ricevuto da Paola Franz
www.unife.it
UN "CUCCIOLO" DI ROBOT PER STUDIARE L'APPRENDIMENTO UMANO
Il 1° settembre la Commissione europea ha avviato Robot-Cub, un progetto europeo di 5 anni finanziato con 8.500.000 Euro, che vede coinvolte, oltre alla nostra Università, anche le Università di Genova (che coordina il progetto assieme alla Telerobot), la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, L'Università di Uppsala, L'IST di Lisbona, L'Università di Zurigo e l'Ecole Polythechnique di Losanna, due gruppi inglesi (le Università di Hertfordshire e Salford) e il recente nato European Brain Research Institute di Roma. L'International Panel collegato al progetto vede i più noti esperti di robotica mondiale, dall'MIT di Boston (R. Brooks) all'ATR di Tokio (M.Kawato). Il progetto Robot-Cub (letteralmente, l'espressione vuol dire "cucciolo di robot") allude al "Cognitive Universal Body" che dovrebbe essere realizzato: una piattaforma umanoide, costituita di "mindware" e "hardware", per l'investigazione dell'apprendimento e dell'interazione uomo-macchina. Il CUB avrà le dimensioni di un bambino di due-tre anni e servirà per studiare i meccanismi cerebrali dello sviluppo cognitivo. Non sarà quindi completamente pre-programmato (come i robot tradizionali), ma imparerà a muoversi sui quattro arti, a sedersi, ad esplorare gli oggetti per capirne le proprietà e a comunicare a gesti con il mondo esterno. Robot-cub sarà un sistema aperto, di cui verranno prodotte diverse copie che saranno messe a disposizione di tutta la comunità scientifica per esperimenti futuri, dal momento che sarà brevettato con General Public Licence, e quindi accessibile gratuitamente. L'approccio seguito sarà quello dell'"embodiment", un termine entrato nell'uso scientifico in contrapposizione alle ricerche di Intelligenza Artificiale che affrontavano il problema dell'intelligenza partendo solo dalle "mente", senza considerare che questa era "incarnata"- embodied in inglese - in un corpo. L'équipe dell'Università di Ferrara è quella del Prof. Luciano Fadiga, neurofisiologo del Dipartimento di Scienze biomediche e Terapie avanzate, già da tempo coinvolto in progetti europei che si situano alla frontiera tra neuroscienze e robotica.
I dettagli sull'andamento del progetto saranno pubblicati sulla pagina web: http://www.ecvision.org/robotcub/
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 21 settembre 2004
dal dossier di Avvenimenti n°36 contro la legge sulla fecondazione assistita
(Sul prossimo numero di Avvenimenti - in edicola venerdì prossimo 24 settembre sarà pubblicata una seconda parte sullo stesso tema)
da Avvenimenti n 36 del 17-23 settembre 2004
Embrione febbre a 40
Fecondazione, le firme contro la legge al rush finale
di Simona Maggiorelli
Strano paese l’Italia, dove una legge importante come quella sulla fecondazione assistita che riguarda milioni di persone affette da malattie oggi incurabili viene blindata alla discussione in aula, fatta passare zeppa di divieti per la ricerca e accompagnata da annunci come quello del senatore Giulio Andreotti che, esplicitamente, dice che il prossimo passo sarà la revisione della legge 194 sull’aborto. Già di per sé la legge 40 le dà un duro colpo equiparando, all’articolo1, i diritti dell’embrione e quelli della madre. Una legge, val la pena di ricordarlo, che proibisce la diagnosi genetica preimpianto e la fecondazione eterologa ( quando i gameti non vengono dalla coppia stessa, ma da donatori), obbligando la donna a farsi impiantare un numero fisso di tre embrioni , anche se malati. Quando è scoppiata la protesta della comunità scientifica internazionale e dei pazienti, con una dura condanna da parte dell’European Society, il governo ha cercato di ricorrere ai ripari illudendo l’opinione pubblica che attraverso la promulgazione di linee guida si potesse correggere un po’ il tiro. Ma presto si è scoperto che era l’ennesimo pastrocchio e che “anzi - dice Cinzia Caporale, vice presidente del comitato bioetico dell’Unesco - le direttive non fanno che mettere ancora più confusione”. Tanto che un giorno prima della loro approvazione, il rettore dell’Università di Chieti, Franco Cuccurullo, si è dimesso da presidente della commissione del Consiglio superiore della Sanità che aveva il compito di esaminarle. “Le linee guida dovrebbero evitare di creare paradossi – dice Cuccurullo -, dovrebbero semplificare i casi complessi. Queste fanno il contrario”. Per esempio? “ La legge dice che bisogna impiantare tutti e tre gli embrioni – spiega il professore – ma se ci sono malformazioni evidenti, di fronte al rifiuto di una donna, il regolamento dice che va costretta. Ma come si può pensare che un medico possa violentare una donna?”. Tutto questo però non sembra raggiungere l’orecchio del ministro Girolamo Sirchia che firma il provvedimento definitivo e, dalle pagine del Corriere della Sera, rilancia con interviste agostane la sua crociata contro l’aborto. “Una vera ossessione quella di Sirchia - commenta la deputata ds Barbara Pollastrini – contro la libertà di scelta e la responsabilità delle donne nel decidere di avere un figlio”. Scoppia i caso del piccolo Luca, talassemico, curato con il trapianto di cellule staminali prese dal prese dal cordone ombelicale di sue sorelline gemelle nate sane in Turchia grazie alle tecniche di fecondazione assistita proibite in Italia. E l ministro della Salute esalta il successo omettendo di dire il metodo di cura. Poi ritratta protestando di non essere stato ben informato. Disinformazione o mala fede? “Delle due l’una – commenta il genetista Demetrio Neri del comitato di bioetica - o veramente Sirchia non era informato e allora siamo in scenari fantascientici. Oppure ha mentito presentando un risultato così importante senza dire che è stato ottenuto con una metodica assolutamente proibita in Italia. Nei giorni scorsi ho letto un’intervista molto sconsolata del professor Gianaroli che diceva: mi hanno appena eletto presidente della Società mondiale della diagnosi di pre impianto e mi dovrò dimettere, opero nel paese, forse l’unico al mondo, dove questa tecnica è proibita per legge”. Incompetenza o mala fede del ministro Sirchia? La domanda ritorna quando emerge uno strano caso di conflitto d’interessi : in aperta contraddizione con la legge 40 che mette fuori legge la crioconservazione degli embrioni soprannumerari, il 4 agosto il ministro vara un decreto che assegna in convenzione al centro trasfusionale e di immunologia dei trapianti dell’ospedale Maggiore di Milano il compito di fare studi sulle tecnologie dei gameti e dei cosiddetti embrioni orfani. E per questo stanzia, solo per il primo anno, 400mila euro a vantaggio del centro di cui Sirchia è stato direttore per quasi trent’anni. Lasciando spiazzati molti cattolici che convinti non si debba fare ricerca sugli embrioni, si domandano perché consentirla solo su quelli orfani. A ridare fiato alla propaganda, intanto pensa il ministro dei rapporti per il Parlamento Carlo Giovanardi con una trovata delle sue, facendo tappezzare Modena di manifesti, con un’immagine di Hitler che arringa alle camicie brune con sotto la scritta che equipara la fecondazione assistita alle sperimentazioni naziste di eugenetica. “Slogan, chiaramente facinorosi, che purtroppo possono funzionare nella comunicazione con una persona che non abbia senso critico- commenta Monica Soldano dell’associazione di pazienti Madre provetta -. E’ molto pericoloso. Quando Giovanardi dice, per me l’eterologa è uguale all’infibulazione, così come quando parla di selezione dei bambini invece di parlare di geni, quando parla di embrioni bambini, parla di soggetti reificati, del tutto ascientifici. E’ una comunicazione violenta , la gente così si terrorizza”. Intanto l’entrata in vigore della legge 40 ferma centri all’avanguardia come il catanese Era del dottor Nino Guglielmino e costringe centinaia di coppie sterili o portatrici di malattie genetiche ad andarsi a cercare cure in Spagna, in Francia, in Svizzera, in Austria, in Croazia o in Slovenia, per chi viene nel nord Italia, oppure a Malta per chi vive al sud , già appena oltre confine fioriscono cliniche private che applicano le cure proibite in Italia , purché si abbia la possibilità di sborsare cifre importanti. A sentire la comunità scientifica, le argomentazioni contro questa legge dei Nobel Levi Montalcini e Dulbecco, dell’oncologo Veronesi e di molti altri studiosi, ma anche se si leggono i risultati di due recenti sondaggi, la sensazione è quella nettissima di uno scollamento fra governo e paese reale. Secondo i dati dell’indagine di Eurispes e di Telefono Azzurro due italiani su tre è a favore della fecondazione assistita. In percentuale circa il 64,9 per cento degli italiani. E questo a fronte di un 31,3 per cento che si dice contrario e di un 3,8 che non ha voluto o saputo esprimere un’ opinione. Più favorevoli gli uomini che le donne, anche se con poco scarto. Più favorevoli i giovani che gli anziani. Più favorevoli gli italiani che abitano nel centro Italia, nel nord est e nel sud, meno gli isolani e chi abita nel nord ovest. E in maniera proporzionale al titolo di studio, sono a favore della fecondazione assistita il 77, 3 per cento dei laureati, seguiti dai diplomati ( 60,9 per cento) e, fra chi non ha un titolo di studio, i contrari arrivano fino al 42,9 per cento. Ma quello che più stupisce e che ben il 64, 2 per cento degli italiani intervistati dall’Eurispes si dice a favore della clonazione terapeutica, ovvero sul recupero di cellule staminali da embrioni lasciati sviluppare fino al quattordicesimo giorno (ammessa in paesi come l’Inghilterra), a fronte del 28,2 per cento contrario. Dati che grosso modo confermano quelli che vengono da un altro sondaggio, fatto dal professor Renato Mannheimer, dal quale risultava che addirittura il 68 per cento degli italiani era a favore della fecondazione assistita. Rispetto all’area cattolica Mannheimer scopriva un dato interessante sui cattolici, segnalando un orizzonte tutt’altro che monolitico. “Questa non si può certo definire una legge che invera la laicità dello Stato”, commenta il filosofo Emanuele Severino. “Se è vero che i cattolici quando avessero la maggioranza hanno tutto il diritto di imporre una legge che diventa legge dello Stato, è anche vero che se i cattolici democraticamente votano una legge che diventa legge dello Stato, ma che impone ai non cattolici di operare cattolicamente allora questa legge pur prodotta in modo democratico è meno laica è meno democratica è meno liberale di una legge dello stato la quale lasciasse liberi i cittadini di agire come credono”. Insomma un pastrocchio, girandoci anche troppo intorno. “ Io penso che occorra un’etica del rispetto- dice schiettamente il professor Carlo Flamigni, ordinario di ginecologia a Bologna e pioniere dei bimbi in provetta – credo che la Chiesa cattolica abbia il diritto di cercare di inserire i suoi convincimenti anche fra le regole di un paese laico, se queste norme sono condivise. Altrimenti no. E la gran parte delle norme della legge 40 non sono affatto condivise”. E poi aggiunge: “un’etica del rispetto dei diritti dei cittadini e del valore scientifico di ciò che si dice. In questi giorni – continua il professore- specie sui giornali di area cattolica si assistito a un infondato trionfalismo sui risultati ottenuti con cellule adulte. Niente se si confrontano con ciò che si è ottenuto in altri paesi dove la ricerca è consentita con le cellule staminali embrionali. E non si può mentire deludendo la speranza di vita e di cura dei pazienti”.
Da Avvenimenti n. 36:
IL BIOLOGO
Il professor Boncinelli: “E’ un errore scientifico”
di Simona Maggiorelli
Il direttore della Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste dice ad Avvenimenti: “Il caso del piccolo Luca parla chiaramente, certi risultati sono stati possibili solo perché si è ricorsi alle staminali del cordone ombelicale. Con la fecondazione assistita si scelgono e si impiantano soltanto gli embrioni sani. In questo modo si evita di mettere al mondo bambini che, si sa per certo, saranno malati”. Professore come valuta allora il fatto che questa legge obblighi all’impianto di tutti e tre gli embrioni fecondati? “Da questo punto di vista si tratta di una legge gravemente carente. Secondo me è un errore scientifico molto grave”. C’è chi pensa che l’embrione sia già persona: che fondamento scientifico ha questo tipo di pensiero? "Uno scienziato non sa cosa vuol dire persona, non è un termine scientifico”. Cosa pensa degli esperimenti che stanno facendo in Inghilterra, fermando lo sviluppo dell’embrione al quattordicesimo giorno? “Io non posso che essere d’accordo, ovviamente, e mi auguro che prima o poi tutto il mondo faccia così”. Che prospettive ci sono? Che malattie si potrebbe pensare di poter curare? “Tutte, dall’incidente stradale, al semplice invecchiamento, al Parkinson. Si tratta sostanzialmente di sostituire la tecnica dei trapianti completamente perché gli organi, nonostante la generosità dei donatori non sono mai abbastanza. Quanti anni ci vorranno? Per certi tessuti immagino meno di dieci, per certi altri immagino ce ne voglia venti, Non tutti i casi sono uguali”.
Da Avvenimenti n.36
DISSENSI, i laici dentro la Margherita.
Intervista alla senatrice Cinzia Dato, promotrice del comitato contro la legge 40
di Simona Maggiorelli
Senatrice Cinzia Dato come valuta la proposta di Bianconi e Tomassini di correggere la legge, evitando il referendum?
"Non credibile, perché il senatore Tomassini, e immagino con dolore dacché è un medico, è la stessa persona che ha accettato di blindare il testo della legge, rendendo inutile ogni discussione in Senato. Come si può pensare che ora abbia cambiato idea quando ha accettato, con la maggioranza, che anche le proposte più ragionevoli fossero bocciate".
Di che bocciatura parla?
"Con i senatori Amato e D’Amico avevamo presentato un emendamento che proponeva l’utilizzo per la cura di embrioni non più vitali. Neanche questo è passato".
La convince la proposta di Sirchia di conservazione degli embrioni soprannumerari?
"Una forma di vita come l’embrione che, se non impiantato nel ventre di una donna, non ha nessuna possibilità di diventare essere umano, che speranze ha? Mi domando per quale perversione pensino di tenerli congelati , è davvero una visione da incubo".
La 40 è una legge cattolica?
"Mi sentirei di dire di no. Pur ammettendo che ci siano rappresentanti delle gerarchie vaticane che si sono battuti a sostegno di questa legga, la 40 non è una legge conforme alla dottrina cattolica che non ammette la separazione fra atto sessuale e fecondazione. Ma soprattutto è una legge che non esprime nessun senso di carità cristiana, né di solidarietà, negando alle persone l’esperienza genitoriale, impedendo loro di accedere alle cure. Dove sarebbe la carità cristiana in una scelta così inumana?".
Ha diritto la Chiesa di imporre il suo credo a uno stato laico?
"Con quale dignità, in un momento in cui affermiamo che altre religioni, come l’Islam, non debbano mischiarsi alla politica? Accetteremmo noi una democrazia maomettana? Io credo che delle scelte etiche ci debbano essere, ma non si può affidare questo momento della scelta allo Stato, definendo come reato quello che un’etica particolare giudica peccato".
il ministro Sirchia
da Avvenimenti del 26 agosto 2004
Le competenze pubbliche a un ente privato che gestirà un business da 500mila euro all’anno
GLI INTERESSI DEL MINISTRO SIRCHIA
La formazione dei medici a una società di cui è stato presidente
di Simona Maggiorelli
Tre anni di sanità vissuti pericolosamente. Fra le molte promesse non mantenute del governo Berlusconi (dalle dentiere gratis agli anziani al fondo nazionale per la non autosufficienza) e il lento, ma progressivo, smantellamento del sistema sanitario nazionale. In attesa che la devolution dia il colpo di grazia finale a un sistema già ampiamente a macchia di leopardo, fra “regioni rosse” che ancora resistono ai tagli e altre, come la Lombardia, dove la sanità è largamente in mano ai privati. E non esattamente alla portata di tutti coloro che ne hanno bisogno.
Proprio nella regione che ha regalato ai privati migliaia di miliardi in "posti letto" e esami ambulatoriali, (salvo poi dover ricorrere al salvadanaio pubblico per ripianare i debiti), le vie dell’affarismo liberista raggiungono anche il ministro della sanità Girolamo Sirchia.
L’eminente medico milanese, protagonista delle cronache bollenti di quest’estate per l’appressapochismo di certe sue fantasiose soluzioni a problemi come l’emergenza caldo per gli anziani, torna ora alla ribalta per una questione di conflitto di interessi. La denuncia viene direttamente dalla Fimmg , la federazione dei medici di famiglia e dal sindacato dei pensionati della Cgil. Nell’occhio del ciclone la Fism, federazione delle società medico scientifiche italiana, società milanese di cui il dottor Sirchia è stato fondatore nel 1984 e poi segretario e presidente fino al 1999 E forse anche oltre, visto che sul sito compare ancora il nome del ministro. Una società. Altro particolare interessante, che per molto tempo, ha avuto la sua sede presso l’ex ufficio di Sirchia al Policlinico di Milano. Fin qui poco da eccepire, si tratterebbe soltanto di una grossa impresa che, partita con 30 associati, negli anni si è allargata a 187, aumentando in proporzione il proprio giro d’affari. Ma la sorpresa è arrivata nel maggio scorso quando, per decreto, il ministro Sirchia ha affidato alla Fism il compito di monitorare le società mediche che chiedono al ministero di potersi occupare della formazione medica. Un affare piuttosto ingente, quello della formazione medica, dacché la “formazione continua” è diventata obbligatoria per medici, farmacisti, biologi, chimici, psicologi e per il personale paramedico, fatto di infermieri e tecnici di radiologia. Con il nuovo regolamento la formazione viene misurata in base ai cosiddetti crediti: ogni operatore deve raggiungerne almeno 50 in un anno e li matura solo frequentando corsi di formazione riconosciuti dal ministero. Un ricercatore della Spi Cgil, Giuseppe Oleandro, ha calcolato che ogni singolo credito viene a costare mediamente dieci euro. E che l’ammontare dell’intera torta è di 500 milioni di euro in un anno, senza contare gli investimenti delle case farmaceutiche che, spesso, sponsorizzano i corsi. In tutto questo il decreto firmato da Sirchia il 31 maggio scorso non affida certo un ruolo marginale alla Fism. Nel testo, fa notare ancora Oleandro, la società compare in ben sette articoli e le sono attribuite “enormi e sproporzionate funzioni”. Di fatto, accusa il sindacato, la Fism viene equiparata ad un organo ausiliario della pubblica amministrazione e all’agenzia per i servizi sanitari regionali.
“Inoltre - prosegue Oleondro - a tutte le società che aspirino ad essere riconosciute dal ministero viene imposta la collaborazione con la Fism nell’elaborazione delle linee guida”. Senza dimenticare che , “sempre alla Fism spetta il compito dell’istruttoria preventiva sulle domande presentate”. Di fronte a tutto questo la reazione di alcuni sindacati e di associazioni di base dei medici è stata decisamente energica. “Per il sindacato, con il provvedimento si tenta di costringere circa 900mila operatori sanitari interessati alla formazione medica continua a passare sotto le forche caudine di una Federazione privata, la Fism, molto vicina al ministro”, scrive in una nota Mario Falconi, segretario della Fimmg. Che ricostruisce così la storia dei rapporti fra ministero e la società milanese: “ A partire dalla convenzione del 29 luglio 2002 che assegnava alla società milanese “il compito di costituire e gestire gli elenchi dei referee, cioè di coloro che valutano gli eventi formativi, e di formare gli stessi referee, a fronte di un cospicuo esborso di denaro pubblico”. La convenzione poi è stata rinnovata il 26 novembre 2003, sino a fine 2004.
"Al di là di alcuni convegni e corsi organizzati - prosegue Falconi - ad oggi non risulta notizia di alcuna attività che giustifichi i finanziamenti ricevuti e quel che ancora non è dato sapere è come tutti questi soldi vengano utilizzati”. E aggiunge: “ Ciò che appare straordinario è che una federazione con interessi privati ben identificati, sia sempre l'unica associazione chiamata nominalmente a rivestire un ruolo da parte della legge. A fianco a generici richiami a ordini, collegi e associazioni professionali, agli occhi del Ministero della Salute che ha emanato il decreto, sembra poter esistere una e una sola associazione capace di rappresentare la scienza: non le Università, non l'Accademia dei Lincei, eccetera, ma la Fism". Per questo suo intervento , di fatto, il dottor Falcone ha subito duri attacchi. Sono partite le denunce. Alle quali la federazione dei medici di famiglia ha deciso di rispondere, proprio in questi giorni, ricorrendo a Tar. A fare chiarezza sulla situazione non è riuscita nemmeno un’ interrogazione parlamentare di Luigi Pepe dell’Udeur alla quale non ha risposto direttamente Sirchia, ma il ministro Carlo Giovanardi, con un paragone alquanto bizzarro: “Il Ministro Sirchia - ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento - c'entra con la Fism come il ministro Marini quand'era ministro del Lavoro c'entrava con la Cisl”. Come se una pingue società privata e un sindacato di tutela dei diritti dei lavoratori fossero la medesima cosa.
E più in la , viene da chiedersi: può veramente il ministro, per decreto assegnare a una società privata funzioni pubbliche di tale portata? “ E la domanda che noi abbiamo rivolto ai tecnici, agli esperti di legge- dice Michele Mangano, segretario nazionale della Spi Cgil -, di fatto il ministro Sirchia firmando il decreto in favore della Fism è entrato in conflitto con il suo dicastero. L’affare è imponente e – prosegue Mangano – e il fatto che qualunque società medica voglia voglia occuparsi di formazione debba sottostare alla Fism fa venire cattivi pensieri”. E quanto al sito della società milanese che conserva ancora l’indiritto di posta elettronica del dottor Sirchia? “Chiunque può facilmente verificare quello che abbiamo riscontrato noi entrando nel sito della Fism- dice Mangano – lì Sirchia risulta ancora presidente. Certo il sito potrebbe non essere stato aggiornato, ma in questo caso il ministro dovrebbe smentire il sito e non l’ha ancora fatto”.
Le competenze pubbliche a un ente privato che gestirà un business da 500mila euro all’anno
GLI INTERESSI DEL MINISTRO SIRCHIA
La formazione dei medici a una società di cui è stato presidente
di Simona Maggiorelli
Tre anni di sanità vissuti pericolosamente. Fra le molte promesse non mantenute del governo Berlusconi (dalle dentiere gratis agli anziani al fondo nazionale per la non autosufficienza) e il lento, ma progressivo, smantellamento del sistema sanitario nazionale. In attesa che la devolution dia il colpo di grazia finale a un sistema già ampiamente a macchia di leopardo, fra “regioni rosse” che ancora resistono ai tagli e altre, come la Lombardia, dove la sanità è largamente in mano ai privati. E non esattamente alla portata di tutti coloro che ne hanno bisogno.
Proprio nella regione che ha regalato ai privati migliaia di miliardi in "posti letto" e esami ambulatoriali, (salvo poi dover ricorrere al salvadanaio pubblico per ripianare i debiti), le vie dell’affarismo liberista raggiungono anche il ministro della sanità Girolamo Sirchia.
L’eminente medico milanese, protagonista delle cronache bollenti di quest’estate per l’appressapochismo di certe sue fantasiose soluzioni a problemi come l’emergenza caldo per gli anziani, torna ora alla ribalta per una questione di conflitto di interessi. La denuncia viene direttamente dalla Fimmg , la federazione dei medici di famiglia e dal sindacato dei pensionati della Cgil. Nell’occhio del ciclone la Fism, federazione delle società medico scientifiche italiana, società milanese di cui il dottor Sirchia è stato fondatore nel 1984 e poi segretario e presidente fino al 1999 E forse anche oltre, visto che sul sito compare ancora il nome del ministro. Una società. Altro particolare interessante, che per molto tempo, ha avuto la sua sede presso l’ex ufficio di Sirchia al Policlinico di Milano. Fin qui poco da eccepire, si tratterebbe soltanto di una grossa impresa che, partita con 30 associati, negli anni si è allargata a 187, aumentando in proporzione il proprio giro d’affari. Ma la sorpresa è arrivata nel maggio scorso quando, per decreto, il ministro Sirchia ha affidato alla Fism il compito di monitorare le società mediche che chiedono al ministero di potersi occupare della formazione medica. Un affare piuttosto ingente, quello della formazione medica, dacché la “formazione continua” è diventata obbligatoria per medici, farmacisti, biologi, chimici, psicologi e per il personale paramedico, fatto di infermieri e tecnici di radiologia. Con il nuovo regolamento la formazione viene misurata in base ai cosiddetti crediti: ogni operatore deve raggiungerne almeno 50 in un anno e li matura solo frequentando corsi di formazione riconosciuti dal ministero. Un ricercatore della Spi Cgil, Giuseppe Oleandro, ha calcolato che ogni singolo credito viene a costare mediamente dieci euro. E che l’ammontare dell’intera torta è di 500 milioni di euro in un anno, senza contare gli investimenti delle case farmaceutiche che, spesso, sponsorizzano i corsi. In tutto questo il decreto firmato da Sirchia il 31 maggio scorso non affida certo un ruolo marginale alla Fism. Nel testo, fa notare ancora Oleandro, la società compare in ben sette articoli e le sono attribuite “enormi e sproporzionate funzioni”. Di fatto, accusa il sindacato, la Fism viene equiparata ad un organo ausiliario della pubblica amministrazione e all’agenzia per i servizi sanitari regionali.
“Inoltre - prosegue Oleondro - a tutte le società che aspirino ad essere riconosciute dal ministero viene imposta la collaborazione con la Fism nell’elaborazione delle linee guida”. Senza dimenticare che , “sempre alla Fism spetta il compito dell’istruttoria preventiva sulle domande presentate”. Di fronte a tutto questo la reazione di alcuni sindacati e di associazioni di base dei medici è stata decisamente energica. “Per il sindacato, con il provvedimento si tenta di costringere circa 900mila operatori sanitari interessati alla formazione medica continua a passare sotto le forche caudine di una Federazione privata, la Fism, molto vicina al ministro”, scrive in una nota Mario Falconi, segretario della Fimmg. Che ricostruisce così la storia dei rapporti fra ministero e la società milanese: “ A partire dalla convenzione del 29 luglio 2002 che assegnava alla società milanese “il compito di costituire e gestire gli elenchi dei referee, cioè di coloro che valutano gli eventi formativi, e di formare gli stessi referee, a fronte di un cospicuo esborso di denaro pubblico”. La convenzione poi è stata rinnovata il 26 novembre 2003, sino a fine 2004.
"Al di là di alcuni convegni e corsi organizzati - prosegue Falconi - ad oggi non risulta notizia di alcuna attività che giustifichi i finanziamenti ricevuti e quel che ancora non è dato sapere è come tutti questi soldi vengano utilizzati”. E aggiunge: “ Ciò che appare straordinario è che una federazione con interessi privati ben identificati, sia sempre l'unica associazione chiamata nominalmente a rivestire un ruolo da parte della legge. A fianco a generici richiami a ordini, collegi e associazioni professionali, agli occhi del Ministero della Salute che ha emanato il decreto, sembra poter esistere una e una sola associazione capace di rappresentare la scienza: non le Università, non l'Accademia dei Lincei, eccetera, ma la Fism". Per questo suo intervento , di fatto, il dottor Falcone ha subito duri attacchi. Sono partite le denunce. Alle quali la federazione dei medici di famiglia ha deciso di rispondere, proprio in questi giorni, ricorrendo a Tar. A fare chiarezza sulla situazione non è riuscita nemmeno un’ interrogazione parlamentare di Luigi Pepe dell’Udeur alla quale non ha risposto direttamente Sirchia, ma il ministro Carlo Giovanardi, con un paragone alquanto bizzarro: “Il Ministro Sirchia - ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento - c'entra con la Fism come il ministro Marini quand'era ministro del Lavoro c'entrava con la Cisl”. Come se una pingue società privata e un sindacato di tutela dei diritti dei lavoratori fossero la medesima cosa.
E più in la , viene da chiedersi: può veramente il ministro, per decreto assegnare a una società privata funzioni pubbliche di tale portata? “ E la domanda che noi abbiamo rivolto ai tecnici, agli esperti di legge- dice Michele Mangano, segretario nazionale della Spi Cgil -, di fatto il ministro Sirchia firmando il decreto in favore della Fism è entrato in conflitto con il suo dicastero. L’affare è imponente e – prosegue Mangano – e il fatto che qualunque società medica voglia voglia occuparsi di formazione debba sottostare alla Fism fa venire cattivi pensieri”. E quanto al sito della società milanese che conserva ancora l’indiritto di posta elettronica del dottor Sirchia? “Chiunque può facilmente verificare quello che abbiamo riscontrato noi entrando nel sito della Fism- dice Mangano – lì Sirchia risulta ancora presidente. Certo il sito potrebbe non essere stato aggiornato, ma in questo caso il ministro dovrebbe smentire il sito e non l’ha ancora fatto”.
citato al Lunedì
Cacciari direttore della scuola della Margherita!
ADN Kronos
Ulivo, Rutelli: ''Prodi e' il leader e la federazione si fara'''
Il presidente della Margherita: ''I sondaggi ci dicono che la Margherita oggi raccoglie il 14% nelle intenzioni di voto
Jesolo Lido (Venezia), 19 set. (Adnkronos)-
''Non c'e' niente da decidere, c'e' da fare. Il candidato del Centrosinistra e' uno, Romano Prodi. Abbiamo deciso per la federazione, e la faremo: e' una sfida grandissima, e' la prima volta in 60 anni di storia d'Italia che dei partiti si uniscono''. Lo ha sottolineato il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, nel suo intervento conclusivo della tre-giorni di formazione Margherita In Forma, organizzata dal partito regionale del Veneto a Jesolo Lido (Ve). Rutelli inoltre, ha ricordato qual e' il ruolo della Margherita. ''Dare alla coalizione un contributo programmatico strategico, coraggioso, il piu' possibile slegato dalla tirannia dei problemi dell'oggi e rivolto a offrire soluzioni politiche di largo respiro per il futuro del Paese'', ha detto.
Per Rutelli, la Margherita ha un ruolo chiave all'interno del Centrosinistra: ''introdurre politiche di innovazione e di equilibrio'' perche' ''la coalizione non sia sbilanciata su posizioni estreme''. Il partito deve continuare a radicarsi. E ''i sondaggi ci dicono che la Margherita oggi raccoglie il 14% nelle intenzioni di voto -ha rivelato Rutelli- ma la simpatia d'opinione non si traduce automaticamente nel voto amministrativo. Per questo il partito va fatto crescere, puntando sul radicamento locale, rilanciando i circoli''. ''Daremo vita a una scuola nazionale di formazione, il cui responsabile -ha quindi annunciato Rutelli- sara' Massimo Cacciari''. E la tre-giorni di formazione veneta, fortemente voluta dal coordinatore regionale Diego Bottacin, fungera' da modello.
Ulivo, Rutelli: ''Prodi e' il leader e la federazione si fara'''
Il presidente della Margherita: ''I sondaggi ci dicono che la Margherita oggi raccoglie il 14% nelle intenzioni di voto
Jesolo Lido (Venezia), 19 set. (Adnkronos)-
''Non c'e' niente da decidere, c'e' da fare. Il candidato del Centrosinistra e' uno, Romano Prodi. Abbiamo deciso per la federazione, e la faremo: e' una sfida grandissima, e' la prima volta in 60 anni di storia d'Italia che dei partiti si uniscono''. Lo ha sottolineato il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, nel suo intervento conclusivo della tre-giorni di formazione Margherita In Forma, organizzata dal partito regionale del Veneto a Jesolo Lido (Ve). Rutelli inoltre, ha ricordato qual e' il ruolo della Margherita. ''Dare alla coalizione un contributo programmatico strategico, coraggioso, il piu' possibile slegato dalla tirannia dei problemi dell'oggi e rivolto a offrire soluzioni politiche di largo respiro per il futuro del Paese'', ha detto.
Per Rutelli, la Margherita ha un ruolo chiave all'interno del Centrosinistra: ''introdurre politiche di innovazione e di equilibrio'' perche' ''la coalizione non sia sbilanciata su posizioni estreme''. Il partito deve continuare a radicarsi. E ''i sondaggi ci dicono che la Margherita oggi raccoglie il 14% nelle intenzioni di voto -ha rivelato Rutelli- ma la simpatia d'opinione non si traduce automaticamente nel voto amministrativo. Per questo il partito va fatto crescere, puntando sul radicamento locale, rilanciando i circoli''. ''Daremo vita a una scuola nazionale di formazione, il cui responsabile -ha quindi annunciato Rutelli- sara' Massimo Cacciari''. E la tre-giorni di formazione veneta, fortemente voluta dal coordinatore regionale Diego Bottacin, fungera' da modello.
citato al Lunedì
in Italia:
cattolicesimo "fai da te"
Repubblica 19.9.04
LA GALASSIA DEI CATTOLICI ITALIANI
il nuovo libro di Marco Politi intitolato "Il ritorno di dio"
I battezzati sono il 98% ma la religione è una sorta di "fai-da-te", dove pochi si confessano e credono nell´aldilà
Il modo confuso di vivere la fede può anche leggersi come una manifestazione di una crisi più generale delle ideologie
MIRIAM MAFAI
Nel 2003 il numero dei matrimoni civili, in molte città italiane, tra cui Milano , Bologna e Bolzano , ha superato per la prima volta quello dei matrimoni religiosi. Il dato va registrato come segno del fatto che avanza, anche in Italia un processo di secolarizzazione. Strano paese tuttavia il nostro, dove i cattolici, o, per essere più precisi i battezzati, sfiorano il 98% degli abitanti, ma sono una minoranza, secondo le ultime rilevazioni, coloro che vanno a messa regolarmente, che si confessano e che credono nell´aldilà. Ma che cattolico è un uomo o una donna che non va a messa la domenica, che non si confessa, che non crede all´indissolubilità del matrimonio , che fa ricorso agli anticoncezionali o all´aborto, e che non di rado si rivolge con maggior fiducia alla cartomante che al suo parroco? Insomma, gli italiani sono ancora cattolici? Per rispondere a questo interrogativo, Marco Politi, il nostro vaticanista, ha intrapreso un lungo viaggio attraverso l´Italia, ha parlato con parroci e vescovi, con teologi e fondatrici di nuovi ordini, con filosofi , suore, leader politici ed esponenti del movimento pacifista ( Marco Politi - Il ritorno di Dio, Viaggio tra i cattolici d´Italia, Mondadori, pagg. 455, euro 20). E allora, c´è il vescovo di Locri che ha insegnato ai suoi ragazzi a organizzarsi in cooperative per produrre fragole e lamponi, c´è la teologa Adriana Zarri che dopo sessant´anni di ricerche si dedica ora con passione alla teologia trinitaria, c´è padre Livio Fanzaga, che dopo aver visto la Madonna di Medjugorie ha organizzato, ed oggi dirige, Radio Maria, c´è don Vinicio che ha fondato la Comunità di Capodarco per disabili e autistici, c´è don Leonardo Zega comandante della nave ammiraglia intitolata a Famiglia Cristiana (800.000 copie settimanali) , c´è padre Giuseppe Gliozzo che il 21 dicembre organizza nei locali dell´Azione Cattolica di Catania un incontro per lo scambio di auguri tra i gay cattolici e i loro amici, c´è padre Alex Zanotelli il missionario comboniano tra i più instancabili organizzatori delle manifestazioni contro la guerra in Iraq. E molti altri.
Alla fine, chiuso il libro, il lettore , come stordito da tante analisi che si intrecciano a emozionanti storie di vita, si chiede (o almeno io mi sono chiesta) se questo «viaggio» non possa definirsi non solo e non tanto una inchiesta sul mondo cattolico, quanto piuttosto una inchiesta sull´Italia, sui suoi cambiamenti, sui suoi umori, sulle sue speranze e delusioni. Ne emerge infatti un modo confuso, approssimativo e contraddittorio di essere cattolici, che può leggersi anche come la manifestazione di una crisi più generale delle ideologie, della politica, della cultura, della famiglia.
Tutte le forme tradizionali che in passato organizzavano la nostra vita sociale, la cultura e le istituzioni stanno infatti venendo meno, siamo entrati in quella che Zymunt Bauman ha definito una società «liquida», in continuo divenire, dove ogni individuo è solo, ma ha in compenso di fronte a sé una pluralità di scelte e di identità, che può comporre come vuole, o come sa. Lo stesso fenomeno investe anche la religiosità. E dunque anche chi è e si definisce cattolico ha di fronte a sé una pluralità di opzioni; la possibilità di organizzare una sorta di «religione-fai-da-te», come qualcuno l´ha definita o di «bricolage» spirituale, mettendo insieme il culto di Padre Pio e la partecipazione alla Marcia della Pace, una vita sessuale più libera e l´intensa commozione di fronte a un discorso del Pontefice, la generosa pratica del volontariato, e il rifiuto della confessione.
La società «liquida» per adottare ancora la definizione di Bauman, da una parte sollecita i processi di secolarizzazione, dall´altra trasforma la religiosità e le sue strutture e forme tradizionali in qualcosa d´altro. Lo dicono Franco Garelli, docente di sociologia della religione a Torino e Mario Pollo che insegna all´Università Salesiana di Roma, ma anche don Baldassarre, rettore del santuario di Pompei, che «esce dal confessionale intriso di peccati come una spugna» quando ammette che tra i fedeli, anche coloro che si avvicinano al confessionale «il senso morale si è affievolito, l´attenzione per i dieci comandamenti è calata, l´imperativo di antiche regole si è appannato e c´è la tendenza insistente a voler modellare l´etica sessuale sui propri bisogni e le proprie idee». La Chiesa lo sa e reagisce moltiplicando i grandi appuntamenti che sollecitano le emozioni collettive, riorganizzando e modernizzando l´attività delle parrocchie, dando spazio a nuovi movimenti e associazioni, sostenendo le iniziative e gruppi di volontariato ai quali partecipano decine di migliaia di giovani, dando spazio a nuovi movimenti. Tutto sbagliato, secondo Baget-Bozzo : «La Chiesa parla di sociale ma ha sbagliato i tempi. Ha creduto di poter realizzare, il messaggio marxista quando già questo stava finendo. Ha creduto di poter prendere il surrogato del comunismo dopo che il comunismo era morto. Ha sbagliato storia». Giuseppe De Rita argomenta diversamente ma con ancora maggiore durezza la sua critica alla Chiesa, che non ha capito a pieno «la lunga deriva che dall´Illuminismo in poi ha portato in primo piano l´individuo. Il mondo è cambiato perché mette il singolo nella condizione di avere, di desiderare, di perseguire un destino personale». Ma la Chiesa dà o tenta di dare una risposta a questa crisi allargando la sua azione nel sociale. No, non si può rispondere a questa crisi «trasformando la parrocchia in un pronto soccorso, prendendo in considerazione solo i problemi dell´immigrato, dell´anziano solo, del drogato. L´istituzione ecclesiastica deve dare una risposta al grande fenomeno che è l´arrivo della soggettività».
Ma Papa Wojtyla non ha cercato proprio di fare da antenna rispetto ai singoli ed alla loro individualità? La risposta è netta : «No, il Papa alla fine ha dei seguaci, ma non dei credenti. Wojtyla parla e parla anche molto bene, però non hai mai la sensazione che parli a te. Hai sempre la sensazione che, anche quando la frase è bella, sia la frase di un attore... Spero di essere perdonato... un cattolico non dovrebbe mai parlar male del papa».
LA GALASSIA DEI CATTOLICI ITALIANI
il nuovo libro di Marco Politi intitolato "Il ritorno di dio"
I battezzati sono il 98% ma la religione è una sorta di "fai-da-te", dove pochi si confessano e credono nell´aldilà
Il modo confuso di vivere la fede può anche leggersi come una manifestazione di una crisi più generale delle ideologie
MIRIAM MAFAI
Nel 2003 il numero dei matrimoni civili, in molte città italiane, tra cui Milano , Bologna e Bolzano , ha superato per la prima volta quello dei matrimoni religiosi. Il dato va registrato come segno del fatto che avanza, anche in Italia un processo di secolarizzazione. Strano paese tuttavia il nostro, dove i cattolici, o, per essere più precisi i battezzati, sfiorano il 98% degli abitanti, ma sono una minoranza, secondo le ultime rilevazioni, coloro che vanno a messa regolarmente, che si confessano e che credono nell´aldilà. Ma che cattolico è un uomo o una donna che non va a messa la domenica, che non si confessa, che non crede all´indissolubilità del matrimonio , che fa ricorso agli anticoncezionali o all´aborto, e che non di rado si rivolge con maggior fiducia alla cartomante che al suo parroco? Insomma, gli italiani sono ancora cattolici? Per rispondere a questo interrogativo, Marco Politi, il nostro vaticanista, ha intrapreso un lungo viaggio attraverso l´Italia, ha parlato con parroci e vescovi, con teologi e fondatrici di nuovi ordini, con filosofi , suore, leader politici ed esponenti del movimento pacifista ( Marco Politi - Il ritorno di Dio, Viaggio tra i cattolici d´Italia, Mondadori, pagg. 455, euro 20). E allora, c´è il vescovo di Locri che ha insegnato ai suoi ragazzi a organizzarsi in cooperative per produrre fragole e lamponi, c´è la teologa Adriana Zarri che dopo sessant´anni di ricerche si dedica ora con passione alla teologia trinitaria, c´è padre Livio Fanzaga, che dopo aver visto la Madonna di Medjugorie ha organizzato, ed oggi dirige, Radio Maria, c´è don Vinicio che ha fondato la Comunità di Capodarco per disabili e autistici, c´è don Leonardo Zega comandante della nave ammiraglia intitolata a Famiglia Cristiana (800.000 copie settimanali) , c´è padre Giuseppe Gliozzo che il 21 dicembre organizza nei locali dell´Azione Cattolica di Catania un incontro per lo scambio di auguri tra i gay cattolici e i loro amici, c´è padre Alex Zanotelli il missionario comboniano tra i più instancabili organizzatori delle manifestazioni contro la guerra in Iraq. E molti altri.
Alla fine, chiuso il libro, il lettore , come stordito da tante analisi che si intrecciano a emozionanti storie di vita, si chiede (o almeno io mi sono chiesta) se questo «viaggio» non possa definirsi non solo e non tanto una inchiesta sul mondo cattolico, quanto piuttosto una inchiesta sull´Italia, sui suoi cambiamenti, sui suoi umori, sulle sue speranze e delusioni. Ne emerge infatti un modo confuso, approssimativo e contraddittorio di essere cattolici, che può leggersi anche come la manifestazione di una crisi più generale delle ideologie, della politica, della cultura, della famiglia.
Tutte le forme tradizionali che in passato organizzavano la nostra vita sociale, la cultura e le istituzioni stanno infatti venendo meno, siamo entrati in quella che Zymunt Bauman ha definito una società «liquida», in continuo divenire, dove ogni individuo è solo, ma ha in compenso di fronte a sé una pluralità di scelte e di identità, che può comporre come vuole, o come sa. Lo stesso fenomeno investe anche la religiosità. E dunque anche chi è e si definisce cattolico ha di fronte a sé una pluralità di opzioni; la possibilità di organizzare una sorta di «religione-fai-da-te», come qualcuno l´ha definita o di «bricolage» spirituale, mettendo insieme il culto di Padre Pio e la partecipazione alla Marcia della Pace, una vita sessuale più libera e l´intensa commozione di fronte a un discorso del Pontefice, la generosa pratica del volontariato, e il rifiuto della confessione.
La società «liquida» per adottare ancora la definizione di Bauman, da una parte sollecita i processi di secolarizzazione, dall´altra trasforma la religiosità e le sue strutture e forme tradizionali in qualcosa d´altro. Lo dicono Franco Garelli, docente di sociologia della religione a Torino e Mario Pollo che insegna all´Università Salesiana di Roma, ma anche don Baldassarre, rettore del santuario di Pompei, che «esce dal confessionale intriso di peccati come una spugna» quando ammette che tra i fedeli, anche coloro che si avvicinano al confessionale «il senso morale si è affievolito, l´attenzione per i dieci comandamenti è calata, l´imperativo di antiche regole si è appannato e c´è la tendenza insistente a voler modellare l´etica sessuale sui propri bisogni e le proprie idee». La Chiesa lo sa e reagisce moltiplicando i grandi appuntamenti che sollecitano le emozioni collettive, riorganizzando e modernizzando l´attività delle parrocchie, dando spazio a nuovi movimenti e associazioni, sostenendo le iniziative e gruppi di volontariato ai quali partecipano decine di migliaia di giovani, dando spazio a nuovi movimenti. Tutto sbagliato, secondo Baget-Bozzo : «La Chiesa parla di sociale ma ha sbagliato i tempi. Ha creduto di poter realizzare, il messaggio marxista quando già questo stava finendo. Ha creduto di poter prendere il surrogato del comunismo dopo che il comunismo era morto. Ha sbagliato storia». Giuseppe De Rita argomenta diversamente ma con ancora maggiore durezza la sua critica alla Chiesa, che non ha capito a pieno «la lunga deriva che dall´Illuminismo in poi ha portato in primo piano l´individuo. Il mondo è cambiato perché mette il singolo nella condizione di avere, di desiderare, di perseguire un destino personale». Ma la Chiesa dà o tenta di dare una risposta a questa crisi allargando la sua azione nel sociale. No, non si può rispondere a questa crisi «trasformando la parrocchia in un pronto soccorso, prendendo in considerazione solo i problemi dell´immigrato, dell´anziano solo, del drogato. L´istituzione ecclesiastica deve dare una risposta al grande fenomeno che è l´arrivo della soggettività».
Ma Papa Wojtyla non ha cercato proprio di fare da antenna rispetto ai singoli ed alla loro individualità? La risposta è netta : «No, il Papa alla fine ha dei seguaci, ma non dei credenti. Wojtyla parla e parla anche molto bene, però non hai mai la sensazione che parli a te. Hai sempre la sensazione che, anche quando la frase è bella, sia la frase di un attore... Spero di essere perdonato... un cattolico non dovrebbe mai parlar male del papa».
citato al Lunedì
Bodei:
sulla morte
Repubblica 18.9.04
QUANDO LA VITA FINISCE
un confronto di filosofi in pubblico
Una frattura attraversa le convinzioni di tutti tra chi crede in un dopo e chi lo nega
Socrate dopo aver rifiutato la fuga sceglie di morire conversando con i suoi discepoli
Tutte le religioni ricorrono all´esperienza della fine altrui
L´uomo è l´unico animale che , gettato nei flutti del tempo, sa di dover morire: la filosofia si è a lungo misurata con questo tema fondamentale
REMO BODEI
L´uomo è l´unico animale che, gettato nei «flutti del tempo», sa di dover morire. L´unico capace di rappresentarsi dall´esterno la morte altrui, ma non la propria, e di interrogarsi, con paura o speranza, sul senso di questo inaggirabile sbarramento.
Ognuno conclude un ciclo iniziato quando è venuto al mondo, senza volerlo, in un determinato periodo e luogo, allorché ha iniziato una nuova storia, al cui centro inevitabilmente si è posto. Impadronendosi del linguaggio, lasciandosi plasmare dalle istituzioni politiche e religiose, elaborando visioni del mondo, ha così ripercorso a tappe forzate tratti di cammino già oltrepassati dalla propria civiltà. Ha cercato quindi, nel corso della sua esistenza, di dar senso agli eventi in cui è stato implicato, alle idee che gli hanno attraversato la mente, alle passioni che lo hanno impregnano e ai progetti che lo hanno guidato.
Tutto preso dal suo io, dai rapporti sociali e dai propri interessi, ha spesso dimenticato la sua qualità di ospite della vita, il fatto che il nostro essere è in gran parte fuori dal nostro controllo. Non solo, infatti, nel corpo le cellule si moltiplicano e muoiono, il sangue scorre, i polmoni si gonfiano e si svuotano d´aria, le ghiandole endocrine secernono i loro prodotti, i globuli bianchi vanno all´assalto delle infezioni senza alcuna nostra consapevolezza o ingiunzione, ma, anche a livello psichico, ogni notte involontariamente mettiamo in scena trame di sogno di cui siamo meri spettatori. Libertà, ragione e coscienza, ciò che di cui andiamo più fieri, poggiano su questa silenziosa operosità inconscia.
Viene però il momento in cui ciascuno comincia ad avvertire come un´emorragia di vita, ad accorgersi che le energie del corpo e dell´animo si affievoliscono. Sente allora la vita sfuggirgli irrimediabilmente, con moto accelerato quanto più discende nella «valle degli anni». È allora colto da quello che Agostino chiamava il metus amittendi, la paura di perdere tutto, di avanzare nel buio verso il nulla. Timore inevitabile, giacché - come ammoniva agli inizi dell´Ottocento Madame de Lambert - nous ne vivons que pour perdre o, come recita un proverbio tedesco, «l´ultimo vestito non ha tasche». Congedandoci dalla vita non possiamo portarci dietro niente.
La maggior parte di noi si sottrarrebbe volentieri a tale appuntamento in sospeso, ma - proprio perché la sua data è incerta - è propenso a ritenerlo prorogabile e a dimenticarlo. Tutte le religioni e tutte le concezioni del mondo affondano le loro radici nell´esperienza che ciascuno ha della morte altrui e dell´attesa della propria. E tutte si sforzano di ricordarla: dagli antichi egizi, che facevano circolare una mummia durante i banchetti, sino a oggi, quando la morte è sistematicamente esorcizzata, ma riempie di sé le pagine dei giornali e dei romanzi e gli schermi della televisione e del cinema.
Da Platone a Heidegger anche la filosofia occidentale ha posto al centro della propria riflessione l´enigma della morte e la preparazione ad essa. Melete thanatou o Respice finem sono state a lungo le sue parole d´ordine, contrastate solo da pochi, come Spinoza, che riteneva la filosofia «meditazione della vita, non della morte».
Una linea di frattura attraversa sia il pensiero filosofico che le convinzioni della maggior parte degli uomini. Da una parte ci sono quanti credono che essa sia l´inizio di una nuova vita, di una «vita dopo la vita», grazie a una metamorfosi analoga a quella che trasforma il bruco in farfalla; dall´altra, quanti, invece, pensano che essa rappresenti un ritorno a quel nulla da cui siamo usciti nascendo (e che, di conseguenza, la vita di ogni individuo sia soltanto una parentesi d´essere tra due immensi abissi del nulla).
Chi crede all´esistenza di una vita oltre la morte fa leva sulla speranza che le miserie e le sofferenze provate in questo mondo vengano risarcite, sulla persuasione che non si può essere nati invano, che il mondo deve pure avere un senso. È convinto che, se l´anima non fosse immortale e se non esistesse un Dio che premia i buoni e punisce i malvagi, la vita si trasformerebbe in una beffa crudele. Si perpetuerebbe, senza redenzione alcuna, lo spettacolo d´ingiustizia e di miseria denunciato nel Libro di Giobbe:
Sulla morte la filosofia occidentale presenta un largo spettro di posizioni. Alternative o defilate rispetto alle religioni tradizionali, sia quando accetta l´idea dell´immortalità dell´anima, sia quando la nega. In ogni caso, l´insegnamento che intende trasmettere è generalmente quello della serenità dinanzi all´ineluttabile. Socrate, si sa, dopo aver rifiutato la fuga dalla prigione, muore conversando tranquillamente con i suoi discepoli; Boezio, incarcerato e condannato a morte dal re goto Teodorico nel 524, scrive in cella La consolazione della filosofia (un´opera che ha contribuito a radicare, a livello di senso comune, l´idea che la filosofia sia un modo per sopportare le traversie della vita, un antidoto alle contrarietà e alle disgrazie). Ma il martirologio filosofico è ancora più lungo: basti pensare a Giordano Bruno, mandato al rogo dall´Inquisizione nel 1600, o Giulio Cesare Vanini, che subisce lo stesso trattamento nel 1619 e che, mentre si avvia verso la pira, si fa beffe dei suoi nemici.
Se ogni nascita è una resurrezione dalla morte, dal nulla precedente, la morte, a sua volta, è un ritorno a casa, a quello stesso niente. Dinanzi ad essa si deve restare calmi:
Non aspiriamo, in realtà, a una vita infinitamente lunga, ma a una vita piena, compiuta. Per questo, se si è stati in grado di fruirne, la si deve abbandonare di buon grado: «Attraversa quindi questo breve periodo di tempo in modo conforme alla natura e finisci felice il tuo viaggio, proprio come un´oliva che cade quando è matura, benedicendo la natura che l´ha prodotta e ringraziando l´albero sul quale è cresciuta». (Marco Aurelio, IV, 48).
Ma nel caso in cui la nostra vita sia stata talmente grigia o penosa da non meritare alcuna riconoscenza, occorre ugualmente accettare di buon grado il potere distruttivo della mors immortalis? O non ci si deve laicamente ribellare alla sua assurdità, al suo vanificare ogni progetto, lasciando incompiuta e insatura ogni esistenza, invece di chiuderla armonicamente?
Forte è certo la seduzione dell´immortalità, il bisogno di felicità senza fine, il desiderio di raggiungere quella patria segreta in cui non si è ancora mai stati. E non senza emozione si può ascoltare la promessa del Credo niceno relativamente alla resurrectio mortuorum e alla vita venturi saeculi, o ricordare le parole che Unamuno trova incise su una lapide tombale della sua città, Bilbao:
Una risposta "laica" a tali aspettative sta anche nel non irriderle, nel comprenderne appieno il senso, nel rendersi conto che la semplice negazione di queste speranze amputa la nostra umanità, che la nostra morte è carica di significati che non si possono banalmente ridurre alla cessazione del respiro o dell´attività cerebrale.
Non è facile togliere alla morte il suo «pungiglione».
QUANDO LA VITA FINISCE
un confronto di filosofi in pubblico
Una frattura attraversa le convinzioni di tutti tra chi crede in un dopo e chi lo nega
Socrate dopo aver rifiutato la fuga sceglie di morire conversando con i suoi discepoli
Tutte le religioni ricorrono all´esperienza della fine altrui
L´uomo è l´unico animale che , gettato nei flutti del tempo, sa di dover morire: la filosofia si è a lungo misurata con questo tema fondamentale
REMO BODEI
L´uomo è l´unico animale che, gettato nei «flutti del tempo», sa di dover morire. L´unico capace di rappresentarsi dall´esterno la morte altrui, ma non la propria, e di interrogarsi, con paura o speranza, sul senso di questo inaggirabile sbarramento.
Ognuno conclude un ciclo iniziato quando è venuto al mondo, senza volerlo, in un determinato periodo e luogo, allorché ha iniziato una nuova storia, al cui centro inevitabilmente si è posto. Impadronendosi del linguaggio, lasciandosi plasmare dalle istituzioni politiche e religiose, elaborando visioni del mondo, ha così ripercorso a tappe forzate tratti di cammino già oltrepassati dalla propria civiltà. Ha cercato quindi, nel corso della sua esistenza, di dar senso agli eventi in cui è stato implicato, alle idee che gli hanno attraversato la mente, alle passioni che lo hanno impregnano e ai progetti che lo hanno guidato.
Tutto preso dal suo io, dai rapporti sociali e dai propri interessi, ha spesso dimenticato la sua qualità di ospite della vita, il fatto che il nostro essere è in gran parte fuori dal nostro controllo. Non solo, infatti, nel corpo le cellule si moltiplicano e muoiono, il sangue scorre, i polmoni si gonfiano e si svuotano d´aria, le ghiandole endocrine secernono i loro prodotti, i globuli bianchi vanno all´assalto delle infezioni senza alcuna nostra consapevolezza o ingiunzione, ma, anche a livello psichico, ogni notte involontariamente mettiamo in scena trame di sogno di cui siamo meri spettatori. Libertà, ragione e coscienza, ciò che di cui andiamo più fieri, poggiano su questa silenziosa operosità inconscia.
Viene però il momento in cui ciascuno comincia ad avvertire come un´emorragia di vita, ad accorgersi che le energie del corpo e dell´animo si affievoliscono. Sente allora la vita sfuggirgli irrimediabilmente, con moto accelerato quanto più discende nella «valle degli anni». È allora colto da quello che Agostino chiamava il metus amittendi, la paura di perdere tutto, di avanzare nel buio verso il nulla. Timore inevitabile, giacché - come ammoniva agli inizi dell´Ottocento Madame de Lambert - nous ne vivons que pour perdre o, come recita un proverbio tedesco, «l´ultimo vestito non ha tasche». Congedandoci dalla vita non possiamo portarci dietro niente.
La maggior parte di noi si sottrarrebbe volentieri a tale appuntamento in sospeso, ma - proprio perché la sua data è incerta - è propenso a ritenerlo prorogabile e a dimenticarlo. Tutte le religioni e tutte le concezioni del mondo affondano le loro radici nell´esperienza che ciascuno ha della morte altrui e dell´attesa della propria. E tutte si sforzano di ricordarla: dagli antichi egizi, che facevano circolare una mummia durante i banchetti, sino a oggi, quando la morte è sistematicamente esorcizzata, ma riempie di sé le pagine dei giornali e dei romanzi e gli schermi della televisione e del cinema.
Da Platone a Heidegger anche la filosofia occidentale ha posto al centro della propria riflessione l´enigma della morte e la preparazione ad essa. Melete thanatou o Respice finem sono state a lungo le sue parole d´ordine, contrastate solo da pochi, come Spinoza, che riteneva la filosofia «meditazione della vita, non della morte».
Una linea di frattura attraversa sia il pensiero filosofico che le convinzioni della maggior parte degli uomini. Da una parte ci sono quanti credono che essa sia l´inizio di una nuova vita, di una «vita dopo la vita», grazie a una metamorfosi analoga a quella che trasforma il bruco in farfalla; dall´altra, quanti, invece, pensano che essa rappresenti un ritorno a quel nulla da cui siamo usciti nascendo (e che, di conseguenza, la vita di ogni individuo sia soltanto una parentesi d´essere tra due immensi abissi del nulla).
Chi crede all´esistenza di una vita oltre la morte fa leva sulla speranza che le miserie e le sofferenze provate in questo mondo vengano risarcite, sulla persuasione che non si può essere nati invano, che il mondo deve pure avere un senso. È convinto che, se l´anima non fosse immortale e se non esistesse un Dio che premia i buoni e punisce i malvagi, la vita si trasformerebbe in una beffa crudele. Si perpetuerebbe, senza redenzione alcuna, lo spettacolo d´ingiustizia e di miseria denunciato nel Libro di Giobbe:
«Gli empi rimuovono i confini,Ma se la pascaliana scommessa sull´esistenza di Dio risultasse perdente? Se avesse ragione quel condannato a morte il quale «rispose al suo confessore, che gli prometteva che avrebbe cenato quel giorno con Nostro Signore: "Andateci voi, perché io, per parte mia, faccio digiuno"» (Montaigne)? Se il desiderio d´immortalità non fosse che un´illusione, uno schermo immaginario su cui proiettare le aspettative troppo raramente soddisfatte della nostra esistenza terrena? Ma, per converso - abbandonando provvisoriamente il punto di vista dell´individuo - può una società durare senza un progetto simbolico d´autoperpetuazione illimitata, senza porre, più o meno velatamente, «la morte al centro della vita», ossia senza solennizzare attraverso miti e riti di passaggio gli individui che muoiono per incorporare nella società quelli che nascono e crescono e saldare così le diverse generazioni? Può, inoltre, bastare l´eternità nell´attimo come quella che la cultura del Novecento ha cercato nel Carpe aeternitatem in momento! di Ernst Bloch?
rapiscono il gregge e lo pascolano.
Conducono via l´asino degli orfani,
prendono in pegno il bue della vedova.
[...] Prima che faccia giorno si leva l´assassino,
uccide il povero e il misero,
e di notte fa il ladro. [...] Nell´indigenza e nella fame
I derelitti fuggono verso il deserto,
tenebroso, squallido e desolato.
Colgono l´acetosa e le foglie degli arbusti
e la radice delle ginestre è il loro cibo»
Sulla morte la filosofia occidentale presenta un largo spettro di posizioni. Alternative o defilate rispetto alle religioni tradizionali, sia quando accetta l´idea dell´immortalità dell´anima, sia quando la nega. In ogni caso, l´insegnamento che intende trasmettere è generalmente quello della serenità dinanzi all´ineluttabile. Socrate, si sa, dopo aver rifiutato la fuga dalla prigione, muore conversando tranquillamente con i suoi discepoli; Boezio, incarcerato e condannato a morte dal re goto Teodorico nel 524, scrive in cella La consolazione della filosofia (un´opera che ha contribuito a radicare, a livello di senso comune, l´idea che la filosofia sia un modo per sopportare le traversie della vita, un antidoto alle contrarietà e alle disgrazie). Ma il martirologio filosofico è ancora più lungo: basti pensare a Giordano Bruno, mandato al rogo dall´Inquisizione nel 1600, o Giulio Cesare Vanini, che subisce lo stesso trattamento nel 1619 e che, mentre si avvia verso la pira, si fa beffe dei suoi nemici.
Se ogni nascita è una resurrezione dalla morte, dal nulla precedente, la morte, a sua volta, è un ritorno a casa, a quello stesso niente. Dinanzi ad essa si deve restare calmi:
«Perché lamenti la morte, perché ne lacrimi?In questa prospettiva, il timore della morte si placa eliminando le paure immaginarie (che derivano dalla credenza in divinità colleriche e vendicative o dalla ripugnanza che proviamo da vivi all´idea della corruzione della nostra carne) e godendo appieno ogni istante dell´esistenza senza procrastinare la gioia del presente.
Quando t´abbia sorriso la vita sin qui vissuta, e non tutte
stipate come in un vaso bucherellato, le gioie
sian defluite e perite senza tuo frutto, perché
da commensale ormai sazio non te ne vai dalla vita,
né di buon grado ti prendi, sciocco, un sereno riposo?»
(Lucrezio, III, 828-977).
Non aspiriamo, in realtà, a una vita infinitamente lunga, ma a una vita piena, compiuta. Per questo, se si è stati in grado di fruirne, la si deve abbandonare di buon grado: «Attraversa quindi questo breve periodo di tempo in modo conforme alla natura e finisci felice il tuo viaggio, proprio come un´oliva che cade quando è matura, benedicendo la natura che l´ha prodotta e ringraziando l´albero sul quale è cresciuta». (Marco Aurelio, IV, 48).
Ma nel caso in cui la nostra vita sia stata talmente grigia o penosa da non meritare alcuna riconoscenza, occorre ugualmente accettare di buon grado il potere distruttivo della mors immortalis? O non ci si deve laicamente ribellare alla sua assurdità, al suo vanificare ogni progetto, lasciando incompiuta e insatura ogni esistenza, invece di chiuderla armonicamente?
Forte è certo la seduzione dell´immortalità, il bisogno di felicità senza fine, il desiderio di raggiungere quella patria segreta in cui non si è ancora mai stati. E non senza emozione si può ascoltare la promessa del Credo niceno relativamente alla resurrectio mortuorum e alla vita venturi saeculi, o ricordare le parole che Unamuno trova incise su una lapide tombale della sua città, Bilbao:
Aunque estamos en polvo convertidos,
en ti, Se or, nuestra esperanza fía,
que volveremos a vivir vestidos
con la carne y la piel que nos cubría
(«Sebbene siamo trasformati in polvere,
in te, Signore, riposa la nostra speranza
di tornare a vivere vestiti
con la carne e la pelle che ci copriva»).
Una risposta "laica" a tali aspettative sta anche nel non irriderle, nel comprenderne appieno il senso, nel rendersi conto che la semplice negazione di queste speranze amputa la nostra umanità, che la nostra morte è carica di significati che non si possono banalmente ridurre alla cessazione del respiro o dell´attività cerebrale.
Non è facile togliere alla morte il suo «pungiglione».
citato al Lunedì
Luciana Sica, il Prof. Orlando, Matte Blanco
Repubblica 18.9.04
Francesco Orlando ricorda il grande psicoanalista cileno
"Il suo tratto candore e bonomia"
"ma intorn a lui anche diffidenza"
LUCIANA SICA
Tra pochi mesi - nel prossimo gennaio - si conteranno dieci anni dalla morte di Ignacio Matte Blanco, lo psicoanalista cileno noto per L´inconscio come insiemi infiniti, il "saggio sulla bi-logica" uscito nell´81 da Einaudi. In quel "grande libro", Matte Blanco rivisitava in modo originalissimo, con gli strumenti della logica matematica, il cuore del sistema freudiano, mostrando come l´inconscio e la coscienza non siano due entità rigidamente separate: l´inconscio non è più solo la cantina del nostro "rimosso", ma diventa anche un sostegno strutturale della coscienza, del pensiero logico.
"L´Emozione come esperienza infinita": un congresso internazionale in corso a Roma, la sua città adottiva dall´aprile del ´66, rievoca la figura di Matte Blanco. A prendere la parola stamattina sarà Francesco Orlando, brillante professore all´università di Pisa a dispetto dei settant´anni compiuti in luglio: è lui il "dattilografo" palermitano di Lampedusa, l´autore di un testo come Per una teoria freudiana della letteratura (Einaudi, 1973), il francesista che ha riletto la Phèdre e il Misanthrope, lo studioso del kitsch letterario da Flaubert in poi con Gli oggetti desueti.
Orlando è stato ammiratore e amico di Matte Blanco, lo aveva letto in inglese già nel '76 e più tardi l´ha conosciuto. Tra loro, nel tempo, si è stabilito un rapporto di natura intellettuale, ma anche di grande affetto reciproco. Matte Blanco è stato uno studioso sofisticatissimo e non sempre di facile comprensione, ma qui si può almeno tentare un ritratto di questo grande signore sudamericano, alludere alla complessità vertiginosa delle sue teorie, restituirne il fascino e la singolare qualità umana.
Professor Orlando, che ruolo ha avuto il pensiero di Matte Blanco nei suoi studi di letteratura e psicoanalisi?
«Un ruolo grandissimo. Sono ormai più di vent´anni che faccio riferimento al suo pensiero, che lo adopero con sistematicità nell´insegnamento e nelle cose che scrivo».
«Reminiscenze letterarie e "classi": una autoanalisi», è il titolo della sua relazione. "Classe", è un concetto centrale nel pensiero di Matte Blanco, può spiegare lei perché?
«Quando si parla d´individui, di cose individuali, e viceversa di classi logiche, di cose universali, la reazione istintiva dell´uomo della strada è quella di ritenere che l´individuo sia molto più concreto rispetto alle logiche universali, alle categorie astratte? Il pensiero inconscio è senz´altro più primitivo di quello conscio, e chiunque tende ad attribuire a un pensiero più elementare una preferenza per il concreto, per l´individuale, considerando invece l´astrazione come una conquista più tardiva che avviene con la maturazione della persona?».
E invece?
«E invece il grande paradosso, il vero scandalo del pensiero di Matte Blanco è di avere capovolto quest´impostazione: più il pensiero è arcaico, prelogico, più si scende nella profondità dell´inconscio, meno c´è rispetto per gli aspetti strettamente individuali».
In che modo si può esemplificare questo paradosso?
«Mettiamo un padre con più figli, che si arrabbia con uno di loro e lo sgrida. È probabile che, se la sua collera crescerà, potrà pronunciare una frase del tipo "I miei figli sono tutti dei mascalzoni?". O anche, se mi capita di ricevere un torto da uno svedese e mi irrito entro una certa misura, mi limiterò a pensare che quel signore è una canaglia, ma se il mio sdegno sarà più incontrollato, potrò giudicare tutti gli svedesi come delle canaglie. Sono esempi che mostrano come l´aumento di emotività porti a un allontanamento dall´individuale? Ma per uno studioso con le mie competenze, il problema diventa un altro, quello di capire se questa grande verità - che è alla base di tutto il pensiero di Matte Blanco - trovi applicazione o meno nel fenomeno letteratura?».
Lei, naturalmente, pensa di sì.
«Io penso che la trovi, e anche moltissimo. Da sempre mi pongo il problema di come mai le grandi opere d´arte riescano a dare una dimensione universale a vicende apparentemente più limitate, o anche di come sia possibile che quel personaggio anche fortemente individuato diventi una categoria umana, una "classe", appunto... E da sempre trovo molto suggestivo l´intreccio tra il linguaggio come sede del fatto estetico e il discorso psicoanalitico che comunque non esiste senza analisi di un linguaggio».
Mi dica del suo rapporto con Matte Blanco: intanto, come l´ha conosciuto?
«Me lo ha presentato una mia grandissima amica, Alessandra Ginzburg, che è anche tra i principali artefici del congresso e all´epoca era in analisi didattica con Matte Blanco e ne era entusiasta. Era il 1980, e dopo qualche incontro informale gli chiesi di dedicarmi un po´ del suo tempo per questioni mie più personali? Avevo fatto un´analisi di quattordici anni con Giovanni Hautmann e sentivo la necessità di parlare dei motivi che mi avevano spinto a intraprendere quel lungo cammino e dei problemi che ancora mi procuravano qualche noia?».
E lui accettò?
«Sì, ho fatto con lui un paio di sedute, anche se non proprio ortodosse, e ne conservo un ricordo molto bello?».
Del resto, Matte Blanco non considerava la frequenza delle sedute come un fattore determinante della cura analitica. Si legge in un suo testo compreso nel volume intitolato L´Italia nella psicoanalisi (Istituto della Enciclopedia italiana, 1989): «La mia personale esperienza mi dimostra che anche quando si vede un paziente solo per poche volte in tutta la sua vita, in certi casi si riesce ad aiutarlo con l´impiego di concetti psicoanalitici...». Lei, professore, pensa di rientrare in quei certi casi?
«Solo in parte... Forse si è trattato più di una stimolazione culturale che di un aiuto analitico».
Che tipo di uomo era Matte Blanco?
«Non esito a dirlo: una specie di santo. La dolcezza, la semplicità, il candore, l´affabilità, la bonomia costituivano il suo tratto umano. Era la persona meno autoritaria, meno sgarbata, meno presuntuosa, meno di potere che si possa immaginare».
So che per l´uscita del "grande libro", lei aveva suggerito di chiedere una prefazione a Lacan, ma un po´ assurdamente Matte Blanco non volle saperne? Vuole raccontarlo lei?
«Matte Blanco aveva avuto un incontro cordiale con Lacan, e pensai che - con una prefazione firmata da un analista tanto acclamato - il suo libro si sarebbe venduto come i panini col prosciutto. Ma un giorno sollevo la cornetta del telefono, e mi sento dire dalla sua voce inconfondibile che a lui di avere la prefazione di una persona famosa non gliene importava niente, mentre gli andava benissimo che la scrivessi io che gli ero tanto simpatico... Gli obiettavo: "Professore, mi dia retta, la sua è merce culturale di prim´ordine e deve circolare il più possibile"... Niente da fare, non si dava per vinto e ripeteva: "Ma no, ma no, io voglio bene a lei, non a Lacan!". Ecco, questo era l´uomo».
Un uomo verso il quale - nell´ambiente psicoanalitico, tra i colleghi - c´è stata più ammirazione o più diffidenza?
«Sotto sotto più diffidenza, anche se l´ammirazione c´era, non poteva non esserci, ed era favorita dall´incredibile mitezza dell´uomo? Ma ricordo anche che, una volta, trovai in un estratto di Matte Blanco una frase molto amara. Lessi: "La creatività di uno di noi in genere è avvertita da quasi tutti gli altri come un pericolo mortale"... Si rende conto? Non una minaccia, ma proprio un pericolo mortale».
UN CONGRESSO A ROMA A DIECI ANNI DALLA MORTE
L´INCONSCIO È L´INFINITO DENTRO DI NOI
"Ho avuto il privileg di curare i suoi libri"
PIETRO BRIA
«L´Inconscio: un infinito dentro di noi»: così Matte Blanco riassumeva il senso più profondo della sua ricerca approdata a territori che prima di lui erano stati esclusivo campo di indagine del pensiero filosofico e scientifico. L´Inconscio veniva così a legarsi al concetto di Infinito radicandosi nell´esperienza emotiva, soprattutto quando si manifesta con i caratteri della "passione" che sconvolge i canoni della nostra "ragione" abituata a muoversi nei confini dello spazio e del tempo: confini a cui sono refrattarie le emozioni dell´amore e dell´odio.
Quando siamo innamorati - dice Matte Blanco - ci troviamo immersi nell´infinito, assolutizziamo l´oggetto del nostro desiderio. In altre parole, presi dall´emozione di amore, tendiamo a trattare l´individuo come la "classe", la parte come il tutto: la donna amata - come può essere la madre per il bambino - diventa, così, la Donna, l´insieme di tutte le donne e il legame con lei si colora di poteri straordinari, nel Bene e nel Male. Così facendo Matte Blanco riscatta l´emozione spesso confinata nell´irrazionale e ne ravvisa una logica che è espressione di uno specifico modo di significare della mente: una ragione assolutista, che opera in continua interazione con quella ragione che Aristotele ha vincolato al rispetto del principio di non contraddizione. La cosa più importante è che la ragione degli affetti, ideologica per sua natura, si rivela altrettanto essenziale per la nostra sopravvivenza della ragione aristotelica. Abbiamo bisogno di entrambe le logiche, ma soprattutto di una loro interazione armonica, per scongiurare la sofferenza psichica.
Ho avuto il privilegio di assistere a questo straordinario percorso intellettuale fin da quando, dopo il suo arrivo in Italia, Matte Blanco cominciò a svolgere i suoi corsi di psicopatologia alla Cattolica, poi in una lunga analisi didattica, e più tardi nella traduzione e nella cura della sua opera fondamentale recentemente riedita: L´Inconscio come insiemi infiniti. Ci fu una cosa che subito mi colpì di lui: una sorprendente mescolanza di raffinatezza culturale, di capacità mai soddisfatta di analisi e di distinzione, insieme col modo diretto di comunicare, facile alle generalizzazioni emotive.
Diceva spesso che ciò dipendeva dalle sue radici cilene, dal mondo contadino del suo Cile. Diceva anche - riconoscendo il suo amore precoce per l´Italia - che una delle più importanti fonti di ispirazione per la sua teoria erano stati i romanzi fantastici di Salgari. Oggi mi rendo conto che rifletteva nella sua opera un aspetto profondo della sua persona: quell´"essere bi-modale" - come più volte l´ha definito - fondato su una sana armonia tra i "due modi di essere".
Francesco Orlando ricorda il grande psicoanalista cileno
"Il suo tratto candore e bonomia"
"ma intorn a lui anche diffidenza"
LUCIANA SICA
Tra pochi mesi - nel prossimo gennaio - si conteranno dieci anni dalla morte di Ignacio Matte Blanco, lo psicoanalista cileno noto per L´inconscio come insiemi infiniti, il "saggio sulla bi-logica" uscito nell´81 da Einaudi. In quel "grande libro", Matte Blanco rivisitava in modo originalissimo, con gli strumenti della logica matematica, il cuore del sistema freudiano, mostrando come l´inconscio e la coscienza non siano due entità rigidamente separate: l´inconscio non è più solo la cantina del nostro "rimosso", ma diventa anche un sostegno strutturale della coscienza, del pensiero logico.
"L´Emozione come esperienza infinita": un congresso internazionale in corso a Roma, la sua città adottiva dall´aprile del ´66, rievoca la figura di Matte Blanco. A prendere la parola stamattina sarà Francesco Orlando, brillante professore all´università di Pisa a dispetto dei settant´anni compiuti in luglio: è lui il "dattilografo" palermitano di Lampedusa, l´autore di un testo come Per una teoria freudiana della letteratura (Einaudi, 1973), il francesista che ha riletto la Phèdre e il Misanthrope, lo studioso del kitsch letterario da Flaubert in poi con Gli oggetti desueti.
Orlando è stato ammiratore e amico di Matte Blanco, lo aveva letto in inglese già nel '76 e più tardi l´ha conosciuto. Tra loro, nel tempo, si è stabilito un rapporto di natura intellettuale, ma anche di grande affetto reciproco. Matte Blanco è stato uno studioso sofisticatissimo e non sempre di facile comprensione, ma qui si può almeno tentare un ritratto di questo grande signore sudamericano, alludere alla complessità vertiginosa delle sue teorie, restituirne il fascino e la singolare qualità umana.
Professor Orlando, che ruolo ha avuto il pensiero di Matte Blanco nei suoi studi di letteratura e psicoanalisi?
«Un ruolo grandissimo. Sono ormai più di vent´anni che faccio riferimento al suo pensiero, che lo adopero con sistematicità nell´insegnamento e nelle cose che scrivo».
«Reminiscenze letterarie e "classi": una autoanalisi», è il titolo della sua relazione. "Classe", è un concetto centrale nel pensiero di Matte Blanco, può spiegare lei perché?
«Quando si parla d´individui, di cose individuali, e viceversa di classi logiche, di cose universali, la reazione istintiva dell´uomo della strada è quella di ritenere che l´individuo sia molto più concreto rispetto alle logiche universali, alle categorie astratte? Il pensiero inconscio è senz´altro più primitivo di quello conscio, e chiunque tende ad attribuire a un pensiero più elementare una preferenza per il concreto, per l´individuale, considerando invece l´astrazione come una conquista più tardiva che avviene con la maturazione della persona?».
E invece?
«E invece il grande paradosso, il vero scandalo del pensiero di Matte Blanco è di avere capovolto quest´impostazione: più il pensiero è arcaico, prelogico, più si scende nella profondità dell´inconscio, meno c´è rispetto per gli aspetti strettamente individuali».
In che modo si può esemplificare questo paradosso?
«Mettiamo un padre con più figli, che si arrabbia con uno di loro e lo sgrida. È probabile che, se la sua collera crescerà, potrà pronunciare una frase del tipo "I miei figli sono tutti dei mascalzoni?". O anche, se mi capita di ricevere un torto da uno svedese e mi irrito entro una certa misura, mi limiterò a pensare che quel signore è una canaglia, ma se il mio sdegno sarà più incontrollato, potrò giudicare tutti gli svedesi come delle canaglie. Sono esempi che mostrano come l´aumento di emotività porti a un allontanamento dall´individuale? Ma per uno studioso con le mie competenze, il problema diventa un altro, quello di capire se questa grande verità - che è alla base di tutto il pensiero di Matte Blanco - trovi applicazione o meno nel fenomeno letteratura?».
Lei, naturalmente, pensa di sì.
«Io penso che la trovi, e anche moltissimo. Da sempre mi pongo il problema di come mai le grandi opere d´arte riescano a dare una dimensione universale a vicende apparentemente più limitate, o anche di come sia possibile che quel personaggio anche fortemente individuato diventi una categoria umana, una "classe", appunto... E da sempre trovo molto suggestivo l´intreccio tra il linguaggio come sede del fatto estetico e il discorso psicoanalitico che comunque non esiste senza analisi di un linguaggio».
Mi dica del suo rapporto con Matte Blanco: intanto, come l´ha conosciuto?
«Me lo ha presentato una mia grandissima amica, Alessandra Ginzburg, che è anche tra i principali artefici del congresso e all´epoca era in analisi didattica con Matte Blanco e ne era entusiasta. Era il 1980, e dopo qualche incontro informale gli chiesi di dedicarmi un po´ del suo tempo per questioni mie più personali? Avevo fatto un´analisi di quattordici anni con Giovanni Hautmann e sentivo la necessità di parlare dei motivi che mi avevano spinto a intraprendere quel lungo cammino e dei problemi che ancora mi procuravano qualche noia?».
E lui accettò?
«Sì, ho fatto con lui un paio di sedute, anche se non proprio ortodosse, e ne conservo un ricordo molto bello?».
Del resto, Matte Blanco non considerava la frequenza delle sedute come un fattore determinante della cura analitica. Si legge in un suo testo compreso nel volume intitolato L´Italia nella psicoanalisi (Istituto della Enciclopedia italiana, 1989): «La mia personale esperienza mi dimostra che anche quando si vede un paziente solo per poche volte in tutta la sua vita, in certi casi si riesce ad aiutarlo con l´impiego di concetti psicoanalitici...». Lei, professore, pensa di rientrare in quei certi casi?
«Solo in parte... Forse si è trattato più di una stimolazione culturale che di un aiuto analitico».
Che tipo di uomo era Matte Blanco?
«Non esito a dirlo: una specie di santo. La dolcezza, la semplicità, il candore, l´affabilità, la bonomia costituivano il suo tratto umano. Era la persona meno autoritaria, meno sgarbata, meno presuntuosa, meno di potere che si possa immaginare».
So che per l´uscita del "grande libro", lei aveva suggerito di chiedere una prefazione a Lacan, ma un po´ assurdamente Matte Blanco non volle saperne? Vuole raccontarlo lei?
«Matte Blanco aveva avuto un incontro cordiale con Lacan, e pensai che - con una prefazione firmata da un analista tanto acclamato - il suo libro si sarebbe venduto come i panini col prosciutto. Ma un giorno sollevo la cornetta del telefono, e mi sento dire dalla sua voce inconfondibile che a lui di avere la prefazione di una persona famosa non gliene importava niente, mentre gli andava benissimo che la scrivessi io che gli ero tanto simpatico... Gli obiettavo: "Professore, mi dia retta, la sua è merce culturale di prim´ordine e deve circolare il più possibile"... Niente da fare, non si dava per vinto e ripeteva: "Ma no, ma no, io voglio bene a lei, non a Lacan!". Ecco, questo era l´uomo».
Un uomo verso il quale - nell´ambiente psicoanalitico, tra i colleghi - c´è stata più ammirazione o più diffidenza?
«Sotto sotto più diffidenza, anche se l´ammirazione c´era, non poteva non esserci, ed era favorita dall´incredibile mitezza dell´uomo? Ma ricordo anche che, una volta, trovai in un estratto di Matte Blanco una frase molto amara. Lessi: "La creatività di uno di noi in genere è avvertita da quasi tutti gli altri come un pericolo mortale"... Si rende conto? Non una minaccia, ma proprio un pericolo mortale».
UN CONGRESSO A ROMA A DIECI ANNI DALLA MORTE
L´INCONSCIO È L´INFINITO DENTRO DI NOI
"Ho avuto il privileg di curare i suoi libri"
PIETRO BRIA
«L´Inconscio: un infinito dentro di noi»: così Matte Blanco riassumeva il senso più profondo della sua ricerca approdata a territori che prima di lui erano stati esclusivo campo di indagine del pensiero filosofico e scientifico. L´Inconscio veniva così a legarsi al concetto di Infinito radicandosi nell´esperienza emotiva, soprattutto quando si manifesta con i caratteri della "passione" che sconvolge i canoni della nostra "ragione" abituata a muoversi nei confini dello spazio e del tempo: confini a cui sono refrattarie le emozioni dell´amore e dell´odio.
Quando siamo innamorati - dice Matte Blanco - ci troviamo immersi nell´infinito, assolutizziamo l´oggetto del nostro desiderio. In altre parole, presi dall´emozione di amore, tendiamo a trattare l´individuo come la "classe", la parte come il tutto: la donna amata - come può essere la madre per il bambino - diventa, così, la Donna, l´insieme di tutte le donne e il legame con lei si colora di poteri straordinari, nel Bene e nel Male. Così facendo Matte Blanco riscatta l´emozione spesso confinata nell´irrazionale e ne ravvisa una logica che è espressione di uno specifico modo di significare della mente: una ragione assolutista, che opera in continua interazione con quella ragione che Aristotele ha vincolato al rispetto del principio di non contraddizione. La cosa più importante è che la ragione degli affetti, ideologica per sua natura, si rivela altrettanto essenziale per la nostra sopravvivenza della ragione aristotelica. Abbiamo bisogno di entrambe le logiche, ma soprattutto di una loro interazione armonica, per scongiurare la sofferenza psichica.
Ho avuto il privilegio di assistere a questo straordinario percorso intellettuale fin da quando, dopo il suo arrivo in Italia, Matte Blanco cominciò a svolgere i suoi corsi di psicopatologia alla Cattolica, poi in una lunga analisi didattica, e più tardi nella traduzione e nella cura della sua opera fondamentale recentemente riedita: L´Inconscio come insiemi infiniti. Ci fu una cosa che subito mi colpì di lui: una sorprendente mescolanza di raffinatezza culturale, di capacità mai soddisfatta di analisi e di distinzione, insieme col modo diretto di comunicare, facile alle generalizzazioni emotive.
Diceva spesso che ciò dipendeva dalle sue radici cilene, dal mondo contadino del suo Cile. Diceva anche - riconoscendo il suo amore precoce per l´Italia - che una delle più importanti fonti di ispirazione per la sua teoria erano stati i romanzi fantastici di Salgari. Oggi mi rendo conto che rifletteva nella sua opera un aspetto profondo della sua persona: quell´"essere bi-modale" - come più volte l´ha definito - fondato su una sana armonia tra i "due modi di essere".
citato al Lunedì
irriducibile, il manifesto...
il manifesto 17.9.04
Nelle emozioni l'esperienza dell'infinito
Le conflittualità logiche della mente, tra sentire e pensare. Un convegno dedicato allo psicoanalista Matte Blanco
MARINA DELLA CROCE
Nelle emozioni l'esperienza dell'infinito
Le conflittualità logiche della mente, tra sentire e pensare. Un convegno dedicato allo psicoanalista Matte Blanco
MARINA DELLA CROCE
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