizio dell’eternità, o almeno di quella parte che spetta agli uomini, irrompe sulla scena del Giudizio universale. Michelangelo dipinge l’attimo con tanta violenza che anche i santi intorno al Cristo sono costretti a mostrare le prove del loro martirio e subiscono, come tutti gli altri, l’angoscia del momento. Una scorrettezza teologica e politica che poneva dubbi e paure tra i modelli della fede e la salvezza. Un mistico tedesco del Seicento, Daniel Czepko von Rugersfel, nei suoi Sexcenta Monodisticha Sapientum (libro che ora, curato da Marco Vannini e Giovanna Fozzer, ha la prima traduzione italiana da Morcelliana, pp. 232, 14) sembra raccogliere quelle immagini per ricordare che lo spirito dinanzi al gesto di Cristo «sbrana cielo e terra», mentre «la natura ha le doglie». È proprio madre Terra, carica di un dolore viscerale durato millenni, che si «sgrava dei morti che la opprimono».
Sono scene che paiono eccessive, anche perché la civiltà dell’immagine in cui siamo immersi ci ha abituati alla violenza, ma non a riflettere sulla natura dell’uomo. Alla televisione è sempre più difficile distinguere un film di guerra da una scena in cui è trasmesso un conflitto reale; ma, allo stesso tempo, non desideriamo parlare della morte, di quel che potrebbe esserci dopo , comunque del fatto che siamo polvere e che, per parafrasare Michel de Montaigne, i cimiteri sono pieni di persone indispensabili. Così, per comprendere il discorso di Michelangelo siamo costretti a compiere un’odissea alla rovescia, riconquistando coordinate non virtuali. Tra la sua opera e noi ci sono le costruzioni della comunicazione, le mode, le tendenze letterarie, gli atteggiamenti, le falsificazioni. Per entrare nel Giudizio universale , come gli uomini dell’ultimo giorno da lui dipinti, dobbiamo toglierci i vestiti, le idee, le illusioni, in una parola quello che rende goffa la carne.
L’autore delle Pietà si coglie dopo un restauro dello spirito. Per questo occorre sbarazzarsi degli orpelli con cui l’hanno ricoperto i secoli. Un’occasione preziosa la offre il recente saggio biografico di Antonio Forcellino, Michelangelo. Una vita inquieta (Laterza, pp. 474, 20) . Scritto senza preoccupazioni accademiche, è un ritratto con materiale di prima conoscenza che restituisce senza le incrostazioni del tempo quest’uomo ossessionato dall’arte, a volte selvatico, senz’altro fragile, comunque unico. Forcellino, che conosce anche i millimetri del marmo con cui ha lottato l’artista (ha restaurato il Mosè), ci riporta sulle impalcature, ci fa riascoltare il lavoro dello scalpello, non perde di vista Michelangelo nemmeno quando strizza l’occhio alla Riforma o è immerso nei conti. Un avaro, anzi un avido. Nella miserabile casa romana dove morirà , sita al quartiere Macello dei Corvi, tra l’area dei Fori e le pendici del Quirinale, aveva sotto il letto una cassa piena d’oro, con la quale avrebbe potuto comperare Palazzo Pitti. Non si sognò nemmeno di investire quel ben di Dio, forse perché non si fidava degli uomini oltre che dei banchieri; si guardò bene dall’accomiatarsi da questo mondo in maniera eroica. Tra le mille cose descritte da Forcellino c’è questo vecchio quasi novantenne che non era preparato al passo e chiedeva di non essere mai lasciato solo. Ma forse aveva ragione. Come pochi altri egli aveva visto, negli anni in cui lavorò alla Cappella Sistina, l’enigmatico dopo che ci attende.
Forcellino con questo libro fa un altro restauro, togliendo tra il nostro occhio e questo genio, che Diderot definì «duro, cattivo, invidioso», i filtri che si sono accumulati. Non ha più le sembianze hollywoodiane di Charlton Heston, innamorato di una donna che nella realtà mai conobbe; né assomiglia a quegli eroi romantici da cui si ricavavano ideali a piacere.
Torna a essere Michelangelo, oltre il lavoro celebrativo di letterati quali Giorgio Vasari e Vincenzo Borghini (eleganti manipolatori della prima ora), senza le didascalie depistanti della Cappella Paolina; a volte è intento a scrutare pesci del Tirreno per cercare le vere sembianze del diavolo. E in certi momenti si direbbe senza mutande. Quelle che il fedele Daniele da Volterra dovrà infilare, per i buoni uffici e l’acuto senso del pudore di Carlo Borromeo, ai personaggi del Giudizio universale .
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 10 maggio 2005
condannata Radio Vaticana:
dunque non sono onnipotenti...
adnkronos.it 9 maggio 2005
L’avvocato difensore ha già preannunciato appello
Elettrosmog, due condanne per Radio Vaticana
Dieci giorni d'arresto più il pagamento delle spese processuali per padre Borgomeo e il cardinal Roberto Tucci. Assolto l'ingegner Pacifici, responsabile della parte tecnica dell’emittente della Santa Sede
Roma, 9 mag. (Adnkronos/Ign) - Si è concluso con due sentenze di condanna e una d'assoluzione il processo celebrato oggi nei confronti di padre Pasquale Borgomeo, direttore generale di Radio Vaticana, del cardinal Roberto Tucci, presidente del comitato di gestione, e dell’ingegner Costantino Pacifici, responsabile della parte tecnica dell’emittente della Santa Sede. Il giudice monocratico Laura Martoni ha condannato Pasquale Borgomeo a 10 giorni d'arresto con riferimento all’attività svolta al vertice di Radio Vaticana. Stessa pena per Roberto Tucci, condannato con riferimento all’attività svolta fino al dicembre 2000. Il giudice ha però già disposto la sospensione condizionale. E’ stato invece assolto Costantino Pacifici, in quanto la sua opera è stata limitata all’esecuzione degli ordini relativi al funzionamento dell’impianto dell'emittente.
Con la sentenza il giudice ha anche disposto che vengano rifuse le spese processuali ai sodalizi costituitisi parte civile. In particolare, per Legambiente è stato disposto che riceva 5.800 euro, per Cittadinanza Attiva 850 euro, per i Comitati Roma Nord 5.120 euro e per il Codacons 5.800. Resta aperto il discorso per quanto riguarda il risarcimento del danno per gli effetti dell’elettrosmog per i cittadini che abitano nella zona dove ha sede l'emittente vaticana.
L’avvocato Marcello Melandri, che ha assistito gli imputati, ha già preannunciato appello. Entro 90 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza, giunta al termine di un processo che ha visto imputati i tre componenti del vertice di Radio Vaticana con l’accusa d'aver provocato, attraverso le antenne dell'emittente, una pericolosa situazione d'elettrosmog nella zona di Cesano e di Santa Maria in Galeria (dove ha sede la radio). La condanna richiesta dai pubblici ministeri Gianfranco Amendola e Stefano Pesci era di 15 giorni d'arresto, con sospensione condizionale della pena. Il reato contestato, quello di ''getto pericoloso di cose''. A difendere i tre, oltre a Marcello Melandri, gli avvocati Franco Coppi ed Eugenio Pacelli (nipote dell’omonimo pontefice).
La sentenza di oggi giunge dopo una vicenda processuale iniziata nel '99 con l’avvio delle indagini, sfociate il 27 novembre 2000 in una citazione a giudizio dei tre. Dopo diverse udienze, nel febbraio 2002 il giudice monocratico aveva però sospeso il procedimento rilevando il difetto di giurisdizione della magistratura italiana, che non poteva, a suo giudizio, processare l’emittente vaticana. La sentenza fu appellata dalla Procura della Repubblica e la Cassazione, il 9 aprile 2003, stabilì che il processo si poteva fare: i tre imputati sono quindi comparsi in giudizio, respingendo l’accusa e sostenendo in sostanza, tramite i loro difensori, l'infondatezza di questa, anche perché l’intensità delle emissioni era stata ridotta.
L’avvocato difensore ha già preannunciato appello
Elettrosmog, due condanne per Radio Vaticana
Dieci giorni d'arresto più il pagamento delle spese processuali per padre Borgomeo e il cardinal Roberto Tucci. Assolto l'ingegner Pacifici, responsabile della parte tecnica dell’emittente della Santa Sede
Roma, 9 mag. (Adnkronos/Ign) - Si è concluso con due sentenze di condanna e una d'assoluzione il processo celebrato oggi nei confronti di padre Pasquale Borgomeo, direttore generale di Radio Vaticana, del cardinal Roberto Tucci, presidente del comitato di gestione, e dell’ingegner Costantino Pacifici, responsabile della parte tecnica dell’emittente della Santa Sede. Il giudice monocratico Laura Martoni ha condannato Pasquale Borgomeo a 10 giorni d'arresto con riferimento all’attività svolta al vertice di Radio Vaticana. Stessa pena per Roberto Tucci, condannato con riferimento all’attività svolta fino al dicembre 2000. Il giudice ha però già disposto la sospensione condizionale. E’ stato invece assolto Costantino Pacifici, in quanto la sua opera è stata limitata all’esecuzione degli ordini relativi al funzionamento dell’impianto dell'emittente.
Con la sentenza il giudice ha anche disposto che vengano rifuse le spese processuali ai sodalizi costituitisi parte civile. In particolare, per Legambiente è stato disposto che riceva 5.800 euro, per Cittadinanza Attiva 850 euro, per i Comitati Roma Nord 5.120 euro e per il Codacons 5.800. Resta aperto il discorso per quanto riguarda il risarcimento del danno per gli effetti dell’elettrosmog per i cittadini che abitano nella zona dove ha sede l'emittente vaticana.
L’avvocato Marcello Melandri, che ha assistito gli imputati, ha già preannunciato appello. Entro 90 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza, giunta al termine di un processo che ha visto imputati i tre componenti del vertice di Radio Vaticana con l’accusa d'aver provocato, attraverso le antenne dell'emittente, una pericolosa situazione d'elettrosmog nella zona di Cesano e di Santa Maria in Galeria (dove ha sede la radio). La condanna richiesta dai pubblici ministeri Gianfranco Amendola e Stefano Pesci era di 15 giorni d'arresto, con sospensione condizionale della pena. Il reato contestato, quello di ''getto pericoloso di cose''. A difendere i tre, oltre a Marcello Melandri, gli avvocati Franco Coppi ed Eugenio Pacelli (nipote dell’omonimo pontefice).
La sentenza di oggi giunge dopo una vicenda processuale iniziata nel '99 con l’avvio delle indagini, sfociate il 27 novembre 2000 in una citazione a giudizio dei tre. Dopo diverse udienze, nel febbraio 2002 il giudice monocratico aveva però sospeso il procedimento rilevando il difetto di giurisdizione della magistratura italiana, che non poteva, a suo giudizio, processare l’emittente vaticana. La sentenza fu appellata dalla Procura della Repubblica e la Cassazione, il 9 aprile 2003, stabilì che il processo si poteva fare: i tre imputati sono quindi comparsi in giudizio, respingendo l’accusa e sostenendo in sostanza, tramite i loro difensori, l'infondatezza di questa, anche perché l’intensità delle emissioni era stata ridotta.
diffusione delle droghe fra i minori
Il Messaggero Lunedì 9 Maggio 2005
Il rapporto del ministero dell’Interno per il 2004: sequestrata la metà delle sostanze rispetto all’anno precedente, cresciuti gli arresti
Aumentati dell’8% i minori che si drogano
Lo spinello è in netto calo, ma c’è un vero boom dell’ecstasy. Stabili i consumi di eroina e cocaina
ROMA Sono cresciuti dell’8% i minori che ricorrono a sostanze stupefacenti. L’uso delle spinello è in diminuzione mentre è in netta ascesa il consumo delle pasticche di ecstasy. È quanto emerge dal rapporto sulle droghe del ministero dell’Interno: nel 2004 i sequestri di sostanze stupefacenti si sono dimezzati rispetto all’anno precedente; aumentati invece gli arresti. Le statistiche del Viminale confermano che sono stabili i consumi di eroina e cocaina. Luigi Cancrini, psichiatra, dice: «Il terrorismo islamico sta rilanciando l’eroina. La cocaina è diventata un problema serio: un terzo degli ospiti delle comunità italiane dipende da questa droga».
Il rapporto del ministero dell’Interno per il 2004: sequestrata la metà delle sostanze rispetto all’anno precedente, cresciuti gli arresti
Aumentati dell’8% i minori che si drogano
Lo spinello è in netto calo, ma c’è un vero boom dell’ecstasy. Stabili i consumi di eroina e cocaina
ROMA Sono cresciuti dell’8% i minori che ricorrono a sostanze stupefacenti. L’uso delle spinello è in diminuzione mentre è in netta ascesa il consumo delle pasticche di ecstasy. È quanto emerge dal rapporto sulle droghe del ministero dell’Interno: nel 2004 i sequestri di sostanze stupefacenti si sono dimezzati rispetto all’anno precedente; aumentati invece gli arresti. Le statistiche del Viminale confermano che sono stabili i consumi di eroina e cocaina. Luigi Cancrini, psichiatra, dice: «Il terrorismo islamico sta rilanciando l’eroina. La cocaina è diventata un problema serio: un terzo degli ospiti delle comunità italiane dipende da questa droga».
storia
un'idea di Roosevelt
L'Arena Lunedì 9 Maggio 2005
Una vicenda singolare e dimenticata
Benedetto Croce, il filosofo che poteva diventare re
Emanuele Luciani
Sui rimedi per i mali della società, Platone non aveva dubbi. Continueranno ad essercene, scriveva, "a meno che i filosofi non divengano re, oppure che coloro che adesso vengono chiamati re non divengano filosofi". Una prospettiva più utopica che realistica, anche perché il re, o più in generale chi detiene il potere, deve misurarsi con i problemi concreti e non con le astrazioni del pensiero. Se non manca qualche eccezione, come dimostra il caso di Marco Aurelio, di solito si impone una sorta di divisione del lavoro, anche perché l'uomo di pensiero aspira più al ruolo di consigliere del principe che a quello di principe.
Eppure, proprio in Italia ed in tempi relativamente recenti, al re-filosofo, o meglio al filosofo-re, ci siamo quasi arrivati. Si tratta di una vicenda tanto singolare quanto dimenticata, portata alla luce da Emanuela Scarpellini dell'Università di Milano. Ne sono protagonisti tre personaggi: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Benedetto Croce. I primi due in particolare, perché Croce viene tenuto all'oscuro di tutto e solo nel 1951 verrà a sapere che avrebbe potuto diventare un filosofo-re. Non nasconderà la sua sorpresa e ci terrà a precisare che quel ruolo lo avrebbe comunque rifiutato.
La vicenda si sviluppa fra il febbraio ed il marzo del 1944, quando l'Italia, per usare proprio un'espressione crociana, è "tagliata in due". Al Nord i tedeschi e la Repubblica sociale di Mussolini, al Sud gli Alleati il re e Badoglio, in mezzo la guerra. Croce vive quel drammatico periodo al Sud e gode di un notevole prestigio anche in campo politico. Nella politica, comunque, si trova coinvolto per senso del dovere: preferirebbe dedicarsi agli studi, anche perché la situazione è complicatissima. Il re e Badoglio, spalleggiati da Churchill, cercano di conservare nelle loro mani il potere (poco) che gli Alleati concedono agli italiani. I partiti, soprattutto quelli di sinistra, appoggiati o quanto meno ascoltati da Roosevelt, vogliono invece contare di più e chiudere i conti non solo con il re ma con la monarchia. I liberali e Croce puntano ad una difficile mediazione: dare spazio ai partiti, convincere il re a farsi da parte, ma salvare la monarchia. Che è poi la soluzione che finirà per imporsi, con Vittorio Emanuele III che nominerà il figlio Umberto luogotenente del Regno.
Ma prima di arrivarci, si percorrono varie strade. Roosevelt, nel marzo del 1944, manda a Churchill un telegramma in cui propone che Vittorio Emanuele venga tolto di mezzo. Al suo posto, come luogotenente, va collocato un personaggio dotato di un prestigio tale da essere accettato da tutti i partiti: Benedetto Croce. Ma il filosofo, che tra l'altro è all'oscuro di tutto, sta vivendo momenti difficili. Si è fratturato un braccio, è depresso per il destino dell'Italia e si sente assediato dai politici. Infatti, proprio mentre Roosevelt lo vorrebbe capo dello Stato, sono in molti a premere perché accetti di sostituire Badoglio alla guida del governo.
Paradossalmente, egli vorrebbe solo tornarsene ai suoi studi ed è Churchill a trarlo indirettamente d'impaccio. Il premier inglese aveva già preso una chiara posizione in febbraio, con un discorso che sarà poi ricordato come "il discorso della caffettiera". A suo giudizio, Badoglio e la monarchia dovevano restare, perché mancavano alternative. "Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente - aveva affermato alla Camera dei Comuni - è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico".
Con queste premesse, non meraviglia la sua risposta al telegramma di Roosevelt: sarà il figlio Umberto e non un vecchio filosofo, famoso soprattutto per aver scritto libri noiosi, a prendere il posto di Vittorio Emanuele III. Politico abituato al realismo, Churchill non apprezza l'idea di un filosofo-re. Ed è proprio Croce a confermarlo indirettamente nel suo giudizio con un'annotazione rivelatrice affidata al diario: "ho dovuto fermamente dichiarare che non sentivo in me le esperienze e le doti necessarie per governare la mia patria". Tutto ritorna così al suo posto: i politici a fare i politici ed i filosofi a fare i filosofi. Roosevelt ritira la sua proposta, e Croce non diventa il primo filosofo-re della storia italiana. Resisterà anche alle pressioni di chi lo vorrebbe presidente del consiglio. Accetterà, più semplicemente e più coerentemente, di essere ministro senza portafoglio: una scelta che gli permette di non rubare troppo tempo alla filosofia.
Una vicenda singolare e dimenticata
Benedetto Croce, il filosofo che poteva diventare re
Emanuele Luciani
Sui rimedi per i mali della società, Platone non aveva dubbi. Continueranno ad essercene, scriveva, "a meno che i filosofi non divengano re, oppure che coloro che adesso vengono chiamati re non divengano filosofi". Una prospettiva più utopica che realistica, anche perché il re, o più in generale chi detiene il potere, deve misurarsi con i problemi concreti e non con le astrazioni del pensiero. Se non manca qualche eccezione, come dimostra il caso di Marco Aurelio, di solito si impone una sorta di divisione del lavoro, anche perché l'uomo di pensiero aspira più al ruolo di consigliere del principe che a quello di principe.
Eppure, proprio in Italia ed in tempi relativamente recenti, al re-filosofo, o meglio al filosofo-re, ci siamo quasi arrivati. Si tratta di una vicenda tanto singolare quanto dimenticata, portata alla luce da Emanuela Scarpellini dell'Università di Milano. Ne sono protagonisti tre personaggi: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Benedetto Croce. I primi due in particolare, perché Croce viene tenuto all'oscuro di tutto e solo nel 1951 verrà a sapere che avrebbe potuto diventare un filosofo-re. Non nasconderà la sua sorpresa e ci terrà a precisare che quel ruolo lo avrebbe comunque rifiutato.
La vicenda si sviluppa fra il febbraio ed il marzo del 1944, quando l'Italia, per usare proprio un'espressione crociana, è "tagliata in due". Al Nord i tedeschi e la Repubblica sociale di Mussolini, al Sud gli Alleati il re e Badoglio, in mezzo la guerra. Croce vive quel drammatico periodo al Sud e gode di un notevole prestigio anche in campo politico. Nella politica, comunque, si trova coinvolto per senso del dovere: preferirebbe dedicarsi agli studi, anche perché la situazione è complicatissima. Il re e Badoglio, spalleggiati da Churchill, cercano di conservare nelle loro mani il potere (poco) che gli Alleati concedono agli italiani. I partiti, soprattutto quelli di sinistra, appoggiati o quanto meno ascoltati da Roosevelt, vogliono invece contare di più e chiudere i conti non solo con il re ma con la monarchia. I liberali e Croce puntano ad una difficile mediazione: dare spazio ai partiti, convincere il re a farsi da parte, ma salvare la monarchia. Che è poi la soluzione che finirà per imporsi, con Vittorio Emanuele III che nominerà il figlio Umberto luogotenente del Regno.
Ma prima di arrivarci, si percorrono varie strade. Roosevelt, nel marzo del 1944, manda a Churchill un telegramma in cui propone che Vittorio Emanuele venga tolto di mezzo. Al suo posto, come luogotenente, va collocato un personaggio dotato di un prestigio tale da essere accettato da tutti i partiti: Benedetto Croce. Ma il filosofo, che tra l'altro è all'oscuro di tutto, sta vivendo momenti difficili. Si è fratturato un braccio, è depresso per il destino dell'Italia e si sente assediato dai politici. Infatti, proprio mentre Roosevelt lo vorrebbe capo dello Stato, sono in molti a premere perché accetti di sostituire Badoglio alla guida del governo.
Paradossalmente, egli vorrebbe solo tornarsene ai suoi studi ed è Churchill a trarlo indirettamente d'impaccio. Il premier inglese aveva già preso una chiara posizione in febbraio, con un discorso che sarà poi ricordato come "il discorso della caffettiera". A suo giudizio, Badoglio e la monarchia dovevano restare, perché mancavano alternative. "Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente - aveva affermato alla Camera dei Comuni - è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico".
Con queste premesse, non meraviglia la sua risposta al telegramma di Roosevelt: sarà il figlio Umberto e non un vecchio filosofo, famoso soprattutto per aver scritto libri noiosi, a prendere il posto di Vittorio Emanuele III. Politico abituato al realismo, Churchill non apprezza l'idea di un filosofo-re. Ed è proprio Croce a confermarlo indirettamente nel suo giudizio con un'annotazione rivelatrice affidata al diario: "ho dovuto fermamente dichiarare che non sentivo in me le esperienze e le doti necessarie per governare la mia patria". Tutto ritorna così al suo posto: i politici a fare i politici ed i filosofi a fare i filosofi. Roosevelt ritira la sua proposta, e Croce non diventa il primo filosofo-re della storia italiana. Resisterà anche alle pressioni di chi lo vorrebbe presidente del consiglio. Accetterà, più semplicemente e più coerentemente, di essere ministro senza portafoglio: una scelta che gli permette di non rubare troppo tempo alla filosofia.
giapponesi...
come "capire" i neonati
Punto Informatico 10.5.05
Ecco cosa dicono i neonati
Ricercatori giapponesi si dicono sicuri che il nuovo dispositivo sappia tradurre la comunicazione infantile. Pianti, strilli e sorrisi insoliti - dicono - non avranno più segreti
Tommaso Lombardi
Tokyo - La vita moderna non lascia tempo libero. Vale sopratutto per chi deve svolgere il mestiere più delicato e spesso assai faticoso: il genitore. Dopo il traduttore per gatti e per cani, sviluppati dall'azienda giapponese Takara, l'industria high-tech nipponica è nuovamente pronta a stupire.
Un team di ricercatori dell'Università di Nagasaki, diretti dal prof. Kazuyuki Shinohara, sta lavorando su un dispositivo per tradurre il variegato linguaggio non verbale dei neonati. "Stiamo tentando di interpretarne le emozioni e le sensazioni grazie ad un apposito gadget", ha dichiarato Shinohara in una intervista ad AFP. "Utilizzando schemi interpretativi, saremo in grado di leggere le espressioni facciali e lo sguardo dei bebè".
Il dispositivo verrà commercializzato entro l'anno prossimo ed è pensato ufficialmente "per applicazioni domestiche e professionali". Avrà un costo attorno ai 75 euro. I genitori impacciati, fin qui costretti a traballanti ipotesi per cercare di cogliere il senso di un pianto, potranno così contare sul sostegno di un aiutante elettronico. Ma funzionerà? Molti esperti sono scettici sulle potenzialità dell'apparecchio: psicologi infantili ed esperti di pedagogia hanno immediatamente stroncato il baby-traduttore, che non può in alcun modo "sostituire i sensi dei genitori".
Tuttavia Shinohara è convinto che in Giappone il prodotto sarà una manna dal cielo per le giovani famiglie: "Molte neo-mamme si trovano smarrite di fronte a bebè che piangono e strillano: i mariti tornano a casa tardi e devono affrontare da sole la nuova esperienza". In questi casi, il traduttore potrà supplire alle incapacità dei genitori, diventando un vero aiutante elettronico.
Secondo gli sviluppatori, l'apparecchio potrà essere utilizzato anche dai pediatri per capire meglio i sintomi precoci di condizioni come autismo e mutismo. Ma molte famiglie sono convinte che questo traduttore sarà semplicemente un simpatico giocattolino con cui divertirsi in famiglia. Per saperlo bisognerà sborsare i 75 euro del suo prezzo...
Ecco cosa dicono i neonati
Ricercatori giapponesi si dicono sicuri che il nuovo dispositivo sappia tradurre la comunicazione infantile. Pianti, strilli e sorrisi insoliti - dicono - non avranno più segreti
Tommaso Lombardi
Tokyo - La vita moderna non lascia tempo libero. Vale sopratutto per chi deve svolgere il mestiere più delicato e spesso assai faticoso: il genitore. Dopo il traduttore per gatti e per cani, sviluppati dall'azienda giapponese Takara, l'industria high-tech nipponica è nuovamente pronta a stupire.
Un team di ricercatori dell'Università di Nagasaki, diretti dal prof. Kazuyuki Shinohara, sta lavorando su un dispositivo per tradurre il variegato linguaggio non verbale dei neonati. "Stiamo tentando di interpretarne le emozioni e le sensazioni grazie ad un apposito gadget", ha dichiarato Shinohara in una intervista ad AFP. "Utilizzando schemi interpretativi, saremo in grado di leggere le espressioni facciali e lo sguardo dei bebè".
Il dispositivo verrà commercializzato entro l'anno prossimo ed è pensato ufficialmente "per applicazioni domestiche e professionali". Avrà un costo attorno ai 75 euro. I genitori impacciati, fin qui costretti a traballanti ipotesi per cercare di cogliere il senso di un pianto, potranno così contare sul sostegno di un aiutante elettronico. Ma funzionerà? Molti esperti sono scettici sulle potenzialità dell'apparecchio: psicologi infantili ed esperti di pedagogia hanno immediatamente stroncato il baby-traduttore, che non può in alcun modo "sostituire i sensi dei genitori".
Tuttavia Shinohara è convinto che in Giappone il prodotto sarà una manna dal cielo per le giovani famiglie: "Molte neo-mamme si trovano smarrite di fronte a bebè che piangono e strillano: i mariti tornano a casa tardi e devono affrontare da sole la nuova esperienza". In questi casi, il traduttore potrà supplire alle incapacità dei genitori, diventando un vero aiutante elettronico.
Secondo gli sviluppatori, l'apparecchio potrà essere utilizzato anche dai pediatri per capire meglio i sintomi precoci di condizioni come autismo e mutismo. Ma molte famiglie sono convinte che questo traduttore sarà semplicemente un simpatico giocattolino con cui divertirsi in famiglia. Per saperlo bisognerà sborsare i 75 euro del suo prezzo...
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